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Caffè della Pila
NOTIZIARIO DEL GRUPPO SPELEOLOGICO SALENTINO
P. DE LORENTIIS MAGLIE
Il 27 novembre 1958, a cura dell'Università Popolare di Brindisi, nella sala delle
Lapidi di quel Museo Provinciale, il Gruppo Speleologico Salentino tiene Convegno di
preistoria.
Le relazioni sono svolte da Mario Moscardino e Decio De Lorentiis rispettivamente
Presidente e Direttore Scientifico del Gruppo.
Entusiasmo e interesse di eccezione caratterizzano l'ambiente, al punto che alcuni
studiosi chiedono seduta stante di dare vita ad un Gruppo Speleologico brindisino come
sezione del Gruppo Salentino : è un altro passo decisivo verso la più profonda fusione
dei rapporti:culturali. da tenipo' anspicatà, fra le due. Provinierlimitrofe,,
Si fanno eco dei « brillanti risultati del Convegno » (sono le espressioni che ricorrono sulla stampa), la « Gazzetta del Mezzogiorno » del 30 - 1.1 - 1958. il « Corriere del
Giorno » del 27 - 11 - 1958 e il « Giornale d' Italia » del 2 12 - 1958.
Alla fine del dicembre le ricerche e le scoperte del Gruppo Speleologico Salentino
sono ancora una volta all'ordine .del giorno e questa volta su'Piano H nazionale in occasione dell'assemblea dell'Istituto Italiano di Paleontologia Umana.
Diamo la parola alla « Gazzetta del Mezzogiorno » che in data 27 "diCeMbre',1958
cósì scrive dell'importante riunione. alla quale fanno eco il « Corriere del Giorno »
27 dicembre; «17 Tempo » del 27 dicembre, il « Giornale d'Italia » del 28 , dicembre. ala
« Voce del Sud » del 27 dicembre.
Presso l'Istituto di Antropologia dell'Università di Roma, la sezione romana dell'Istituto Italiano di Paleontologia Umana, ha tenuto una riunione nella quale sono
state presentate varie e interessanti comunicazioni. Ricerche e scoperte nel Salento sono
state condotte dall'Istituto in collaborazione col Gruppo Speleologico di •Lecce e col Museo Provinciale di Lecce, noncIM con l'aiuto dell'Amministrazione Provinciale e per essa
del Centro di Studi Salentini.
Alla riunione sono intervenuti il doti. Mario Iternardini, Direttore del Museo Provinciale, il dott. Mario Moscardino presidente del Gruppo Speleologico ed il prof. 'Decio
De Lorentiis. Direttore Scientifico dello stesso Gruppo oltre al Sottosegretario alla Pubblica Istruzione On. Di Rocco.
L'interesse delle relazioni ha inipegnató i presenti dando loro la prova dello sviluppo che un po' dovunque, in Italia, questi studi . vanno assumendo; aprendo nuovi oriz4,
tonti alla preistoria. Decio De Lorentiis, ha parlato sui nuovi giacimenti pleistocenici,
nelle fessure della pietra leccese e delle « ventalore » ossifere di S. Isidoro e Melpignano
(Maglie) da lui stesse scoperte ed esplorate per il Gruppo. Quindi Luigi Cardini ha
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detto delle prime determinazioni delle faune pleistoceniche delle « ventalore» ossifere di
S. Isidoro e Melpignano, nonclu3 di quelle dei nuovi giacimenti costieri musteríawi del
Capo di Lena.
Alberto Carlo .Blanc ha trattato ampiamente dell'industria musteriana su calcare e
su valve di Meretrix chione, associato con, fossili di Elefante e Rinoceronte, nei nuovi
giacimenti costieri musteriani del Capo di Leuca, la cui esplorazione sistemativa
stata stimolata da una acuta osservazione dovuta al prof. Decio De Lorentiis. Sempre
Diano, fra l'interesse generale ha parlato dell'ottavo reperto neandertaliano d'Italia, ed
il primo del Salento : un dente infantile associato con industria musteriana e fauna ed
elefante e rinoceronte della Grotta delle Tre Porte al Capo di Leuca.
Sono seguite quindi altre comunicazioni riguardanti altre regioni d'Italia ; Maria
Follieri su nuovi reperti botanici nel tufo grigio della Cava Bianca (via .Flaminia),
confermanti la glaciazione Flaminia. Alberto Carlo Blanc, ancora ha presentato due
comunicazioni di particolare interesse : la prima su manufatto amigdaloide della collezione Arnò in Manduria, e la seconda sugli scavi del giacimento paleolitico inferiore
di Loreto (Venosa) e sul rilievo (lel livello tagniaziano ad opera di V. Chiappella. Dopo
Luigi Cardini che ha preso ancora la parola per relazionare sui primi risultati dello
scavo del giacimento di Cave Mastrodonato in Bisceglie e della faces finale delle ceramiche impresse. Georges Laplace ha concluso intrattenendo l'uditorio su : « Le probleme
lames et lamelles ».
da Sjthetotjpe dans l'evolution des industries
Tutte le comunicazioni sono state documentate ed illustrate da interessanti proiezioni
di diapositive opportunamente scelte.
N. d. R.
SI INAUGURA A LECCE LA SCUOLA DI ARTE DRAMMATICA
La seconda Scuola d'Arte Drammatica .d'Italia è stata. solennemente inaugurata,
giovedì 10 marzo, in Lecce, nei locali del Liceo Musicale, alla presenza delle Autorità,
locali e di un folto pubblico convenuto per l'occasione.
La genesi di questa Scuola e gli scopi che essa si propone sono stati ampiamente
illustrati dal prof. Renzo d'Andrea. Nel suo ampio discorso sono stati rivissuti i primi
tentativi ed i primi entusiasmi per la creazione di una scuola di recitazione, fino alla
attuale pratica realizzazione, per una più profonda conoscenza del teatro presso le nuove
generazioni, per una rinnovata passione verso questa forma di spettacolo vecchia quanta
la stessa storia dell'umanità e pur sempre vi va quale espressione più concreta del momento in cui viviamo, con i suoi peculiari problemi e le sue ansie di « verità ».
La prolusione è stata tenuta dal prof. Ernesto Grassi — critico d'arte e docente di
arte drammatica presso l'Accademia di Belle Arti di , Napoli — sul tema : « il motore
della tragedia greca ».
L'oratore ha efficacemente dimostrato la vitalità perenne del teafro classico, i cui
temi, pur attraverso una necessaria rielaborazione dovuta al variare dei gusti e delle.
situazioni, si ritrovano nella produzione dei maggiori drammaturghi moderni. Ha infine esortato i giovani alla conoscenza del teatro antico e all'approfondimento dei suoi
eterni valori.
E intervenuto anche alla cerimonia l'attore Luigi . Cimara, impegnato la sera stessa
n'ila rappresentazione, al Teatro Ariston, dell'applaudita commedia di Irving ,San'.
Lucy Crown ».
N. d. R.
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CONFERENZA " MORI „ AL CITTADINO
Presso il locale Circolo Cittadino, d stato inaugurato il secondo ciclo di conferenze
del Liceo Ginnasio « G. Palmieri », patrocinato dalle Amministrazioni Comunale e
Provinciale.
Il prof. Alberto Mori — ordinario di geografia nella Università di Pisa — ha parlato sul tema : «,S'guardo ad un mondo che cammina ».
In questa conferenza, seguita con molto interesse dall'uditorio, sono stati trattati :
il problema della popolazione e del suo continuo incremento; il rapporto fra crescenti
bisogni e progressivo sfruttamento di nuove fonti di .approvvigiona mento: le continue
scoperte di un progresso ormai pervenuto a mete ritenute impossibili fino a poco tempo
fa: il perfezionarsi degli odierni mezzi di comunicazione ed. infine, i rapporti politici
fra le nazioni e le correnti di pensiero politico contemporanee, e il progressivo scomparire di alcune forme di dominio politico quali l' imperialismo, il colonialismo e il nazionalismo.
N. d. R.
PUBBLICAZIONI
SCHEDE SULLA NARRATIVA ITALIANA 1958-1959
ANNA BARONE -
Don Ansè - Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1959.
Non è difficile prevedere una vita dura ad un'opera qual è questa della Barone! Molte le
ragioni, ma soprattutto la sua lunghezza in rapporto alla tenuità della vicenda. Se poi a
questa considerazione si aggiunge l'altra del chiaro autobiografismo del racconto e dei modi
con cui è realizzato, si capirà ancor meglio come Don Anse si senta assolutamente fuori
tempo e in contrasto con ogni gusto e tendenza letteraria d'oggi.
Si tratta in sostanza di un appassionato e triste abbandono ai ricordi, che senza. sosta
si accavallano e senza distinzione di limite e tempo si mescolano fra loro. Azione narrativa
vera e propria non c'è. Non c'è sia per la natura di questo " racconto „ , sia per i modi che
lo realizzano.
Siamo dinanzi ad una lunga, enorme " lirica „ , in cui non pi eadono rilievo nè I ersonaggi .nè ambienti nè età. La Barone non sa staccarsi da una materia troppo urgentemente
umana (ma tanto nobilmente umana), nè sa o vuole rinunciare a sensibilizzare ogni cosa (ho
vede nell'immaginazione o ricostruisce nel ricordo. La sua prosa ha tutti gli atteggiamenti
della rievocazione lirica : trasposizioni dei termini ( " Sospeso nel tempo e stranamente fuori
di me mi pare questo viaggio che pure si snoda con l'ora che volge ... „ p. ) legamenti
e richiami di parole ("e immagini e memorie mi hanno li ! urtato come a donarmi ancora
qualcosa, qualcosa cui aggrapparmi che trattenga il passo sul baratro della follia. Follia dolce
sventura diabolica... „ , p. 9 ); insistenza su parole suadenti e suggestive in ogni pagina
delle 359 di cui è costituita l'opera; indugio su grate e malinconiche memorie, che s'inseguono in assoluta fiducia ( " Io sogno. Sogno una terra sconfinata ... e un'altra notte ... e
un'altra notte ... „ , p. 338 ss.); costruzione del periodo; richiesta di un dialogo, incalzante
e spasmodico, con la memoria e il cuore, e così via via.
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Nonostante tutto questo, noi non sappiamo 'criticamente rinunciare , a quest'opera, forse
la prima della Barone, sia per certe aperture che aL ricordo si richiamano ma validamente
stanno a sè tonte care e felici miniature (cfr. p. 89), sia proprio per l'enorme sforzo d'ingegno
e di immaginazione di cui dà prova con spaventosa prodigalità e giovanile inesperienza la.
sensibile e brava scrittrice napoletana.
LUIGI BERTI -
Storie di Rio - 'Firenze, Vallecchi, 1959.
Non ci persuadono questi racconti di Berti, come assai perplessi ci lasciarono altre più
remote esperienze narrative. Se • dovessimo indicare un settore, una tendenza, una caratteristica, in coscienza, non sapremmo indicarne nessuna. La pagina ora è gonfia di pretesti psicologici, ora è puramente letteraria, ora è (tanto spesso) astratta avviluppata assente. Eppure è
scrittore che sa il fatto suo. Lo fanno credere una decina di pagina, ferme calzanti audaci
tra il grottesco e il lugubre (pp. 175-87) sulla morte di Tibaldo dopo il convegno con Amalia.
Ma la risolutezza e, paranco. la novità dell'impostazione più amenamente spoglio e pove,rofanno sentire tutto il resto, più esangui e pesanti le involute ricerche di una psicologia forte
colorita e pretenziosa. Perchè noi non riusciamo ad incantarci dinanzi a un periodare così
tecnicamente e aridamente collegato, cucito in rapporti e richiami ripresi in continuazione,
senza necessità di accento e di rilievo. Si veda ad esempio p. 25 : " Questo fatto però avveniva ... E Fido era ... Fido era stato ... Quest'ultimo fatto aveva rivelato ... „. Faticosa e
lenta, senza certezza di sicuro scioglimento di senso, è, non di rado, anche la fattura interna
del periodo, ampio e grandioso, ma intimamente debole pesante e vago (p. 19 : " Anche gli
uccelli . „)`.- Del resto ancóra troppo letteraria e falsa' è la presentazione dei personaggi, il.
loro incedere, le loro parole, la loro vita. Basti rileggere le " buone „ parole che escono dalla.
bocca di Tibaldo (p. 135) o la descrizione di Amalia (" Era una di quelle donne non mai
giunte a maturità, che hanno la mente piena di pensieri delicati e bizzarri, di desideri ancor
più leggieri e capricciosi, ma che non sanno mai cosa vogliono con sicurezza ... „ , p. 151).
C'è dunque in tutto ciò un male e si chiama, come per altri, letteratura.
PIA D'ALESSANDRIA -
Tiro al bersaglio - Caltanissetta, Sciascia, 1958.
Chiuso il libro, a lettura terminata,, una domanda nasce spontanea : è stato felicemente
superato il difficile limite tra equivoco e candore, tra storia interessata e favola " amena ,,
tra ;passioni d'istinto e amori d'anima? Perchè un libro di questo genere può avere lettori
di ogni genere cot danno di vedere solo un aspetto, di fissare solo una direttiva, di non
sentire almeno lo sforzo della narratrice rivolto ad una pluralità di motivi e di sensi. Perchè
qui-psicologia di adolescenti, vizio e virtù, ambienti sani di campagna e corrotti di città,
istinto e lussuria, famiglia e salotto, pazzia e avvenenza, solitudine e partite di caccia, e così
via, vogliono armonizzarsi riconoscersi in un centro a .cui riferire personaggi e, forse, tesi.
Non c'è dubbio che il tentativo era ed è audace e la realizzazione non pienamente soddisfa
cente. Ci. accade, infatti, di sentire nell'equivoco, ch'è tanta parte del romanzo, un gusto;
dell'equivoco, non un' occasione per dar risalto o luce o spirito ai candore. Gli stessi perso:
naggi (e per essi Emanuele) non hanno fisionomia propria e più che muoversi in modo concreto con una loro anima e un loro piano, sembrano indulgere ai capricciosi disegni della
brava „autrice, fermi nella loro confusione, carichi di cose più grandi di loro. Ma il meglio;
di questo romanzo è nell'attenzione, accorata e casalinga, ;alle piccole cose. Se mancano i
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grandi temi (nè il romanzo In mai èmpito e pienezza narrativa), non manca però piana e
suadente perspicacia in motivi minori, quelli che completavano in un'eccezionale unità la
grandezza del Manzoni. Basta indicare qui, in Tiro al bersaglio, il motivo della valigia del
povero Emanuele, che rialliora qua e là per molte pagine ( " Si avvicinò contento di avere la
sua pesante valigia nella mano ... „ , p. 9; " la sua valigia di fibra miseramente aperta gli
parve una cosa sconcia „ , p. 18; ecc.). Chi oggi osserva così, saprà certo domani anche
narrare.
A.
VALLONE
continua
*
• F.
STAMPACCH1A -
I figli di Prometeo » - Ed. Pajano - Lecce, 1959.
Prometeo è una delle più grandi figure create dal mito. Assai prima che il genio speculativo dei greci si svolgesse a scrutare razionalmente il mistero dell'esistenza, la loro
fantasia aveva già dato vita alle più grandiose ed affascinanti leggende, delle quali le più
profonde e le più ricche di motivi ispiratori sono senza dubbio quelle che essi foggiarono
intorno alla genesi della civiltà e all'origine della stirpe umana. In entrambe compare la figura di Prometeo, sia portatore di fuoco (Esiodo. Eschilo), sia come creatore della stirpe (Platone, « Protagora », In questa seconda personificazione però, concepita dal pensiero razionalista, Prometeo, da ribelle al volere di Giove, come era stato raffigurato da Eschilo e
dalla tradizione diviene esecutore del volere del Cronide. Ma, da Eschilo, primo ed insuperato « modello eterno di aspra grandezza », in poi, l'irrazionale, come aveva creato il fantastico arazzo del Mito, continuò ad alimentare, nel corso dei secoli fino a noi, nuove raffigurazioni poetiche, dalla maggior parte delle quali il Titano fu elevato a simbolo dell'indomito spirito umano nel suo anelito verso la libertà.
Così dal Capaneo e dall'illisse dantesco al Prometeo di Shelley, a quello del Byron,
del Ghoete, del Quinet, fino alla poderosa sintesi dello Spiteler e, oltre, fino agli scrittori
moderni, quali Gide e Camus, it tema di Prometeo non ha cessato di essere ripreso e riproposto continuamente alla luce delle più diverse interpretazioni. E continuerà ad esserlo
perché nessuna figura più di questa si presta a suggerimenti sempre più vari e nuovi, che
impegnano. sia i più geniali scrittori sia i più penosi ed attenti studiosi. Nei primi il mito
si rinnova trasformandosi in creazioni universali, nei secondi conduce a precise, acute e
meditate sintesi di tutta la storia della cultura e dell'evoluzione dello spirito umano.
Fra questi ultimi è, a mio avviso, da annoverare Francesco Stampacchia, che in questo
poemetto drammatico, di cui abbiamo sott'occhio una ristampa, ci offre un esempio di tali
sintesi, con in più un elemento profondamente umano. Infatti l'esaltazione dell'ingegno, di
cui Prometeo è simbolo primo, si fonde con un continuo richiamo alle ragioni del cuore.
Il poemetto si divide in tre parti: nella prima si afferma l'ardimentosità di Prometeo, che
ha liso lo sguardo
nei vasti silenzi profondi
che sbocciano stelle
ignote all'Olimpo
e inoltre « Pupille dei mondi I creato à
i suoi figli »: così le due leggende sono qui riprese e sinteticamente fuse.
Nella seconda parte, accanto al Titano, oltre al Coro, simbolo della stirpe umana. ed a
Mercurio « mezzano di turpe mercato », che continua ad esortare Prometeo ad inchinarsi al
volere di Giove, compare « gigantesca e possente » Gea, madre e nutrice di tutti gli esseri,
la Dea Tellus, che ricorda il « materno retaggio », eredità « di luce e (li tenebre », poichè
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ella fu intesa dagli antichi dispensatrice di vita e anche come tomba universale del culto.
La terza ed ultima parte del poemetto sintetizza in visione universale il dolore delle creature a cui Prometeo diede forma e che continua come perenne castigo per aver troppo osato. E qui la voce del poeta si leva più alta per implorare, accompagnandosi a quella della.
madre Gea, pietà per gli umani.
Il dramma si chiude così con un' intensa, dolorosa, umanissima invocazione del Coro,
che richiamando gli uomini ad una più cristiana pietà, eleva questa « soave parola » a.
vibrante e non perituro messaggio.
ITALO DE PONTE
BRUNO LUCHEZI -
terroni» - Edizioni Kursal - Firenze
« FIa ragione Betocchi: l'esercizio della prosa è il più necessario alla salda invenzione
della poesia ». — Con questo giudizio Luigi Pallacara avviava, lo scorso giugno sul « CMTONE » un suo discorso critico; affermazione confermata dal caso di Lucrezi del quale è
pressocché impossibile presentare l'attuale vicenda poetica senza riportarsi, perlomeno brevemente, ai nessi profondi di tale sua nuova esigenza con quella di scrittore pensoso. In. dicativi di ciò sembrano i racconti contenuti nel volume «Uomini. diavoli e dei » dove drammaticità e complessità dialettica dei personaggi trovano nell'ironia sottilmente districatrice
e nell'interferenza gioiosamente lirica del paesaggio la catarsi, concludendo a una non ingannevole poeticità.
Basilio Prokotieff e Irina (ombra animata) del racconto « La sua ora » già separati dalla
morte e oltre la barriera di materiale comunicabilità, dialogano in un equilibrio funambolesco, oscillante fra coerenza logica e religiosità dell'anima, (certezza e salvezza) che, idealizzandosi, finiscono d'imbeversi emozionalmente di poetico senso della trascendenza.
In un altro racconto, « L'amministratore » i personaggi, Nicola Tunisi e sua moglie,
Rosario Polla e Clementina, veri di una cronachistica verità, attraversati e denudati dallo
spettroscopio intellettivo, partecipano all'avventura del proprio trasferimento di bassa umanità ad assunto universale: destinazione e partecipazione di ogni creatura al divino che
solo la poesia ininterrottamente riscopre per tutti.
Ne « Gli dei », altra narrazione della stessa raccolta, il sentimento di Lucrezi malinconicamente contempla la fine dell'olimpico mito greco; l'apostolo cristiano, che alla caduta
di quel regno si trova a salire le pendici del colle ellenico, incontratovi lo spodestato esule Zeus, più che indicare con la propria presenza, come sembrerebbe, la luce che subentra all'oscurità pare partecipe, con tenue poetica conferma, al diniego per l'uomo d'affacciarsi a qualsiasi divina certezza.
Pervenuto da' tali, ed altri elementi di sensibilità annunciatrice all'attuale linguaggio,
pulito e terso da ogni logos raziocinante; sostituiti gli impegni di approfondimento e delucidazione da una interiore nuova esigenza estetica, l'immaginazione di Lucrezi trova via
e misura per cogliere poeticamente' ciò che contempla. Vita, cultura, cedimenti, trasferiti
alle virtù decantative della poesia, riconducono a temi, a sensazioni, in cui apporti intuitivi e intrinseci, riprendono verginale unità e libertà interpretativa nel tempo, del ritmo,
e dell'armonia dello spazio.
La percezione della fragilità del pensiero logico, chiuso in misure insufficienti al suobisogno di alta sintesi, avviano in Lucrezi a forme poetiche particolari. Ne viene un linguaggio amoroso metafisicamente filtrato da meridionali sensualità; una calda, rattenuta.
-esuberanza volge a liriche alternative di incontri: realtà viva, lucida, palpitante, con abbandoni e malinconie trasfiguratrici, a volte corali.
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« Nella nostra comitiva di terroni
1.? venuta questa ragazza del nord,
Bianca
Con certe gole di melograno sempre accese
E vispa
Che quando ride e scuote il capo
1 capelli biondi nel sole
`-±embrano pula di grano
Che suoli in festa».
Muovendo da fondi pianeggianti, da introduttive forme ancora legate alla prosa, il
sentimento subito si anima di commossa levità, sollevando il respiro ad altitudini dove la
realtà riappare materialmente dissensibilizzata. La salda ispirazione contenuta nelle forme
brevi predilette da Lucrezi, nella costante di cesure, risulta a volte smorzata tanto che
sembra di poter cogliere solo frammentariamente timbro lirico, finchè, il singolare ordine
impresso all'intensità del sentimento da versi brevi e stretti, dai frequenti silenzi delle
pause, si fa discorso di intime comunicabili penetrazioni e succinta musicalità.
« Limpidezza d'alpi
Mai vedute
Nei tuoi occhi
Trasparenza di cieli mattutini,
Cilestrini silenzi
D'acque sospese».
Ad illuminare improvvise la notte di velluto, arrivano vibrazioni rapide come comete :
« Gioia di nuovi sorgenti pensieri.
Li senti tu?
Disteso su ,questa terra bruciata
Aspetto.
l'errai, verrai alla mia bocca,
Alito, fresco silenzio ».
La grafia nutrita di assunzioni limpide, di immediatezze immaginative, solleva dovunque la realtà terrena ad entità di un tutto celeste; la fantasia libera da fantasmi filosofanti, perviene ad estasi infantili di preghiere rimescolate coi sogni :
« La voce (lel poeta
É preghiera di bimbo
Prima del sonno».
La luce non si scava; è quella che appare dietro l'orizzonte e sale a invermigliare le
rime delle montagne :
« Per questo la mia piccola patria è così bella
In essa c'è fuoco e neve
Terra e mare
É il paradiso e l'inferno».
Corre fra pagina e pagina, in simbolico spazio, un tenue filo tematico, veloce come
spola in un telaio: Nord - Sud e viceversa; «I Terroni » : malinconica ombra esala dall'implicito di una condizione umana forse eterna: bellezza sommersa dal divenire tutto ferrigne
crudezze.
« Noi terroni siamo gente allegra
Siamo gente che ama il frastuono
per non sentire
la malinconia, d'essere sempre soli ».
Una sola volta, con intesa diretta, prendono voce i riflessi cosmici della nostra dialogata partecipazione meridionale al creato: (elementi così. vivi, alti, rapiti nella poetica di
un altro singolare uomo del sud, Girolamo Conci)
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« So pro la buia terra che sospira
dal profondo (3 si srela a poco a poco
Le ultime tenebre e gli astri
Pei vuoti silenzi vanno.
Da sempre.
l'ia nell'eterna sfera che li gira
E vanno nel mulo gorgo precipiti.
Per sempre ».
Volte a malinconiche stanchezze le ultime visioni si stemperano fino a diventare un,
sentimento di caduta religiosamente intuito e sorretto. L'andare si fa bisogno intimo di
riposo poichè la via, perpetuandosi, si perde fra deserte solitudini. Nasce il sentimento di
morte, di scorie ai margini della strada, ma dentro, nella materia morente, perdura fina
alla line, un dilatare d'immagini incantate.
« Andiamo...
I campi del cielo s'infiorano».
DINO ASCALONE
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