Due ronzini
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Due ronzini
Il Rosso e il Nero Settimanale di strategia DUE RONZINI 31 maggio 2012 Non contiamo sulla cavalleria, ma euro e petrolio sono già qui Per finanziare la costruzione della basilica di San Pietro, Giulio II e Urbano VIII intensificarono la vendita delle indulgenze, provocarono l’indignazione e lo scisma di Lutero e regalarono all’Europa un secolo di guerra civile, che comportò a sua volta, tra i mille altri lutti, il dimezzamento della popolazione tedesca. Santiago Calatrava. Teatro dell’Opera. Valencia. Per la costruzione di Versailles il povero Colbert dovette tirare fuori per molti anni il 6 per cento della spesa pubblica francese, con un costo finale di 3 miliardi di dollari attuali. La storiografia ottocentesca, nel suo moralismo, attribuì all’indignazione popolare per le folli spese l’inizio del processo che avrebbe portato alla Rivoluzione del 1789, a sua volta causa di milioni di vittime in tutta Europa. Quando oggi godiamo della bellezza di San Pietro o di Versailles tendiamo a chiudere gli occhi sul loro costo finanziario e umano. Siamo ben contenti che queste opere meravigliose siano tra noi e pazienza per le vittime. In generale, diamo un giudizio generoso su quei governi che, nella storia, sono andati in bancarotta non per finanziare guerre, come è la regola, ma per celebrare se stessi attraverso l’arte. Negli ultimi anni le città e le autonomie spagnole sono state additate ad esempio di spesa illuminata per l’arte e la cultura. Si è parlato del grande beneficio per il turismo, che in poco tempo avrebbe permesso di rientrare delle spese e creato un flusso permanente di entrate. Santiago Calatrava, Santiago Calatrava. Città delle Arti. Valencia. Foto E. Cano. archistar mondiale, è nato a Valencia, ma si è trasferito fisicamente e fiscalmente a Zurigo. Per la sua città natale, alla quale avrebbe già fatturato un centinaio di milioni di euro di onorario (usiamo come fonte il gustoso sito calatravatelaclava.com), sta costruendo la Ciutat de les Arts i les Ciènces. Sono opere di grande bellezza, il cui costo sta però già arrivando alla metà di quanto costò Versailles. Alla fine l’onere ricadrà sugli azionisti delle banche spagnole (non sugli obbligazionisti, finora risparmiati), sui contribuenti del Regno di Spagna e, molto probabilmente, su quelli europei che, attraverso l’Esm, daranno una mano robusta a ricapitalizzare le banche spagnole. Sapremo solo fra qualche secolo, con il distacco storico che occorre in queste cose, se il quasi default della Comunitat Valenciana e della città di Valencia saranno stati un prezzo ben sopportabile per avere tra noi le due opere di Calatrava. Quello che possiamo dire fin da oggi è che la Comunitat Valenciana andrebbe portata davanti a qualche alta corte internazionale per crimini contro il paesaggio per avere permesso lo scempio assoluto, infinito e feroce della Costa Blanca, qualcosa che in Italia, pur con il daffare che ci diamo per imbruttirci, non riusciremmo nemmeno a immaginare. 2 La cementificazione accelerata della costa mediterranea spagnola (quella atlantica, per fortuna, è stata risparmiata) e la costruzione di intere città fantasma intorno a Madrid dovrebbero costare alle banche spagnole, secondo Barclays, altri 198 miliardi di perdite. A questa cifra si arriva con uno stress test severo, in cui si ipotizza una caduta ulteriore del 20-25 per cento nel prezzo degli immobili e una disoccupazione al 26 per cento. Più della metà di queste perdite è già coperta da riserve, per cui allo stato spagnolo (e all’Europa che lo finanzierà) spetterebbe un onere ulteriore di 65 miliardi. Barclays considera la crisi immobiliare spagnola di proporzioni meno gravi rispetto a quella irlandese. I prezzi degli immobili, tra il 1995 e il 2007, sono aumentati di 4.5 volte in Irlanda e solo di tre volte in Spagna. Uno studio recentissimo di Goldman Sachs raggiunge conclusioni meno pesanti. Non va però dimenticato che lo stato centrale spagnolo, oltre alle banche, deve pensare alle autonomie locali che, dopo anni di spese spensierate, versano quasi tutte in un pessimo stato. E’ probabile che la Spagna, in queste ore, stia trattando un salvataggio internazionale da 300400 miliardi. Per ragioni di prestigio si cercherà forse di dargli una veste diversa rispetto al programma standard già in vigore per Irlanda, Portogallo e Grecia. E’ possibile che il salvataggio venga messo in frigorifero fino alle elezioni greche o anche più in là. L’importante è che il programma sia a punto. Salvata la Spagna, l’attenzione si concentrerà sull’Italia. La Francia, per il momento, è riuscita a rimanere fuori dalla Vamos a la playa. Benidorm, Costa Blanca, nel 1960. bufera grazie anche agli energici acquisti di titoli da parte delle banche francesi. Ripetiamo, a scanso di equivoci, che è poco intelligente augurarsi una crisi in Francia o in Germania come mezzo per indurre Berlino a più miti consigli. Il risultato potrebbe anche essere opposto. I mercati, nel complesso, reggono meglio di quanto ci si potrebbe aspettare al bombardamento costante di notizie negative dall’Europa e di dati mediocri dall’economia globale. Se non ci si dispera troppo è perché si aspetta, in un modo o nell’altro, l’arrivo della cavalleria. Si ipotizzano soccorsi dalla Cina, dalla Fed, dalla Bce e perfino dalla Germania. Qualcosa, alla fine, arriverà, ma non è prudente impostare la strategia sull’attesa del miracolo. La Cina ha fatto capire, con toni quasi stizziti, di 3 non avere intenzione di ripetere, neanche lontanamente, l’esperienza del 2008-2009, quando in un solo anno il credito interno fu fatto crescere del 40 per cento. Intendiamoci, la Cina non starà con le mani in mano, ma farà solo lo stretto necessario per evitare una recessione in casa sua. La Fed, si dice, avrà l’ultima occasione per annunciare un eventuale Qe3 alla sua prossima riunione, in programma per il 19-20 giugno. Dopo quella data l’America entrerà nella fase più calda della campagna per le presidenziali e lo spazio di manovra per la politica monetaria si ridurrà. Il Fomc si troverà di fronte a una scelta molto difficile. L’economia americana sta ancora crescendo, anche se lentamente. La borsa è a livelli doppi rispetto ai minimi del 2009. La disoccupazione, ancora molto alta, continua però a scendere. L’unico appiglio per il Qe3 potrebbe essere l’inflazione in calo o, il cielo non voglia, un precipitare della crisi europea. La Bce potrebbe abbassare i tassi, una misura dal valore soprattutto simbolico. Potrebbe varare altre operazioni di rifinanziamento a medio o lungo termine per le banche, ma solo se si profilasse davvero una fuga dei depositi. Su questo punto, di cui tanto si parla per sentito dire, abbiamo finalmente le cifre relative ad aprile. La rilevazione precede le prime elezioni greche, ma è comunque di qualche conforto che in aprile i depositi siano scesi solo in Spagna (meno 1.9 per cento) mentre sono addirittura saliti, anche se di decimali, in Italia, Irlanda e Portogallo. Rispetto all’aprile 2011, i depositi risultano cresciuti dell’uno per cento in Italia e dell’1.4 in Irlanda. In Portogallo c’è un calo dello 0.7 per cento e in Spagna del 6. Resta la Germania. Nella quotidiana litania dei veti tedeschi (no agli eurobond, no all’unione dei trasferimenti, no alla crescita finanziata da debito ecc.) non ci sembra di avere sentito un veto di principio all’unione bancaria. Offrire una garanzia sui Vamos a la playa. Benidorm oggi. depositi in cambio di una centralizzazione delle funzioni di vigilanza non suona così male alle orecchie tedesche (la garanzia la offrirebbe la Bce, non Berlino). Sarebbe ancora più forte e positiva la riapertura della discussione sul fondo europeo di ammortamento del debito. Si tratta di una proposta lanciata da economisti tedeschi nel novembre scorso e poi messa subito nel cassetto (senza essere stata peraltro mai respinta dalla Merkel). L’idea è di mettere in comune tutto il debito eccedente il 60 per cento del Pil di ogni 4 paese. In cambio di questa parziale mutualizzazione, la Germania chiederebbe garanzie reali (oro, partecipazioni statali, patrimonio immobiliare) e l’impegno da parte di tutti a ridurre ogni anno di una certa quota lo stock di debito oltre il 60 per cento, pena l’uscita dal programma. La Spd, che è diventata contraria agli eurobond, è favorevole (in tutte le sue componenti) al fondo di ammortamento. La Merkel ne discuterà con l’opposizione il 13 giugno. Il progetto è molto complesso e potrebbe richiedere tempi lunghi di attuazione, ma il solo effetto annuncio segnerebbe una svolta decisiva nella crisi. Al momento, tuttavia, ci sembra saggio non contare neanche un poco su questa ipotesi, quasi troppo bella per diventare vera. Per adesso, più che fantasticare sulla cavalleria che arriverà in soccorso, si può realisticamente contare su due ronzini più umili, ma a loro modo robusti. Il primo è la svalutazione dell’euro, che sta acquistando velocità. Il secondo è la discesa continua del petrolio, che in un mese, in dollari, ha perso il 16 per cento ed è ora meno caro di un anno fa. Per l’economia americana l’impatto positivo potrebbe superare quello di un Quantitative easing. Per l’Europa, che deve pagare di più il dollaro, la riduzione di prezzo si riduce al 10 per cento. Mentre però l’America produce la metà dell’energia che consuma, l’Europa la importa praticamente tutta. Alessandro Fugnoli +39 02 777181 Disclaimer Kairos Partners SGR SpA. Via Bigli 21, Milano. La presente pubblicazione è distribuita da Kairos Partners SGR. Pur ponendo la massima cura nella predisposizione della presente pubblicazione e considerando affidabili i suoi contenuti, Kairos Partners SGR non si assume tuttavia alcuna responsabilità in merito all’esattezza, completezza e attualità dei dati e delle informazioni nella stessa contenuti ovvero presenti sulle pubblicazioni utilizzate ai fini della sua predisposizione. 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