Evoluzione e diritto

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Evoluzione e diritto
Alberto Gianola
Ricercatore di diritto privato nell’Università di Torino
EVOLUZIONE E DIRITTO1 e
Sommario: Introduzione; Geni, mente, cultura e diritto; L'evoluzione della cultura; L'evoluzione del
diritto; Conclusioni.
Introduzione
Il diritto, considerato in una prospettiva diacronica, mostra indubbiamente una natura evolutiva: sebbene
esso continui ad esistere con le medesime caratteristiche di base che permettono di affermare di essere
davanti ad un fenomeno omogeneo, le singole norme giuridiche mutano radicalmente con il passare del
tempo. Ma quali sono le leggi naturali (non giuridiche) che governano l'evoluzione del diritto?
Il diritto non è il solo fenomeno del mondo reale che muti con il passare del tempo. Anche gli organismi
viventi sono protagonisti di un processo evolutivo. I biologi spiegano la varietà degli esseri viventi oggi
esistenti ipotizzando con pieno successo una evoluzione dominata dalla selezione naturale. Gli esseri
viventi sono soggetti a mutazioni genetiche casuali che inducono lo sviluppo di nuove caratteristiche
anatomiche o comportamentali negli individui portatori di esse. La mutazione genetica che induce la
comparsa di un carattere adattivo, di un carattere cioè che aumenta le possibilità di sopravvivenza e
riproduzione del soggetto portatore di essa, si diffonde progressivamente nelle generazioni successive; la
mutazione genetica che dà luogo ad un carattere svantaggioso determina invece una morte del suo
portatore più rapida rispetto ai conspecifici privi di quel carattere e quindi il carattere derivante dalla
mutazione esce di scena. In altri termini l'ambiente opera una rigida selezione sugli organimi viventi,
favorendo la sopravvivenza e quindi la riproduzione degli individui più adattati e promuovendo di
conseguenza la diffusione dei geni di questi.
Il modello evoluzionistico originatosi con Darwin ha valicato i confini della biologia ed ha fatto proseliti
anche fra i cultori della scienze giuridiche2 . Il parallelismo con quanto avviene nel mondo biologico ha
spinto alcuni giuristi ad ipotizzare un processo di evoluzione giuridica regolato della selezione naturale
della regola di diritto più adattiva: fra le tante norme giuridiche che vengono ad esistenza sopravvive
quella che aumenta le possibilità di sopravvivere e riprodursi in un certo ambiente degli individui da cui
1 e Il presente articolo è stato pubblicato sulla Rivista di diritto civile, 1997, II, 413.
2 Una panoramica dei modelli evoluzionistici del diritto fino agli anni ottanta compare in ELIOTT, The
Evolutionary Tradition in Jurisprudence, in Columbia L. Rev., 1985 (vol. 38), 38.
viene adottata3 .
Orientamenti dottrinali più recenti, pur nel quadro di una visione evoluzionistica del diritto, hanno posto
l'accento su un diverso profilo. I biologi ipotizzano l'esistenza nell'uomo di tratti comportamentali
geneticamente programmati, e pertanto innati, frutto, al pari dei caratteri fisici, di una evoluzione soggetta
alla selezione naturale della caratteristica più adattiva4 . I dati biologici sul comportamento umano aprono
per il giurista nuovi orizzonti di ricerca: l'individuazione dell'influenza esercitata dalle predisposizioni
comportamentali umane innate sulle norme giuridiche5 ; la verifica della conformità delle regole di diritto
3 L'idea di un diritto in evoluzione, di una competizione fra norme giuridiche rivali e della sopravvivenza
della norma giuridica più forte o della norma più adatta compare già in HOLMES, Law in Science and Science in
Law, in Harv. Law Rev., 1899 (vol. 12), 449, in CORBIN, The Law and the Judges, in Yale Rev., 1914 (vol. 3),
237 ed in WIGMORE, KOUCOREK, Evolution of Law: Select Readings on the Origin and Development of Legal
Institutions, 1915-1918. Questi autori non ricollegano però la forza della norma giuridica vincente alla
capacità di essa di aumentare le possibilità di sopravvivenza e riproduzione dei soggetti appartenenti al gruppo
da cui la norma giuridica viene adottata.
Il primo giurista a proporre un modello evoluzionistico dello sviluppo del diritto basato sulla selezione
naturale della norma più adattiva è A. G. Keller, professore di scienze sociali all'Università di Yale negli anni
venti. In un articolo comparso sul Yale Law Journal nel 1919 (KELLER, Law in Evolution, in Yale L. J., 1919
(vol. 28), 769), Keller afferma che il diritto, al pari della cultura, è soggetto ad un processo evolutivo analogo a
quello degli esseri viventi. In base ad una legge vigente anche nel mondo organico, fra le tante norme
giuridiche che vengono ad esistenza sopravvive, a spese delle altre, la norma giuridica che assicura agli
individui da cui viene adottata maggiori possibilità di sopravvivere e riprodursi in un certo contesto
ambientale. L'evoluzione del diritto è per Keller un processo non pianificato da parte dell'uomo.
La tesi di un diritto in evoluzione soggetto ad un meccanismo analogo alla selezione naturale in base al quale
la norma giuridica più adattiva sopravvive a spese di quella meno adattiva viene ripresa da W. Jethro Brown
(BROWN, Law and Evolution, in Yale L. J., 1920 (vol. 29), 394). Brown, a differenza di Keller, sostiene che i
mutamenti giuridici non sono casuali bensì frutto di uno scopo pianificato dalla mente umana, anche se a volte
in modo inespresso.
Dopo Brown l'interesse per l'approccio evoluzionistico allo studio del diritto viene meno per alcuni decenni e
rinasce nuovamente nella seconda metà degli anni settanta. Jack Hirshleifer (HIRSHLEIFER, Economics from a
Biological Viewpoint, in J. Law Econ., 1977 (20), 1; HIRSHLEIFER, Natural Economy versus Political Economy,
in J. Soc. & Biological Structures, 1978 (1), 319; HIRSHLEIFER, Privacy: its Origin, Function and Future, in J.
Leg. Stud., 1980, 649) considera il diritto una struttura sociale in evoluzione soggetta alla pressione della
selezione naturale. Il diritto nasce quando, in un gruppo più grande della singola famiglia, alcuni soggetti
specialisti assumono la funzione di controllo dei conflitti interni. Una volta sorto, il diritto risulta
vantaggioso nella lotta per la sopravvivenza e pertanto viene mantenuto dalla selezione naturale: esso elimina,
o perlomeno limita, i conflitti all'interno del gruppo ed il conseguente indebolimento di esso. Grazie al diritto,
i membri del gruppo non devono più sprecare tempo ed energie in attività di controllo e di lotta reciproca. Il
gruppo dotato di un sistema giuridico è avvantaggiato rispetto al gruppo che ne è privo. Hirshleifer tenta
inoltre di dimostrare che alcune norme giuridiche risultano più efficaci di altre nel promuovere la
sopravvivenza di un gruppo. Un ordinamento giuridico che promuove lo scambio e mantiene la pace è più
adattivo, cioè più efficace nel garantire la sopravvivenza del gruppo, rispetto ad un ordinamento giuridico che
si limita a reprimere i conflitti.
4 EIBL-EIBESFELDT, Etologia umana. Le basi biologiche e culturali del comportamento, Torino, 1993 (ed. or.
Die Biologie des menschlichen Verhaltens Grundriss der Humanethologie, Munchen, 1984); Id. I fondamenti
dell'etologia. Il comportamento degli animali e dell'uomo, Milano, 1995 (Grundriss der vergleichenden
Verhaltensforschung, Munchen, 1987).
5 William H. Rodgers (RODGERS, Bringing People back: toward a Comprehensive Theory of Taking in
Natural Resources Law, in Ecology L. Q., 1982 (vol. 10), 205; RODGERS, Building Theories of Judicial Review
in Natural Resources Law, in Un. Colo. L. Rev., 1982 (vol. 53), 213) si propone di verificare se il diritto è
influenzato dalle caratteristiche innate umane svelate dalla biologia, operando un raffronto tra l'istituto della
proprietà ed i comportamenti umani innati. Rodgers giunge ad affermare che i giudici decidono le controversie
in materia di proprietà come se applicassero le predisposizioni comportamentali umane innate, anche se tali
predisposizioni non conoscono; inoltre egli non si limita ad attribuire ai dati biologici un puro valore
descrittivo bensì riconosce ad essi anche un valore normativo, sostenendo che esiste un ottimo biologico nella
struttura del diritto di proprietà che può essere usato non solo per descrivere come i giudici decidono le
controversie ma anche per dire loro come devono decidere. Per Rodgers le leggi biologiche non offrono una
spiegazione unica ed esauriente del fenomeno giuridico, bensì importanti spiegazioni parziali. Le tendenze
innate prodotte nell'uomo dall'evoluzione sono solo uno dei fattori che danno luogo alle soluzioni giuridiche.
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a tali predisposizioni innate6 . I dati biologici evidenziano un fondamento genetico del diritto7 .
Alcuni autori hanno proposto un modello evoluzionistico del diritto basato sulla selezione della regola di
diritto economicamente più efficiente: la norma giuridica più forte è quella che riduce i costi superflui
oppure aumenta i benefici8 .
6 John Beckstrom (BECKSTROM, Sociobiology and the Law - The Biology of Altruism in the Courtroom of the
Future, Urbana and Chicago, 1985; BECKSTROM, Evolutionary Jurisprudence - Prospects and limitations on
the Use of Modern Darwinism throughout the Legal Process, Urbana and Chicago, 1989) propone un approccio
metodologico allo studio del diritto basato sui risultati della biologia del comportamento. I dati biologici
permettono innanzitutto al giurista di verificare il grado di conformità alla realtà umana di una soluzione
giuridica che vorrebbe rispecchiare il comportamento umano tipico in una certa situazione: per esempio la
disciplina americana delle successioni intestate, con la quale il legislatore americano vorrebbe dare luogo ad
una trasmissione del patrimonio ereditario conforme a quella che avrebbe realizzato volontariamente un uomo
medio nei panni del de cuius. I dati biologici permettono al giurista di individuare le conseguenze biologiche
di una certa scelta giuridica: un programma di promozione dell'incesto per esempio darebbe luogo ad un
incremento di individui portatori di handicap. I dati biologici indicano soluzioni originali a certi problemi
giuridici. La plasticità del comportamento umano e la dipendenza di esso dalla cultura inducono Beckstrom,
contrariamente a quanto sostenuto da Rodgers, ad escludere che la biologia possa dare un giudizio sulla
positività o negatività, sulla desiderabilità o meno dei caratteri da essa rilevati nell'uomo e quindi a giudicare i
fini perseguiti dal diritto. I dati biologici si limitano a dire come stanno le cose, ma non si pronunziano su
come esse dovrebbero essere.
Margarite Gruter (MASTERS, GRUTER (eds.), Ostracism as a Social and Biological Phenomenon, New York,
1986; GRUTER, Law and the Mind: Biological Origins of Human Behavior, London, 1991; MASTERS,
GRUTER (eds.), The sense of justice: biological foundations of law, London, 1992) sostiene che il
comportamento umano è il risultato del combinato agire di diversi fattori: predisposizione genetica, sviluppo,
apprendimento e contesto ambientale. Alcune predisposizioni comportamentali dell'uomo sono innate: esse
sono il prodotto della selezione naturale nel corso della storia evolutiva della specie e sono geneticamente
programmate. Il comportamento umano ha un certo grado di plasticità, in modo da potersi adattare al
mutamento delle circostanze ambientali, ma alcune predisposizioni innate all'opera nell'uomo sono
difficilmente modificabili. Il diritto regola il comportamento umano imponendo o vietando certe condotte.
Nella sua opera di regolamentazione del comportamento umano, il diritto è costretto a fare i conti con le
predisposizioni innate dell'uomo, specie con quelle difficilmente modificabili. La norma giuridica che va
contro una predisposizione umana innata difficilmente modificabile finisce per subire un gran numero di
violazioni e quindi per essere poco efficace. Al contrario una norma giuridica che asseconda una
predisposizione umana innata ha molte probabilità in più di essere osservata. Il grado di effettività della norma
giuridica risulta quindi proporzionale alla capacità di essa di adeguarsi, di assecondare l'eventuale
predisposizione innata su cui incide.
7 Richard A. Epstein (EPSTEIN, A Taste forPprivacy? Evolution and the Emergence of a Naturalistic Ethic, in
Journ. of Leg. Studies, 1980 (9), 665; EPSTEIN, Not Deference but Doctrine: the Eminent Domain Clause, in
Sup. Ct. Rev., 1982, 315) afferma che in alcuni settori del diritto la selezione naturale gioca un ruolo assai
rilevante: essa tende a promuovere lo sviluppo e la diffusione nell'uomo di certi comportamenti e della
tendenza per regole ad essi conformi; tali regole emergono poi a livello di diritto, essendo recepite da norme
giuridiche. L'azione della selezione naturale non incide però in ogni settore giuridico: alcune questioni
regolate dal diritto non hanno rilevanza per la sopravvivenza dell'individuo e per la propagazione dei suoi geni
e pertanto è poco plausibile sostenere che le relative norme giuridiche rispecchiano una tendenza umana innata
per quelle regole. Epstein esclude una incidenza diretta della selezione naturale sullo sviluppo del diritto.
Margarite Gruter (GRUTER, Law and the Mind cit., 54) sostiene che il diritto, pur essendo un prodotto specifico
della mente umana, presenta un profilo innato, geneticamente programmato: l'evoluzione ha sviluppato
nell'uomo, accanto ad altri tratti comportamentali innati sociali e non, una predisposizione a creare ed a seguire
delle regole facendola diventare parte del genoma umano.
Sugli approcci naturalistici allo studio del diritto, oltre alle opere menzionate, si veda anche ALEXANDER,
Biology and law, in GRUTER, MASTERS, Ostracism, a social and biological Phenomenon, New York, 1986, 19;
ALEXANDER, Biology and Law, in Ethology and Sociobiology, 1986 (vol. 7), 19; COHEN, BERRING, How to
find the Law, 1983; OAKLEY, Sociobiology and the Law, in BULYGIN (ed.), Man, Law and the Modern Forms
of Life, 1985; GRUTER, BOHANNAN (eds.), Law, Biology and Culture, 1983.
8 RUBIN, Why is the Common Law Efficient, in J. Leg. Studies, 1977 (vol. 6), 51; PRIEST, The Common Law
Process and Selection of Efficient Rules, in J. Leg. Studies, 1977 (vol. 6), 65; GOODMAN, An Economic Theory
of the Evolution of The Common Law, in J. Leg. Studies, 1978 (vol. 7), 393; COOTER, KORNHAUSER, Can
Litigation Improve the Law withouth the Help of Judges?, in J. Leg. Studies, 1980 (vol. 9), 139; TERREBONNE,
A Strictly Evolutionary Model of Common Law, in J. Leg. Studies, 1981 (vol. 10), 397.
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Finora il giurista italiano, salvo qualche eccezione9 , ha mostrato poco interesse per i profili naturalistici
del fenomeno giuridico.
L'ipotesi di una evoluzione del diritto basata sulla sopravvivenza, a spese della rivale, della norma
giuridica più vantaggiosa per la sopravvivenza e la riproduzione degli individui da cui viene adottata
risulta ad una indagine approfondita inadeguata: essa non riesce a spiegare perchè certe norme giuridiche
sopravvivono sebbene obblighino gli individui da cui vengono adottate a comportamenti dal valore
adattivo uguale od inferiore alla norma giuridica rivale. L'obbligo di guidare tenendo una certa mano, non
importa se destra o sinistra, è una regola dall'indubbio valore adattivo: senza di essa aumenterebbero gli
incidenti stradali e quindi diminuirebberole possibilità degli individui di quel gruppo sociale di
sopravvivere e riprodursi. La regola che impone la guida a destra è efficace quanto la regola che impone la
guida a sinistra nel ridurre il rischio di incidenti stradali. In termini evoluzionistici l'obbligo di guidare
mantenendo la destra è una regola dal valore adattivo pari a quello dell'obbligo di guidare mantenendo la
sinistra. Perchè nell'Europa continentale viene applicata la prima soluzione mentre in Gran Bretagna vige
la seconda? L'approccio evoluzionistico basato sulla selezione naturale della norma giuridica più adattiva
non riesce a dare a tale domanda una risposta convincente: esso spiega bene la sopravvivenza della regola
che prevede un senso di marcia, non importa se destra o sinistra, ma non spiega altrettanto bene la
sopravvivenza della regola che prevede un certo senso di marcia (destra o sinistra).
Parimenti inadeguato appare il modello evoluzionistico basato sulla selezione della norma giuridica
economicamente più efficiente. La teoria economica dell'evoluzione del diritto presuppone un individuo
9 Il primo giurista italiano che ha dimostrato sensibilità per i problemi connessi ai rapporti fra diritto ed
etologia è sicuramente Angelo Falzea (FALZEA, Introduzione alla scienza giuridica. Il concetto di diritto, 4°
ed., Milano, 1992, 347 e ss.). Nel tentativo di individuare una definizione di diritto, Falzea si imbatte nel
mondo sub-spirituale dell'uomo, mondo in cui operano i comportamenti istintivi di origine filogenetica. Il
mondo istintivo dell'uomo rappresenta però per Falzea una parte della realtà umana da cui emergono esigenze
delle quali il diritto deve tenere conto, esigenze che danno luogo a valori giuridici solo in seguito alla
trasformazione che esse subiscono allorchè vengono assunte nel mondo dello spirito umano. Falzea respinge
l'idea di una configurazione biologica del diritto. Il diritto è una espressione culturale umana e pertanto non è
possibile configurarlo come un insieme di realtà biologiche governate dalle leggi naturali della biologia
perchè ciò porterebbe alla negazione dei valori, incompatibili con la necessità delle leggi naturali e quindi alla
negazione della cultura, che è un sistema di valori, e con essa dello sforzo creativo dell'uomo per estendere il
suo spazio di libertà nell'agire vincolante delle leggi naturali e per realizzare la giustizia, sconosciuta alla realtà
naturale sub-umana. Falzea ammette l'esistenza di istinti umani, ovvero di predisposizioni comportamentali
dell'uomo di origine filogenetica, ma tende a negare loro ogni rilevanza giuridica in quanto tali istinti, essendo
soggetti al controllo dell'intelletto, non sono fonte autonome di azioni umane, salvo i casi di squilibrio
psichico. Il comportamento umano, in altre parole, è sempre riconducibile ad una scelta cosciente, anche se
suggerito da una pulsione istintiva.
I profili naturalistici dell'evoluzione del diritto ed i rapporti tra diritto ed etologia hanno suscitato l'interesse
di Rodolfo Sacco (SACCO, Introduzione al diritto comparato, Torino, 1993, 132; Id., Immaginando il diritto
del futuro, in AA.VV., Il diritto dei nuovi mondi, Padova, 1994, 311; Id., Il diritto muto, in RDC, 1993, 689; Id.,
L'occupazione, atto di autonomia (contributo ad una dottrina dell'atto non negoziale), in RDC, 1994, 343;
Id., La società di fatto, in RDC, 1995). Sacco rileva una tendenza evolutiva del diritto soggetta alle leggi
dell'accelerazione delle innovazioni, dell'accelerazione delle diversificazioni, dell'accelerazione delle
imitazioni e da una conseguente accelerazione dei processi di uniformazione. Interrogandosi sull'origine del
diritto nel quadro di una visione macrostorica di esso, Sacco rileva che laddove esiste un gruppo sociale,
esistono delle regole finalizzate a dirimere i conflitti d'interesse sociale: dove c'è una società c'è un diritto,
anche se non esiste il legislatore, il giurista, il mago. Una conclusione che vale tanto per i gruppi sociali umani
quanto per i gruppi sociali animali. Esiste un diritto naturale che la natura insegna agli animali ed all'uomo, un
diritto il cui rispetto è garantito da un gioco di ghiandole ed ormoni, un diritto che Sacco definisce muto
perchè formato da regole non verbalizzate ma direttamente attuate in presenza di certi stimoli.
Nell'uomo la comparsa del linguaggio e della facoltà di astrazione permisero la verbalizzazione del diritto
muto, lo sviluppo di regole per il futuro, ideate ipotizzando una certa situazione ma in assenza di essa, ed infine
la creazione di un sistema di norme giuridiche coordinate su basi logiche ed ordinate in categorie. Nasce il
diritto razionale, il diritto culto, prodotto della mente umana e fenomeno culturale. A ben vedere però larghi
frammenti del diritto, delle strutture giuridiche basilari innate ereditato dai nostri progenitori ancora incapaci
di un linguaggio articolato, sono tuttora presenti ed operanti negli ordinamenti giuridici. Il raffronto tra diritto
culto e diritto muto evidenzia come le categorie dogmatiche elaborate per il primo appaiono inadeguate per il
secondo.
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che agisce razionalmente perseguendo il proprio interesse. Una concezione dell'uomo che non corrisponde
alla realtà: l'uomo non agisce sempre razionalmente; inoltre a volte il suo comportamento è determinato
da motivazioni altruistiche1 0.
Per spiegare adeguatamente l'evoluzione del diritto occorre elaborare un modello evoluzionistico più
complesso, basato pur sempre sulla legge della competizione fra norme giuridiche rivali e sulla
sopravvivenza e prevalenza della norma giuridica più forte, ma in cui la capacità di sopravvivenza e di
prevalenza della norma giuridica non è commisurata al valore adattivo di essa bensì al grado di
rispondenza della norma alle esigenze degli individui da cui viene adottata, esigenze derivanti dalle loro
caratteristiche biologiche e culturali.
Geni, cultura e diritto.
Per individuare una spiegazione adeguata dell'evoluzione del diritto appare ragionevole partire da due
considerazioni fondamentali:
a) il diritto, ed intendo con tale termine il sistema di norme giuridiche creato dalla mente umana per
disciplinare il gruppo sociale ed espresso in un linguaggio articolato od in altro modo formalizzato, è una
espressione culturale dell'uomo;
b) la norma giuridica è uno schema, più o meno generale ed astratto che, quando trova applicazione,
impone ad un certo soggetto un certo comportamento.
A causa di tali caratteristiche, l'indagine volta a cogliere i profili naturalistici dell'evoluzione del diritto
deve necessariamente muoversi, a mio avviso, in una prospettiva che tenga conto delle scoperte, degli
assunti e dei modelli teorici elaborati da due particolari branche della biologia: la configurazione del
diritto quale espressione culturale umana comporta la necessità di tenere conto delle ipotesi dei biologi e
degli antropologi che si occupano dei profili naturalistici, in particolare biologici, della cultura umana1 1;
la circostanza che la norma giuridica, quando trova applicazione, impone ad una o più persone un certo
comportamento obbliga a tenere conto delle scoperte dell'etologia umana.
L'evoluzione della cultura.
Gli orientamenti scientifici di impronta sociobiologica1 2 sostengono che la cultura è soggetta, al pari dei
caratteri fisici e psichici dell'uomo, alla pressione della selezione naturale. La diversificazione delle varie
culture è il risultato di un processo evolutivo caratterizzato da mutazioni e dalla sopravvivenza di quei
modelli comportamentali che in un certo ambiente si sono rivelati più efficaci degli altri nel garantire la
sopravvivenza e la riproduzione degli individui che li pongono in essere.
L'approccio sociobiologico non riesce però a fornire una risposta plausibile ad ogni interrogativo: molti
modelli culturali oggi esistenti oppure esistiti non incidono minimamente sulle possibilità di
sopravvivenza e riproduzione degli individui che li adottano.
Alcuni studiosi hanno recentemente tentato di spiegare l'evoluzione e la differenziazione delle culture
umane proponendo modelli teorici in cui, pur ipotizzando un processo evolutivo retto da una selezione fra
diversi modelli culturali in competizione fra loro, la sopravvivenza di un certo modello culturale a spese
10 ELIOTT, op. cit. supra nota 1, 70; HIRSHLEIFER, Privacy cit. supra nota 2, 651; RODGERS, Bringing
People back cit. supra nota 4, 205.
11 Sul dibattito bioculturale in generale DELLE FAVE, Il comportamento umano tra biologia e cultura, in
CESA BIANCHI, MASSIMINI, POLI, Psicologia generale, Bologna, 1989, 403.
12 WILSON, Sociobiology: The New Synthesis, Cambridge (MA), 1975 (tr. it. Sociobiologia: la nuova sintesi,
Bologna, 1979); LUMSDEN, WILSON, Genes, Mind, and Culture. The Coevolutionary process, Cambridge
(MA), 1981.
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dei rivali in un certo ambiente non dipende più dal vantaggio biologico derivante dall'adozione di tale
modello.
Richerson e Boyd1 3 ipotizzano l'esistenza nell'uomo di un doppio sistema ereditario: un sistema
ereditario biologico ed un sistema ereditario culturale. La cultura è in altre parole un sistema ereditario
mediante il quale le informazioni che influenzano il comportamento sono trasmesse da un individuo
all'altro. Il comportamento di un individuo dipende quindi dal genotipo, dall'ambiente e dal culturtipo,
ovvero dalle istruzioni culturali che l'individuo ha ereditato da altri individui della stessa specie. Il
sistema ereditario culturale, al pari di quello genetico, è soggetto ad una evoluzione controllata dalla
selezione naturale. Le istruzioni culturali vengono trasmesse da un individuo all'altro e variano tra gli
individui. La selezione naturale agisce sul culturtipo e promuove la diffusione di quelle istruzioni
culturali che danno luogo a fenotipi culturali più efficaci nel trasmettere il culturtipo alla generazione
successiva. Sulla base del successo del fenotipo, ha luogo una riproduzione differenziale di culturtipi.
La cultura ha meccanismi di trasmissione diversi rispetto ai geni. Ne consegue che in un certo ambiente
un certo fenotipo può essere efficace nel trasmettere ad altri individui il suo culturtipo ma inefficace nel
trasmettere il suo genotipo e viceversa. Il fenotipo ottimale per la trasmissione del culturtipo ed il
fenotipo ottimale per la trasmissione del genotipo spesso sono diversi. L'uomo risulta così soggetto a due
diverse forze in competizione tra loro per controllare il suo comportamento. Lo sviluppo del sistema
ereditario della cultura è stato reso possibile dal vantaggio biologico in termini di successo riproduttivo
che esso ha prodotto. Richerson e Boyd ipotizzano alla base della cultura una capacità per la cultura frutto
di un mutazione genetica mantenuta dalla selezione naturale. La capacità per la cultura ha reso possibile
l'evoluzione di un sistema culturale autonomo che controlla in massima parte il comportamento umano.
Richard Dawkins1 4 ipotizza l'esistenza, accanto al gene, di una nuova entità replicante: il meme1 5, l'unità
di replicazione culturale, protagonista di un processo analogo a quello di cui è protagonista il gene. Memi
sono le melodie, le idee, le frasi, le mode, i modi di comportarsi in certe circostanze. Il termine meme
indica non solo l'istruzione culturale ma anche la struttura cerebrale che permette l'immagazzinamento del
meme. Il meme infatti è anche una struttura cerebrale che si autoreplica, uno schema reale di connessioni
neuronali che si ricostituiscono di cervello in cervello1 6. I memi si propagano saltando di cervello in
cervello: l'impianto del meme trasforma il cervello in un veicolo della sua diffusione, al pari di quanto
avviene quando un virus si impianta in una cellula infettandone il patrimonio genetico.
I memi si propagano attraverso il meccanismo dell'imitazione ed utilizzano a tal fine sia il cervello umano
che mezzi extrasomatici quali sono, al presente, i testi scritti, le immagini dipinte e scolpite, i computers.
I memi sono soggetti a mutazioni e quindi tendono a diversificarsi.
Al pari dei geni, i memi sono soggetti alla legge della selezione: l'evoluzione della cultura avviene
attraverso la sopravvivenza differenziale di unità replicanti. I memi entrano in competizione fra loro per
via dello spazio limitato in cui essi operano. I memi esistono innanzituttto nel cervello. Il cervello umano
è limitato: esso non può fare più cose contemporaneamente ed immagazzinare nella propria memoria un
numero infinito di dati. Un meme domina il cervello a spese del meme rivale. I memi competono anche
13 RICHERSON, BOYD, A dual inheritance model of the human evolutionary process I: basic postulates and a
simple model, in Journal of Social and Biological Structures, 1978 (vol. 1), 127; RICHERSON, BOYD, Culture
and the Evolutionary Process, Chicago, 1985.
14 DAWKINS, Il gene egoista, 2° ed., Milano, 1995, 198 (ed. or. The Selfish Gene, Oxford, 1989).
15 Dawkins crea il termine meme prendendo spunto da una radice greca: DAWKINS, op. cit., 201.
16 Per una ipotesi del possibile aspetto del sistema neuronale del meme DELIUS, Of Mind Memes and Brain
Bugs: a Natural History of Culture, in KOCH (ed.), The Nature of culture, Bochum, 1990.
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contendendosi lo spazio sui giornali e sugli altri mezzi di diffusione. Nella competizione fra memi, la
selezione favorisce il meme che è in grado di sfruttare meglio a proprio vantaggio l'ambiente culturale
costituito dagli altri memi. Il meme favorito non è quello che dà luogo ad un vantaggio biologico, cioè
che rende il soggetto portatore più adatto a sopravvivere e riprodursi in un certo contesto ambientale,
bensì quello che rende il soggetto portatore un più efficace veicolo di trasmissione del meme. Memi e
geni a volte si rinforzano reciprocamente, altre volte si trovano in opposizione. I geni hanno fornito al
cervello la capacità di imitare ed hanno creato il brodo in cui sono sorti i primi memi. Una volta sorti, i
memi hanno dato il via ad un processo di evoluzione dominato dalla selezione parallelo a quello
dell'evoluzione genetica.
Richerson, Boyd e Dawkins ipotizzano un processo di evoluzione della cultura retto da una selezione
basata non tanto sul vantaggio biologico che il nuovo modello culturale garantisce al suo portatore quanto
sul vantaggio culturale: il nuovo modello culturale sopravvive a scapito del rivale quanto più induce nel
suo portatore un comportamento efficace nel trasmettere la stessa istruzione culturale. L'evoluzione della
cultura, al pari dell'evoluzione degli organismi viventi, non è stato fino ad ora un processo
consapevolmente e razionalmente pianificato dall'uomo1 7.
Alcuni memi hanno più successo di altri nel sopravvivere e replicarsi in un certo ambiente. Quali sono i
caratteri che rendono un meme più competitivo del rivale? Dawkins1 8 individua quattro qualità che più di
altre rendono un meme vincente nella lotta per la sopravvivenza: longevità, fedeltà di copiatura, fecondità
ed attrattiva psicologica.
La longevità del meme, la durata della sua vita, dipende dal mezzo in cui esso esiste: se il meme esiste
solo nel cervello di una persona, esso scomparirà con il venire meno della funzionalità di quel cervello1 9;
se il meme è esposto in un libro oppure contenuto in un archivio informatico, esso avrà una vita più
lunga e quindi maggiori probabilità di riprodursi.
La fedeltà di copiatura, ovvero la misura in cui coloro che imitano, imitano correttamente senza alterare,
dipende invece dal modo di esposizione del meme: tanto più il meme è esposto chiaramente, sia dal
punto di vista formale che dal punto di vista linguistico e concettuale, tanto più esso non verrà frainteso e
sarà riprodotto fedelmente.
La fecondità indica la capacità del meme di suscitare consensi ed adesioni e quindi di replicarsi. Per una
teoria scientifica la capacità di replicarsi dipende da quanto essa è accettabile, per una moda da quanto essa
va incontro al gusto dei destinatari.
L'attrattiva psicologica permette al meme di radicarsi profondamente nella mente degli individui. A titolo
di esempio Dawkins cita l'idea di Dio, un meme capace di porre profonde radici nell'animo umano perchè,
fornendo una risposta ad inquietanti interrogativi che l'individuo si pone sulla propria esistenza, esercita
una forte attrattiva psicologica.
A volte i memi si raggruppano in pacchetti di memi, analogamente a quanto accade per i geni che in
questo modo formano i cromosomi. L'appartenenza ad un pool memico può aumentare la forza
competitiva del singolo meme membro. In certi casi i memi del pool si rinforzano reciprocamente; a tal
riguardo Dawkins porta l'esempio del meme di Dio e del meme dell'inferno; in altri casi un meme debole,
appartenendo ad un pool in cui v'è un meme forte, mutua forza vitale dal meme più forte al quale appare
17 LORENZ, L'altra faccia dello specchio. Per una storia naturale della conoscenza, Milano, 1991, 379 (ed.
or. Die Ruckseite des Spiegels, Munchen, 1973); DAWKINS, op. cit., 209.
18 DAWKINS, op. cit., 202 e ss.
19 A causa della morte di quell'individuo oppure, nonostante la persona rimanga in vita, a causa di una
malattia che produca una degenerazione cerebrale.
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associato: sempre a scopo esemplificativo Dawkins cita l'esempio del meme di Dio e del meme dell'arte
gotica.
Il discorso di Dawkins appare in alcuni punti troppo sintetico, in altri lacunoso. Dawkins non illustra in
modo chiaro ed esauriente i fattori che rendono un meme fecondo e psicologicamente attraente. A prima
vista l'accettabilità del meme e quindi il suo successo riproduttivo sembrerebbero dipendere innanzitutto
dalla sua compatibilità con l'ambiente culturale in cui esso deve impiantarsi, ovvero con gli altri memi
già presenti nel cervello di quei soggetti con i quali il nuovo meme viene a contatto. A ben vedere però in
questo modo il problema non viene risolto bensì semplicemente riformulato: un meme non ha successo
perchè risulta incompatile con un meme rivale più forte. Il meme rivale è più forte perchè tale è di per sè
oppure perchè trae forza dall'appartenenza ad un certo pool memico.
Ma quali sono i caratteri che rendono il meme rivale più forte? Per il gene la risposta è semplice:
sopravvive e si diffonde, a spese del gene rivale, il gene che determina una caratteristica morfologica o
psichica fonte di un maggiore adattamento dell'organismo portatore all'ambiente in cui vive e quindi di
un incremento delle sue possibilità di sopravvivere, riprodursi e diffondere i propri geni. Per il meme il
criterio del vantaggio adattivo è inutilizzabile perchè molti memi non danno luogo ad alcun vantaggio
adattivo, mentre altri addiritttura lo diminuiscono: in questo senso il meme della castità è esemplare.
Un primo importante fattore che influisce sulla accettabilità di un meme emerge a mio parere se si tiene
conto dei risultati e delle conclusioni dell'etologia umana. Gli etologi2 0 spiegano il comportamento
animale ipotizzando alla base di esso una sequenza, chiamata azione istintiva, composta da un
comportamento appetitivo, dall'apparizione di uno stimolo scatenante, dall'intervento, con funzioni di
selezione e disinibizione, di un meccanismo scatenante innato e dalla attuazione di un comportamento
consumatorio. Il sistema nervoso centrale dell'organismo produce continuamente uno stimolo endogeno
che induce il comportamento appetitivo, un comportamento cioè di ricerca attiva dello stimolo scatenante.
Il comportamento appetitivo negli organismi più semplici consiste in una inquietudine motoria
dell'animale, una locomozione non orientata; negli organismi più complessi invece esso fa entrare in
gioco le prestazioni superiori dell'apprendimento e dell'intelligenza. Quando l'organismo incappa nello
stimolo esterno, i suoi sensi lo percepiscono, il meccanismo scatenante innato lo riconosce e disinibisce
il modulo comportamentale innato appropriato per quella situazione. Il modulo comportamentale così
disinibito scarica l'impulso generato dal comportamento appetitivo e pertanto viene chiamato
comportamento consumatorio.
Il meccanismo scatenante innato è un filtro neuronale interno che riconosce una certa situazione
ambientale biologicamente rilevante e disinibisce, cioè fa entrare in azione, il comportamento
consumatorio appropriato per quella situazione. Il meccanismo scatenante disinibisce un certo
comportamento ed al tempo stesso inibisce un comportamento diverso da quello disinibito. L'animale che
tentasse di porre in essere un comportamento diverso da quello disinibito andrebbe soggetto ad una
pressione psichica insopportabile che lo indurrebbe a ritornare al comportamento consumatorio2 1.
Gli etologi umani2 2 sostengono che anche nell'uomo esistono predisposizioni innate a tenere certi
comportamenti che operano secondo lo schema dell'azione istintiva. Il sistema nervoso centrale genera
degli impulsi che spingono l'uomo ad un comportamento appetitivo, di ricerca attiva di certe situazioni
20 LORENZ, L'etologia. Fondamenti e metodi, Torino, 1990 (ed. or. Vergleichende Verhaltensforschung:
Grundlagen der Ethologie, Wien, 1978); IMMELMANN, Introduzione all'etologia, Torino, 1988 (ed. or.
Einfuhrung in die Verhaltensforschung, Berlin, 1983).
21 L'affermazione vale per l'animale in libertà; l'uomo, sottoponendo l'animale ad un addestramento, può
modificare alcuni comportamenti innati.
22 EIBL-EIBESFELDT, opp. cit.
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biologicamente rilevanti; il meccanismo scatenante innato, davanti ad un certo stimolo esterno,
disinibisce il comportamento consumatorio appropriato, inibendo al tempo stesso un comportamento
diverso. Il meccanismo scatenante innato opera mediante stimoli psichici.
Rispetto agli animali, quasi completamente soggetti ai comportamenti innati, l'uomo presenta una
importantissima e fondamentale differenza. Grazie alla particolare conformazione del suo cervello, l'uomo
è in grado di controllare i comportamenti innati e di affrancarsi da essi. In presenza di uno stimolo
scatenante, l'uomo può scegliere se porre in essere il comportamento consumatorio oppure un
comportamento diverso. L'uomo si pone un obbiettivo, valuta mentalmente come perseguirlo ed agisce di
conseguenza, scegliendo in una certa situazione se porre in essere un comportamento conforme alle proprie
predisposizioni innate oppure un comportamento diverso. Davanti al cibo una persona, nonostante la
fame, è in grado di scegliere se mangiare oppure fare dieta per migliorare il suo aspetto fisico o la sua
salute: lo stimolo cibo spinge l'individuo affamato a mangiare; la capacità di affrancarsi dagli istinti gli
permette di rinunziare per perseguire un fine,un migliore aspetto fisico o una migliore salute, che in quel
momento non si traduce in uno stimolo capace di scatenare un comportamento innato diverso dal
mangiare.
L'animale non ha la capacità di affrancarsi dai comportamenti istintivi2 3. L'animale affamato, in
condizione di libertà, si avventa sul cibo, a meno che la presenza contemporanea di un diverso stimolo
scatenante non determini un diverso e prioritario comportamento consumatorio: la presenza di un'aquila
induce la marmotta affamata ad abbandonare il cibo ed a rifugiarsi nella tana.
Il cervello umano controlla le predisposizioni innate ma non ha eliminato le conseguenze psichiche del
loro operare. L'uomo può scegliere se tenere o non tenere un comportamento conforme ad una
predisposizione innata: il mancato compimento di esso dà però luogo ad una situazione di malessere
psichico, di frustrazione, di depressione; l'attuazione del comportamento innato produce invece uno stato
di benessere psichico, di soddisfazione, di euforia2 4. A titolo di esempio penso alla pulsione sessuale. Il
soddisfacimento di tale pulsione istintiva genera soddisfazione e benessere psichico; il mancato
soddisfacimento, specie in presenza di stimoli esterni in tal senso, comporta disagio ed a lungo andare
può produrre vere e proprie situazioni di squilibrio psicologico.
Dal quadro illustrato emerge un potente fattore capace di incidere profondamente sulla fecondità di un
meme e sull'attrattiva psicologica da esso esercitata. L'uomo ha una innegabile predisposizione a cercare le
situazioni che gli procurano benessere e ad evitare le situazioni che gli causano malessere. Il meme che
induce un comportamento conforme alla predisposizione innata risulta in ultima analisi associato ad una
sensazione di benessere e quindi sarà psicologicamente più accettabile, più attraente e, una volta
impiantatosi, più radicato; al contrario un meme che induce un comportamento contrario ad una
predisposizione innata appare associato ad una sensazione di malessere e quindi psicologicamente meno
attraente. In sintesi quindi la fecondità, l'attrattiva psicologica e quindi la forza di un meme sono
proporzionali al grado di conformità del comportamento indotto dal meme ad un comportamento innato
ed inversamente proporzionali al grado di non conformità del comportamento indotto dal meme al
comportamento innato.
Fra le tendenze innate all'opera nell'uomo, due predisposizioni geneticamente programmate assumono ai
nostri fini una rilevanza autonoma, in quanto si rivelano fattori capaci di incidere sulla fecondità di ogni
meme.
23 EIBL-EIBESFELDT, Etologia umana cit., 58. Una limitata capacità di affrancare il comportamento dagli
istinti compare nei mammiferi.
24 MASINI, Motivazioni ed emozioni, in CESA BIANCHI, MASSIMINI, POLI, Psicologia generale, Bologna
1989, 347.
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L'uomo ha una tendenza innata a non discostarsi da sequenze comportamentali e modi di procedere che ha
appreso e che ha sperimentato essere fruttuosi o comunque privi di implicazioni pericolose: una tendenza
che viene comunemente definita abitudine2 5. Dal punto di vista adattivo, l'abitudine è facilmente
giustificabile: attenersi ad un modo di procedere che si è dimostrato privo di pericoli è un comportamento
che garantisce maggiori possibilità di sopravvivere e riprodursi rispetto ad un atteggiamento di continua
ricerca del nuovo. La ripetizione genera soddisfazione e benessere; la devianza genera paura, insicurezza.
Nel mondo della cultura, la tendenza umana all'abitudine dà luogo ad un attaccamento ai concetti appresi,
alla tradizione. Il meme già impiantato, a parità del grado di conformità al comportamento innato, risulta
più forte del nuovo meme. La forza che la tradizione oppone ai cambiamenti è del resto ben nota ai
giuristi2 6.
La seconda tendenza innata rilevante è l'inclinazione dei membri di un gruppo a mantenere l'identità del
gruppo conformandosi alle usanze ed alla cultura di questo ed opponendosi agli eventuali atteggiamenti
devianti. Una inclinazione sviluppatasi sotto la pressione della selezione naturale perchè rivelatasi un
carattere comportamentale vantaggioso per la sopravvivenza e la riproduzione dei suoi portatori: ai fini
della sopravvivenza di un gruppo è importante che ciascun membro sia in grado di prevedere il
comportamento degli altri. L'osservanza delle usanze del gruppo sopperisce a questa esigenza2 7.
L'attaccamento innato alla propria cultura, alle proprie tradizioni si traduce nuovamente in un fattore che
ostacola i cambiamenti e quindi il radicamento e la diffusione di nuovi memi, specie se vengono percepiti
come memi stranieri, di altri gruppi2 8.
Infine la diffusione di un meme dipende dal suo grado di conoscibilità. Una buona idea, per quanto possa
essere feconda, non avrà possibilità di riprodursi e diffondersi se rimane chiusa nel cervello in cui è nata.
Un nuovo meme originale illustrato su più riviste a grande tiratura, in più lingue internazionalmente
diffuse ha ovviamente maggiori possibilità di riprodursi rispetto al meme esposto in lingua provenzale in
un giornale locale. La conoscibilità del meme dipende in sintesi dal mezzo e dalla lingua di
comunicazione utilizzati per esporlo.
Longevità, conoscibilità, fedeltà di copiatura, fecondità ed attrattiva psicologica sono variabili legate da
un particolare rapporto di dipendenza: ogni variabile condiziona l'operatività della variabile successiva
mentre non accade il contrario. Il meme conoscibile, fedelmente riproducibile, fecondo e psicologicamente
attraente, non prevale se non sopravvive abbastanza a lungo da riprodursi. Immagino il caso dello
scienzato che ha un'idea feconda e psicologicamente attraente, la espone per iscritto in una lingua
facilmente intelleggibile, in modo chiaro e comprensile su un quaderno per gli appunti eppoi, terminata la
redazione della nota, perisce nel rogo della propria casa, rogo in cui brucia anche il quaderno che contiene
la nuova idea. L'idea, è evidente, va perduta e dovrà essere nuovamente concepita.
Il meme longevo, perchè illustrato in libro, fedelmente riproducibile, fecondo ed attraente ma esposto in
una lingua sconosciuta non si riproduce e non si diffonde sebbene duri a lungo, quanto il libro: la non
conoscibilità dunque non condiziona la longevità ma incide sulla fedeltà di copiatura, sulla fecondità e
25 Sull'abitudine quale comportamento innato che agisce come fattore che preserva l'invarianza della cultura
LORENZ, L'altra faccia dello specchio cit., 330.
26 WATSON, The Evolution of Law, Baltimore, 1985; Id., La formazione del diritto civile, Bologna, 1986, 253;
Id., Il trapianto di norme giuridiche, Camerino, 1984, 83; ATIAS, Teoria contro arbitrio; Milano, 1990, 120.
27 EIBL-EIBESFELDT, Etologia umana cit., 210.
28 LORENZ, L'altra faccia dello specchio cit., 362; ANCEL, Utilità e metodi del diritto comparato, Camerino,
1974, 71 (ed. or. Utilité et méthodes du droit comparé, Neuchatel, 1971) parla di sentimenti di xenofobia e di
naturale sfiducia del giurista per le norme di origine straniera.
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sulla attrattiva psicologica.
L'idea feconda e psicologicamente attraente, esposta in un libro in lingua inglese ma in modo poco
comprensibile viene letta e facilmente fraintesa: la fedeltà di copiatura non incide sulla longevità e sulla
conoscibilità dell'idea ma condiziona l'operatività della fecondità e dell'attrazione psicologica di essa. In
altre parole l'idea meno fedelmente riproducibile sopravvive ma, mutando, e quindi perdendo la propria
identità, al momento della replicazione, non si riproduce e non si diffonde.
Infine una idea poco feconda e psicologicamente poco attraente può essere esposta in un libro, espressa in
una lingua conosciuta e diffusa ed in modo chiaro e comprensibile: la fecondità e l'attrazione psicologica
non incidono sulla longevità, sulla conoscibilità e sulla fedeltà di copiatura.
L'evoluzione del diritto.
Gli uomini, giuristi e non giuristi, producono continuamente nuove idee, nuove soluzioni giuridiche.
Una soluzione giuridica è un prodotto culturale e quindi un meme che, per via del settore culturale di
appartenenza, può essere definito meme giuridico. Il nuovo meme giuridico, per dare luogo ad una
mutazione del diritto, un singolo passo sulla strada dell'evoluzione, deve sopravvivere, riprodursi,
diffondersi, radicarsi e prevalere.
Un meme giuridico prevale quando la dottrina, od almeno la maggior parte di questa, aderisce alla nuova
soluzione facendo di essa la norma che vorrebbe veder applicata, sostenendola in sede saggistica e
didattica; i giudici, od almeno la maggior parte di essi, recepiscono ed applicano la nuova soluzione; il
legislatore accoglie in una disposizione di legge la nuova soluzione; una Corte Suprema di un
ordinamento anglo-americano recepisce ed applica in una propria decisione la nuova soluzione.
La prevalenza di un nuovo meme giuridico è ostacolata dalla eventuale presenza di un meme rivale: può
accadere che la nuova soluzione giuridica copra una lacuna ed in tal caso avrà sicuramente vita più facile.
Considerato però l'attuale sviluppo del diritto e più in generale della cultura umana, è ragionevole
affermare che l'ipotesi di una nuova soluzione giuridica priva di memi rivali è molto più rara rispetto
all'ipotesi opposta. Occorre infatti tenere presente che il meme rivale di una nuova soluzione giuridica non
è necessariamente un'altra soluzione giuridica espressa, ma può essere una soluzione giuridica
implicitamente derivante da un meme non giuridico ma capace di condizionare una eventuale scelta
giuridica espressa: alcune norme giuridiche sono neutre sotto il profilo ideologico, economico, etico;
alcune norme giuridiche presuppongono invece una certa scelta in tal senso. Può dunque accadere che una
soluzione giuridica collegata ad una certa scelta ideologica, etica od economica si scontri non tanto con
una espressa soluzione giuridica opposta, inesistente, bensì con un meme etico, ideologico od economico
diverso dal meme etico, ideologico od economica a cui essa si ispira. Per esempio nessuna norma del
codice civile italiano sanziona la inosservanza ingiustificata della promessa fatta ad un amico di
accompagnarlo al cinema; ma una norma giuridica che obbligasse alla inosservanza ingiustificata della
promessa di accompagnare un amico al cinema, presupponendo una scelta etica di poca considerazione per
l'amicizia e per la promessa, entrerebbe in conflitto non con un meme giuridico opposto specifico, in
quanto l'obbligo giuridico di ottemperare a tale promessa non esiste, ma con il meme etico che considera
un valore il rispetto della promessa fatta ad un amico.
L'esistenza contemporanea di due memi rivali innesca una competizione. Il meme più forte prevale sul
rivale. Il meme perdente potrà sopravvivere per un certo tempo ed eventualmente avere una certa
diffusione nella dottrina ma non prevale, non diviene la norma giuridica applicata o di cui si auspica
l'applicazione: la risposta errata di uno studente all'esame viene immediatamente dimenticata; una certa
teoria non condivisa potrà ancora essere citata per un certo numero di volte, ma a fini di critica. Con il
tempo il meme perdente è condannato ad essere ricordato solo più a scopo di ricostruzione storica o
addirittura a passare nell'oblio.
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Il meme più forte, e quindi destinato a prevalere, è il meme più longevo, in quanto esposto in supporti
materiali che durano più a lungo nel tempo, più conoscibile, perchè esposto con mezzi ed in una lingua
tali da renderlo più accessibile ad un maggior numero di persone, più fedelmente riproducibile, in quanto
illustrato in modo chiaro, più fecondo e psicologicamente attraente, in quanto fonte di un comportamento
maggiormente conforme ad una predisposizione innata umana. Se il meme rivale è più vecchio, già
radicato e considerato più nazionale dell'altro, l'abitudine e la tendenza a difendere l'identità culturale del
gruppo, traducendosi in forza della tradizione, giocano a sfavore del nuovo meme: a parità di longevità,
conoscibilità, fedeltà di copiatura, fecondità ed attrattiva psicologica, il meme più vecchio e radicato
tenderà a spuntarla.
La forza dei memi rivali va valutata non solo considerando i memi presi isolatamente ma tenendo conto
dell'eventuale appartenenza dei memi rivali a pool memici, una condizione dalla quale può discendere un
aumento di forza. Alcune norme giuridiche infatti sono neutre sotto il profilo ideologico, economico
oppure etico; alcune norme giuridiche presuppongono invece una certa scelta in tal senso. La soluzione
giuridica che implica una certa scelta ideologica, etica od economica in termini evoluzionistici risulta un
meme giuridico associato ad un meme non giuridico in un pool memico: in tali casi, a causa dei
meccanismi di rafforzamento reciproco o di attribuzione di forza da parte del meme più forte al meme
associato più debole, il meme giuridico può risultare più forte rispetto a quanto lo sarebbe se non facesse
parte del pool.
Il prevalere di un nuovo meme giuridico determina una mutazione del diritto. Una mutazione del diritto è
un passo lungo il cammino dell'evoluzione del diritto. Il diritto è dunque protagonista di un processo
evolutivo privo di una consapevole pianificazione da parte dell'uomo, basato sulla prevalenza differenziale
di unità replicanti: la selezione fa prevalere il meme giuridico più forte, perchè più longevo, conoscibile,
fedelmente riproducibile, fecondo, psicologicamente attraente, nonchè maggiormente favorito dalla forza
della tradizione rispetto al meme rivale2 9.
Conclusioni.
Il modello evoluzionistico illustrato, a mio avviso, fornisce un prezioso ausilio ai giuristi: esso dà la
possibilità di osservare il fenomeno giuridico da una prospettiva complementare rispetto a quella in cui i
giuristi solitamente si pongono. I giuristi hanno sempre prestato poca attenzione ai profili naturalistici
dell'evoluzione del diritto, preferendo concentrarsi sull'analisi dei fattori giuridici e culturali alla base di
tale processo. L'approccio evoluzionistico allo studio del diritto illustrato nel capitolo precedente mostra
le leggi ed i fattori biologici che concorrono a determinare i mutamenti giuridici, evidenziando in
particolare il ruolo giocato dalle predisposizioni innate dell'uomo. Con ciò non voglio certo affermare che
il grado di conformità di una norma giuridica ad una predisposizione innata è l'unico fattore da cui
dipende una mutazione giuridica: sicuramente però in certi casi esso è una delle concause.
29 Il discorso fin qui condotto poco dice su come e perchè nasce il meme. Una scelta voluta. Il meme è il
prodotto di un processo cognitivo della mente umana. Lo studio dei processi cognitivi, del modo con cui la
mente umana elabora i concetti è oggetto di studio di una particolare branca della psicologia: la psicologia
cognitiva. E' ragionevole pensare che i dati raccolti dalla psicologia cognitiva potranno in futuro svelare le
regole naturalistiche in base alle quali la mente umana produce i concetti giuridici, chiarendo in particolare gli
eventuali profili innati, geneticamente determinati, di tale attività cognitiva. Per una introduzione alla
psicologia cognitiva TABOSSI, Intelligenza naturale e intelligenza artificiale, Bologna, 1994; ipotesi del
modo con cui la mente umana elabora i concetti e più in generale dei processi cognitivi sono state proposte da
JOHNSON-LAIRD, Modelli mentali. Verso una scienza cognitiva del linguaggio, dell'inferenza e della
coscienza, Bologna, 1988 (ed. or. Mental Models. Towards a Cognitive Science of Language, Inference and
Consciousness, Cambridge, 1983); da FODOR, La mente modulare, Bologna, 1988 (ed. or. The Modularity of
Mind. An Essay on Faculty Psychology, Cambridge (Mass.), 1983); e da KARMILOFF-SMITH, Oltre la mente
modulare. Una prospettiva evolutiva sulla scienza cognitiva, Bologna, 1995 (ed. or. Beyond Modularity. A
Developmental Perspective on Cognitive Science, Cambridge (Mass.), 1992).
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La presenza nell'uomo di predisposizioni innate sembra rendere il suo comportamento in parte
prevedibile: si potrebbe logicamente concludere che posta l'esistenza di un certo comportamento innato e
la contrarietà ad esso di una certa soluzione giuridica, la norma giuridica che accoglie quest'ultima è
destinata a scomparire; al contrario una norma giuridica che impone un comportamento conforme ad una
predisposizione innata dovrebbe, se sopravvive e si diffonde, prevalere. Un tale modo di procedere
presuppone l'immutabilità dell'uomo. L'etologia descrive il comportamento umano come è e come si è
formato, ma non ci dice nulla di certo su come esso sarà un domani. In futuro le caratteristiche dell'uomo
potrebbero cambiare. Una mutazione genetica, casuale o indotta, che sganci l'uomo da questo o quel
condizionamento derivante dalle predisposizioni innate farebbe ovviamente cadere ogni previsione sulle
possibilità di prevalenza di una norma giuridica basata sul grado di conformità del meme giuridico alle
predisposizioni umane innate.
Infine occorre ricordare che fino ad oggi l'evoluzione del diritto, al pari dell'evoluzione della cultura, è
avvenuta in modo non pianificato consapevolmente dalla mente umana. Nulla autorizza a concludere che
le cose continueranno così anche nel più lontano futuro: la conoscenza delle leggi che governano il
processo evolutivo del diritto potrebbe porre nelle mani dell'uomo i mezzi per controllare lo sviluppo
futuro del diritto.
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