la 3 rassegna nazionale di arte contemporanea a

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la 3 rassegna nazionale di arte contemporanea a
LA 3 RASSEGNA NAZIONALE
DI ARTE CONTEMPORANEA
A LECCE
A CURA
DELL' ASSOCIAZIONE PROVINCIALE DELLA STAMPA DI TERRA D' OTRANTO
LECCE 1970
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)
a cura di IMAGO - Lecce
STABILIMENTO TIPOGRAFICO « BRAMANTE » URBANIA - 1970
Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Saléntina)
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L'an gustia per il prossimo, come abbiamo accennato appare, a volte, come
esperienza di senso interiore latente.
Temi ricorrenti, la « morte », il « pane », la prima che vive in noi e cammina
con noi dal principio alla fine della nostra vita, il secondo che rappresenta il
problema della vita, tutto racchiuso nella semplice parola che lo rappresenta.
In « Notte » si legge:
«
Povera gente la nostra.
Ha ancora
vestiti a brandelli
e dorme senza pane,
sognando forse
castelli ».
Anche in « E' mattino » è iterato l'assillante problema del « pane »:
«.
Si sente solo
nella quiete mattutina
'm lento scalpitare
di cavalli,
che tirano sull'asfalto
le prime carrozzelle
in cerca di fieno e di pane ».
Ed ancora in « Un mattino d'inverno »:
Noi siamo cresciuti
all'ombra della casa,
lei ha camminato
per il pane amaro ».
Le parole hanno spesso movenze di lento fluire, come di linfa dolente che
penetra sussurrando.
Il motivo della « morte » è uno dei due poli centrali della raccolta. Tematica
preminente su di un evento irrepetibile che si accetta cristianamente.
In « Siamo muti » l'ultima strofa così canta:
«.
Un dubbio ci assale
e le tombe sbiancate
ci attendono,
quando stanchi delle cose,
andremo silenziosi
dalla morte ».
E in « Un mattino d'inverno »:
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» Un mattino d'inverno
la morte
ha aspettato mio padre,
quandlo ero ancora
fanciullo.
Da allora il silenzio
ha dominato la vita,
e mia madre ha pianto
col rosario in mano ».
L'autore. che s'affaccia col suo mazzo di versi alla sua alba po.e tica, ripropone
la sua istanza vitale in « L'ora del ritorno »:
« E' l'ora del ritorno
prepariamoci.
Abbiamo vissuto col sole,
la sera ora ci bacia.
Fuori la morte ci aspetta ».
Sembra di riascoltare l'eco di alcune liriche di Giovanni Pascoli così aperto
alle voci del cosmo e dell'incombente fine.
Pochi versi, semplici cenni, ove s'innesta e domina il filo conduttore della
raccolta di Antonio Campanelli.
Ed in questo continuo alternarsi della vita e della morte, unito ad un sottofondo non disgiunto da caratterizzazioni sociali, con qualche sottaciuto senso di
aperta rivolta, si snoda il libretto.
Senza voler parlare di scuole, correnti, maestri, il g iovane poeta avverte profondamente il senso della nostra tormentata epoca e, se saprà evolversi in quella
ricchissima latitudine di pensieri e di cromatiche sensazioni, sicuramente potrà
offrirci nel futuro — così ci auguriamo — frutti più cospicui e maturi.
MARIA ROMANO COLANGELI
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Bruno GEN FILI - Lirica greca. Pindaro Bacchilide Simonide Guanda Editore Parma 1965.
Il noto giudizio oraziano che « Pindarum quisquis studet aemulari... ceratis
ope Daedalea nititur pinnis » potrebbe, nonché agli emulatori, applicarsi anche ai
traduttori di Pindaro, tanta è la difficoltà di riproporre in altra lingua le immagini
e i contenuti di quell'arte sublime.
Ci provarono in passato ellenisti insigni come Fraccaroli e Romagnoli e letterati
di gusto finissimo come L. Traverso, ma il testo di Pindaro, anche se qua e là
felicemente colto, sembra finora essersi sottratto a ogni sforzo di ricreazione e
e di ricomposizione dei suoi autentici caratteri.
La verità è che, per tradurre un tale poeta, e potremmo aggiungere, per certi
aspetti, anche Bacchilide e Simonide, non è sufficiente avere una più o meno profonda conoscenza del greco o un senso innato del ritmo o un dominio sicuro
della forma; occorre anche, e direi soprattutto, saper leggere quei testi in una
giusta prospettiva storica, sì che ogni piega del pensiero, per « ermetico » che
sia — e di « ermetismo » si è anche parlato a proposito di Pindaro (Del Grande) —,
ogni nuance del lin g uaggio, pur carico di irrepetibili risonanze, trovi nella traduzione la sua adeguata illuminazione, la sua, per così dire, traslitterazione poetica.
E' proprio questa felice condizione che ha consentito a B. Gentili, lo studioso
italiano più agguerrito della lirica corale greca, di avvicinarsi, almeno più degli
altri che l'hanno preceduto, a questi difficili testi, cioè, non soltanto la sua provata perizia di filolo g o e le sue eccellenti qualità di interprete di poesia, ma anche
una visione storica più sensibile al mondo dei valori, quale esso appare in un'arte
che da un lato (Pindaro) cercava, attraverso « vie nuove », ma sempre legate alla
tradizione, la soluzione della crisi delle vecchie strutture, dall'altro (Simonide)
tendeva, attraverso sentieri meno aspri e solenni, a sostituire ai vecchi schemi i
valori nuovi che la funzione sociale del poeta reclamava di rilevare e celebrare.
Questo spiega anche, in certo modo, la scelta fatta dal Gentili, cui certo sarebbe
stato più agevole e comodo ripresentare ancora una volta i consunti modelli
della lirica monodica, che per quanto operanti nell'ambito di ben determinati
Binde, tiasi di fanciulle o eterie etico-politiche, hanno sempre trovato nella poesia
moderna una più immediata eco, assurgendo di volta in volta a esemplari eterni
di arte erotica, civile, conviviale ecc. Ma al Gentili premeva soprattutto presentare
ai lettori di oggi, così sensibili ai problemi sociali e politici, uno specimen di
questi scrittori meno noti, allo scopo di offrir loro « un panorama delle opposte
tendenze ideologiche e artistiche che animarono la poesia del tardo arcaismo
greco, cioè di un'epoca culturale caratterizzata da una profonda crisi evolutiva
nella quale la poesia, come solo rare volte nella storia della cultura occidentale,
divenne strumento di conoscenza del reale e suprema guida orientativa nella
evoluzione della società greca, nelle forme del linguaggio e dell'arte del poetare,
e nel pensiero sociologico e politico » (p. 13).
Così non ci sorprende di vedere fra i passi tradotti la polemica difesa dell'arte
pindarica contro la poetica artigianale di Simonide: « Molte rapide frecce / ho
sotto il braccio nella mia faretra / sonanti a chi in tende, ma vuole interpreti il
volgo. / Poeta, chi molto sa da natura, ma quanti dall'arte impararono, / superbi
loquaci come due corvi, gracchiano invano / contro l'aquila di Zeus (Pirici. 01. H
83 (91) sgg.), oppure la professione della sua fede politica, un'oligarchia di sophoi,
contrapposta alla tirannide e alla demagogia: « L'uomo di dritta parola s'impone /
ín ogni governo, nella tirannide / e quando regna la folla tumultuosa / e quando
la città reggono i saggi » (Pit. Il 12 sgg.), o l'esaltazione dell'eroe « tardo di
lingua, ma saldo di cuore » (Nem, VII 21 sgg.), contro cui il contemporaneo Si193
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