Emergono ancora
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Emergono ancora
Il Rosso e il Nero Settimanale di strategia EMERGONO ANCORA? 3 maggio 2012 Qualche affanno qua e là, ma nel complesso molta solida crescita A Seoul, mentre si aspetta la metropolitana per tornare a casa la sera, si può fare la spesa. Alle pareti sono affissi manifesti che riproducono fedelmente gli scaffali del supermercato. Per comperare basta avvicinare il cellulare al codice a barre posto sotto Seoul. La spesa via cellulare in una stazione della la fotografia del prodotto metropolitana. che interessa. Entro un’ora si riceverà a casa la spesa. La Corea del Sud sta superando il Giappone nell’elettronica e nella robotica ma nell’Occidente depresso e indebitato fino al collo qualcuno la considera ancora un paese emergente. E’ un atteggiamento arrogante e poco intelligente. Jim O’Neill, il teorico dei Bric (Brasile, Russia, India, Cina), ha giustamente deciso di abbandonare, per questi e altri paesi, il termine di economie emergenti e di definirle invece economie di crescita. Emergente è la versione abbellita di paese in via di sviluppo e, prima ancora, di terzo mondo. Nel momento in cui l’America manda in pensione tra le lacrime lo Space Shuttle senza sostituirlo con nulla e in cui la corsa allo spazio è ormai affare cinese, indiano e perfino iraniano, attardarsi in rappresentazioni della realtà sempre più logore, gli sviluppati di qua e gli emergenti di là, è solo dannoso. L’Occidente, d’altra parte, è stato a lungo un blocco unico, ma è destinato a disgregarsi in vari segmenti. Gli Stati Uniti si avviano ad essere una grande Australia o un grande Canada, ovvero un’economia basata soprattutto sulle risorse minerarie e sull’agricoltura, con qualche punto di eccellenza a Silicon Valley, nella finanza e nell’industria Il progetto di Zaha Hadid per l’Expocenter di Mosca. culturale. La Germania e la Svizzera potranno continuare a vendere qualità. L’Europa meridionale si candida ad area depressa del mondo. Il Giappone appare rassegnato a rimpicciolire. Ancora per un paio di decenni resterà tuttavia all’Occidente un primato indiscutibile, quello della ricchezza accumulata. Una parte di questa ricchezza, quella migliore, viene investita in fabbriche, centri di ricerca e servizi nei paesi emergenti. E’ soprattutto capitale americano. A salvare gli Stati Uniti, del resto, è proprio il loro modello di business, l’indebitarsi a tasso zero con il resto del mondo e il reinvestire il ricavato in equity nei paesi di crescita. C’è poi un’altra parte di ricchezza, di tipo finanziario, che ogni tanto, a seconda delle mode, viene spedita nei paesi emergenti, gonfiandone le borse e il cambio, e dopo qualche mese se ne torna a casa, sgonfiando borse e cambio. Questi flussi erratici un tempo potevano fare comodo a qualche paese che aveva disperato bisogno di finanziare il proprio debito. Oggi, avendo quasi tutti gli emergenti una posizione finanziaria solida, questi flussi danno solo fastidio. In Occidente vediamo le borse e il cambio emergenti salire e scendere e diamo la colpa a una loro presunta intrinseca fragilità e innata volatilità. Immancabilmente, a ogni bear market emergente si perde contemporaneamente sulla borsa e sul cambio, ci si ripromette di non cascarci mai più e ci si rassegna al grigiore dei nostri mercati, trovandolo confortevole e rassicurante. Non ci si accorge, spesso, che siamo noi a fare 2 salire e scendere quei mercati. Lasciati a se stessi, sarebbero molto meno volatili. Seguendo la Grecia dieci volte più dell’India e la Spagna molto più della Cina, tendiamo a sapere poco di questi paesi, a considerarli un blocco omogeneo e a scoprirli per i nostri investimenti solo quando sono al top del ciclo. Compriamo ai massimi con un approccio tipicamente concettuale, pensando cioè che, essendo destinati a forte crescita perpetua, non abbia poi molta importanza il momento di entrata sui loro mercati. Al massimo, ci si racconta, si starà fermi un giro. Quando però le perdite di borsa si combinano con quelle di cambio e l’investimento iniziale si dimezza di valore, liquidiamo tutto e smettiamo di dedicare a questi paesi anche quella poca attenzione che riservavamo loro. Quanto alle cause dell’affanno di alcuni di questi paesi nell’ultimo periodo, anche qui dobbiamo fare un esame di coscienza. La Cina, il Brasile e la Turchia hanno allargato massicciamente il credito interno dopo l’esplodere della crisi del 2008. La Cina, in un solo anno, lo ha aumentato del 40 per cento, il Brasile e la Turchia del 25. E’ naturale che non tutto il credito sia stato allocato al meglio e che, a distanza di tre anni, Un nuovo complesso residenziale di Pechino. emergano delle situazioni critiche. Non possiamo però per questo accusare questi paesi di avere un modello di crescita insostenibile e destinato a un atterraggio duro quando sono stati i paesi sviluppati a insistere per tutto il 2009 e il 2010 affinché gli emergenti premessero il più possibile sull’acceleratore e rivalutassero le loro monete. Eppure, nonostante i crediti incagliati, le difficoltà per le banche e la necessità di digerire e metabolizzare la crescita impetuosa di questi anni, la Cina ha mantenuto un tasso di crescita straordinario, ricapitalizzando le banche, dando spazio ai consumi interni con aumenti salariali del 15-20 per cento l’anno e, in aggiunta, continuando a rivalutare il renminbi. Il Brasile, dal canto suo, ha rallentato al 3 per cento nel 2011 e sgonfiato il real, ma per i prossimi due anni la previsione del Fondo Monetario è per una crescita complessiva del 7 per cento. E’ lo stesso tasso di crescita 3 complessivo previsto per la Turchia, che nella percezione dei mercati è considerata in questo momento nella posizione più difficile. E’ possibile che la lira turca debba ancora essere svalutata, ma il grosso dell’aggiustamento del cambio è alle spalle. Quasi tutti gli altri paesi emergenti hanno surriscaldato meno le loro economie negli scorsi tre anni e avranno quindi poco bisogno di frenare la loro crescita. Anche l’India, che ha problemi strutturali di inflazione, crescerà secondo Goldman Sachs a un ritmo superiore al 7 per cento annuo, quest’anno e il prossimo. La Russia è posizionata su una velocità di crociera del 4 per cento annuo e non sembra per il momento troppo colpita dalla discesa del prezzo del gas naturale. Quanto all’Europa orientale, la flessibilità che la caratterizza e la differenzia dalle rigidità dell’Europa occidentale continuerà a produrre tassi di crescita mediamente più alti dei nostri. La Polonia continua ad avere il migliore rapporto tra stabilità politica e istituzionale e crescita vivace e regolare. George Friedman di Stratfor sostiene che la Polonia raggiungerà e supererà la Germania nel corso dei prossimi decenni per la sua demografia e per la sua flessibilità. Anche senza spingersi a tanto, tenere in portafoglio il debito di un paese che ha il 55 per cento di debito/Pil contro l’81 della Germania e che rende molto di più non sembra una cattiva scelta. La virtù fiscale polacca impallidisce di fronte al rigore ammirevole dei conti pubblici di quasi tutta l’Africa subsahariana. Anno dopo anno, l’Africa conferma la sua capacità di mantenere politiche di cambio rigorose (in 14 paesi La Bitexco Tower di Città Ho Chi circola il franco Cfa, che ha cambio fisso Min. Vietnam. con l’euro) e bilanci in ordine. La ricompensa di questo sforzo è una bassa disoccupazione e una crescita che non si è fermata nemmeno durante la crisi del 2008-2009 e che ora si è stabilizzata sopra il 5 per cento annuo. Meno felice è il quadro del Nord Africa, in particolare dell’Egitto, che contribuisce a una depressione mediterranea già evidente. L’America Latina è l’unica area emergente in cui siano presenti paesi con politiche anti-business. Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia e Nicaragua, con l’aggiunta negli ultimi tempi dell’Argentina, conducono politiche in vario grado ostili al capitale estero e di crescente controllo pubblico dell’economia. 4 Il risultato è una crescita bassa anche quando c’è un’ingente dotazione di risorse naturali da sfruttare. Si prenda il Venezuela, che prima di Chavez produceva 3 milioni di barili di greggio e che invece di arrivare ai 6 promessi è sceso oggi a 1.8, non molto di più della Colombia. Prevalgono comunque nettamente, per numero e peso economico, i paesi latinoamericani che perseguono con coerenza e successo politiche ortodosse. Parliamo di giganti come Brasile e Messico, di economie importanti come Cile, Colombia, Perù, e di paesi ben gestiti come Panama, Costa Rica, Uruguay, cui possiamo aggiungere il Paraguay. L’Asia è in una posizione strutturalmente delicata per la sua dipendenza dalla Cina, dal petrolio e dalle esportazioni verso Europa e Stati Uniti, ma se il quadro globale non si deteriorerà sarà in grado di crescere tra il 4 e il 5 per cento l’anno. Per chi investe, i fondamentali macro favorevoli sono una condizione necessaria ma non sufficiente. Occorrono anche livelli di cambio e di borsa favorevoli. Per il cambio possiamo dire che, con poche eccezioni, l’indebolimento dei corsi delle valute emergenti le ha riportate in condizioni di equilibrio. Ci potrà essere overshooting qua e là, ma il rischio di entrare troppo presto è compensato dalla prospettiva di medio lungo termine largamente favorevole. Le borse, a differenza dell’immobiliare che è ancora in bolla in molti paesi, si sono riportate quasi tutte, dopo gli eccessi degli anni scorsi, su livelli equilibrati e spesso interessanti. La Cina quota 9.6 volte gli utili 2012, il Brasile e la Corea 10. L’India, che era andata in bolla più di tutti, quota ora 14 volte gli utili, un livello accettabile ma non particolarmente invitante. Anche Messico e Indonesia non sono a buon mercato. La Turchia è a 10, come la Polonia, e la Russia rimane il mercato più sottovalutato. Il multiplo è di 5 e l’economia è in riaccelerazione. In pratica, questa rapida ricognizione porta a dire che non ci sono ragioni per uscire dagli emergenti in questo momento. Chi ha posizioni, anche relativamente ampie, può contare su economie solide e flessibili e su valutazioni equilibrate. Anche se non si vedono all’orizzonte nevrotici bull market speculativi, avere in portafoglio crescita a un prezzo ragionevole dovrebbe essere l’obiettivo di ogni investitore razionale. Concludiamo con un accenno ai possibili nuovi ricchi di domani e dopodomani, quei paesi benedetti da ampie risorse naturali che stanno per essere messe a sfruttamento e che ancora non sono stati scoperti come meritano dagli investitori. La Mongolia non è più una novità e il Ghana è già cresciuto considerevolmente nell’opinione degli investitori. L’Angola si conferma ogni giorno come un paese immensamente ricco, ma la sua strada sta per essere ripercorsa dal Mozambico. Le riserve di petrolio al largo delle sue coste sono molto promettenti. 5 L’altra area da tenere d’occhio con attenzione è quella del Mar Cinese Meridionale, su cui si affacciano Cina, Vietnam e Filippine e sotto le cui acque ci sono gas e petrolio in grande abbondanza. Per ora fra i tre paesi si litiga molto e si sfrutta poco, ma un accordo potrebbe portare grandi benefici per tutti. Alessandro Fugnoli +39 02 777181 Disclaimer Kairos Partners SGR SpA. Via Bigli 21, Milano. La presente pubblicazione è distribuita da Kairos Partners SGR. Pur ponendo la massima cura nella predisposizione della presente pubblicazione e considerando affidabili i suoi contenuti, Kairos Partners SGR non si assume tuttavia alcuna responsabilità in merito all’esattezza, completezza e attualità dei dati e delle informazioni nella stessa contenuti ovvero presenti sulle pubblicazioni utilizzate ai fini della sua predisposizione. Di conseguenza Kairos Partners SGR declina ogni responsabilità per errori od omissioni. 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