Mostrare/celare - Ordine Architetti Pescara

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Mostrare/celare - Ordine Architetti Pescara
Mostrare/celare
In un'ottica darwinista, ogni edificio può essere visto come il
prodotto di innumerevoli memi (idee, temi, motivi modi di fare) che competono per sopravvivere e riprodursi, utilizzando
l'edificio come veicolo. Nessun meme può produrre da solo un
intero edificio. Deve combinarsi con altri, proprio come i geni,
ed è questa la ragione per cui gli edifici risultano tutti diversi
fra loro.
Qui, per ragioni di spazio, potrò esaminare solo un meme e
ho scelto quello del mostrare/celare, apparso probabilmente
migliaia di anni fa nel campo dell'abbigliamento, e sopravvissuto grazie alla sua capacità di attirare l'attenzione sul corpo
umano, nascondendolo ma nel contempo rivelandolo tramite
compressioni, tagli, spacchi, scollature, trasparenze. Il meme
ha influenzato soprattutto le vesti delle donne, perché è principalmente a loro che nella nostra specie l'evoluzione ha affidato il compito di attirare il partner sessuale (in altre avviene il
contrario: vedi le corna del cervo, la coda del pavone, il complesso e dispendioso rituale di corteggiamento dell'uccello
giardiniere). E loro lo fanno rinforzando le doti naturali mediante una vasta gamma di artifici culturali: cosmetici, abbigliamento, deformazione del corpo (fino alla chirurgia estetica). La donna, per impedire al maschio di fuggire, - scrive Rudofsky - ha bisogno di tenerlo in un perpetuo stato d'eccita-
zione, cambiando continuamente forma e colore con qualunque mezzo, lecito o illecito. E fra i mezzi che usa c'è il meme
del mostrare e celare, che svolge il suo ruolo attrattivoseduttivo perfino nei paesi musulmani, malgrado i camicioni e
veli imposti allo scopo opposto di mortificare le attrattive della
donna, la temibile diaboli ianua che ossessiona preti e bigotti
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di ogni tempo e paese. Escluso forse il caso estremo del burqa, tutte le altre vesti islamiche (khimar, chador, al-amira,
abaya, shayla, hijab, niqab, haik, ecc.) lasciano il volto, o almeno gli occhi, scoperti e visibili. E, si sa, il volto è la parte più
importante nella comunicazione interpersonale, come dimostra l'imponente quantità di trattamenti, dal manutentivo al
cosmetico e al chirurgico, che le donne riservano a capelli, occhi, ciglia, sopracciglia, naso, labbra, denti, guance, rughe ecc.
D'altronde i veli che occultano parzialmente il volto a scopo
seduttivo sono presenti anche qui da noi e ancor più lo erano
nella belle époque, con le tante Femme à la voilette immortalate da Renoir, Bonnard, Picabia. E non dimentichiamo il velo
nuziale, risalente all'epoca romana, che nel matrimonio combinato tra famiglie impediva allo sposo di veder bene la sposa
fin quando, iniziata la cerimonia, non poteva più tirarsi indietro.
Se la testa anziché velata viene messa in un "sacco", opaco,
scarsamente permeabile all'aria, il meme vira sul sadomaso. È
il caso degli Amanti di Magritte, del 1928, che vediamo baciarsi con la testa completamente avvolta in una stoffa, forse una
sciarpa o un lenzuolo. Che ci vuol dire Magritte, posto che i
quadri debbano dirci qualcosa? Che sono due persone così banali, così ordinarie, così borghesi, da non meritare di essere
viste? Che perfino agli amanti è impedito squarciare il velo di
Maya e conoscersi veramente? Che sono due morti avvolti nel
sudario, ma il loro amore sopravvive? Che godono masochisticamente nel rischiare il soffocamento, anticipando l'Impero dei
sensi di Nagisha Oshima (1976)? Ognuno dà la sua interpretazione, ma resta nel dubbio che non sia mai quella giusta. Magritte gongola perché vuol proprio costringerci a riflettere
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sull'opera senza giungere a una conclusione definitiva. E lo
scrive pure: L'opera d'arte deve saper produrre effetti destabi-
lizzanti nello spettatore, infrangendo abitudini mentali e collocando gli oggetti quotidiani proprio laddove non ci si aspetterebbe di trovarli.
D'altronde è ben noto l'effetto erogeno della costrizione del
respiro indotta da fasce, cinture, corpetti e bustini attillati.
L'eccitazione respiratoria - osserva Havelock Ellis - è sempre
stata una componente cospicua del processo di tumescenza e
detumescenza, della battaglia del corteggiamento e del suo
climax. Qualunque limitazione dell'attività muscolare ed emotiva tende in genere a intensificare lo stato di eccitazione sessuale. Da cui le varie pratiche sadomaso, le manette, le legature del partner (bondage, hogtie, karada ecc.), fino allo strangolamento vero e proprio immortalato da Oshima nel già citato Impero dei sensi. Numerosi artisti hanno esplorato questo
tema (o meme) del celare/mostrare qualcosa di animato o inanimato "nel sacco", con la variante sado-maso di dargli poi
una bella legata. Viene in mente Christo, ovviamente, la cui
fortuna è legata – si può ben dire - ad anni e anni di spettacolari impacchettamenti. Ma ben prima di lui Michelangelo s'è
guardato bene dal liberare completamente i Prigioni dal blocco
marmoreo, facendo aggallare un gluteo qua, una spalla là e
sfidandoci così a immaginarne le molte parti invisibili. E ci sono state le virtuosistiche sculture barocche di Antonio Corradini, Giuseppe Sanmartino o Luis Salvador Carmona, antesignane della maglietta fina / tanto stretta / al punto che / mi
immaginavo tutto, indossata - nel disco italiano più venduto
della storia - dalla fidanzatina di Claudio Baglioni (che curiosamente decenni dopo si laureerà architetto). Molte arti come
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vedete hanno riprodotto il nostro meme, perché consentiva
l'effetto "maglietta fina" (con la variante più hard della "maglietta bagnata"). E voglio ancora aggiungere l'uso di tessuti
elastici da parte del coreografo dei Momix Moses Pendleton,
che impone ai suoi ballerini di premervi contro ogni loro parte
anatomica giudicata efficace ai fini dello spettacolo.
E gli architetti? Hanno tentato pure loro di avvolgere gli edifici in reti o tessuti più o meno rigidi, più o meno trasparenti,
ma non aspettatevi le raffinatezze concettuali d'un Magritte o
le allusioni sadomaso d'un Christo. Anzi qualche edificio pare
preso quasi suo malgrado nella rete, come l'albergo che Dominique Perrault ha progettato nel 2000 per una delle più belle spiagge di Tenerife. La rete, più che voluta, era subìta, come
la mimetica con cui i militari occultano carri armati e depositi.
Con i rampicanti che l'avrebbero ricoperta, doveva semplicemente nascondere i 60.000 mc dell'hotel, ma non c'è riuscita:
anni e anni di veementi proteste della cittadinanza hanno costretto l'amministrazione a cassare definitivamente il progetto
nel 2011.
Più voluta e raffinata è la Kukje Gallery K3 a Seoul (2012) dei
SO-IL. Preso nella rete metallica è qui un elementare parallelepipedo in cemento armato che, grazie ai volumi tecnici opportunamente aggettanti (vano ascensore, scala sghemba al coperto, scala curva all'interrato, macchine di condizionamento),
assume una sagoma più ricca, in grado di sgomitare efficacemente contro l'involucro di rete inox che nulla nasconde. Vole-
vamo – dichiarano i progettisti su Domus 950, nov. 2011 - che
la finitura del calcestruzzo si accordasse o imitasse la finitura
della rete, creando un rapporto tale che non si potesse distinguere quale strato si stesse guardando, e mettere in evidenza
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l'idea del contorno sfumato. Un raffinato effetto straniante,
dunque, prodotto dalla difficoltà di mettere a fuoco i vari piani. Altrettanto efficace, ma inquietante e repellente al pari di
un film horror, è la proposta dei R&Sie(n) per il Bangkok Mu-
seum (2002): vani grandi e piccoli accatastati irregolarmente
sotto una coltre metallica, caricata elettricamente per attirare vero "edificio Pig Pen" - una parte delle polveri che inquinano
l'atmosfera di Bangkok.
Dopo le reti, le membrane elastiche. Ne fa uso Fuksas nello
Zenith di Strasburgo (2003-08), con la sua membrana arancione messa in tensione da cinque anelli ellittici di acciaio,
enormi Hula Hoop non paralleli fra loro. Di notte pare un gigantesca lanterna cinese, come il NAtional Art Museum Of
China proposto da Koolhaas per Pechino nel 2011. Koolhaas
aveva già sperimentato il meme nel Prada Transformer a Seoul
del 2009. Il padiglione tetraedrico era fatto per ospitare quattro tipi di evento (di arte, cinema, moda e architettura), assumendo per ciascuno una posizione differente: aveva infatti
l'interessante particolarità di poter essere appoggiato stabilmente su ciascuna delle quattro facce, costituite da telai di acciaio a forma di cerchio, croce, esagono e rettangolo. La membrana biancastra semitrasparente che lo imbozzolava era di
cocoon, materiale messo a punto dagli americani per usi militari che tende a ingiallire nel tempo, come sa chiunque abbia
comprato una lampada Flos fatta di quel materiale negli anni
'60 dai fratelli Castiglioni o da Tobia Scarpa.
Così il meme del mostrare/celare, senza alcuna volontà,
senza alcuna intenzione, zitto zitto prosegue il suo percorso
evolutivo in molti campi, architettura compresa. E confido che
una piccola mano gliela darà pure il presente articolo.