Affari di famiglia

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Affari di famiglia
Il Rosso e il Nero
Settimanale di strategia
AFFARI DI FAMIGLIA
20 ottobre 2011
Non di soldi ha bisogno l’Europa
Molti libri di storia europea iniziano definendo
l’Europa come una penisola dell’Asia. Le pianure
che si estendono sopra i Pirenei, le Alpi e i Carpazi
sono un campo aperto che si allarga senza ostacoli
lungo tutta l’Eurasia settentrionale fino al
Pacifico. La parte europea di questa immensa
pianura, la più estesa del pianeta, ha prodotto la
fusione tra l’eredità culturale mediterranea e le
genti provenienti da oriente e ha proiettato fuori
dall’Europa il risultato di questa elaborazione.
L’Europa è fatta di piccole patrie ma resta
ancora oggi un sistema aperto sul mondo. Gli Stati
Uniti, economicamente, sono molto più chiusi e
autosufficienti. Finanziariamente, invece, gli Stati
Massimo Cacciari.
Uniti dipendono dal risparmio asiatico mentre è Geofilosofia dell’Europa.
l’Europa a essere autosufficiente. Gli Stati Uniti 1994.
hanno immense risorse energetiche, Eurolandia
non ha una goccia di petrolio. Se si chiudesse al resto del mondo, Eurolandia
resterebbe al gelo, ma potrebbe andare avanti in perfetta solitudine come
sistema finanziario chiuso.
Grazie all’attivo commerciale tedesco e olandese, perfettamente
bilanciato dal passivo di tutti gli altri paesi, Eurolandia ha trascorso tutta la
sua breve storia ed è tutt’oggi in una situazione di pareggio delle partite
correnti. La Cina esporta merci e importa dollari. L’America importa merci
ed esporta dollari. L’Europa non ha bisogno di capitali esterni e non ne
esporta di propri. Questa situazione di equilibrio le permette di non tenere
riserve valutarie mentre l’euro, per contro, è ricercato e apprezzato come
valuta di riserva da un
mondo inondato di dollari.
Parenti serpenti. Regia di Mario Monicelli. 1992.
La crisi di Eurolandia ha
rilevanza sistemica e fa
tremare il mondo. Stati
Uniti, Cina, Canada, Regno
Unito e Fondo Monetario
cercano in tutti i modi di
commissariare Eurolandia
per costringerla a sistemare
le sue cose. Se queste enormi
pressioni non hanno finora
prodotto grandi risultati è
perché la crisi europea è
fondamentalmente un affare di famiglia.
Diceva Brecht che la semplicità è la cosa più difficile a farsi. Vista
dall’esterno, in particolare dall’America, la crisi europea potrebbe essere
risolta in pochi minuti. Per Krugman basterebbe che la Bce dichiarasse il suo
sostegno incondizionato e illimitato alla carta governativa di tutta
Eurolandia. La fatica di un comunicato e, esagerando, di una conferenza
stampa. Altri hanno suggerito elegantemente che dal Consiglio europeo esca
l’impegno formale all’unificazione fiscale, magari nel 2025. Un tempo
lunghissimo per preparare tutto per bene, ma già l’annuncio calmerebbe
immediatamente i mercati.
Le crisi di bilancia dei pagamenti si risolvono in genere velocemente
perché sono crisi nei confronti dell’esterno. In America Latina negli anni
Ottanta o in Asia nel 1998 non c’erano i soldi per pagare il debito estero
contratto dagli stati o dalle imprese e questo provocò aggiustamenti veloci,
come quando in famiglia non c’è più un soldo in cassa e si deve correre tutti
quanti a cercare il primo lavoro che capita. La famiglia ricca, per contro, può
permettersi dispute interne senza fine su un’ingente eredità e fare emergere
nel contenzioso questioni di puntiglio e di principio. In un palazzo di ricchi i
litigi su chi debba sobbarcarsi le spese per rifare il tetto possono andare
avanti anni proprio perché tutti hanno i soldi per pagarsi un avvocato.
Le tre questioni su cui si discute all’infinito da mesi e su cui si attende con
nervosissima ansia una risposta lunedì mattina sono contemporaneamente
vitali e inessenziali. Grecia, garanzie su Bonos e Btp e ricapitalizzazione delle
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banche sono problemi seri, ma sono in realtà conflitti di attribuzione e
redistribuzione di oneri e rischi. Il condominio in cui non si raggiunge
l’accordo avrebbe i soldi per ripararne dieci, di tetti. L’Europa ha i soldi per
sistemare tutto da sola e si farà prestare qualcosa da fuori più che altro per
dare fiducia ai mercati. Per chiedere fiducia bisognerebbe però incominciare
ad averne, rispettando gli impegni presi con i partner e smettendo di diffidare
gli uni degli altri.
La Grecia, per cominciare, è un problema quantitativamente modesto. Se
la Grecia avesse fatto sei mesi fa quello che sarà costretta a fare adesso e se la
Germania non avesse fatto del coinvolgimento delle banche una questione di
portata cosmica, gli incontri tra la Troika e il governo di Atene genererebbero
le stesse emozioni delle verifiche periodiche che il Fondo Monetario effettua
continuamente con i paesi che aiuta. Per fare scucire 30 miliardi alle banche e
spaventare i mercati si dovrà
adesso mettere il decuplo a
sostegno di Bonos e Btp. Non
bastando, ora che le banche bene
o male i 30 miliardi li hanno
trovati, si vuole ricominciare il
giro chiedendone loro ancora
altrettanti. E’ come spendere 300
di avvocati per recuperare un
credito di 30, una questione di
principio.
Alla fine, lunedì o nei giorni Happy Family. Regia di Gabriele Salvatores.
successivi, una soluzione verrà 2010.
trovata. Il taglio di capelli sul
debito greco non sarà più del 21 per cento ma non sarà nemmeno del 50
richiesto dalla Germania. Sarà a metà strada e, per carità, rigorosamente
volontario, altrimenti si fanno scattare i Cds, mettendo in crisi seria qualche
banca che ne ha venduti troppi.
Gli altri due problemi, debito sovrano e banche, verranno giustamente
affrontati insieme. Le ipotesi che circolano fanno venire in mente Kotlikoff e
la sua tesi che il debito è un problema linguistico, non reale. Le acrobazie
concettuali su cui si discute potrebbero comunque avere effetti positivi.
In pratica, invece di fare la cosa semplice di costringere le banche a
svalutare i titoli italiani e spagnoli, si farà la cosa barocca di alzare le loro
ratio patrimoniali permettendo loro di mantenere sui titoli la valutazione che
preferiscono. Dal canto loro le banche, invece di raccogliere nuovo capitale
facendosi odiare dai loro azionisti, raggiungeranno le ratio richieste
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diventando più piccole. Che cosa ridurranno sull’attivo, i titoli governativi o
i finanziamenti alle imprese e i mutui? Se venderanno i titoli ne faranno
scendere ancora il prezzo, mettendo nei guai i paesi emittenti e rendendone
più costoso il sostegno. Se ridurranno i finanziamenti alle imprese, si dice,
provocheranno una recessione che complicherà tutto e farà scendere
comunque anche il valore di Btp e Bonos.
In realtà il cerchio verrà probabilmente quadrato in questo modo. Le
banche ridurranno drasticamente i prestiti alle grandi imprese, che si
rivolgeranno al mercato obbligazionario. Le banche francesi, ad esempio,
richiederanno indietro soldi ai campioni nazionali come Gaz de France o Edf
e gli investitori privati europei, che sono pieni di liquidità e arricciano ormai
il naso perfino sui titoli di stato francesi, saranno lietissimi di sostituirsi alle
banche.
Un ottimo studio di Fitch appena pubblicato confronta gli Stati Uniti,
dove le imprese si finanziano per due terzi con obbligazioni e solo per un terzo
in banca, con l’Europa, dove avviene esattamente il contrario. Nel giro di
poco tempo, secondo Fitch, l’Europa si americanizzerà, con vantaggi
rilevanti per tutti. Le banche useranno meno leva e si dedicheranno meglio a
finanziare la piccola impresa, il negoziante dell’angolo e i compratori di case,
tutti compiti che il mercato finanziario non saprebbe svolgere.
Le banche, quindi, non venderanno i titoli di stato, che continueranno a
essere considerati ufficialmente a rischio zero e a non richiedere capitale. Per
rassicurare i mercati, che al rischio zero non ci credono più, si garantiranno
parzialmente le nuove emissioni di Italia e Spagna con i soldi dell’Efsf. La
garanzia,
essendo
parziale,
permetterà
con 200-300 miliardi di
coprire più di un
trilione
di
nuove
emissioni, una quantità
rispettabile.
E’ possibile che alle
banche vengano anche
assegnati d’ufficio soldi
obbligatoriamente
L’asse franco-tedesco guida l’Europa dei 27.
convertibili in azioni a
una certa data futura.
Questi soldi li metterebbero gli stati o l’Efsf, sul modello della Tarp
americana di due anni fa. Le banche che non volessero un giorno trovarsi
l’Europa tra gli azionisti avrebbero qualche anno per raccogliere capitale e
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riscattare le convertibili. Il vantaggio è che non sarebbero costrette a cercare
soldi adesso e potrebbero aspettare quotazioni più alte e mercati più
disponibili.
Come si vede, tutto resterà in famiglia, come è stato finora. L’italiano e lo
spagnolo che non vogliono più Cct comprano titoli tedeschi, non
extraeuropei. La Germania raccoglie i soldi italiani e li mette nell’Efsf, il
quale garantirà i titoli italiani e spagnoli che verranno sottoscritti dalle
banche europee, che a loro volta chiederanno indietro soldi alle grandi
imprese. Questi soldi li metteranno gli investitori europei, ai quali i Bund non
bastano, perché non ce ne sono abbastanza.
Insomma un sistema chiuso in cui tutti prendono il posto di qualcun altro
senza che i saldi finali cambino. La cosa funzionerà, probabilmente, ma il
sistema sarà sempre soggetto a periodiche crisi di sfiducia. Per una soluzione
strutturale occorrerà una rigorosa e prolungata virtù fiscale da parte di Italia
e Spagna, con una lenta ma costante riduzione del debito. Conforta che, nei
due paesi, ci sia un consenso molto ampio su questo punto.
I mercati, in questa fase, si aspettano qualche primo risultato ma non
chiedono la luna. Anche in caso di parziale delusione la volatilità sarà frenata
da due fattori. Il primo sarà la prova d’appello del G20 del 4 novembre. Il
secondo sarà il flusso ininterrotto dei dati trimestrali sugli utili, durante il
quale le borse tendono normalmente a muoversi poco finché non hanno
chiara la tendenza generale.
Lo scenario più verosimile resta quello di un accordo ampio e
sufficientemente credibile e le intense discussioni di questi giorni, più che
preoccupare, indicano che si sta facendo sul serio. Se sarà così, i mercati
azionari saranno in grado di difendere i livelli raggiunti con il rialzo recente
anche nel caso sempre più probabile in cui i dati macro che arriveranno nei
prossimi due mesi confermino l’ipotesi di un temporaneo rallentamento della
crescita. Eventuali strappi sopra i livelli attuali saranno comunque occasione
per alleggerimenti prudenziali.
Alessandro Fugnoli +39 02-777181
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