Il dolce mostro

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Il dolce mostro
Il Rosso e il Nero
Settimanale di strategia
IL DOLCE MOSTRO
5 ottobre 2011
L’Europa è lenta, ma non cieca
La Slovacchia è un
paese
affascinante
e
straordinariamente ricco
di storia e di cultura. E’
gestita molto bene, ha un’
economia
sana,
poco
debito e poche tasse. Con
tutto il bene che se ne può
dire è però un paese
piccolo. La contea di San
Bernardino, in California, Il parlamento slovacco in seduta.
è
più
grande
della
Slovacchia, che del resto, in America, molti confondono con la Slovenia.
Dei 4 milioni scarsi di elettori slovacchi, il 12 per cento, poco più di
400mila persone, ha votato l’anno scorso per Libertà e Solidarietà, un partito
che, oltre ad avere alcuni tratti comuni con i liberali tedeschi, è molto aperto
verso la legalizzazione della cannabis ma molto meno verso l’integrazione
fiscale e monetaria europea. Scettici sull’euro, i liberali slovacchi hanno
boicottato l’iter parlamentare per l’approvazione del nuovo Efsf. Contavano
di votare in dicembre, ma le pressioni europee e tedesche li hanno indotti a
un ripensamento. Adesso pare che troveranno il tempo per approvare il
fondo, non subito, per carità, ma tra il 14 e il 22 ottobre.
Si dice spesso, con qualche ragione, che l’Europa dei tecnocrati difetta di
democrazia. Enzensberger, lo scrittore, ha pubblicato di recente un libro dal
titolo significativo, Il Dolce Mostro di Bruxelles, ovvero l’Interdizione
dell’Europa. L’antropologa Ida Magli, meno sfumata, ha scritto La
Dittatura Europea. E così via.
Succede però che i 310 milioni di cittadini dell’eurozona, i cui parlamenti
hanno già approvato l’Efsf, dovranno avere la delicatezza e la sensibilità
democratica di attendere i comodi di un partito che ne rappresenta 400mila,
lo 0.13 per cento, prima di potere conoscere come verranno sfruttati (al
massimo, si spera) i fondi
disponibili. Gli short di tutto il
mondo,
naturalmente,
non
avranno lo stesso riguardo e
useranno
questo
eterno
intervallo
di
tempo
per
continuare ad attaccare sovrani,
banche e borse con grande
entusiasmo.
Anche sulla Grecia i tempi
saranno
lunghi. Questa volta si
Richard Sulìk, fondatore e presidente di Libertà e
Solidarietà.
vogliono fare le cose bene, si
esigono impegni fino al 2014
compreso e in queste ore, ad esempio, si sta molto discutendo sul 2013. Il
mercato, istericamente, conta i minuti che mancano al default, ma la troika,
partendo dall’idea che la Grecia sarà ancora nell’euro anche fra 20 anni, cerca
di crearle un futuro sostenibile per il medio e il lungo termine.
Ai mercati importa poco della salute della Grecia nel lungo periodo, anche
perché, non appena saranno stati definiti i termini dell’accordo e
(soprattutto) i tagli per gli obbligazionisti, la questione greca passerà dal
primo all’ultimo posto per importanza. Nel giro di pochi minuti, infatti, la
potenza di fuoco verrà dirottata sul Portogallo, sull’Italia o sulle banche.
E’ normale che le istituzioni si muovano più lentamente dei mercati. In
compenso la lentezza è accompagnata dalla persistenza. Le istituzioni
lavorano sui problemi (e talvolta li risolvono) quando i mercati hanno già
smesso di porseli e sono passati a pensare ad altro.
Questa volta, però, la lentezza, che non va presa per una sottovalutazione
del problema, ha un costo elevato. La questione del taglio di capelli, la
perdita da infliggere alle banche creditrici della Grecia, sta avvelenando
l’aria. Chiunque si sente autorizzato a ipotizzare tagli severi e ad attaccare
questa o quella banca, sapendo che, ancora per qualche settimana, non si
troverà di fronte un piano di ricapitalizzazione finanziato dall’Efsf che, come
abbiamo visto, sta aspettando gli slovacchi per partire.
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San Francesco riuscì a farsi amico il lupo, ma le istituzioni e i governi
europei che chiedono ai mercati di avere pazienza hanno di fronte un
interlocutore più feroce e impaurito. Per passare queste prossime settimane
senza troppi danni occorrerà mostrarsi molto impegnati in vertici e riunioni,
anticipando il contenuto di qualche programma ed evitando di polemizzare
gli uni con gli altri. Occorrerà anche sorvegliare i mercati, garantire una certa
stabilità all’euro e smussare il più possibile la volatilità.
A preoccupare di meno, in fondo, è proprio la Grecia. E’ lo 0.5 per cento
dell’economia globale e verrà aiutata in tutti i modi. Avrà un decennio di
grazia nel rimborso dei debiti, verranno effettuati dei buy back che
diminuiranno il valore nominale del debito stesso e i tassi che la Grecia dovrà
alla fine pagare saranno più vicini ai tassi tedeschi che a quelli italiani.
Preoccupa un po’ di più,
ma non così tanto, il taglio di
capelli sui bond greci. Oggi è
del 21 per cento, la Spd
chiede il 50 e la Merkel ha
detto che ci sta pensando. Se
si adottasse il 35 non
crollerebbe nessuna banca e
non ci sarebbe la percezione
di un default formale, grave e
quindi contagioso. Se si
andasse
oltre
verrebbe
probabilmente lasciata la Nuova architettura slovacca. L’Hotel Spirit di
facoltà di non aderire a chi Bratislava.
non può permettersi di
prendere la perdita. E’ chiaro che la mancata adesione corrisponderebbe a
un’autocertificazione di debolezza grave e dovrebbe essere accompagnata nel
giro di poco tempo a una ricapitalizzazione.
Non preoccupa molto nemmeno l’Efsf. Verrà approvato e sarà dotato di
robusta capacità finanziaria. Non bisogna mai sottovalutare l’abilità degli
eurocrati nel trovare, se si dà loro il tempo, modi complicati ed eleganti per
risolvere i problemi. Nemmeno a Bisanzio, ad esempio, sarebbero stati capaci
di trovare una soluzione alla richiesta finlandese di garanzie da parte della
Grecia come quella che è stata adottata.
A preoccupare di più è la questione della ricapitalizzazione delle banche
europee. Il problema, in sè, non è immenso come lo si dipinge in questi giorni,
ma va a toccare interessi nazionali e di parte che ne renderanno molto
complessa la soluzione. Se non si avrà la forza di adottare misure forti e
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generalizzate come quelle che abbiamo visto tre anni fa negli Stati Uniti,
bisognerà almeno cominciare subito a trattare i casi più urgenti e disegnare
un programma per i prossimi 18 mesi. Su questa questione non c’è da
scherzare.
Due fattori potrebbero consentire una traversata non troppo tempestosa
delle prossime settimane.
Il primo è l’economia, che resiste ancora in modo ammirevole e quasi
commovente a tutti i colpi che le vengono inferti. Nel terzo trimestre appena
terminato i mercati hanno continuato a pensare a disastri di ogni genere, ma
alla fine verrà fuori che i tre mesi passati, almeno negli Stati Uniti, sono stati
i migliori dell’anno. Da gennaio a marzo, quando tutti eravamo di ottimo
umore, la crescita è stata quasi inesistente (0.4 per cento) e da aprile a giugno
è stata dell’1.3. Da luglio a settembre, secondo Goldman Sachs, è stata del 2
per cento e forse, visti i dati degli ultimi giorni, anche di più.
Quanto alla Cina, l’atterraggio duro che molti osservatori attendono da
anni con la trepidazione che i devoti dedicano alla liquefazione del sangue di
San Gennaro, non si è realizzato nemmeno questa volta. Né, verosimilmente,
si realizzerà nei prossimi mesi. La Cina
ha i suoi problemi, intendiamoci, ma ha
le spalle abbastanza grosse da riuscire a
gestire qualche inevitabile insolvenza
nell’immobiliare e la perdita di velocità
nelle esportazioni se l’Occidente, come
oggi
sembrano
tutti
credere,
sprofonderà per sempre negli abissi.
Il secondo fattore che potrebbe
portare conforto è dato dagli utili
trimestrali
che
le
società
comunicheranno nelle prossime tre
settimane. Per l’ennesima volta,
scommettiamo, saranno meglio delle
attese. E’ però ancora più facile
scommettere che le stime sui risultati
futuri saranno da caute a negative.
Hans Magnus Enzensberger
Tutti i manager del mondo hanno ormai
imparato a essere prudenti sempre e comunque, figuriamoci in tempi come
questi. Le borse, tra gli utili buoni e le previsioni negative privilegeranno
naturalmente queste ultime, ma gli utili buoni faranno da pavimento,
impedendo cadute rovinose.
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Gli ordini alle imprese stanno iniziando a calare in molti paesi. Con la
caduta delle borse e delle aspettative è già molto che gli ordini abbiano
tenuto nei due mesi passati. Una fase di prudenza è perfettamente
comprensibile e potrebbe ancora essere reversibile se il 99.5 per cento
dell’economia globale smettesse di farsi terrorizzare dal topolino greco.
Figurandosi l’ipotesi peggiore, la recessione, il mercato sta già allestendo
la replica del 2008. L’economia reale seguirà però un percorso diverso. La
contrazione sarà modesta in Europa e quasi inavvertibile in America. In
compenso, come oggi molti sottolineano, la ripresa sarà più lenta di quella del
2009.
In questi giorni abbiamo visto capitolare ottimisti rocciosi come Barton
Biggs e Byron Wien. Il mercato, dal canto suo, ha imparato,
pavlovianamente, a vendere sempre, anche dopo un dato positivo. In tempi
normali queste sarebbero condizioni sufficienti per ipotizzare un rimbalzo.
Oggi è meglio essere più prudenti, ma senza esagerare.
Alessandro Fugnoli +39 02-777181
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