Istituto MEME: DONNE, CRIMINE E disINFORMAZIONE

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Istituto MEME: DONNE, CRIMINE E disINFORMAZIONE
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
DONNE, CRIMINE E disINFORMAZIONE
Scuola di Specializzazione in: Scienze Criminologiche
Relatore: dr.ssa Jacqueline Monica Magi
Tesista Specializzando: dr.ssa Barbara Bargigli
Anno di corso: Secondo
Modena: 7 settembre 2013
Anno Accademico: 2012 - 2013
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Barbara Bargigli – SST in Scienze Criminologiche (secondo anno) A.A. 2012 - 2013
INDICE DEI CONTENUTI
INTRODUZIONE
pag. 3
PRIMO CAPITOLO
Il ruolo sociale delle donne
pag. 8
Le donne cri minali
pag. 13
Donne e serial killer
pag. 17
La vitti mologia e il sesso debole
pag. 23
SECO NDO CAPITOLO
Cri minalità e mass media
pag. 27
I mass media e la fi gura della donna
pag. 30
Dentro la noti zia
pag. 33
TERZO CAPITOLO
La donna nell’i mmagi nario collettivo: vittima o carnefice? pag. 36
Media e stereotipo di genere
pag. 39
Infor mazione e disin for mazione
pag. 41
CONCLUSIONI
pag. 44
BIBLIOGRAFIA
pag. 47
SITOGRAFIA
pag. 49
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INTRODUZIONE
Il presente lavoro intende porre in evidenza il tema delle donne
criminali correlato all’importanza dei mass media, intesi come quel
contenitore d’informazione che quotidianamente viene riversato sulla
popolazione al fine di influenzarne idee, posizioni psicologiche e
opinioni.
Nella nostra società il crimine è così spesso al centro della notizia
da divenire l’estremo protagonista dei var i generi televisivi seriali, di
attualità e di diffusione informativa. Basta fare un po’ di zapping per
rendersi conto di come scomparse, sangue e omicidi siano oramai gli
ingredienti principali di molti programmi, ridotti a quell’equazione
vincente data d al connubio sangue-audience.
Invero i mezzi di comunicazione quali la stampa e la televisione
concorrono in maniera pressoché decisiva alla formazione dell’idea di
cosa sia il reato e di quanto lo Stato faccia per reprimerlo, dando
origine a sentimenti di fiducia o di sfiducia nelle capacità di reazione
alla delinquenza da parte delle istituzioni nonché a un dato consenso o a
una certa disapprovazione nei confronti delle scelte statuali in tema di
giustizia penale. 1
Tali risposte nient’altro sono che la co nseguenza del modo con il
quale viene presentata la notizia.
La stampa, ad esempio, può non riuscire nell’intento di dire alla
gente cosa pensare ma sicuramente è in grado di trasmettere ai suoi
lettori le priorità attentive inerenti ai temi da focalizzare .
Il punto chiave della presente tesi ruota attorno al gioco di parole
informazione-disinformazione. Mentre la prima consiste nella divulga zione di elementi utili al fine di rendere edotti i suoi recettori riguardo
1
Forti G. e Bertolino M., La televisione del Crimine. Atti del Convegno “La rappresentazione televisiva
del crimine”. 2005, Vita e Pensiero edizioni. Pag. 193.
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specifici argomenti, la seconda si verif ica in presenza di inesatta, scarsa
o mancata propagazione di notizie.
Il problema legato alla predilezione dei mass media per gli eventi
di maggiore interesse e clamore si concretizza nella t endenza data
dall’invertire i dati numerici della criminalità, r isultanti dal rilevamento
giudiziario, a favore di alcuni reati gravi di scarsa frequenza. Tale
inclinazione va a discapito di crimini più numerosi la cui gravosità
sociale non è correlata al singolo evento criminoso ma alla somma degli
stessi. 2
Pertanto, televisione e stampa tendono a non occuparsi del crimine
come fenomeno criminale ma come fatto individuale, con una conse guente selezione distorsiva delle notizie.
In Italia, come accennato in apertura, i fatti di cronaca sono da
sempre l’ossatura dei con tenitori informativi. Quello che desta maggior
interesse, e per il quale credo sia importante spendere qualche parola, è
il cambiamento di tendenza che si è registrato dal 2010, anno nel quale è
stato raggiunto l’apice delle notizie relative ai reati alla persona, con
un particolare interesse rivolto alla vicenda della piccola Sarah Scazzi:
da allora si preferiscono casi specifici e lunghi rispetto ai più generici .3
2
3
Forti G. e Bertolino M., La televisione del Crimine. Atti del Convegno “La rappresentazione televisiva
del crimine”. 2005, Vita e Pensiero edizioni. Pag. 182
Come si evince consultando il sito http://www.demos.it/a00551.phpdove dove viene riportato il
monitoraggio periodico, realizzato da Demos e Oss. di Pavia, inerente alle diverse facce dell’insicurezza.
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Le persone che si sentono più insicure rispetto al fattore criminal e
sono soprattut to donne e casalinghe, travolte da un pervasivo senso di
angoscia che le accompagna nella loro quotidianità.
Donne considerate ancora una volta il sesso debole, fragile e
sensibile.
I fatti criminali garantiscono ascolto, interessano e attraggono gli
italiani. Ne sono un esempio i format d’inchiesta, primo fra tutti il
programma condotto da Salvo Sottile, Quarto Grado , in onda con
successo ormai da qualche anno e che si occupa dei casi di cronaca nera
che più hanno scosso e appassionato l’opinione pubblica .
Quasi come fosse un serial tv, puntata dopo puntata vengono
svelati
dettagli
mancanti,
recenti
sviluppi
e
nuove
piste
in
una
progressiva e continua ricostruzione del delitto capace di catapultare il
pubblico nell’intimo della vicenda, tenendolo incollat o allo schermo fino
alla soluzione del mistero.
E’ in tale contesto che posso inserire il problema della criminalità
femminile, da sempre posta al margine dell’interesse di criminologi e
sociologi che, perlopiù uomini, hanno trovato e trovano difficile
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ammettere l’esistenza del crimine in rosa.
La violenza è convenzionalmente considerata una peculiarità
esclusiva dell’universo maschile: le donne e i bambini ne sono le vittime
poiché,
come
da
tradizione,
non
appartiene
loro
un’educazione
improntata sull'aggressività bensì sulla passività.
Donne, quindi, ritenute le vittime dell’informazione, coloro che
vengono travolte dalla notizia in una tempesta emozionale procurata da
quel vortice di rappresentazioni mediatiche del crimine che danno forma
e modulazione emotiva alla nostra esperienza.
L’ombra del rischio viene così proiettata all’esterno, riducendo
l’informazione in disinformazione.
Da tale concetto prende avvio il presente lavoro: nel primo
capitolo sarà trattato il tema del ruolo sociale del cosiddett o sesso
debole nonché del numero oscuro che ruota attorno al crimine al
femminile, ovvero di quell’intervallo tra i reati denunciati e quelli
realmente commessi che identifica l’atto criminale posto in essere ma
non
rilevato
ufficialmente.
Questo
valore
co stituisce
il
limite
metodologico della ricerca criminologica avente per oggetto lo studio
della
devianza
e
della
relativa
percezione
operante
sull’opinione
pubblica. L’uomo nasce dalla donna e l’idea che la stessa possa essere il
nemico fa paura.
Nel
secondo
capitolo
sarà
inserita
la
questione
dei
mezzi
d’informazione. I mass media, soprattutto la televisione, incarnano nella
società attuale la principale fonte di divulgazione di notizie sulla
giustizia penale, con una conseguente visione distorta del prob lema
sociale valutato in base allo spazio dedicato e occupato dalla notitia
criminis.
Nel terzo e ultimo capitolo, costruzione e decostruzione della
realtà mediata inserita nell’ambito di reciprocità tra media e audience.
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Per il comune cittadino, non esse ndo possibile un costante controllo
inerente all’esattezza della realtà proposta dalle agenzie d’informazione,
diviene facile incorrere in un quadro manipolato del reale. Il tutto
connesso al crimine in rosa, dove la donna è solitamente considerata
vittima anziché carnefice.
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PRIMO CAPITOLO
IL RUOLO SOCIALE DELLE DONNE
L’evoluzione del ruolo e dello status della donna nel corso dei secoli ha
mutato sensibilmente la nostra società nella sua struttura più intima e
profonda.
Quando parliamo di emancipazione femminile è bene soffermarsi sul
significato etimo del termine.
Dal latino, affrancamento dalla schiavitù , prende avvio un parallelo che
vede le donne ridotte in una situazione di costrizione morale e fisica,
animate di proprietà altrui.
Lo schiavo, annichilito e privo di diritti, è soggetto al libero arbitrio del
padrone circa il suo utilizzo, divenendo una vera e propria merce di
compra-vendita.
A fronte di tale illustrazione credo di poter affermare che la donna non si
sia mai trovata in una simile condizione : gli usi e le leggi le hanno da
sempre dato dei diritti/doveri e dei ruoli precisi. Invero, non poteva
essere venduta o comprata ed era detentrice di rispetto, soprattutto in
quanto madre. 4
Le donne, però, hanno e hanno avuto ruoli diver si da quelli degli uomini.
In particolare si sono rese responsabili nel dare assistenza ai familiari, ai
conviventi e agli amici, divenendo protagoniste autorevoli dello sviluppo
sociale.
Da sempre brave nel gestire famiglia e affari, già al tempo dell’et à della
pietra stavano dentro le caverne occupandosi dei cuccioli nonché di
tramutare quanto cacciato dall’uomo in qualcosa di commestibile,
utilizzando
4
i
prodotti
degli
animali
come
pelli
per
coprirsi
http://www.giovannidesio.it/donne08.asp da “Il ruolo della donna nella storia delle società”.
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e
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recuperando tutto quello che poteva risultare utile alla sopravvivenza. 5
Nell’excursus storico che ci ha condotto ai giorni d’oggi, quando
pensiamo alla civiltà arcaica troviamo il matriarcato quale punto focale
di tale realtà.
La donna, infatti, era la regina della famiglia e della comunità,
paragonata alla madre terra quale generatrice di vita e potente forza
della natura. 6
Nell’antica Roma, ad esempio, erano le mogli degli imperatori le vere
protagoniste della politica, tessendone le trame nell’ombra.
Le donne erano potenti e libere fino all’avvento d el Medioevo, periodo
nel quale l’essere femminile era visto in una dualità estrema: angelico e
spirituale o stregonesco e maligno.
Nel Seicento la paura della forza al femminile aveva dato origine a una
sorta di persecuzione, fino a quell’estremo sacrific io perpetuato contro
le streghe al rogo.
Il Settecento vedeva le donne ancora racchiuse tra le mura domestiche o
nelle corti a tessere trame: erano poche le occasioni che le vedevano
protagoniste di un possibile ingresso in società con un ruolo diverso da
quello di future spose e madri.
Da quanto fin qui esposto, attraverso un seppur sintetico excursus storico
e culturale, è stato possibile constatare come la condizione della donna
nella società sia passata attraverso notevoli modifiche nel corso dei
secoli. Influenzati dall’evoluzione giuridica e politica dei popoli e dalla
diversità dei fattori geografici e storici, per molto tempo la donna è stata
5
6
Dalla seguente pagina web, trattante il tema delle donne viste nella loro forza e nel loro valore:
http://www.intrage.it/rubriche/societaeistituzioni/repubblicaitaliana/m_diritti_doveri_cittadino/articol
o387.shtml
Dalla seguente pagina web, trattante il tema delle donne viste nella loro forza e nel loro valore, si
evince come il ruolo della donna all’interno della società sia mutato nel corso della storia in un
excursus che parte dall’età della pietra fino ad arrivare ai giorni nostri.
http://www.intrage.it/rubriche/societaeistituzioni/repubblicaitaliana/m_diritti_doveri_cittadino/articol
o387.shtml
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considerata inferiore all’uomo sul piano economico, civile e giuridico,
rimanendo al margine di tutta una se rie di diritti e di attività ed esclusa
dalla possibilità di amministrare il suo patrimonio senza il consenso del
padre o del marito.
Una svolta in tale campo si è avuta solo dopo la Rivoluzione Francese,
quando Napoleone ampliò la sfera dei diritti delle donne, concedendo
loro di mantenere il proprio cognome anche in caso di matrimonio e
dando
loro
la
possibilità
di
esercitare
autonomamente
attività
commerciali. 7 Inoltre, degne di nota sembrano essere l’abolizione della
disparità di trattamento nella divi sione dell’eredità del patrimonio
familiare così come la non eliminazione della situazione d’inferiorità
dell’universo in rosa dove la donna, anche se sposata, continuava a
camminare
all’ombra dell’uomo, non
potendo intraprendere
azioni
giudiziarie senza l ’autorizzazione del marito.
L’Ottocento ha segnato una svolta importante nel raggiungimento del
suffragio universale femminile, reso possibile grazie ad uno dei primi
movimenti che miravano alla libertà e al raggiungimento della parità dei
diritti delle donne con quelli degli uomini.
In un parallelo con la letteratura di fine Ottocento, possiamo rilevare
come vi sia una nuova visione della donna tanto ribelle alla società
quanto reale.
Come sopra anticipato, il fenomeno sociale in questione ha avuto
ripercussioni
sul
piano
letterario,
proponendo
un
nuovo
modello
femminile che si sostituiva alla figura topica della donna -angelo (tanto
decantata da Dante), passando per la donna pia e devota del Manzoni,
fino a giungere a una donna aggressiva, spesso priva di virtù morali,
fatale e capace di succhiare via l’essenza dell’uomo.
7
https://sites.google.com/site/americanwomanandfashion/home/-american-woman-fashioning-anational-identity/la-condizione-della-donna-e-le-prime-rivendicazioni-femministe
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Il narrare la donna in termini gentili, alata di bellezza, umiltà e nobiltà,
rimarrà pertanto, nel corso dell’Ottocento, solo un ricordo.
Per rendere concreto questo importante cambiamen to letterario, vorrei
citare il romanzo di Flaubert, Madame Bovary, dove la protagonista è
una donna capace di porsi in contrasto con gli ideali romantici e con la
realtà del suo paese, rendendosi artefice di amori extra -coniugali e di
debiti così ingenti da condurla al suicidio. La figura della protagonista è
descritta dall’autore in modo ambivalente, ridicolizzandola nel suo
continuo alternarsi di sogni e di ansia d’amore, ma al contempo del tutto
incapace di gestire la sua vita, illudendosi di essere fe lice solo attraverso
relazioni pericolosi. Madame Bovary, essendo succube degli uomini e
delle circostanze che in lei si succedono, ha solo due possibilità: essere
fedele al marito, seppur per lei una non fonte di soddisfazione, o
lasciarsi andare alla ric erca di amanti. Il suo libero arbitrio, che la
condurrà a commettere adulterio, ci permette di capire l’estrema
differenza tra la figura della donna di quest’epoca e quella delle età
precedenti, a cui si attribuivano virtù angeliche e di fedeltà. 8
E’ proprio per questa ragione che ho deciso di citare il romanzo di
Flaubert. Certo, ancora rimane tanto da fare per un riscatto funzionale
del genere femminile, ma romanzi come quello appena riportato ci
aiutano a entrare in quel mondo in cui l’altra metà del cie lo è stata per
tanto tempo rilegata senza che la sua volontà di affermazione trovasse
ascolto e accoglienza.
A conclusione di quanto fin qui esposto, il Novecento può essere
considerato come il secolo rosa.
Cinque gli anni fondamentali da ricordare:
8

1946: estensione del voto alle donne;

1969: abolizione del reato di adulterio che puniva la moglie e non
http://www.liceoimperia.it/pari_opp/lavori/elaborati/3A_CL_IT_Riflessioni_sull%27evoluzione_della_c
ondizione_della_donna.htm
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il marito;

1970: introduzione del divorzio;

1978: introduzione del diritto all’aborto;

1996: approvazione della legge sulla violenza sessuale.
A oggi la donna è rappresentata come libera, colta, emancipata e
ambiziosa. Giovani donne in evoluzione, decise, sicure, indipendenti,
dinamiche e forti. Aggettivi che solo in un tempo non troppo lontano
erano impensabili da attribuire al genere femminile, al cosiddet to sesso
debole.
Mogli, madri ma anche lavoratrici aventi ruoli sociali importanti: due
linee di tendenza opposte e complementari.
Gli anni passano, la società si evolve e i singoli individui cambiano. E
nella società attuale muta non solo il ruolo della d onna ma anche e
soprattutto il ruolo di chi si pone di fronte alla figura femminile.
La donna viene finalmente vista come membro della società in tutti i
suoi aspetti, quelli di lode e quelli no.
Ed ecco che inizia a essere accettata la figura dell’assas sina seriale,
della sacerdotessa di Satana, della terrorista, della pedofila.
Le ragazzine di una volta sognavano il principe azzurro, le ragazze di
oggi vogliono essere come Lilith, la Dea del Male, o come Kalì, la Dea
della forza femminile, o ancora com e Lady Machbet; insomma amano il
male e sanno sicuramente come evocarlo.
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LE DONNE CRIMINALI
Nel passato, la scarsa presenza di donne criminali era un dato di fatto
che non suscitava particolare interesse: le teorie sulla delinquenza e le
ricerche empiriche relative ai soggetti autori di reato erano infatti
orientate alla spiegazione e all’analisi della sola criminalità maschile.
L’inferiorità statistica di quella femminile era pertanto interpretata come
la conseguenza logica di alcune car atteristiche bio -psichiche date per
certe: debolezza, scarsa coscienza e incapacità di scelta.
L’inizio del processo di cambiamento della condizione femminile nella
società occidentale poteva far pensare a un correlato mutamento della
donna vista come poss ibile autrice di condotte criminali. Questo
particolare aspetto è invece rimasto latente e inalterato, con tassi di
arresti molto bassi e una scarsissima presenza nelle prigioni del
cosiddetto sesso debole.
E’ in questo contesto che entra in gioco il numero oscuro del crimine in
rosa, utile al fine di spiegare quanto finora esposto e dato dalla
commissione di reati posti in essere soprattutto in situazioni ambientali
tali da non permettere una facile e certa rilevabilità, anche solo come
notitia criminis . 9
Nella realtà, al contrario di quanto la disinformazione auspicherebbe, le
donne sono molto più criminali di quanto si possa pensare. Invero i loro
crimini rimangono in larga parte nascosti o non denunciati.
Fin dall’infanzia il genere femminile è pieno d i tutele poste in essere
prima dalla famiglia poi dall’apparato preposto al controllo, e il modello
di vita che viene loro trasmesso non richiede né competizione né scontri
9
Da un articolo consultabile sul sito http://w3.uniroma1.it/dcnaps/bisi/criminalit%E0.htm riportante la
firma dell’autrice Simonetta Bisi e trattante il tema della criminalità femminile e della differenza di
genere, si evince l’importanza del numero oscuro in criminologia e della donna autrice di reato in un
excursus storico e di teorie passate e presenti.
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dimostrativi per l’affermazione della propria identità.
Soprattutto nel passato, i l modello dominante di famiglia sanciva la
passività
della
donna
con
una
conseguente
trasmissione
d’idee
preconcette e di subordinazione all’autorità maschile.
Negli ultimi quarant’anni la condizione sociale della donna, anche sotto
la spinta dei movimenti femministi, è stata al centro di importanti
cambiamenti: il salto culturale, giuridico ed economico ha infatti portato
il sesso debole ad ottenere di diritto il suo pieno ingresso nel corpo
sociale.
In questa cornice decorata da un mutamento profondo dell a condizione
pubblica delle donne, come esposto in apertura, un dato è rimasto
costante: il basso tasso di criminalità femminile.
Lombroso, a tal proposito, sosteneva che i sentimenti “innati” fossero
diversi per gli uomini e per le donne e che la delinqu enza derivasse
proprio dalla trasgressione e dalla deviazione da tale massima. 10
Secondo il sopraccitato autore, infatti, il sentimento più forte attribuibile
alle donne era la pudicizia. Pertanto, tutti gli atti posti in essere contro
tale impulso erano d a considerarsi atti di delinquenza. Ecco spiegato il
nesso stretto che si viene a delineare tra ruolo sociale e devianza:
cambiando i ruoli e le aspettative sociali nei confronti dei due sessi,
muta l’idea e l’attribuzione di “delinquenza”.
E’ allora giusto porsi il seguente interrogativo: le donne criminali sono
realmente così rare o, al contrario, se ne parla poco?
Il tema della percezione è uno degli elementi di maggior interesse così
come di grande ambiguità.
Possiamo a tal proposito addentrarci verso
un nuovo tema: il comportamento dei media nei confronti della
criminalità in senso lato.
Dal punto di vista della quantità, il numero di notizie relative ai fatti
criminali diffuse dai telegiornali italiani è significativamente superiore
10
Come tratto da un articolo dal titolo “La criminalità femminile” dell'autrice Donatella Chicco su
http://www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/7215/1/Chicco_PittaroScuolaPositiva.pdf
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rispetto a quello degli omologhi francesi, tedeschi, inglesi e spagnoli . 11
La conseguenza preoccupante di tale dato è da riscontrarsi nel pubblico e
in una graduale ma significativa mancanza di fiducia verso gli altri e
nelle relazioni sociali. Questo nient’altro è se no n l’amplificazione del
timore che tutto quello che di brutto viene divulgato dai mass media
possa accadere alla propria persona. Televisione e stampa modellano le
opinioni, le attività e le identità dei singoli, interferendo nei rapporti
sociali. Invero, una parte significativa della popolazione non risulta
suscettibile al messaggio negativo, per cui non rimane condizionata da
quello che vede, che sente o che legge. La restante parte, al contrario, è
più sensibile rispetto alla notizia divulgata. E’ il caso di coloro che, ad
esempio, hanno sperimentato sulla propria pelle il contatto con il crimine
ed il delitto o che sono dotati di una particolare sensibilità.
Uscire dagli stereotipi, vincere i pregiudizi e conoscere i problemi al
fine di
porne rimedio, dov rebbe essere la massima della nostra
quotidianità,
del
nostro
muoverci
all’interno
della
società
e
dell’informazione.
Il compito della cultura e della politica, inoltre, dovrebbe essere quello
di cogliere sul nascere il crearsi di problemi, tendenze e fen omeni,
riuscendo nella loro difficile soluzione ancora prima della loro concreta
manifestazione. 12
Almeno fino alla fine degli anni Settanta, il problema della criminalità
femminile ha interessato solo marginalmente la criminologia e la
sociologia, impegna te a rivolgere la loro attenzione alla delinquenza
maschile.
Il ruolo a cui da sempre appare rilegata la donna negli episodi di
criminalità è, nella maggior parte dei casi, quello della vittima o, al
11
Tale dato è stato ripreso dalla consultazione del sito: http://www.fisu.it/risorse/le-domande-dellasicurezza/ dove è presente un approfondimento del tema percezione sicurezza – mass media.
12
Tale dato è stato ripreso dalla consultazione del sito: http://www.fisu.it/risorse/le-domande-dellasicurezza/ dove è presente un approfondimento del tema percezione sicurezza – mass media.
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massimo, della complice. Pur consapevoli del già citato numero oscuro e
pertanto dei limiti quantitativi dei crimini compiuti dal cosiddetto sesso
debole, i giuristi hanno messo in discussione, nel corso dei secoli,
l’opportunità
dell’intervento
penale
contro
le
forme
di
devianza
tipicamente femminili, propone ndo di affidare alla giustizia domestica
del pater familias l’accertamento e la punizione dei comportamenti
illeciti posti in essere.
Appare problematico dimostrare empiricamente l’esistenza di un numero
di reati commessi da donne così alto da eguagliare q uello degli uomini
ma con caratteristiche talmente subdole da eludere il sistema di controllo
sociale e legale.
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DONNE E SERIAL KILLER
Che le donne si rendano autrici di delinquenza e che possano uccidere in
modo efferato è ormai da tempo un dato di fatto.
Nel corso degli anni siamo stati perlopiù portati, nonché ci siamo
ostinati, a negare la presenza della donna criminale solo per paura, paura
di subire il male da quella stessa persona capace di donare la vita e che
dovrebbe accoglierci in ogni momento.
Invero, diversi studi in campo sociologico e psicologico hanno cercato di
scandagliare il perché dei bassi tassi del crimine in rosa.
Le teorie classiche hanno indirizzato la loro attenzione al ruolo
subalterno che la donna, ne l corso dei secoli, ha ricoperto all’interno
della società.
Di
contro,
le
teorie
attuali
hanno
analizzato
il
rapporto
tra
emancipazione femminile e criminalità, cercando di intravederne un
ruolo passivo nel crimine. 13
La donna, per sua natura falsa, è r itenuta capace di fingere l’orgasmo e,
in questa sua versione subdola, di istigare l’uomo alla devianza.
Quando trattiamo una tematica quale quella del serial killer, è bene
definirne il concetto: è considerato tale colui che uccide almeno due
vittime in due eventi distinti e con un periodo di intervallo emotivo.
La causa di tali delitti è spesso la necromania, intesa come perversione
dell’istinto della vita che determina un interesse patologico per la morte.
La criminologia femminista tende ad analizzare solo i casi in cui gli
uomini uccidono sadicamente le donne. Tale filone va a sommarsi a tutti
quegli studiosi e a quelle convinzioni che ho già avuto modo di trattare
nella stesura del presente lavoro e che tendono a sottostimare l’entità
13
Come da consultazione dell'articolo dell'autrice Simonetta Bisi “Criminalità femminile e differenza di
genere” pubblicato sul sito: http://w3.uniroma1.it/dcnaps/bisi/criminalit%E0.htm
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dell’omicidio femminile.
Molti assassini seriali uccidono spinti da impulsi sessuali, ma è anche
vero che non mancano coloro che si rendono autori di delitti per denaro,
gelosia, potere, vendetta o dominio. 14
E’ proprio a quest’ultima cerchia motivazionale che possiamo ricondurre
il comportamento omicidiario seriale femminile.
Solitamente le donne optano per l’uccisione mediante sostanze venefiche
o strangolamento, per ragioni di forza fisica e non solo.
Non sono eccessivamente violente, non torturano le loro vittime pr ima di
ucciderle ma agiscono stordendole.
Al contrario degli uomini, le serial killer non vanno a caccia della preda,
che spesso coincide con familiari o estranei scelti tra i più deboli e
indifesi, ma preferiscono attirarla nella loro tana secondo una tec nica
conosciuta in criminologia come tecnica del ragno.
La maggior parte delle assassine seriali sono cresciute in famiglie
multiproblematiche all’interno delle quali hanno subito una qualche
forma di violenza nel periodo infantile o adolescenziale.
Un ulteriore movente che spinge la donna ad uccidere in serie deriva da
un sentimento di vendetta per i figli perduti o mai avuti. In questi casi le
vittime sono i bambini di parenti, amici o sconosciuti e l’omicidio può
essere determinato da uno dei seguenti f attori:
–
Sindrome di Munchausen per procura: la distorsione psicologica
che sta alla base di questa patologia rende le responsabili molto
brave a camuffare le prove. La particolarità di questa sindrome è
data dal fatto che, anziché fondarsi sulla mancata c ura del minore,
si basa su un’apparente ipercura. L’abusante, generalmente la
madre, induce nel bambino sintomi che richiedono l’intervento
dello specialista: la vittima viene così sottoposta ad analisi e a
trattamenti
14
non
necessari.
La
definizione
più
com pleta
http://favisonlus.wordpress.com/2013/02/27/fenomenologia-del-serial-killer-e-dellomicidio-seriale/
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e
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aggiornata della sindrome in questione è quella di Vennemann
(2005), ovvero “La MSbP è una grave forma di abuso, difficile da
diagnosticare,
caratterizzata
da
simulazione
di
malattia
o
aggravamento riferito o procurato nel corso di una malattia rea le
o provocazioni di sintomi di una malattia in un bambino da parte
di un adulto” . 15
Da
un
punto
di
vista
criminologico,
tutto
ciò
implica
pianificazione, temporalità e monitoraggio.
–
Il complesso di Medea: prende il nome dal mito greco di Medea
che uccise i suoi figli per vendicarsi del tradimento subito dal
coniuge. Alcune donne, poste in una situazione di stress emotivo
con il proprio partner, utilizzano i figli per scaricare la loro
aggressività, arrivando a ucciderli per il solo scopo di far soffrire
e dare una lezione al marito.
La madre in crisi psicotica soffre di un delirio di onnipotenza
omicida che sembra essere fomentato dalla frase: “così come ti ho
dato la vita, posso togliertela!”.
–
Disturbo borderline di personalità: patologia caratterizzata da
instabilità pervasiva dell’umore, delle relazioni interpersonali,
dell’immagine di sé e del comportamento nonché una più generale
anomalia nella percezione della propria identità.
Per i borderline l’azione non è valutata per le conseguenze che può
causare all’esterno: il passaggio all’atto è spesso l’unico modo che
queste pazienti hanno per sentire una propria valenza personale.
–
Disturbo dissociativo dell’identità: quest’ultima è il frutto di un
lavoro di sintesi ed elaborazione di diverse esperienze che
presuppone l’integrazione e l’integrità di funzioni quali memoria e
coscienza. Questa unicità della personalità dell’individuo viene
meno in tale disturbo, tanto da avere diverse entità personologiche
che si vanno a sovrapporsi o ad alternarsi nello stesso soggetto.
15
Definizione ripresa dalla consultazione di un testo pubblicato all’interno della seguente pagina web:
http://www.psicologiagiuridica.com/pub/docs/numero_14/pubblicazioni/recensioni/LA%20FAMIGLIA
%20DISTRUTTIVA.pdf
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E’ tipicamente presente un’identità principale “ufficiale” spesso
passiva, debole e permeata da vissuti di colpa o da sentimenti
depressivi che, in determinate circostanze e condizioni, viene
repressa e sostituita da una o più personalità mascherate e
alternative. 16
–
Istinto morfobiogeno pervertito: descrive le donne seriali aventi
tale
disturbo
come
coloro
che
sono
caratterizzate
da
una
perversione del comportamento materno: “ Invece di donare latte ai
figli che non hanno, offrono veleno alla vitti ma di turno,
uccidendola per bisogno di dominio e avidità di denaro. Sono
donne che non amano nessuno, spesso incestuose, con un passato
da prostitute” (De Pasquali, 55 -56). 17
A conclusione del presente paragrafo vorrei riportare le tipologie delle
donne serial killer 18 che troppo spesso sono oscurate e messe a tacere
all’interno delle notizie e della divulgazione informativa:

La vedova nera , termine utilizzato in criminologia per indicare una
categoria
di
serial
killer
che
agisce
soprattutto
nell’ambito
familiare. Questa definizione deriva dal ragno, la vedova nera
appunto, che ha ispirato la loro denominazione. Tali donne sposano
uomini ricchi e, dopo essersi appropriate delle loro proprietà, li
uccidono,
solitamente
avvelenandoli
o
simulando
incidenti
domestici.
Le vittime non sono esclusivamente mariti o amanti ma anche figli
e parenti anziani. Rari i casi in cui le stesse siano donne: in tal
caso l’assassina colpisce con la motivazione di eliminare una
possibile rivale, tanto in amore quanto per benefici economici.
In Italia possiamo identificare la vedova nera con la serial killer
16
Definizione ripresa dalla consultazione di un testo riportante la firma del dott. Gaspare Costa e
pubblicato sul sito: http://www.disturbipsichici.info/mio%20sito/disturbodissociativodell'identità.html
17
Definizione ripresa dalla consultazione di un testo dell’AIPG pubblicato sul seguente sito web:
www.webalice.it/filibertomaida/.../Donneserialkiller.rtf
18
Le tipologie delle donne serial killer sono state estrapolate dalla consultazione della seguente pagina
web: http://www.psicologiadellavoro.org/?q=content/la-donna-killer
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Milena Quaglini.

L’angelo della morte, detto anche angelo della misericordia, è un
termine utilizzato in criminologia per indicare una categoria di
serial killer, atipica e pi uttosto rara, che agisce nell’ambiente
medico-ospedaliero, comprese le case di cura per anziani, e che è
costituita perlopiù da donne, soprattutto infermiere. Solitamente
ossessionate dal controllo delle vite delle persone di cui si
occupano, tali assassin e uccidono in un irrefrenabile bisogno di
dominio.
Anziani e malati terminali sono quindi le vittime privilegiate di
questa categoria di serial killer che si giustifica dicendo di agire
per pietà, per non far più soffrire i loro pazienti.
In Italia possiamo identificare l’angelo della morte con la serial
killer Sonia Caleffi.

La predatrice sessuale: è il tipo più raro di assassina seriale,
seppur in aumento, che agisce spinta esclusivamente da pulsioni
sessuali. E’ seducente, manipolatrice, astuta, solitam ente di mezza
età e con una dislocazione geografica, quale scena del crimine,
molto varia.

L’assassina per profitto : è un’assassina organizzata, piena di
risorse e attenta. Rivolge le sue attenzioni criminali a soggetti
estranei, con i quali non ha alcun l egame di genere, ed è spinta e
motivata da un tornaconto economico. Agisce sempre da sola e può
essere affiancata alla figura della Vedova Nera seppur con un
importante distinguo: l’assassina per profitto pone in essere un
omicidio con il solo fine di lucr o.

L’assassina in gruppo , detta anche Team Killer, ha solitamente
un’età giovane e agisce in gruppi che possono essere o meno
monosessuali. I suoi delitti sono di solito brutali, efferati e a
sfondo sessuale.

La vendicativa: pone in essere i suoi crimini s pinta da un’ira
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irrefrenabile, talvolta originata o comunque accentuata da disturbi
psichici. Le vittime, perlopiù uccise in un lasso temporale
relativamente breve (con pause talvolta nulle tra un delitto e
l’altro), sono sovente familiari o conoscenti.

L’assassina psicotica è colei che uccide in risposta a un delirio
interiore accompagnato da allucinazioni.

L’assassina per discepolato è colei che uccide quando viene a
trovarsi sotto l’influsso di un leader carismatico che sceglie per lei
la vittima sacrifi cale. Uno dei casi esemplari di tali assassine è
quello che ha visto implicate le seguaci di Charles Manson.
A fronte di quanto fin qui esposto, nonché da recenti statistiche, risulta
che le donne serial killer siano più frequenti nei paesi industrializza ti e
che solo raramente infieriscano sul cadavere con manifestazioni di
overkilling, mutilazioni e aggressioni sessuali (peculiarità solite del
genere maschile).
La criminalità femminile, sia essa seriale o no, è un mondo in larga parte
inesplorato e, pot rei persino osare dicendo, rifiutato da qualcuno. La
donna, proprio come l’uomo, può delinquere ed è capace di macchiarsi di
crimini tanto efferati quanto abnormi. Quello che però non è facile
spiegare è il motivo per il quale i mass media e gli organi di
divulgazione informativa tendano a far passare sotto silenzio dinamiche
criminose così pericolose e sempre più frequenti.
Nell’immaginario collettivo, supportato come appena accennato dai
media e dalle serie tv, la figura dell’omicida seriale è generalment e
maschile. La donna è perlopiù considerata una vittima, e solo raramente
l’autrice. Eppure anche il gentil sesso delinque e uccide seppur con
tecniche e meccanismi non improntati alla criminalità violenta.
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LA VITTIMOLOGIA E IL SESSO DEBOLE
La vittimologia, quale scienza empirica applicata allo studio delle
vittime di reati, coincide con la pubblicazione del libro The Criminal
and His Victim (H. Von Hentig, 1948). Von Hentig è stato il primo autore
a studiare la vittima in modo sistematico, in tutte le sue implicazioni
personologiche, sociali, di relazione con il soggetto agente e di ruolo
nella precipitazione del reato . 19
Per molto tempo gli studi effettuati in relazione al comportamento
antisociale
si
sono
concentrati
esclusivamente
sull’osservazione
e
sull’analisi degli autori di condotte criminali, delle motivazione che li
inducevano a delinquere e delle modalità con le quali ponevano in essere
i loro crimini.
I reati erano pertanto considerati atti antisociali che coinvolgevano la
società
intera,
i ncarnata
quale
vittima
comune,
a
discapito
del
destinatario verso il quale l’azione era diretta ma che, al contempo, era
visto come un componente trascurabile del fenomeno.
A fronte di quanto fin qui esposto, posso definire la vittimologia quella
disciplina che ha come oggetto di studio la sfera bio -psico-sociale della
vittima. Nello specifico, essa analizza il rapporto che quest’ultima ha
avuto con il proprio aggressore, il contesto ambientale (tanto fisico
quanto psicologico) di quello che è la realtà, la fenomenologia della
vittima entro la quale è stata posta in essere l’azione criminale nonché
le conseguenze fisiche, psicologiche e sociali che si ripercuoteranno in
caso di sopravvivenza. 20
Gli scopi della vittimologia sono pertanto diagnostici, preven tivi rispetto
19
Paolo di Martino, Criminologia. Analisi interdisciplinare della complessità del crimine. Prefazione di
Pier Luigi Vigna, Terza Edizione, Bracigliano (SA), 2009, pag. 207.
20
Come da consultazione del testo dall'autore Gabriele Codini dal titolo”Studio delle vittime per
prevenire il crimine” pubblicato sul sito: http://www.supportoallevittime.it/ita/html/vitt_studio.html
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al reato e riparativi poiché viene presa in considerazione in modo
funzionale la parte lesa.
Il
tema
attorno
al
quale
ruota
la
presente
trattazione
è
quello
rappresentato dalla figura della donna, nell’immaginario collettivo
identificata soventemente come vittima anziché carnefice.
Invero,
l’acquisita
femminile
consapevolezza
all’interno
delle
data
moderne
dall’importanza
società
ha
del
ruolo
contribuito
a
sensibilizzare tale fenomeno.
I mass media, giorno dopo giorno, divulgano notizie inere nti al
cosiddetto femminicidio, creando un vero e proprio allarme sociale.
In realtà, almeno in Italia, i dati ufficiali mostrano che non esiste una
tale emergenza. L’omicidio di donne da parte di partner o conoscenti
non è diventata un’epidemia, come potrebbe sembrare seguendo i
telegiornali o la carta stampata, e non è nemmeno in aumento: nel
nostro paese si uccidono meno donne rispetto al resto d’Europa . 21
Informazione che diviene pertanto disinformazione. Politici, giornalisti e
dati statistici, quanto m eno opinabili, hanno contribuito a diffondere una
percezione del fenomeno in questione molto diverso dalla realtà.
Il termine femminicidio non nasce per caso, né tanto meno a seguito
dell’onda emotiva scaturita dai casi mediatici, ma traduce l’inglese
“femicide”, termine usato per indicare gli omicidi ai danni della donna
in quanto tale, ovvero basati sul genere.
Per una serie di stereotipi legati alla nostra cultura e tradizione si è
spesso portati a pensare alle donne come vittime.
A scardinare tale preg iudizio sono però diversi studi che dimostrano
come l’uomo e la donna abbiano le stesse identiche reazioni di fronte ad
uno stimolo. Partendo dall’analisi del mito di Medea (del quale ho già
parlato nella stesura della presente tesi e che vede la madre uc cidere i
suoi figli per vendetta al marito) fino a giungere ai giorni nostri,
dovrebbe risultare facile ripercorrere il doppio binario che vede la donna
21
Quanto riportato è stato ripreso dalla consultazione di un testo riportante la firma dell’autore Davide
de Luca: http://www.ilpost.it/davidedeluca/2013/05/20/i-veri-numeri-sul-femminicidio/ e trattante la
tematica dei veri numeri sul femminicidio.
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tanto vittima quanto carnefice.
Eppure la vittimologia classifica le donne come una categoria a risch io.
Ancora una volta è considerato il sesso debole, al pari di anziani e
bambini.
Cosa succede allora quando la donna diviene artefice di violenza? Queste
le principali forme in cui tale aggressività si canalizza:
–
L’infanticidio: concepito come vendetta ne i confronti dell’uomo
che si ama;
–
Lo stalking: ovvero, l’atteggiamento persecutorio che nelle donne
diventa tanto subdolo quanto ossessivo;
–
L’omicidio seriale: argomento del quale ho avuto modo di parlare
nel precedente paragrafo e che, seppur percentualme nte inferiore
rispetto a quello messo in atto dagli uomini, non è certo meno
efferato e degno di attenzione.
Quando si parla di criminali seriali, le cronache ci hanno abituato a
vedere incriminati nomi maschili. Non sono però mancati i casi al
femminile, come quello di Leonarda Cianciulli, La Saponificatrice di
Correggio, ricordata come la prima serial killer italiana.
E non sono mancate, nella storia criminale del nostro paese, donne come
Maria Bonvecchiato, che hanno ucciso per soldi, o come Caterina Fo rt,
considerata la belva di San Gregorio, protagonista dell’uccisione della
moglie e dei figli del suo amante.
E ancora, donne come la contessa Pia Bellentani che uccise con un colpo
di pistola, di proprietà del marito, l’amante Carlo Sacchi.
Non posso inoltre non citare: Gigliola Guerinoni (La Mantide), Lucia
Mansi (la Narcisita), Sonia Caleffi (l’Angelo della Morte) e donne -boss
come Pupetta Maresca.
Ecco quindi il delinearsi della figura della donna capace di schierarsi e
rischiare in prima persona dim ostrando che, quando ritiene di mettersi in
gioco per alte cause, giuste o sbagliate che siano, procede per quanto ha
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scelto, estremamente determinata anche al costo di impiegare violenza.
La spinta al crimine in rosa, pertanto, esiste: invero è rappresen tato da
una percentuale molto bassa rispetto alla totalità degli assassini (intorno
al 10-15%) ma si deve tenere conto di quanto la maggior parte dei dati
inerenti ai delitti si siano da sempre concentrati sugli uomini. L’atto
violento, infatti, è in compl eta antitesi con il delicato ruolo del sesso
femminile, al quale convenzionalmente non appartengono prerogative di
aggressività, violenza e criminalità.
Risulta evidente che molte interpretazioni sulla violenza fin rosa siano
pertanto state condizionate da lla proiezione di come si pensasse fossero
le donne più che su quello che realmente erano, finendo per analizzare
solo marginalmente i cambiamenti delle condizioni sociali che hanno
modificato la loro personalità.
Spesso la criminalità femminile è definita come mascherata in quanto si
cela dietro l’istigazione o il favoreggiamento, un modo quindi posto in
essere al fine di non esporsi in prima persona.
Secondo molti studiosi le donne commettono lo stesso numero di delitti
degli uomini ma vengono solo raramente scoperte e perseguite.
L’idea della donna che i mass media diffondono non è quella legata al
suo ruolo nella società ma alla sua figura di soggetto di cronaca,
identificata quale vittima, tanto giudiziaria quanto sociale, in un costante
parallelo con la definizione di sesso debole.
Combattere tali stereotipi molto probabilmente aiuterebbe a sconfiggere
la violenza di genere. Tutto ciò, invero, dovrebbe essere supportato da
una comunicazione tanto corretta quanto consapevole. Entra così in
gioco il ruolo fondamentale dei mass media che dovrebbero dare maggior
spazio ai progressi conquistati dalle donne, poco valorizzati e diffusi,
piuttosto che a fornirne un’immagine bigotta e ormai superata.
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SECONDO CAPITOLO
CRIMINALITA’ E MASS MEDIA
Nella società moderna, dominata dal dover apparire per essere, i mass
media tendono a divulgare un gran numero di notizie e d’immagini
capaci di appannare sempre più la distinzione tra il virtuale, ciò che
appare e non è, e il reale, ovvero ciò che non appare ma è.
Una realtà costruita e fittizia si sta affiancando e pian piano sostituendo
ai nostri affetti, alle nostre relazioni e interazioni. All’improvviso, tutto
ciò che è creduto, esiste.
La comunicazione di massa, sproporzionata e incontrollabile, distorce le
normali regole che dettano la comunicazione umana producendo un
sistema schizofrenico basato sulla produzione di doppi messaggi,
perlopiù ambigui e contraddittori. 22
Il forte potere seduttivo della televisione è dato dalla capacità in essa
intrinseca di offrir e nel medesimo format informazione e intrattenimento,
conciliando la dimensione culturale con quella ludica e fondendo
l’immaginario individuale e collettivo alla realtà.
Il
pubblico
di
massa
è
attratto
da
un
tipo
di
programma
che,
apparentemente senza str uttura, maschera con astuzia la dissociazione tra
il mondo televisivo e la quotidianità in cui lo spettatore ha l’illusione di
partecipare direttamente.
L’influenza delle comunicazioni di massa è mediata da una molteplicità
di
fattori
tanto individuali
qua nto sociali
che possono
innescare
meccanismi proiettivi, identificativi e una sommaria perdita cosciente
della realtà.
I media infatti detengono un importante potere nella società occidentale,
occupando un ruolo essenziale in tutti i settori del vivere civ ile come
22
http://www.silviacalzolari.com/pdf/Mass_media_e_crimine.pdf
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elementi indispensabili alla comunicazione globale. La loro funzione, se
da una parte è necessaria e importante al fine della diffusione delle
notizie, non è esente da effetti negativi causati dalla manipolazione di
informazioni.
Accade così che i n ogni delitto o crimine capace di suscitare terrore e
angoscia si proceda alla spettacolarizzazione della notizia in un vortice
fatto di riflettori e di caccia alle streghe.
Per poter porre in rilievo solo il lato funzionale dei mass media, sarebbe
auspicabile che ognuno imparasse a raccogliere autonomamente i dati
inerenti ai fatti e cercasse di maturare una propria capacità critica al fine
di entrare dentro la notizia, comprendendo il perché e il come delle cose.
Quando giornali e televisione raccontano i fatti devianti e abnormi
trattandoli come eventi che possono essere riportati senza tener conto
della sensibilità e della peculiarità del pubblico con il solo scopo di
raggiungere un determinato livello di audience, il bagaglio culturale
degli
spettatori
rafforzano
un
viene
modificato.
I
referente
culturale
per
discorsi
i
mediatici
comportamenti
creano
o
condivisi,
attivando l’attenzione sociale verso possibilità concrete: parlare di
qualcosa tende a indicarne la reale esistenza come fatto.
I mass media sono in grado di mutare il livello di paura del crimine e
della
criminalità
obiettivamene
rilevata
in
quanto
trasmettono
informazioni distorte tanto sui reati quanto sul controllo sociale.
L’importanza fondamentale da attribuire a tali agenzie di divulgazio ne
informativa è data dal loro potere di modellare le opinioni, i progetti
nonché le identità dei singoli, interferendo nelle interazioni sociali e
dando
origine
a
una
complessa
istituzione
che
comprende
organizzazioni, tecnologie e genti diverse in una so cietà pluralista,
ambigua e contraddittoria che produce più di quel che può controllare . 23
Il successo dei mass media è pertanto da ricondursi alla loro capacità di
imporre l’accettazione di taluni temi, indipendentemente dal fatto che
23
Quanto riportato si evince dalla consultazione del sito: http://www.agoravox.it/La-cronaca-nera-in-tvun-massacro.html dove è trattato il tema della cronaca nera in televisione in un parallelo tra processo
mediatico e processo giudiziario.
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venga
assunto
un
atte ggiamento
positivo
o
negativo
verso
le
informazioni e le valutazioni trasmesse.
Televisione e carta stampata dipendono dalla società ma, soprattutto, dal
potere
politico
ed
economico
(pur
senza
escluderne
un’influenza
reciproca) creando e diffondendo un ce rto significato degli avvenimenti
della vita sociale pubblica.
Nel rapporto con la criminalità, il ruolo della vittima rispetto a quello
dell’autore viene dai media sotto -rappresentato, se non addirittura posto
nell’oblio. Ne deriva una sostanziale esclusi one sociale della parte lesa,
cui inconsciamente si imputa una corresponsabilità.
Invero, le rappresentazioni mediatiche del crimine danno forma e
modulazione emotiva alla nostra esperienza in conformità alla struttura e
ai valori diffusi.
Il fatto che la televisione selezioni i reati di cui parlare e trasmetta serial
poco corrispondenti alla realtà, tende ad alterarne la percezione da parte
del pubblico.
Ecco che in tale contesto entra in gioco il tema della donna e della
criminalità al femminile come inf ormazione e disinformazione.
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I MASS MEDIA E LA FIGURA DELLA DONNA
Di solito quando si parla e s’interpreta il comportamento femminile
sembra prevalere la scelta di considerare la donna un soggetto separato,
un mondo a sé stante.
Basta ricordare come il patriarcato, stabilendone il ruolo di moglie madre, abbia costretto per centinaia di anni le relazioni di genere e le
norme sessuali su una strada obbligata, comprimendo e reprimendo il più
possibile la sessualità femminile impostata sulla ve rginità, sulla castità,
sulla fedeltà e sulla fecondità.
Nel lungo percorso che ci conduce alla società odierna risulta sempre più
svilente l’immagine della donna diffusa dai mass media: la figura
femminile ridotta a mero oggetto, a un bene di consumo del quale i
programmi televisivi e le pubblicità si cibano quotidianamente.
L’universo in rosa, però, non è solo esteriorità, bellezza e desiderio.
I riflettori dovrebbero essere puntati altrove, valorizzandone il ruolo nel
mondo civile e sociale nonché la cre scita della donna all’interno della
realtà lavorativa così come il rispetto dei suoi diritti costituzionali.
Gli stereotipi di genere, sfruttati per fini consumistici, andrebbero
smascherati e resi comprensibili al fine di eliminare la passività
intellettuale del pubblico al quale i mass media si rivolgono, a favore di
individui capaci di scegliere e valutare criticamente quanto visto e
sentito. Questa la ricetta per riportare uomini e donne a percorrere il
lungo binario della vita in una continua antitesi fatta d’informazione e di
disinformazione.
La donna non va riscoperta e festeggiata un solo giorno nel corso
dell’anno ma il valore che possiede da sempre e per sempre deve essere
riconosciuto quotidianamente in quanto essere privo di genere.
Per millenni l’identità femminile è stata principalmente quella di madre,
sganciata dalla sessualità al punto che la figura di Donna venerata nella
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religione cattolica è una madre vergine. Invero, il rapporto sessuale ha
rappresentato nel corso della storia solamente il mezzo per raggiungere
l’unica identità socialmente accettata . 24
Quest’ultimi anni hanno visto nascere un nuovo ideale dell’Io femminile
che comporta il raggiungimento del potere, tanto personale quanto
sociale.
Una realtà in evoluzione che vede la donna come membro di spicco della
società, combattente in prima linea e autrice responsabile delle proprie
azioni criminali.
Persone, quindi, non più uomini o donne con i loro ruoli ben definiti e
netti ma un sostantivo capace di esprimere il concetto di essere umano e
che racchiude al suo interno l’integrazione dell’Animus (la parte
maschile) con l’Anima (femminile), della parte aggressiva con quella
tenera.
La donna, al fine di trovare la sua identità di persona libera da
pregiudizi e costrizioni, deve saper e poter scegliere quale ruolo
privilegiare, senza indossare una maschera o dover recitare la parte a lei
assegnata. La cultura, infatti, ha finora impedito al cosiddetto sesso
debole tanto un’autorealizzazione quanto una visione reale del suo
essere, solitamente descritta nel suo candore e non capace di compiere
atti crudeli ed efferati.
Lo stereotipo dell’immagine femminile diffusa dalla televisione è un
argomento da sempre indagato e dibattuto. La struttura di molti
programmi televisivi, infatti, tende a r endere il ruolo della donna
subalterno
all’uomo,
istigando
inconsapevolmente
una
sorta
di
prevaricazione sociale. La continua esposizione del corpo femminile,
fatto di dettagli fisici e spesso inappropriati poiché decontestualizzati
dall’essenza e dalla pe rsonalità della donna, finisce per alimentarne la
percezione come mero oggetto teso al soddisfacimento della fantasia
sessuale maschile.
24
Jole Baldaro Verde, Donna Maschere e Ombre. Ontogenesi dell’identità femminile. Raffaello Cortina
Editore. 1987 Milano. Pag. 3.
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Un altro problema del quale attualmente se ne rileva una data importanza
è il rapporto tra femminicidio e mass media, argomento peraltro già
affrontato nel presente lavoro. Donna ancora una volta al centro della
notizia in quanto vittima, il sesso debole da difendere.
Tale tema può essere molto delicato: fino a qualche anno fa, infatti, le
donne uccise per mano di un uom o non trovavano lo spazio mediatico
che quotidianamente occupano.
Questo dato conferma quanto l’interesse attuale sia focalizzato e
incentrato sul prodotto finale: non importa che la donna sia vittima di un
omicidio ma che la donna ammazzata faccia notizi a.
Un impegno di denuncia strumentale capace di creare e cavalcare l’onda
emotiva con il solo scopo di aumentare ascolti e preferenze. Una nuova
violenza posta in essere nei confronti delle donne, sfruttate fino al loro
ultimo respiro e anche oltre.
Il
cosiddetto
sesso
debole
ucciso
per
mano
di
uomini,
non
è
un’invenzione dei media, esiste davvero, ma è necessaria una maggiore
scientificità nella raccolta dei dati e un interesse giornalistico più
partecipato e meno opportunistico.
L’informazione, ancora un a volta, diviene disinformazione.
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DENTRO LA NOTIZIA
I media sono stati definiti come “l’industria dell’immaginario” poiché
non mettono lo spettatore in contatto con la realtà, in una sorta di
esperienza funzionale di vita, ma lo rilegano a una condizione di
bombardamento mediatico, raccontando tante storie, vere o inventate che
siano.
Quanto detto appare evidente nella narrativa, ovvero nei romanzi, nei
films e nelle soap operas, meno nel giornalismo. Le notizie dei
telegiornali o gli artic oli dei quotidiani, infatti, non sono propriamente
la realtà ma un racconto di essa.
L’intensità emozionale di un fatto riportato dai media è generalmente
minore rispetto a quello osservato o vissuto in prima persona. Invero, la
quantità di eventi percepit i tramite i mezzi mediatici è di gran lunga
maggiore rispetto a quelli cui presenziamo direttamente. In pochi hanno
assistito a un omicidio dal vivo ma sicuramente tutti noi ne abbiamo letti
una infinità sui giornali e altrettanti ne abbiamo visti in telev isione.
In quanto cittadini di stati democratici dobbiamo pretendere che i media
operino per il bene collettivo e non solo per gli interessi di pochi, così
come dobbiamo esigere un’informazione corretta, priva di inganno e di
disinformazione. E’ però altre ttanto vero che lo spettatore dovrebbe
impegnarsi nel fare un uso più attento e consapevole di tali mezzi.
L’errore che più frequentemente viene posto in essere è quello di dare
troppa valenza al processo mediatico a discapito di quello reale che si
svolge nelle aule di un tribunale.
Ogni collettività democraticamente organizzata ha il bisogno vitale di
credere nella sua giustizia al fine di una funzionale tenuta sociale. 25
Un importante ruolo, a tal proposito, è rivestito dall’habitat culturale in
25
http://www.corteconti.it/_documenti/approfondimenti_studi/roma_21_22_novembre_2007/relazione_gi
ostra_1.pdf
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cui opera l’informazione giudiziaria. Se il pubblico è consapevole della
precarietà di alcune notizie e se è educato a cercare una risposta non
superficiale e passiva alle vicende giudiziarie, vi sarà un incentivo a un
costante miglioramento del prodotto informativ o. I media sono nel
contempo influenzati e influenzano l’opinione pubblica, subendone e
creandone le aspettative.
L’unico serio antidoto a un’informazione inadeguata o manipolatrice
delle coscienze, è un’informazione libera e plurale.
La verità mediatica conta molto sull’opinione pubblica e ha un maggior
impatto rispetto alla verità processuale che si stabilisce solo molto dopo,
quando ormai l’interesse è calato e il fatto non fa più notizia.
Il processo mediatico si concentra e si sviluppa nella fase del le indagini
preliminari, una fase prettamente investigativa che affascina e cattura lo
spettatore in un vortice che lo tiene rilegato allo schermo, in attesa di un
apparente
(quanto
costruito)
colpo
di
scena.
Ciò
comporta
che
l’immagine di un soggetto inda gato venga compromessa anche in caso di
successiva assoluzione nelle sedi preposte ad emettere sentenza.
E’ impossibile difendersi da tale meccanismo in quanto è la stampa a
decidere quando gonfiare e sgonfiare una notizia nel lungo binario fatto
di informazione e di disinformazione.
Assodato, quindi, che la gente tende a valutare l’importanza di un
problema sociale dallo spazio che i mass media gli dedicano, ne deriva
una
costruzione
e
decostruzione
continua
della
realtà
mediata
nell’ambito della reciproci tà tra media e audience.
I mass media e le istituzioni sociali con cui le persone hanno
quotidianamente a che fare formano ciò che la gente ricorda, come lo
ricorda e i motivi per i quali lo ricorda.
Il pubblico, estraneo all’effettiva realtà giuridica (pr ocesso giudiziario),
acquisisce come verità rivelata tutto ciò che viene enunciato attraverso i
mezzi
d’informazione,
primo
tra
tutti
la
televisione
(processo
mediatico).
Il caso di Cogne potrebbe essere l’esempio da fornire quando viene
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trattata una tematica come quella sopra esposta.
Mass media – donna – crimine: una trilogia capace di far parlare di sé
ancora dopo anni dal delitto.
Il 30 gennaio 2002, a Montroz (Cogne), viene ucciso il piccolo Samuele
Lorenzi. L’omicidio balza subito agli onori della cro naca, assumendo una
notevole rilevanza mediatica fatta di programmi televisivi e talk show
dedicati.
Dall’inizio di febbraio 2002 al 27 aprile 2007 (data della conclusione
del processo di appello), non cambia niente: il modo di presentarsi dei
coniugi e della famiglia Lorenzi, gli articoli e i loro appuntamenti
televisivi. Dopo ventitré udienze e dieci ore di camera di consiglio, il
processo si conclude con una sentenza di colpevolezza per la madre di
Samuele, Anna Maria Franzoni, seppur con la pena dimezza ta a anni
sedici anziché trenta come le erano stati dati dal gup il 19 luglio 2004 . 26
Sono l’incredulità e lo stupore che pesano come macigni quando ci si
trova davanti a un atto particolarmente efferato, soprattutto se commesso
da una donna. Ed è breve il passo che ci conduce alla distribuzione di
bigliettini numerati davanti all’aula di giustizia di Torino per assistere al
processo che vedeva imputata una madre per il delitto di suo figlio.
Da sempre una donna sospettata di omicidio colpisce l’immaginazion e
della gente in un’alternanza che oscilla tra attrazione e ripulsione.
E’ lunga
la lista
delle
donne
che
potrebbero
essere
inserite in
un’ipotetica classifica della cattiveria al femminile, in un continuum di
complessità e di quel lato oscuro che storicam ente ha etichettato il sesso
debole come creatura angelica capace di donare (e non privare) la vita.
26
http://cultura.biografieonline.it/delitto-cogne/
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TERZO CAPITOLO
LA DONNA NELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO: VITTIMA O
CARNEFICE?
Perché le donne uccidono?
Nonostante i mass media abbiano da sempre trattato tale tematica solo
marginalmente, che le donne siano capaci di delitti efferati è oramai un
dato di fatto, seppur resta una certa disparità numerica tra i due sessi.
Invero,
le
donne
che
si
rendono
autrici
di
condotte
criminali
rappresentano una n etta minoranza.
Simbolo di fertilità, di riproduzione e di perpetuazione della specie, il
gentil sesso ha assunto nel corso del tempo un ruolo di primo piano
nell’immaginario collettivo di tutte le società umane.
Donna, ovvero colei che si è occupata e che si occupa del focolare
domestico, dei figli e della preparazione dei cibi: tutte funzioni
fondamentali a livello sociale.
Proprio per il suo ruolo rilegato all’accudimento dei piccoli, parlare di
fliglicido risulta aberrante per l’opinione pubblica.
Un’interessante
classificazione
del
figlicidio
è
stata
proposta
da
Resnick 27 nel 1969 ed è strutturata sulla scorta delle motivazioni e delle
cause che stanno a monte dell’impulso omicidiario. Le categorie
individuate dal sopraccitato autore evidenziano come il periodo più a
rischio per il minore sia circoscritto ai sei mesi di vita.
Possiamo quindi parlare di:
1. Figlicido altruistico , che comprende il figlicidio associato a
suicidio e quello per alleviare le sofferenze reali o immaginarie
27
Come da consultazione della seguente pagina web: http://www.psicologi-italia.it/psicologia/violenzasui-bambini/855/figlicidio.html
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del figlio;
2. Figlicidio da psicosi acuta, ovvero quello posto in essere dai
genitori che uccidono i figli sotto l’influsso di allucinazioni e
deliri;
3. Figlicidio del figlio non voluto , che comprende i figli non
desiderati, illegittimi o non riconosciuti dal padre;
4. Figlicidio
“accidentale”,
chiamato
così
perché
l’intenzione
omicidiaria è assente ed è più di origine paterna che materna;
5. Figlicidio per vendetta sul coniuge .
Dal già citato delitto di Cogne alla mamma di Grosseto, arrestata
nell’estate del 2010 con l’accusa di aver ann egato il suo piccolo di sedici
mesi durante una gita in pedalò, i casi di figlicidio occupano una
percentuale
in
aumento
nel
crimine
in
rosa.
L’evoluzione
della
personalità della donna, nonché il ciclo vitale, può incontrare delle
difficoltà date dal dover rivestire il ruolo di madre, al quale da sempre è
rilegata ma che non per questo è così scontato quando si parla di gentil
sesso.
Donna-madre, donna-regina del focolare, donna -lavoro… ma perché
donna-oggetto?
I mass media richiedono sempre più l’esaspe razione della propria
femminilità, della propria seduttività al fine di rispondere ai canoni
imposti dal mondo maschile.
Questo processo di omologazione, con stereotipi di bellezza elevati e
irraggiungibili, se da un lato soddisfa le richieste del marketin g
dall’altro
pone
la
donna
in
una
posizione
di
non
autonomia,
rinchiudendola in un corpo non più suo.
Donna quindi vittima della società, di quell’immaginario collettivo dato
dall’apparire per essere: nel 2005, a tal proposito, l’ONU ha denunciato
la tendenza a mercificare il corpo femminile propria della televisione o
della pubblicità, rilegando il gentil sesso a ruoli tradizionali e
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stereotipati, e osservando che “questi atteggiamenti altro non sono che
la causa della posizione svantaggiata delle donne ne l lavoro e nella
politica” . 28
Nella società post -industriale il ruolo e il posto occupato dai mass
media, capaci di coinvolgere direttamente o indirettamente tutti gli
ambiti sociali, sono talmente importanti e onnipresenti da divenire un
indicatore dei cam biamenti in atto nel contesto sociale.
I messaggi trasmessi hanno un alto valore d’intrattenimento. Invero, non
vengono
diffusi
solo
codici
comunicativi
ma
informazioni
che
coinvolgono e catturano il destinatario in una sorta di manipolazione
mirata.
I mass media, nella loro tendenza atta alla produzione di un pensiero e di
una cultura globale, sembrano poter catturare facilmente cuore e
raziocinio del pubblico con un importante impatto sulla nostra identità.
In questo senso, la maggior parte degli uomini e delle donne proposte dai
mezzi di divulgazione di massa, corrispondono in comportamento e in
funzione a stereotipi socialmente prestabiliti.
28
Dato ripreso dalla consultazione della pagina web: http://ilquotidianoinclasse.corriere.it/2013/03/maperche-donna-oggetto/ trattante il tema della donna-oggetto.
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MEDIA E STEREOTIPO DI GENERE
L’immagine della donna è cambiata drasticamente nel corso dei secoli
tanto da arrivare a un’evoluzione dei concetti femministi che, seppur
generici, sono stati accettati come idee non controverse all’interno
dell’odierna opinione pubblica.
Invero, considerando la diffusione della presentazione femminile nella
divulgazione operata dai mass media, possiamo evidenziare come le
donne idealizzate, con corpi e volti perfetti, prevalgano ancora tanto
nelle pubblicità quanto in altre forme mediatiche.
Lo stereotipo del gentil sesso così divulgato, definito come degradante e
distorsivo della realtà, ha inciso negativamente nel tentativo di molte
donne atto a ottenere la parità di genere sia dal punto di vista sociale che
politico.
Donna-oggetto, donna-vittima, donna-indifesa.
E’ invece importante garantire e sostituire a questi preg iudizi una
rappresentazione della donna fedele al suo essere.
I mezzi di comunicazione, infatti, indirizzano l’individuo verso la
ricerca di una propria identità e per questo possono essere ritenuti
responsabili della diffusione d’idee, pensieri e convinzi oni che stanno
alla base della nostra società.
L’influenza sociale dei mass media è una delle questioni più rilevanti
dell’era in cui viviamo.
Gran parte di ciò che sappiamo, inerente a quanto avviene nel mondo, ci
proviene dalle agenzie d’informazione da cui traiamo le notizie sul clima
d’opinione
riguardante
eventi,
questioni
della
scena
pubblica
e
personaggi.
Spesso, stampa e televisione si servono dello stereotipo di genere per
condizionarci e indurci al consumo. Tale processo inizia da giovanissimi
ed è pertanto necessario che ragazzi e ragazze imparino a sfatare i
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suddetti stereotipi al fine di divenire cittadini e cittadine più consapevoli
e meno consumisti/e.
Nel corso della storia la posizione della donna è stata spesso associata a
un’immagine di s ottomissione all’interno della famiglia e d’inferiorità
nella vita sociale.
A oggi però, nel mondo occidentale, il gentil sesso ha raggiunto una
quasi totale parità con gli uomini: vota, studia, lavora, occupa posti di
alta responsabilità e, perché no, del inque.
Trovandosi ad agire in una società ancora strutturata a misura d’uomo, la
donna si deve dividere tra vecchi e nuovi ruoli, in una continua lotta
contro quegli stereotipi che da sempre l’accompagnano, al fine di
conquistare spazi maggiori di autonomi a.
Alcuni modelli di femminilità proposti dai mass media, nonché alcuni
pregiudizi, rappresentano ancor oggi la donna come un essere dipendente
e responsabile solo della conduzione della vita domestica.
Per quanto la televisione possa sforzarsi nel cercar e di presentare una
donna in carriera, competente e determinata, mostra ed evidenzia in un
continuum passato -presente quegli aspetti di dolcezza e affettività che il
ruolo femminile detta.
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INFORMAZIONE E DISINFORMAZIONE
Disinformare è il m odo più efficace per manipolare una data opinione e
indirizzare le scelte del pubblico senza dover attuare costrizione alcuna.
Il tema dell’informazione è vitale in democrazia.
Il cittadino informato, infatti, può decidere con coscienza e cognizione
di causa mentre il cittadino disinformato può solo credere di decidere.
I
giornalisti
dei
nostri
telegiornali
sono
diventati
presentatori
e
consulenti pubblicitari, ruoli che in realtà esulano dall’informazione
obiettiva e sul campo.
Invero, i servizi giornal istici sembrano creati e studiati al fine di
mostrare alcune cose e nasconderne altre.
In Italia, dati alla mano, sono sempre meno le persone che leggono i
giornali e pertanto la notizia veicolata dal mezzo televisivo rappresenta
per molti l’unica fonte d ’informazione.
Le vicende che evocano emozioni sono oramai onnipresenti negli
schermi che popolano le nostre case e nelle pagine dei nostri quotidiani.
Suscitare associazioni emotive e commozione è diventato un must dei
mezzi di comunicazione, a discapito di taluni fatti di cronaca che
potrebbero mettere in pericolo il sistema nella trattazione di argomenti
tanto scottanti quanto pericolosi per l’assetto che i politici hanno il
compito di proteggere.
I delitti contro i bambini, contro le donne e gli anziani finiscono così per
essere ampliati, occupando uno spazio sempre più ampio all’interno dei
telegiornali.
Alcune notizie sono oggetto di trattazioni così importanti e ripetute da
condurre
lo
spettatore
a
focalizzarne
l’attenzione,
veicolato
da
informazioni ripetitive che non spiegano davvero la questione e che anzi
talvolta la manipolano.
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Paradossalmente il cittadino viene sommerso da dati fittizi per fare in
modo che rimanga disinformato.
La televisione è sempre più dominata da rotocalchi di una realtà che non
è quella in cui viviamo, con l’obiettivo di emozionare, catturare
l’attenzione e intrattenere anziché informare.
E allora, cosa meglio del crimine?
Il crime è un genere che, grazie alla potenza del mezzo televisivo, rende
l’impatto con il pubblico mo lto potente.
In questo periodo i network non possono permettersi di sbagliare poiché
livelli bassi di audience porterebbero ad una esigua raccolta pubblicitaria
per i canali commerciali.
Si tende così ad affidarsi a un genere ben preciso e con alle spalle
un’importante tradizione cinematografica e televisiva: il Crime Drama,
ovvero una specie di genere eterno che vive in una realtà ambientata in
quartieri e città riconoscibili ma allo stesso tempo impermeabili al
mondo reale.
Ecco quindi una televisione se mpre più criminale, all’interno della quale
il crimine ne diviene il contenuto principale, declinato nei vari generi
televisivi e d’informazione.
In Italia, soprattutto negli ultimi quarant’anni, si è verificata una vera e
propria
rivoluzione
procreazione
culturale
assistita
alla
ch e
ha
liceità
toccato
vari
dell’aborto,
ambiti:
dal
dalla
divorzio
all’abrogazione del reato di adulterio femminile (1970), dalla legge n.
903 che sancisce la completa parità di trattamento in materia di lavoro
tra uomini e donne fino a giungere al 1991 e alla legge atta a promuovere
azioni funzionali per la realizzazione della eguaglianza uomo -donna.
Eppure, nonostante i sopraccitati e i numerosi passi in avanti fatti, i reati
di violenza posti in essere dalle donne sono sempre p oco resi manifesti
dai mezzi d’informazione.
Tale repressione potrebbe essere data dalla difficoltà di conciliazione tra
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il fatto-reato e il concetto tradizionale di comportamento femminile.
L’assassinio e altri atti violenti contro le persone fisiche, in fatti,
sembrano in completa antitesi con il delicato, riservato e protetto ruolo
del cosiddetto sesso debole.
Ecco che i mass media continuano a passare un’immagine della donna
quale vittima della violenza maschile, ridotta all’ormai tristemente
celebre femminicidio , anziché carnefice nonché capace di compiere atti
efferati in egual misura a quelli compiuti dagli uomini.
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CONCLUSIONI
A fronte di quanto fin qui esposto risulta evidente come la nostra società
sia tuttora ancorata a un’idea retorica di bontà femminile, di presunta
non violenza.
Eppure le donne, nonché le ragazze d’oggi, delinquono, aggrediscono,
scippano, si rendono autrici di stalking, di diffamazione e di vere e
proprie organizzazioni quali bande e gang.
Generalmente, analizzando e interpretando il comportamento posto in
essere dalla donna, sembra prevalere la scelta di considerarla come un
soggetto separato, dotato di una propria specificità e realtà.
A tal proposito, un importante cambio di tendenza è stato rec entemente
registrato grazie alla ricerca di una nuova analisi del rapporto donna uomo e donna-collettività, capace di cogliere inedite valutazioni inerenti
ai comportamenti storicamente definiti di genere.
Invero nella nostra società, satura di incertezza e di apparenza, si vanno
pian piano delineando valori e comportamenti tendenti all’eliminazione
di quella netta distinzione che ha da sempre caratterizzato il ruolo di
uomo da quello di donna.
Nella modernità, infatti, si intravede la richiesta di qualc osa che
prescinde dal distinguo sessuale. Ne sono un esempio il rispetto di
ciascun soggetto come persona nonché la valenza emotiva e affettiva
all’insegna della reciprocità.
Il concetto di mascolinità comincia pertanto a perdere i suoi connotati
più risaputi, volti a una nuova riscoperta del valore e all’importanza
dell’intimità non più intesa come patrimonio esclusivo del ruolo
femminile ma come un’inesauribile fonte di ricchezza e di vitalità per la
persona in senso lato.
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Tornando alla criminalità, e n ella fattispecie alla realtà italiana, è
interessante notare come non vi sia una tipicità femminile (piuttosto che
maschile) dei reati posti in essere. Se in tale senso una distinzione può
essere fatta, e che comunque è valida per entrambi i sessi, è la pr esenza
di una data delinquenza tra le classi sfavorite sul piano sociale,
economico e culturale.
Un viaggio nel cuore del crimine in rosa che ci permette finalmente di
parlare delle donne quali protagoniste dei loro atti criminali.
Un cambiamento in tale d irezione, seppur radicale quanto diffuso, ha
travolto le ragazze trasgressive di oggi che, per emergere e per
dimostrare la loro forza, hanno abbattuto il muro sociale che le
tratteneva
un
considerato
passo
un
indietro.
modo,
seppur
Anche
questo
distorto,
di
può
essere
dimostrare
pertanto
la
propria
femminilità.
Un mutamento di cui però televisioni e stampa non parlano.
Il potente schieramento dei mezzi di comunicazione odierni, capace di
azzerare i tempi di divulgazione delle notizie e di annullare le dist anze,
funge
da cassa
di
risonanza
per la
diffusione
di
qualsiasi
tipo
d’informazione, sia essa anche criminale.
La televisione, ma soprattutto la pubblicità, tende a svalutare le capacità
femminili, rilegando la donna ad un oggetto sessuale secondo logich e di
marketing ancora sotto monopolio maschile.
Sin da piccole siamo così abituate allo stereotipo mediatico di donna,
intesa come velina o modella, da essere condizionate nella successiva
assunzione di un comportamento superficiale che ci impedisce di tr ovare
una propria e funzionale identità e integrità.
Il successo in rosa, infatti, non viene quasi mai collegato a talenti e a
meriti, bensì al buon matrimonio e a canoni di bellezza estremi: il
modello è pertanto quello della dipendenza della donna all’u omo.
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La pubblicità, nata per soddisfare una semplice funzione commerciale, è
diventata una sorta di diffusione di nuove tendenze nonché la conferma
di quelle vecchie e lo specchio di quelle attuali.
Invero, essa non è più solo un insieme di consigli per g li acquisti ma un
vero e proprio mezzo di promozione della società e delle relazioni
umane.
Ruoli femminili, nuovi e più moderni, non fanno crescere gli introiti
pubblicitari né tanto meno fanno salire gli ascolti dei programmi
televisivi o vendere i giorn ali.
Il dramma è che a nessuno sembra interessare il far emergere la
competenza femminile, il restituire alla donna la sua giusta dimensione.
Quando si parla di violenza, ad esempio, la ripartizione dei ruoli sembra
inequivocabile: l’uomo è il carnefice e la donna la vittima.
L’idea che anche gli uomini possano essere vittime di violenza, così
come le donne autrici di atti criminali tanto efferati quanto abnormi, è un
qualcosa che non viene quasi concepito dalla nostra società.
E i mass media non aiutano in tale intento, complici di una informazione
che, il più delle volte, diviene disinformazione.
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Barbara Bargigli – SST in Scienze Criminologiche (secondo anno) A.A. 2012 - 2013
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