Istituto MEME: Alla scoperta di un Atelier Autobiografico per immagini

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Istituto MEME: Alla scoperta di un Atelier Autobiografico per immagini
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
ALLA SCOPERTA DI UN ATELIER
AUTOBIOGRAFICO PER IMMAGINI
Scuola di Specializzazione:
Relatore:
Collaboratori:
Contesto di Project Work:
Tesista Specializzando:
Anno di corso:
Arti Terapie
Roberta Frison
Novello Ianelli
Autobiografia
Michela Ambrosin
Primo
Modena: 5/09/2009
Anno Accademico: 2008 - 2009
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Michela Ambrosin - SST in Arti Terapie (Primo anno) A.A. 2008/2009
Indice dei Contenuti
1. Introduzione …………………………………………………….……………………… 3
1.1. Perché la scelta dell’autobiografia..................................................…………................. 3
2. Il contesto in cui si sviluppa questo Project Work………………………………….. 5
3. Tipo di percorso e la scelta dei materiali……………………………………………… 7
4. L’autobiografia come ricerca della propria identità…….……………………………. 9
4.1. La narrazione autobiografica: origini e storia............................. …………................... 9
4.2. Cos’è la narrazione autobiografica?...........................................…………..................... 10
4.3. Cos’è e quando nasce la narrazione come cura di sé?....................……………………. 11
4.4. Quali aree di intervento?..........................................................…………....................... 16
5. Associare alle parole le immagini……………………………………………………… 17
5.1. All’inizio fu la poesia visiva…....................................................………….................... 17
5.2. Autobiografie per immagini………………………...…….……………..…………….. 17
6. Altri modi di raccontarsi: la ludobiografia………………...…….…….……………… 21
6.1 Raccontarsi per gioco, raccontarsi giocando...........…...................…............................. 21
7. Problemi aperti: l’obiettività…………………………….…………………………….. 22
8. Un Atelier autobiografico per immagini……………………...………………………. 24
8.1. L’ambiente in un laboratorio espressivo autobiografico…………...…....…………….. 24
8.2. Gli stimoli per far emergere la voglia di raccontarsi……………...……..…………….. 26
8.3. I materiali adatti ad un’integrazione tra autobiografia ed espressione
artistica……………………………………………………………….………………… 27
9. Perché ho realizzato un percorso per immagini………………………………………. 28
9.1. Le finalità e gli obiettivi che mi sono posta……......…………...….….…...…………… 30
9.2. Le linee di lavoro che ho seguito……….……………………………………………… 31
10. Risultati e discussione………………………………………………………………… 31
10.1.
Riflessioni: mi guardo attraverso l’opera realizzata…………...…...…................... 32
10.2.
Un confronto con l’altro: come mi vedono da fuori………………….....…………. 41
11. Conclusioni…………………………………………………………………………… 46
12. Bibliografia….………………………………………………………………………… 49
13. Sitografia……………………………………………………………………………… 50
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1. INTRODUZIONE
1.1. Perche la scelta dell’autobiografia
“la scrittura di sé permette di riconoscersi autori della propria vita”1.
Sicuramente scrivendo un’autobiografia si diventa autori del racconto della
propria storia. Fermando le immagini e i ricordi della mente, che altrimenti si
perderebbero nella naturale rimozione che avviene con il passare del tempo, si
da una consistenza reale a ciò che si è vissuto. Lo si può rileggere come se
questo racconto di vita appartenesse ad un altro e magari riuscire a vedere oggi
cose che non si riuscivano a vedere ieri.
Scrivere di me, di ciò che ho vissuto mi permette di rimettere in gioco emozioni
e vissuti non ancora elaborati, ma seppelliti dal tempo ad invecchiare nel
cassetto dei ricordi senza avergli dato significati e risposte, che al tempo erano
forse impossibili da dare. Questo perché “mentre si nuota nel mare per
raggiungere la riva non si ha tempo per fermarsi a riflettere sul perché lo si sta
facendo”.
La vita è una ricerca ed una crescita continua. Ma ad un certo punto bisogna
cercare di capire da dove si arriva e dove si sta andando, non si può sempre e
solo lasciarsi scorrere sulla corrente del fiume senza guardarsi intorno un attimo
per cercare di capire dove il nostro fiume ci sta portando.
Credo che riportare alla luce ricordi assopiti, metterli tutti in fila su di un foglio
possa farmi capire che cos’è stata la mia vita, chi erano le persone con cui sono
venuta in contatto ed alle quali mi sono legata mentre crescevo. Cosa mi hanno
trasmesso. Perché capire il mondo che mi ruotava attorno, può permettermi di
capire perché ho fatto certe scelte, perché sono cresciuta rapportandomi in un
certo modo alla vita. Perché un giorno di quelli passati ho deciso che non
m’importava più questa vita.
1
Jerome Bruner.
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Fare una riflessione scritta sui miei vissuti penso mi possa portare verso una
risposta che non ho saputo darmi prima; scrivere come il tentativo di dare un
senso logico a ciò che mi è accaduto. O solamente un senso, anche se non
logico, di tutto ciò che ho vissuto per essere in grado di non ripetere gli stessi
errori o semplicemente per mettermi in pace con me stessa nella comprensione
che non avrei potuto fare altro o agire altrimenti.
Dare pace ai sensi di colpa, ritessendo le trame della mia vita dando la giusta
collocazione alle persone e il giusto, se possibile, significato agli eventi.
Ho considerato che, visto la mia passione per gli elaborati grafici, si tratti di
pittura, fotografia, collage, ecc., si potesse integrare la parola scritta con
l’immagine. Ho quindi pensato di realizzare questa autobiografia, oltre che con
parole scritte, anche con elaborati grafici.
L’intento è quello di sperimentare il racconto autobiografico nel contesto di un
atelier, meglio se di pratica arte-terapeutica ma non strettamente tale.
Quindi ricordare, rievocare, rammentare attraverso i materiali artistici, non più
(o non solo) con le parole e lo scritto, ma con il colore, le forme la materia.
Partendo dal presupposto che le immagini riescano ad arrivare a toccare ed
esprimere situazioni emotive interiori e nascoste che trovano difficile, se non in
alcuni casi impossibile, esprimersi attraverso una comunicazione verbale.
L’espressione pittorica del racconto di sé dovrebbe dare una risposta ad una
esigenza di narrarsi e di raccontare anche gli aspetti più profondi del nostro io,
quelli nascosti anche a noi stessi, andando oltre al puro esercizio mnemonico o
di testimonianza di se stessi e della propria vita. E’ previsto, per questo motivo,
l’intervento di un osservatore esterno al quale sottoporre l’immagine per avere
un feedback. Sul quale poter trovare nuovi significati e poter rileggere sotto un
diverso aspetto ciò che è stato creato.
Rappresentare la propria vita può sembrare inutile perché la si conosce già. Ma
la cosa più incredibile è che a volte scrivendo tutto ciò che poco a poco
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riemerge dai ricordi ci si rende conto che poi, non la si conosceva troppo bene
la nostra storia. Si possono scoprire anche cose dimenticate o che non si
conoscevano affatto. E scoprire un lungo racconto con tantissimi particolari,
come un quadro che ogni volta che lo guardiamo ci da un’emozione diversa.
Ogni volta che lo guardiamo scopriamo un particolare diverso del qual il giorno
prima non ci eravamo accorti.
Rileggersi in una autobiografia è come riguardarsi in un autoritratto.
Come lo specchio riflette un’immagine a cui siamo abituati, ma che non è
strettamente come ci vedono gli altri. Quindi, spostando il nostro punto di vista
e magari integrandolo con il punto di vista altrui si può scorgere una parte di
noi che non avevamo mai visto. Rileggersi come se il racconto che stiamo
leggendo fosse quello di un’altra persona e cercare di ridare significato a quelle
parti di noi che non avevamo mai considerato.
2. IL CONTESTO IN CUI SI SVILUPPA QUESTO PROJECT
WORK
Sono stati valutati tre contesti:
A- Un PROJECT WORK sviluppato nell’atelier A.d.F. c/o il CSM di G. dove
realizzare gli elaborati grafici ponendomi in questo primo PW non come
“l’arte terapeuta” che sviluppa un’esperienza (laboratorio espressiva) sul
“paziente” ma viceversa, trattandosi di un’autobiografia, ponendomi nelle veci
di “paziente” (quale sono ancora tra l’altro) sperimentando prima su di me
“l’effetto terapeutico” di un’autobiografia, di un racconto di sé all’altro. Avendo
una persona (tutor) di riferimento con il quale confrontarmi e avere una
riconsegna di ciò che sarebbe stato sviluppato.
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B- Un PROJECT WORK in un atelier espressivo presso un centro diurno o
semiresidenziale dove realizzare assieme con un utente od un gruppo di utenti
un percorso autobiografico per immagini, fermandosi ad esprimere prima il
significato del proprio elaborato e poi condividere le opinioni ed impressioni
altrui sullo stesso e viceversa. In una condivisione che porti ad espletare dei
significati diversi e più profondi della propria storia, trovando risposte o
solamente una gratificazione data dal raccontarsi e dal condividere il proprio
racconto con quello altrui.
C- Un PROJECT WORK da autodidatta, cioè un momento di riflessione
personale in uno spazio individuale da utilizzare sia per scrivere che per
realizzare gli elaborati grafici. Poi condividere questi ultimi con un osservatore
estraneo ai miei vissuti, per una riconsegna dei significati e delle impressioni
per arrivare ad una conclusione finale di questa tesi autobiografica.
La prima parte della tesi si è svolta come dal punto A: in un atelier con una
figura di riferimento. E’ stata qui realizzato l’indice dei contenuti e il
canovaccio della trama, cioè la scelta delle figure d’attaccamento come filo
conduttore di tutta l’autobiografia. Sono state qui raccolte tutte le immagini
legati ai ricordi ed ai luoghi e la documentazione relativa all’autobiografia e ai
laboratori autobiografici già esistenti. Posso dire che il grosso del lavoro è stato
fatto in questo prima parte. Poi, causa un cambio di direzione improvviso del
mio percorso ho dovuto prendere in considerazione gli altri due punti: Il B cioè
realizzare questo percorso come atelierista nel centro diurno per disabili nel
quale sono stata assunta da poco, oppure continuare questo percorso da sola
come considerato nel punto C.
Non sentendomi ancora in grado di sviluppare un percorso di gruppo, cioè un
laboratorio autobiografico vero e proprio rivolto ad una o più persone e
sentendo invece forte il bisogno di un’auto riflessione sulla mia vita tramite un
racconto autobiografico ho considerato che la scelta più giusta fosse la C. Cioè
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quella di prendermi il tempo e lo spazio nel mio nuovo domicilio a T. per
scrivere in solitudine e poi rapportarmi con un osservatore per gli elaborati
grafici e per un riconsegna di significati e di riflessioni su quanto scritto.
Ho quindi optato per un Project Work personale anche perché, credo che un
percorso sia esso terapeutico o di altro genere debba prima essere sperimentato
in prima persona, per capirne le modalità e vederne i risultati. Solo in un
secondo momento si può rivolgere questo percorso al di fuori, occupandosi
degli altri come avviene nell’ambiente psicoterapeutico.
3. IL TIPO DI PERCORSO E LA SCELTA DEI MATERIALI
Questa tesi più che una vera autobiografia io la chiamerei “un percorso verso
l’autobiografia”. Realizzare un’autobiografia come pensato inizialmente mi è
sembrato un lavoro estremamente ampio e forse troppo dispersivo rispetto agli
obiettivi che mi ero posta. Cioè di associare al racconto autobiografico una
narrazione illustrata che mi permettesse di “discutere le immagini grafiche
realizzate” in un contesto di arte terapia.
Il percorso scelto si svilupperà quindi in un racconto, sia scritto che grafico
utilizzando delle tavole pittoriche bidimensionali, della mia storia attraverso il
ricordo dei momenti vissuti assieme alle figure principali che hanno contato
nella mia vita (figure d’attaccamento).
Raccontarmi attraverso il ricordo che ho di loro, cioè attraverso le figure più
importanti che hanno segnato la mia storia, si è delineato come scelta in
considerazione del fatto che nel 2006 ho toccato un periodo di completa
solitudine dalla quale non emergeva più nessuna figura, nel passato e nel
presente, che contasse o che avesse contato. Ritrovandomi in un deserto, nel
quale tutto e tutti erano spariti ho creduto che rivalutare l’importanza di persone
che mi hanno cresciuto o che mi sono state vicine fosse una cosa importante.
Poter rivalutare anche le figure negative che mi hanno trasmesso ciò che mi
avrebbe portato in quel deserto di emozioni che è la depressione, mi può
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permette di riappacificarmi con loro e, di conseguenza, con me stessa.
Ho calcolato che queste figure di attaccamento sono circa dieci, partendo dalla
figura di mia nonna che ha fatto le veci della mia mamma, durante i miei primi
anni di vita sino alla preadolescenza. Passando per la figura di mio fratello che
ha integrato la figura mancante di mio padre. Poi mio padre e mia madre e di
seguito la mia migliore amica Ka del periodo scuole medie e la Cate del
periodo scuole superiori (adolescenza) poi il primo fidanzato Sandro (giovane
età adulta) che fu la prima esperienza traumatica per passare poi il primo vero
rapporto di coppia con Richard un compagno-fidanzato del periodo di
autonomia vissuto da sola fuori casa ed infine al matrimonio con il mio attuale
marito Arma che comprende il periodo relativo alla mia malattia (borderline o
depressione?) e comprende anche il rapporto terapeutico vissuto con il Dr Wall
verso il quale ho sviluppato un attaccamento particolare che mi ha permesso di
superare i momenti critici della malattia ed arrivare ad oggi.
A tutte le persone citate sono stati cambiati i nomi (con un diminutivo o altri
appellativi) ed oscurati i volti nella foto per mantenere la privacy delle stesse.
Non per tutte queste figure ho scelto di realizzare una tavola grafica, per alcune
ho scelto di integrare la loro descrizione scritta con fotografie inserite nel testo.
Mentre per le figure di: mia nonna, mia madre, mio fratello, la Ka, Richard,
mio marito e il Dr. Wall ho deciso per la realizzazione di una tavola grafica
bidimensionale di circa 60 cm per 40.
Le tavole sono state realizzate con tecniche scelte al momento, a seconda del
tipo di emozione che mi ha suscitato il vissuto con tale persona. Quindi mi sono
lasciata libera la scelta di viaggiare su tavole bidimensionali con colori e
tecniche miste.
L’inserimento di fotografie, quando presenti, nello scritto è stato stimolato dopo
la lettura di un interessante libro sulla foto-terapia. Ovviamente per essere
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sviluppato questo argomento avrebbe bisogno di una tesi a parte.
Gli sviluppi futuri, se questo primo percorso andrà bene, saranno di ripercorrere
l’esperienza di questa “tecnica autobiografica per immagini” non più su di me
ma su un'altra persona, entro un percorso individuale o in un gruppo non
necessariamente con adulti con problematiche psichiatriche, ma anche ragazzi
od anziani, etc. realizzando la tesi di project work del secondo anno (atelier
autobiografico?)
4. L’AUTOBIOGRAFIA COME RICERCA DELLA PROPRIA
IDENTITA’
“siamo tutto ciò che ricordiamo”2
4.1. La narrazione autobiografica: origini e storia
Per chiarire meglio il significato di autobiografia credo sia meglio fare una
premessa sul significato di biografia.
Biografia è un termine derivato dal greco (bios = vita, graphein = scrivere).
Nella storiografia consiste nella rappresentazione della vita di un personaggio
famoso della storia. Oltre alla fedele esposizione dei fatti, la Biografia a volte
aveva intenti artistici e la storia del personaggio veniva un po’ romanzata, si
cercava in alcuni casi di ricostruire la psicologia del personaggio in questione.
L'uso di scrivere biografie di uomini illustri è antichissimo, si trova già nella
Bibbia e in numerose biografie nella letteratura indiana e cinese. In occidente,
questo genere letterario comparve in Grecia. Si sviluppò anche a Roma in
particolare in epoca ellenistica. Mentre in epoca cristiana vi è un prevalere
della biografia di carattere sacro (agiografia). Nel medioevo questo genere
sfiorisce un po’ per tornare poi con l’umanesimo e il Rinascimento (il numero
2
Serino, 2001.
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di biografie scritte nel 500 è altissimo).
Gli intenti delle biografie diventano sempre più vari: si va da quelle puramente
storiche a quelle elogiative, a quelle patriottiche a quelle politiche e sociali.
4.2. Cos’è la narrazione autobiografica?
Il narrarsi da parte dell’essere umano è sempre stato un mezzo per dare senso
alla vita, il narrarsi permette all’uomo di riorganizzare i vissuti che sperimenta
sotto forma di storie. Queste narrazioni non corrispondono esattamente alla
realtà ma sono il frutto di “un’attribuzione di senso” che il soggetto da a ciò che
ha vissuto o che sta vivendo, attraverso la propria personale visione e
rielaborazione (inconscia) del mondo che lo circonda.
Quando una persona si racconta è come se inventasse una storia sul chi è e
com’è, sul cos’è accaduto e perché. Le esperienze passate sono viste dalla
prospettiva del presente che ne descrive un significato personale e rielaborato in
base al “qui ed ora”.
L’autobiografia è una storia narrata da un narratore che diventa autore, registra,
attore e lettore di se stesso. Ogni narrazione di sé viene scritta per un bisogno di
attribuirsi un significato. La narrazione autobiografica ci permette di dare
significato e valore all’esperienza della nostra esistenza.
Nel percorso autobiografico possiamo riconoscere in noi la convivenza di più
parti, la nostra personalità non è unitaria ma composta da molti e diversi
“inquilini interni”. E nel tempo dentro di noi hanno trovato posto pensieri e
sentimenti contradditori, contrastanti od opposti. Nel nostro percorso di vita si
sono accumulate tante esperienze diverse e noi siamo il risultato della somma di
tutte queste esperienze. Noi siamo tutto ciò che abbiamo sperimentato e siamo
anche tutte le persone con cui siamo venuti in contatto durante la nostra
esistenza. Rileggendo attraverso il percorso autobiografico, quello che siamo
stati, la prima cosa che ci accorgiamo dover metter da parte è la convinzione di
essere un tutt’uno. Di essere una “personalità unitaria”. E quindi accettare la
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nostra “molteplicità” non come aspetto patologico ma umano, non come una
cosa sbagliata ma come una risorsa.
4.3. Cos’è e quando nasce la narrazione come cura di sé?
Premessa
Sembra che l’antico precetto Delfico: gnòthi seautòn, che significa «conosci te
stesso» si sia trasformato in epistemelestai eauton «prendersi cura di se stesso,
occuparsi di sé». La narrazione autobiografica sembra diventare sempre più un
percorso che porta verso la propria interiorità, una vera e propria “cultura di
sé”. La ricerca autobiografia, quando non è orientata a creare un’immagine La
ricerca autobiografia, quando non è orientata a creare un’immagine idealizzata
di se stessi, sembra serva piuttosto a favorire una trasformazione personale.
Il nostro passato è un insieme complesso e non oggettivo di memorie, nella
mente umana le memorie non solo sono tante ma possono essere viste in
indefiniti modi (autoterapia, Ghezzani - 2005).
Nel libro di Ghezzani viene evidenziato un fatto importante: che le memorie
autobiografiche sono limitate dalla “coercizione sociale”, le certe regole mi
posso indurre a ricordare
alcune cose e non altre o a giustificare certi
avvenimenti in base alla cultura in cui vivo. Si comprende dunque che
l’autobiografia non può essere mai una mera rappresentazione dei fatti vissuti
come oggettivi e quindi un semplice racconto della propria vita. Ma ogni volta
che si riscopre un ricordo, lo si rivedere sotto la luce del “qui ed ora” e lo si reinterpreta e vi si dà un nuovo significato. Ogni volta che succede questo
“inserisco il mio io in una diversa linea storica, dunque mi metto in condizioni
di immaginare un diverso futuro, di generare un differente destino”
(autoterapia, Ghezzani pg. 21 -2005). In questo modo potremmo definire la
scrittura autobiografica come un modo per analizzare i nostri conflitti interni e
mediarli in una narrazione.
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Come nasce la terapia narrativa
Già dagli antichi greci, secondo il parere di W. Propp [..] “mito e racconto
sarebbero manifestazioni di una cultura che cerca in tal modo di venire a patti
con la vita comunitaria” [..] (da: la narrazione come terapia – B. Fabbroni), si
inizia quindi a porre l’attenzione ed a considerare la narrazione come un
percorso di conoscenza di sé e dell’altro.
Grazie a studi effettuati da ricercatori russi, ai primi del ‘900 e di seguito da
ricercatori anglo-americani e francesi nasce una corrente di pensiero che da una
svolta al concetto di autobiografia. Questa non viene più considerata solo una
descrizione della vita di un certo personaggio, o dei personaggi più importanti
di una certa epoca, ma diventa un’espressione della condizione vita umana. Il
pensiero psicoanalitico si è interessato a questa nuova concezione di
autobiografia come interpretazione dei vissuti di una persona tanto che in anni
recenti si è sviluppata una vera e propria “psicologia narrativa”, dando un
nuovo ed importante significato alle storie e alle narrazioni in terapia.
Bruner fu il caposcuola della “terapia narrativa o autobiografica”. Questa fu una
vera rivoluzione nella psicoterapia che, mantenendo le radici nella psicoanalisi
Freudiana (molto importante ritengo sia il pensiero di Freud quando afferma
che “ il pensare per immagini è più vicino ai processi inconsci di quanto lo sia
il pensare per parole”) riesce a proiettarsi verso le nuove esigenze dell’uomo
del XXI secolo; è, infatti, solo tra gli anni ’70 e ’80 che si è cominciato a porre
attenzione alle narrazioni, sia della persona che del contesto culturale.
Perché la narrazione come cura di sé
Da sempre l’uomo ha un bisogno innato di comunicare, di entrare in contatto
con l’altro. Tutti noi abbiamo il bisogno di relazionarci, di essere ascoltati e di
ascoltare, di riconoscere e di essere riconosciuti. Questa relazione, questo
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“contatto con l’esterno” è essenziale, e perché una persona possa godere di
salute psicologica i suoi bisogni relazionali devono essere soddisfacenti. Dentro
di noi esiste sempre il bisogno di stare con altre persone che possano stimarci e
approvarci. Persone che fanno parte della nostra vita come amici, familiari,
conoscenti, colleghi che possano riconoscere e sostenere la nostra maniera di
esprimerci come individui unici. Il fallimento di queste relazioni porta al
disagio psicologico.
Ma per aver un buon contatto con le altre persone bisogna avere e mantenere un
buon contatto anche con noi stessi. Il contatto che manteniamo con l’esterno e
quello che manteniamo con il nostro interno dipendono l’uno dall’altro.
Intendendo per contatto interno “la consapevolezza della propria esperienza
interna, incluso i pensieri, le emozioni, i desideri, le attitudini e le sensazioni”
e per contatto esterno “la consapevolezza di tutto ciò che è disponibile
nell’ambiente esterno, specialmente da quella parte dell’ambiente fatto di altre
persone” (da: la narrazione come terapia – Barbara Fabbroni).
In ragione di questo si può dedurre che è più che mai utile mantenere un
contatto con noi stessi trovando il tempo di ascoltarsi, di riscoprirsi, di
rileggersi attraverso il proprio racconto, facendo riemergere dai ricordi le storie
che hanno dato un percorso alla nostra vita, con le loro dissonanze e contrasti,
ma riscoprendo anche con il loro contributo fondamentale nel costruire ciò che
siamo ora, con i nostri valori, il nostro sentire, amare e pensare. Guardarsi
dentro e percepirsi attraverso la narrazione di noi. Per riorganizzare le idee ed
divenire più consapevoli della propria realtà.
L’autobiografia diventa un ponte che collega il “nostro dentro” con il “nostro
fuori”, è un ponte che dona un contatto con l’altro e gli porta la nostra richiesta
di ascolto e di riconoscimento. Perché dopo essere entrati in contatto in maniera
privata con la nostra storia nasce la necessità di raccontarla per renderci visibili
ed avere la conferma di esistere. La nostra storia ci permette di entrare in
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contatto con l’altro soddisfacendo il nostro bisogno primario di essere
riconosciuti e di esistere almeno per la persona che, in quel momento, sta
ascoltando la nostra storia.
Infatti, se si riflette, ci si accorge che le persone cominciano ad esistere per noi
solo quando le conosciamo. Ma come facciamo a conoscere una persona? La
conosciamo scoprendo chi è: come si chiama, da dove viene, come vive, dove e
con chi vive… praticamente ci facciamo raccontare la sua storia.
L’istinto narrativo è antico nell’uomo. Tutta la vita e la comunicazione con gli
altri sono fatte di narrazioni, storie e racconti. Prima della parola questo
avveniva con il disegno e la gestualità. E’ dunque mia personale opinione
credere che la narrazione come cura di sé si sempre esistita, anche prima del
verbo. Mentre è la narrazione come terapia nel setting che è iniziata solo nel
nostro secolo.
I benefici del racconto autobiografico
Ad oggi l’autobiografia ha iniziato a conoscere un nuovo successo e una
diffusione nel lavoro sociale ed educativo. Nella scuola, nei centri riabilitativi,
nei servizi, comunità, etc. il racconto autobiografico è diventato sempre più un
vero metodo di lavoro, non più circoscritto al solo trattamento clinico terapeutico. Sono diverse le scuole, i corsi di laurea che formano professionisti
che utilizzano il metodo autobiografico nell’educazione e nel lavoro sociale.
Nel 1998 è stata fondata ad Anghiari (AR) la L.U.A. (Libera Università
Autobiografica) diretta da Duccio Demetrio.
L’autobiografia viene quindi considerata sempre più come metodo educativo in
grado di dare risultati in termini di cambiamento e recupero, da sempre essa
riveste un ruolo importantissimo nella ricostruzione di vicende, contesti,
situazioni e queste sono informazioni in grado di dare degli strumenti
all’educatore (autobiografico) per far emergere una nuova progettualità. Per
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esempio è di fondamentale importanza porre l’attenzione su come la persona si
racconta, e nel farlo, costruisce un’immagine di se stessa e del mondo in cui
vive perché questi processi cognitivi ci dicono molto di più della persona che ci
sta raccontano di quanto essa esponga con il suo racconto. Il racconto si fa
dialogo e stimola ad esplorare dentro di sé.
Gli effetti che vengono riconosciuti all’applicazione del metodo autobiografico,
secondo D. Demetrio sono:
1- Effetto di etero stima
Presente nel momento relazionale dell’incontro tra chi è protagonista di una
vicenda e qualcuno che si mostri interessato ad essa: il narratore si sente
confermato e riconosciuto dalla disponibilità di uno sguardo, da parole
incoraggianti, dal tempo offerto. Anche cronologicamente, questo è il primo
risultato che ci si prefigge di raggiungere.
2- Effetto di autostima
Durante il processo narrativo, che dimostra a chi parla o scrive che sa narrare e
che gli vengono offerte occasioni per esprimersi meglio: il narratore viene
aiutato a ritrovare la sua soggettività attraverso la riscoperta della propria storia
di vita, nel piacere di sentirsi autorizzati a ritrovare la dignità dell’uso della
prima persona. Con questo lavoro ci si prefigge, cioè, di far riguadagnare un
narcisismo primario disperso o mai nato.
3- Effetto di esostima
al termine degli incontri, quando al narratore vengono riproposte le sue storie,
affinché, da solo o ancora con un’assistenza, possa precisare ed arricchire
quanto
detto
attraverso
altri
linguaggi
(grafici,
visuali,
fotografici):
l’autobiografo si riconosce attraverso quanto realizza e produce.
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4.4 Quali aree di intervento?
Le aree d’intervento, come già premesso prima sono nel sociale e
nell’educazione, nel lavoro, nei servizi terapeutici e nelle comunità. Questi
luoghi accolgono protagonisti che spaziano in tutte le etnie ed età.
L’autobiografia può essere applicata a bambini, adolescenti, adulti ed anziani
con modi e finalità diversi.
L’autobiografia quindi non più è più, o non solo, considerata un genere
letterario ma una vera metodologia di lavoro ed in ragione di questo viene
impiegata sempre più nelle scuole. Qui si chiede allo studente non solo di
raccontarsi a scopo conoscitivo della sua storia individuale, ma per aiutarlo a
sviluppare più consapevolezza, aiutando ad esprimere bisogni e punti di vista.
Raccontare di sé a scuola, in gruppo, aiuta e favorisce l’espressione verbale,
abitua a “parlare” con gli altri, ad ascoltarli e ad ascoltarsi. Può contribuire a
sviluppare la comunicazione circolare in classe.
Oltre alla scuola il metodo autobiografico trova sviluppo anche con gli anziani
per i quali tramandare i propri ricordi di vita, ricollocarsi nella storia, riscoprire
i propri saperi e la propria identità. Il rischio, forse, di questo tipo di racconti
autobiografici è che l’anziano possa ripiegarsi su sé stesso, incrementando la
sua fuga ed isolamento dal sociale.
Nell’anziano malato di Alzheimer la memoria semantica, (di tipo cognitivo: idee,
concetti, sapere, conoscere fatti) può andare incontro a deficit anche gravi mentre la
memoria autobiografica (i ricordi di carattere collettivo e personale) sembra essere
più conservata. Gli interventi di stimolazione su questo tipo di anziani, ma più in
generale su tutti gli anziani istituzionalizzati, attraverso il racconto autobiografico
associato alla musicoterapia sembra dare risultati buoni come coadiuvante alla
malattia di Alzheimer.3
3
Francesco Delicati, Musicoterapeuta e Counselor.
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5. ASSOCIARE ALLE PAROLE LE IMMAGINI
5.1. All’inizio fu la poesia visiva…
Negli anni 60’-70’ si iniziò ad indagare su un nuovo tipo di scrittura verbovisiva, e in quel periodo nasce un genere che sembra voler sperimentare questa
somma di linguaggi (parola e immagine) che è la “poesia visiva”. Esponenti di
questa tendenza ad indagare il territorio che sta tra scrittura e arte visiva sono
stati Lamberto Pignotti e Eugenio Miccini (gruppo fiorentino 70), essi
miravano ad un linguaggio immediato e riconoscibile per tutti, senza limiti
dovuti allo status socio-culturale. Un linguaggio che tenesse conto del valore
iconico della comunicazione, ben evidenziato dai mass media e dalla pubblicità
nella quale non si può ignorare il connubio tra parole ed immagini. Le prime
produzioni di questa poesia visiva sono state realizzate usando collage (con
icone, ideogrammi, slogan e frasi stampate riprese dai rotocalchi, immagini,
geroglifici, etc.). Nel corso degli anni 60’-70’ ci furono diversi pittori che
seguirono questa sperimentazione che fu l’origine di diverse pratiche espressive
(dalle scritture visuali, materiche arrivando al “libro oggetto”). Sino ad arrivare
ad una mostra dedicata a questo tipo di espressione artistica nel 1978, intitolata:
Materializzazione del linguaggio.
5.2. Autobiografie per immagini
Raccontarsi attraverso le fotografie
“La poesia rappresenta l’irruzione più forte dell’immagine ai fini della
narrazione di sé strumento per eccellenza attraverso cui documentare la propria
esistenza”.4
4
Dallari, 1999.
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Questo modo di rappresentare la nostra storia di vita lo troviamo nei classici
“album di famiglia”. Questi sono dei veri e propri racconti biografici, diari di
vita realizzati attraverso le immagini perché sono le fotografie che
“raccontano”.
La parola, che al massimo vi riporta date e luoghi, è secondaria.
Questa associazione tra testo scritto ed fotografia sembra essere la prima con la
quale sono state realizzate
(auto)biografie illustrate. Inserire nel testo del
racconto immagini e fotografie è una modalità frequente da quando esiste la
tecnica fotografica. Le immagini sono sempre state utilizzate in appendice di
libri per esplicitarne meglio i contenuti. . I libri illustrati ne sono il primo
esempio perché la fotografia è sempre “narrazione”. In letteratura si trovano
tantissime fonti a riguardo. Molti libri (auto)biografici sono, infatti, correlati di
fotografie ed immagini, ne cito solo due ad esempio:
- SOTTO LA PELLE, la mia autobiografia vol.1: 1919-1949 di Lessing
Doris. Il libro di questa autrice è, infatti, corredato da un ampio numero di
immagini
riprese
dall'album
di
famiglia.
Si
tratta
del
primo
volume
dell'autobiografia di Doris Lessing, che utilizza come ausilio al testo da lei scritto
immagini e di documenti pubblici e privati con i quali racconta la storia di
cinque generazioni.
- VITA FEDELE ALLA VITA Autobiografia per immagini di Luzi Mario.
Anche qui abbiamo una biografia dove sono state raccolte le immagini del Poeta
Luzi e ad esse sono stati selezionati e associati testi di accompagnamento.
- IMMAGINI DI UNA VITA autobiografia illustrata di Gyatso Tenzin.
Si tratta di un bel libro illustrato le cui foto in alcuni casi sono dei veri
documenti storici inediti e commentati dal Dalai Lama.
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Il testo iconico viene sempre più usato anche nei laboratori autobiografici,
perché sembra una buona integrazione e, in taluni casi alternativa, al solo testo
scritto.
La trasposizione cinematografica di biografie
La pratica autobiografica trasposta nel mondo cinematografico ha fatto il suo
ingresso negli anni ’50 inaugurata da Jonas Mekas e Stan Brakhage e dopo
isolate esperienze del cinema sperimentale sembra rivelarsi uno dei più
interessanti percorsi del documentario contemporaneo.
Sempre più spesso l’autobiografia è entrata a far parte del cinema dai film
diario alla biografia, ai film documentario.
Apro una breve parentesi citando, tra i tanti film di questo genere quello di
Maria Montessori (2007, drammatico) che parla della vita della Dr.ssa
Montessori una tra le prime donne laureate in Italia e famosa educatrice il cui
metodo pedagogico è stato ammirato e compreso soprattutto all’estero, mentre
l’Italia del momento storico in cui visse Maria è quella che sembra averne
compreso meno l’importanza.
La pratica diaristica audiovisiva
Un accenno in merito al diario, non più scritto ma filmato va fatta in ragione ad
una consuetudine sempre più diffusa tra i giovani di usare i mezzi audiovisivi
per registrare momenti della loro vita. In questo caso siamo di fronte ad un
“home movie”, privato non cinematografico. L’immagine “ripresa” in questo
modo, non è mediata, non viene filtrata dai ricordi e dalle scelte di chi scrive un
diario. Anzi in essa viene ripreso tutto, anche ciò che l’autore non aveva
considerato o voluto. Per questo, come in alcune foto dove si notano particolari
che al momento dello scatto non si erano visti, il diario filmato registra cose di
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cui solo successivamente ci si può rendere conto.
Con i mezzi attuali, la pratica dei video amatoriali ha, in taluni casi, sostituito
anche il vecchio album di foto con delle vere storie di vita famigliare filmate.
L’espressione artistica
L’espressione grafica, il disegno, la pittura e più in generale il linguaggio
iconico inizia già nella nostra storia primitiva. Il raccontare attraverso le
immagini dipinte lo troviamo prima dell’avvento della scrittura, lo troviamo già
nelle caverne. L’esperienza artistica è un modo di comunicare, tutti i segni e
simboli che emergono da un’opera pittorica (o scultoria) narrano delle emozioni
(espresse appunto attraverso l’opera dall’autore) in maniera metaforica. Chi
guarda un’opera d’arte cerca di interpretarne i significati, di decodificare le
emozioni che questa trasmette. In un qualche si cerca di “leggere” l’opera
stessa. Anche se in realtà le immagini non vanno spiegate, la loro è una
valenza, appunto, metaforica e la loro interpretazione soggettiva. Tramite
questo mezzo molti artisti hanno “raccontato” la loro storia di vita. Dal famoso
V. Van Gogh, a E. Munch a F. Kahlo o l’artista brut O. F. Nannetti.
Il colore ha un forte potere nel trasmettere emozioni e in alcuni casi riesce ad
andare oltre alla parola scritta. La parola dolore, sofferenza non trasmetterà mai
in maniera così diretta ed intensa come può dare invece la vista di macchie
rosse (di sangue) il suo significato emozionale. Il colore associato ad immagini,
che sono più immediate della parola, può produrre un linguaggio che affiancato
alla narrazione scritta la rende più completa, più ampia.
Questo argomento, che riguarda il connubio tra (auto)biografia ed espressione
artistica, cioè il raccontarsi attraverso un’opera artistica sarà un punto che
svilupperò in maniera più estesa nella prossima tesi, che sarà incentrata più
sull’espressione grafica (iconica) del racconto autobiografico con un’analisi più
approfondita delle esperienze artistiche esistenti.
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6. ALTRI MODI DI RACCONTARSI: LA LUDOBIOGRAFIA
6.1. Raccontarsi per gioco, raccontarsi giocando
La ludobiografia è una modalità di narrazione che prevede forme di gioco per
raccontare, attraverso le parole, le immagini, i suoni, il corpo, le proprie storie
in un contesto di gruppo.
Partendo dal fatto che i racconti autobiografici non raccontano mai “il vero” ma
un’interpretazione personale dei fatti ci si trova di fronte ad un dilemma che
sembra trovare un punto di contatto con la ludobiografia. Perché nel raccontarsi
per gioco non ha più grande importanza se chi si racconta non racconta il vero.
In questo caso il racconto non serve a comunicare qualcosa di certo.
La narrazione ludobiografica sta dentro la dimensione del racconto
autobiografico che non è mai né vero, né falso e sta dentro alla dimensione
ludica anch’essa mai né vera, ne falsa. Le storie che ne derivano sono quindi
quasi una forma di paradosso. Sono storie che possono essere raccontate in
modo più o meno profondo, a seconda del clima che si instaura nel gruppo di
giocatori. Sperimentarsi con la ludobiografia permette un approccio
all’autonarrazione non forzato, perché l’aspetto giocoso tranquillizza, facendo
iniziare un percorso che magari non si sarebbe altrimenti iniziato. Questo
perché i giochi autobiografici stimolano, appunto perché sono piacevoli,
divertenti, non giudicanti, offrono e non costringono in un clima leggero di
gioco, appunto.
Tutti ci si possono sperimentare, in un mix di serietà e
divertimento attraverso lo scritto ma anche attraverso il corpo, i suoni, le
immagini… il tutto attuato in forma di gioco.
Gianfranco Staccioli (Università di Firenze) riporta nel suo articolo
“raccontarsi nel/per gioco” (risorsa online sulla ludobiografia) cinque tipi di
gioco ludo biografico:
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1- La storio-grafia del nome dove si inizia a raccontarsi partendo dal proprio nome
o da quello degli altri.
2- La storio-grafia nascosta delle cose dove si gioca a diventare biografi di se
stessi o degli altri partendo dagli oggetti.
3- Le storio-grafie dentro di noi dove si lasciano uscire racconti fantastici, di vite
diverse o impossibili.
4- Le storio-grafie per immagini dove le immagini ponendosi come “esterne”
diventano specchio dell’anima e significative della propria storia.
5- Le storio-grafie del corpo dove la comunicazione non verbale ha il sopravvento
e dove l’azione corporea diventa azione teatrale.
Interessante a questo proposito è il libro di D. Demetrio “Il gioco della vita.
Trenta proposte per il piacere di raccontarsi” Guerini e Associati, Milano,
1997.
Perché si tratta di un libro che contiene proprio un gioco, con il suo kit di
cartone similare al gioco dell’oca, e diverse proposte per raccontarsi in maniera
divertente e ludica.
7. PROBLEMI APERTI: L’OBIETTIVITA’
Uno dei problemi sollevati nell’uso dei racconti autobiografici è quello
dell’obiettività. Cioè il problema dell’aderenza della narrazione ai fatti
veramente accaduti. Riporto al riguardo stralcio di un articolo:
[...] Il maggiore punto di disaccordo fra i due indirizzi di ricerca è, per quanto
riguarda il metodo autobiografico, il problema dell’aderenza della narrazione
alla realtà. A questo proposito, vanno fatte alcune riflessioni sul pensiero
narrativo.
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La mente umana è dotata di una particolare forma di ragionamento, detto
pensiero narrativo, che trasforma continuamente ciò che si vive in termini di
racconto. Questa strategia di pensiero è utile per l’interpretazione della realtà,
per la costruzione del concetto di sé e dell’identità. Essa compare dopo il
secondo anno di vita (la sua presenza viene segnalata dai monologhi che il
bambino comincia a produrre) e viene continuamente rinforzata e rinnovata
per tutta la vita attraverso i racconti autoreferenziali ed autobiografici.
Un elemento fondamentale del pensiero narrativo è la coerenza, che porta il
narratore di sé a trarre il proprio racconto dall’insieme caotico dei ricordi,
disponendo le singole esperienze secondo un filo logico e dotato di significato.
La memoria, inoltre, è un processo dinamico e implica una reinterpretazione
continua del passato, che viene aggiornato e arricchito di nuovi particolari
alimentati dal vissuto quotidiano, che agisce retroattivamente modificando i
ricordi. L’autobiografo ricostruisce dunque la propria esistenza attraverso una
"rivisitazione creativa che trasforma i fatti in artefatti"1. L’educatore,
nell’adottare questo metodo, sa già in partenza che nella narrazione
autobiografica non c’è obiettività, ma il suo interesse è rivolto soprattutto alle
modalità del racconto e ai significati attribuiti dal narratore al proprio vissuto.
[...]5
L’attenzione per la narrazione autobiografica non deve essere quindi posta solo
sulla “cronaca dei fatti”, perché il narratore fa una globale ricostruzione della
propria storia in un percorso, tra memoria e realtà, nel quale i ricordi divengono
ricostruttivi e non riproduttivi. Esercitando quindi una reinterpretazione senza
sosta del tempo trascorso in rapporto con il presente.
Nei racconti prevale sempre l’aspetto affettivo ed emotivo attraverso i quali il
ricordo viene rimaneggiato e trasformato. Il senso ed i significati vengono
modificati in basse all’evoluzione della nostra storia personale. Non abbiamo
5
Bolzoni A., Un manifesto dell'educatore autobiografo, in "Animazione sociale" n. 3 - 1999.
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più, dunque, la realtà oggettiva, ma una propria e personale dimensione del
reale. Che viene costruito e strutturato in maniera soggettiva. Quindi la realtà
dei fatti è diversa dalla realtà psichica. Ma è in questo secondo luogo che
narratore e terapeuta (o educatore autobiografico) si incontrano. Il racconto
introspettivo che scaturisce ha un valore “auto formativo” perché risveglia una
molteplicità di processi cognitivi. L’utilizzo coordinato e ragionato di questi
processi da parte di chi accoglie il racconto autobiografico e la restituzione che
egli né fa contribuiscono ad attivare una trasformazione nel narratore.
Da questo, credo si possa dedurre che ai fini del beneficio terapeutico questo
problema della mancanza di obiettività (o meglio della cosi detta “verità
narrativa”) del racconto autobiografico sia relativa e trascurabile, mentre se le
finalità divengono di tipo scientifico, l’analisi dei fatti risulta compromessa da
questa
forma
di
“pensiero
narrativo”.
In
questo
caso
l’obiezione
sull’attendibilità della narrazione non è superabile perché è difficile, se non
impossibile, stabilire se quel che racconta una persona di se stessa sia vero.
La lettura ed il racconto dei propri ricordi è sempre una comunicazione relativa
e interpretativa che mette in condizione chi ascolta di non sapere mai “la
verità”. Questo tipo di narrazioni sono state definite da Bruner delle
“composizioni ermeneutiche” impossibili a classificare come ‘vere’ o ‘false’.
8. UN ATELIER AUTOBIOGRAFICO PER IMMAGINI
8.1. l’ambiente in un laboratorio espressivo autobiografico
Come potrebbe essere realizzato un laboratorio espressivo o un atelier
autobiografico? Allo stato attuale sembra che esistano laboratori di scrittura
autobiografica ma in essi si realizza la sola scrittura o racconto autobiografico.
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Oppure troviamo esempi di laboratori espressivi di arte terapia nei quali viene
utilizzato anche il racconto autobiografico, oppure
si utilizza la
rappresentazione grafica-pittorica di sé stessi o della propria famiglia o similari.
Ma non ci sono vere realizzazioni, per quanto io abbia potuto appurare nelle
mie ricerche, di storie autobiografiche per immagini pittoriche o comunque
attraverso realizzazioni artistiche che vadano oltre alla scrittura creativa o
all’immagine filmato grafica.
Quindi
potrei
azzardare
che
un
laboratorio
artistico
dedicato
alla
rappresentazione della nostra autobiografia è un po’ da “inventarsi” prendendo
e mettendo assieme ciò che può essere utile per l’uno e per l’altro.
L’accoglienza dell’ambiente si dovrà equivalere: c’è bisogno sicuramente di un
luogo protetto e sicuro in cui potersi esprimere con tranquillità e serenità.
Quindi un luogo dove non ci sia passaggio di persone estranee al gruppo, da
non condividere con altre attività. Un luogo luminoso, favorevole, rilassante,
spazioso in cui poter trovare il proprio posto nel momento in cui ci si voglia
raccogliere con se stessi e la propria memoria in maniere individuale, durante la
realizzazione del proprio lavoro. Poi ci dovrà essere uno spazio di incontro
dove “raccontare” agli altri, se si vorrà, la nostra rappresentazione
autobiografica.
Come in un atelier artistico potremmo trovare tutti i materiali possibili ed
immaginabili per le nostre realizzazioni.
Ci dovranno essere colori di ogni genere: matite, graffiti, pennarelli, acquerelli,
tempere, acrilici, colori da usare con i pennelli o a dita, colori liquidi o pastosi,
etc.
Ci dovranno poi essere i materiali di supporto agli stessi: carta e cartone, di
tutte le tonalità, legno (tavole di compensato o di materiale pressato), tavole di
pvc o altra plastica, etc. Ci dovranno essere tutti i materiali alternativi alla
scelta di una realizzazione pittorica: quindi tessuti, oggetti e materiali vari
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(come sabbie, sassi, conchiglie) con i quali realizzare collage ed opere
tridimensionali. Tutto il materiale dovrà essere esposto in vani a giorno, cioè a
vista perché tutti possano vedere tutto ciò che c’è a disposizione. Tutto questo
colore e materiale esposto può però creare una certa “confusione” e “rumore”
nella mente di chi invece deve raccogliersi nel ricordo. Quindi questo spazio,
questo bazar di materiali dovrà essere un po’ discostato dal luogo dove viene
realizzata l’opera. O comunque non troppo addosso ai tavoli sui quali si
lavorerà. Per questo è importante che il laboratorio non sia un luogo troppo
stretto da diventare angusto e caotico.
Ci dovrà essere abbastanza materiale per poter dare la possibilità ad ognuno di
trovare nell’atelier “il proprio ricordo”. Di trovare cioè il colore, l’oggetto la
tecnica che meglio gli può rappresentare il proprio ricordo.
8.2. Gli stimoli per far emergere la voglia di raccontarsi
Ci dovrà essere uno spazio con del materiale atto a stimolare la volgi di
raccontarsi e magari capace di far emergere dei ricordi. Quindi un luogo dove
trovare:
 Racconti autobiografici.
 Video d’epoca o di stagioni passate.
 Fotografie vecchie.
 Giornali vecchi.
 Raccolte di pubblicazioni dei luoghi di vita e delle tradizioni.
Ciò per “vedere” cosa è successo e cosa succedeva mentre noi eravamo
bambini e “crescevamo”.
Di grande importanza è stato l’ambiente che ci circondava, che è cambiato con
noi e quindi un grande aiuto a recuperare i ricordi posso essere:
 I media: film, telefilm, pubblicità, canzoni ed altro che andavo in onda
quando eravamo bambini e adolescenti sino ad arrivare ad oggi.
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 Gli oggetti d’uso: oggetti per la casa, giocattoli, gli alimenti l’arredo, etc.
 Mode: vestiti, abbigliamento, accessori, etc.
 Eventi: invenzioni e scoperte, fatti importanti accaduti (sia storici che
meteorologici).
8.3. I materiali adatti ad un’integrazione tra autobiografia ed espressione
artistica
La nostra storia viene qua narrata in maniera libera attraverso più forme
comunicative: dal racconto scritto al disegno. Quindi i materiali per integrare
espressione artistica e autobiografia possono essere formati dall’unione di ciò
che viene utilizzato in un laboratorio di narrazione autobiografica e in un atelier
artistico. Gli elaborati possono essere formati dall’utilizzo di tecniche più
disparate dal dipinto vero e proprio al collage di materiali vari che permettano
di rappresentare simbologicamente le emozioni che intendiamo (che sentiamo
di) esprimere.
Si possono quindi utilizzare collage di immagini che mettendo insieme foto di
persone che hanno fatto parte della nostra vita, foto dei media e foto degli
oggetti della nostra infanzia, etc. Ma si può utilizzare anche materiale tipo:
stoffa, plastica, oppure veri e propri oggetti (di dimensioni tali da consentire
l’incollaggio su supporto per il collage che s’intende realizzare) come bottoni,
fiori essiccati, etc.
Quindi via libera ai materiali più disparati per poter realizzare una
rappresentazione simbolica dei nostri ricordi e delle emozioni che gli stessi ci
hanno lasciato, senza limitare questa rappresentazione alla bidimensionalità si
può arrivare ad un “totem del ricordo”, quindi ad una rappresentazione
tridimensionale del nostro ricordo, quasi come una scultura. Ci saranno dunque
nell’atelier autobiografico anche materiali quali la creta, il legno, e tutto ciò che
può permette una realizzazione di questo genere.
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Dalla semplice rappresentazione illustrata dei nostri ricordi tramite fotografie si
può arrivare, dando spazio alla nostra creatività anche alle, così dette, “stanze
dei ricordi”.
9. PERCHE’ HO REALIZZATO UN PERCORSO PER IMMAGINI
Chi affronta un percorso autobiografico ha sempre bisogno di proiettarsi in
qualcosa (la scrittura, le immagini o quant’altro) che rifletta l’esigenza di
costruire un altro sé con cui interagire e che faccia da specchio.6
Sono profondamente convinta che solo le parole non possano bastare nel
racconto della nostra vita. E’ una questione di scelta del mezzo da utilizzare per
esprimerci. E per me sia la scrittura che il disegno sono due elementi importanti
della mia vita: disegno da quando non sapevo ancora scrivere ma tenevo una
matita in mano, ho iniziato a tenere pagine di diari da quando ho imparato a
scrivere.
Ho quindi deciso di integrare questi due elementi in ragione anche di un
percorso “arte-terapeutico” che mi sembra si cali benissimo in una
rappresentazione illustrata della narrazione autobiografica.
Alcune riflessioni prima di iniziare questo laboratorio autobiografico:
Attraverso il racconto della mia vita riesce ad emergere la persona che è in me,
con la sua storia, non più solo una malata. L’esperienza di raccontare chi ero,
chi erano le persone che mi hanno aiutato a crescere mi permette di riacquistare
una visione di me come persona, al di là della malattia.
Raccontarmi, in un certo senso, mi permette di esistere. Esistere anche per le
6
Raccontarsi a scuola – ed. Carrocci Faber.
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persone che mi circondano ora e che non conoscono la mia storia di vita,
avendomi incontrato solo ad un punto X della mia vita. Magari proprio il
momento della malattia che non rispecchiava più chi ero e chi ero stata,
annullano il mio essere totale o mostrandone solo una parte.
Rivedere le varie tappe della mia vita mi permette di creare un percorso della
stessa, vedere da dove sono partita, cosa ho fatto, dove sono arrivata, dove mi
sono anche fermata e dove sono ripartita mi consente di mettere a fuoco meglio
la mia direzione attuale.
Rivedere e raccontare le persone che hanno fatto parte della mia vita, persone
importanti come le mie figure di attaccamento, mi permette di prenderne una
certa distanza, dovuta al tempo trascorso e a rivalutare i loro agiti per
comprendere meglio e magari riuscire a perdonare certi errori che al momento
dei fatti non sono stata in grado di fare. Raccontare le storie di queste figure di
attaccamento mi permette di vederle come persone a se, con la loro vita i loro
problemi le difficoltà e le gioie ponendomi da spettatore con una maggiore
capacità di comprenderne la vita come se fossero persone di un film o di un
racconto altrui.
Il percorso autobiografico, associato alle immagini fotografiche e all’arte
figurativa è diventato in luogo in certi momenti di forte disagio, riferito
soprattutto ai ricordi traumatici ma nella maggior parte è stato un luogo di
benessere. Perche ho ripercorso assieme alle persone anche i luoghi della mia
vita, quindi spazi come il fiume Adige, la campagna e i boschi di pioppi. Questi
ricordi portano lontano dai problemi (dal disagio dovuto ancora agli strascichi
della malattia) attuali e tutto il presente, almeno nel momento in cui realizzavo
l’autobiografia, veniva posto in secondo piano.
Il ricordo sarebbe potuto essere anche solo ludico, ma la mia scelta è stata
quella di portare anche le parti più negative, per potergli dare una nuova luce e
porre queste esperienze “fuori di me” , condividendole con qualcuno che non
le conosce e che avendo una visione diversa delle cose potesse darmi un imput
per una rielaborazione diversa delle stesse.
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9.1. Le finalità e gli obietti che mi sono posta
Gli obiettivi posti, nel percorso autobiografico, erano di tipo:
- cognitivo (retrospezione) cioè quello di riattivare la memoria, il ricordo di
cose che si pensano perdute nel tempo ma che invece risiedono ancora in
qualche luogo remoto del nostro cervello. Per recuperare i ricordi del passato,
dell’infanzia si attiva la memoria a lungo termine si fa quindi un esercizio
cognitivo utile a mantenere viva la mente.
Questo perché mi sono resa conto che molti dei miei ricordi sono scomparsi,
sono infatti veramente poche le cose che ricordo della mia infanzia, ma non
solo. Anche avvenimenti più recenti vissuti in questi ultimi dieci anni, (come ad
esempio luoghi visitati) si sono come cancellati.
- riflessivo (introspezione, ri-significazione) meditare sui fatti avvenuti,
cercando di comprenderli meglio. Ricostruendo il nostro percorso gli si da
anche un senso, gli si assegna dei nuovi significati e magari si trovano nuovi
itinerari e progetti.
Questo sempre in rapporto con gli avvenimenti più traumatici della mia vita, in
un tentativo di comprendere ciò che accaduto.
- di rivalutazione (autostima): raccontandosi ci si riconosce come individui con
una propria storia, ci si accorge di “essere qualcuno” ed eventualmente di
“esistere per qualcuno” (per chi ti sta ascoltando in quel momento) scoprendo
che magari che la nostra è stata una vita anche importante. Ci si accorge della
nostra unicità. Ci si può rivalutare di fronte alla nostra capacità nell’aver
superato momenti difficili, ci si può ricredere della noia e della nullità che
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pensavamo di fronte ad amori e ad avventure vissute.
Anche in questo caso, rivalutare la mia vita mettendo per iscritto parte dei miei
vissuti, anche se non in maniera completa, mi consente di accorgermi in modo
“tangibile” di aver superato momenti molto difficili come una malattia durata
tre anni.
9.2 Linee di lavoro che ho seguito
a) Scelta del tema conduttore: FDA
b) Organizzazione del proprio racconto: scegliere le persone ed i periodi da
raccontare attraverso le immagini.
c) Ricerca documentazione (percorsi già realizzati nei laboratori di scrittura
autobiografica).
d) Scelta dei tempi: realizzazione degli elaborati grafici prima o dopo la
narrazione scritta?
e) Realizzazione degli elaborati: entrare in contatto con i materiali da usare.
f) Iniziare a trasporre le proprie immagini interiori sul foglio.
g) Visone degli elaborati da parte di un osservatore esterno.
10. RISULTATI E DISCUSSIONE
"Attraverso lo sguardo, metafora del suo potere creativo, l'auto-ritrattista
acquisisce un triplice ruolo, in quanto è allo stesso tempo autore, soggetto e
spettatore”.7
7
Nuñez.
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10.1 Riflessioni: mi guardo attraverso l’opera realizzata
Considerazioni sui materiali scelti e le emozioni evocate
Come primo impatto avevo scelto, infatti, di creare un collage con foto ed
oggetti riferiti alla persona che intendevo “ricordare” attraverso la tavola
grafica. Ma ho poi visto che si può spaziare in maniera più creativa usando
solo, immagini, forme e materiali che trasmettano le sensazioni che si provano
nel ricordare quella data persona e/o evento della nostra vita.
Nelle tavole realizzate, (alcune prima in una versione, poi in un’altra) sono
scomparse le immagini stesse delle persone che le tavole rappresentano. Solo in
una delle prime tavole è rimasta un’immagine di un volto per il solo fatto che
non si tratta del volto della persona rappresentata ma di una figura che
“ricordava” la persona in questione, e comunque questa immagine è stata
“sfocata” divenendo quasi parte dello sfondo della tavola grafica.
In un secondo momento ho tolto questa tavola sostituendola con una senza foto.
Ho preferito tenere le immagini fotografiche entro il racconto scritto, durante la
descrizione di ogni persona ho inserito immagini che la rappresentano per
rafforzare sia il ricordo che le emozioni riemerse con esso. Le foto rendono più
tangibile, a mio parere, l’esistenza di una persona specialmente se questa non
c’è più e alcune delle mie figure di attaccamento sono già passare a miglior vita
da molti anni. Altre, per fortuna, ci sono ancora.
Le emozioni evocate sono state diverse per ogni tavola realizzata. In alcune c’è
stata un’immediatezza sia nella realizzazione grafica che nelle sensazioni
trasmesse. Per alcune figure, che già da tempo non fanno più parte della mia
vita, mi sono resa conto che c’è già stata un’elaborazione tale dei vissuti che,
anche quelli più difficili e traumatici, non hanno avuto una risonanza forte o
dolorosa come per altre figure d’attaccamento per le quali non c’è ancora stata
una buona presa di distanza. Infatti, in alcuni elaborati grafici ho dovuto
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riflettere e rifare la rappresentazione, modificarla o completarla senza, per
alcuni trovare una soddisfacente soluzione finale.
Analisi e descrizione dei contenuti delle tavole realizzate
TAVOLA 1 – MIA NONNA
In questa tavola pittorica ho voluto rappresentare tutti gli elementi del luogo
dove mia nonna ed io abbiamo vissuto negli anni della mia infanzia. Ho
rappresentato lei attraverso la sua casa, il suo giardino, le sue vigne. Ho voluto
dare a questo dipinto un aspetto fiabesco e magico, perché i ricordi che mi
legano a quei luoghi sono tali. In quella casa ho giocato e in quei luoghi ho
passato momenti sereni.
Essendo dunque il ricordo di mia nonna Ada molto intenso e bello l’ho voluto
esprimere con colori vivaci ma leggeri come il lilla, il malva. Associo molto a
mia nonna il ricordo del colore degli Iris pallidi che è quello che predomina.
Rappresentati nell’illustrazione si vedono le vigne e gli alberi che stavo dietro
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casa. C’è la tenda indiana fatta di rami accatastati, c’è la casa di legno che era la
falegnameria di mio nonno e la ferrovia dietro la casa che si staglia verso il
cielo con il suo treno di sogni. E la casa, che in un primo momento avevo
realizzato in maniera più realistica l’ho poi cambiata portandola verso
un’immagine da illustrazione di fiabe. Tipo le case delle fate, anche se mantiene
elementi reali come la disposizione della struttura, il cumulo di sabbia, etc.
TAVOLA 2 – MIA MADRE
Nella tavola che riguarda mia madre ho voluto rappresentare come una cosa
bella come un fiore possa se caricata troppo diventare soffocante: perché così
ricordo mia madre, una donna che amava i fiori e le cose anche un po’ frivole
(gioielli e ori) e un po’ bigotte (santini, madonnine e bamboline) ma che era per
me ossessiva. Ho quindi riempito la tavola con tantissimi fiori fino a farli
diventare un tutt’uno indistinto e opprimente. Ho dato predominanza al rosso e
al nero perché sono i colori del dolore e per me rappresentano una mancanza di
felicità se associati in questo modo. Il vissuto nei confronti di mia madre è stato
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molto conflittuale e traumatico e solo la sua malattia e la successiva morte ci ha
portate ad un riavvicinamento. Mi rendo conto che di lei non mi rimangono
certo i bei ricordi sereni che ho di mia nonna. Ma credo che, nel complesso, da
questa tavola emerga una certa forza. Credo che sia la forza che, infondo, aveva
mia madre anche con tutti i suoi grandi difetti e problemi. Forza che deve
avermi passato, visto che dopotutto quello che mi è successo sono riuscita a
resistere ed ad essere ancora qui.
TAVOLA 3 – MIO FRATELLO
Nella tavola di mio fratello ho voluto rappresentare un’immagine che associo
sempre a lui: la Festa degli Aquiloni. Era un momento importante per noi
bambini, ed io aspettavo con ansia di poter costruire il mio aquilone con mio
fratello (io non ero troppo piccola per farlo da sola). In questo breve attimo si
concentra tutto ciò che per me rappresentava mio fratello: una persona giocosa
e gioiosa. Ed i ricordi che associo a lui sono leggeri e pieni di sorrisi. A parte i
momenti in cui la malattia di mia madre ci ha fatto litigare, non mi sono sentita
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di rappresentare nulla di negativo nel suo ricordo, ciò significa che ho superato
anche i momenti poco belli che ci sono stati tra noi. Ed è rimasto solo il cielo
colorato dagli aquiloni nel vento. La tavola è stata realizzata sia con tecnica
pittorica che con l’intervento del computer con il quale ho inserito le immagini
degli aquiloni. La mia intenzione era quella di realizzare proprio dei piccoli
aquiloni utilizzando la semplice tecnica di allora: due bastoncini leggeri (le
canne che si trovavano lungo fosso) incrociati e plastica leggera recuperata
dalle confezioni delle uova di Pasqua o da sportine della spesa.
TAVOLA 4 – LA MIA MIGLIORE AMICA
La mia migliore amica Ka ha superato per importanza la figura di mia sorella,
perché lei è stata una vera sorella per me. Dalle scuole medie sino al periodo
della mia malattia la nostra amicizia è durata come la cosa più naturale di
questo mondo. In questa tavola, di cui non sono molto soddisfatta del risultato,
volevo rappresentare quel periodo dell’adolescenza, agitato e confuso che ho
condiviso con Ka. Ho voluto inserire elementi quelli pietre e perline perché mi
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ricordano la nostra frivolezza di ragazzine che iniziavano ad usare i primi
trucchi ed ad abbigliarsi in maniera sexy, con pizzi e calze fini. La discoteca, il
ballo, le luci sono le poche immagini che ho aggiunto perché non mi sembrava
che la tavola rendesse bene ciò che volevo rappresentare. Guardando ora la
predominanza del verde che è un colore freddo mi chiedo perché l’ho usato,
forse perché mi ricordava i prati e mi dava una sensazione di serenità, spruzzata
da altri colori caldi tipo il giallo e l’arancione ho pensato di ottenere un effetto
adatto. Forse ho realizzato questa tavola con superficialità, qual’era poi il
rapporto di due adolescenti un po’ immature come eravamo noi allora.
TAVOLA 5 – IL MIO PRIMO COMPAGNO
L’ho chiamato compagno, ma in realtà è un ex fidanzato che è stato di
importanza fondamentale nel portarmi verso una vita migliore e verso il bivio
della depressione. La sua presenza è stata fondamentale sia in negativo che in
positivo, ma di lui come persona mi è rimasto poco. In questa tavola ho voluto
rappresentare com’era: una persona rivolta molto verso di sé, verso il suo
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mondo di studi, ricerca, lavoro all’università. Ho rappresentato un fondo
spaziale perché lui era astrofisico, perché era un ecologista ho voluto inserire
immagini di macchine “ecologiche” come le avrebbe volute lui, macchine
eoliche… e poi ho inserito di netto i suoi disegni con quelli di Jacovitti, suo
maestro ispiratore. Di me ho messo veramente poco in effetti, perché allora
c’era solo lui, vedevo solo lui e non me. Alla fine la tavola è risultata un po’
spoglia. Mi sono chiesta il perché e ho concluso che forse non c’era molto in
quel rapporto sia di mio che di suo. In comune forse avevamo solo questo che
ho rappresentato: i fumetti e il piacere di disegnare.
TAVOLA 6 – MIO MARITO
Del mio attuale marito ho rappresentato alcuni suoi lavori che io ritengo
splendidi: le giostre per bimbi, la calci, il cavallo a dondolo, l’avio con i
deltaplani… il suo lavoro che è stato anche il mio è una cosa splendida peccato
che sia diventato una galera. Ho, infatti, dipinto sul fondo un paesaggio di
montagna con uno specchio d’acqua nel quale si riflettono serenamente le
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montagne, in contrasto con il caotico mondo del suo lavoro che satura le
persone di stress. Il lavoro, e quindi la nostra vita, sta dentro, fuori c’è la
tranquillità. Ho usato colori vivaci perché non c’è qualcosa di veramente brutto
nonostante i momenti difficili della nostra storia. Ho inserito nelle sbarre nere
delle immagini umoristiche del Kamasutra, perché in quei momenti in cui c’era
solo il lavoro e nessun altro tipo svago, le sbarre che ci separavano dalla vita
fuori erano camuffate dai giochi amorosi che erano l’unica forma di
divertimento. Quelle sbarre io le ho rappresentate che si sgretolano e vanno a
sparire dietro gli elementi del lavoro. Perché questo lavoro così bello inganna:
sembra che ti dia la libertà mentre invece te la toglie.
TAVOLA 7 – IL MIO EX-MEDICO
Del medico psichiatra che mi ha seguito inizialmente nel periodo più buoi della
mia malattia mi è rimasto dentro un trasporto, o infatuazione amorosa che con
difficoltà ho provato a superare. In momenti difficili qual’era la mia situazione
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depressiva legarsi a qualcuno, che in quel momento è l’unico che senti vicino, è
una cosa istintiva ed immediata. Realizzando la tavola grafica che riguarda il
Dr. Wall mi sono resa conto di avere estrema difficoltà a “staccarmi” dalle
emozioni, ancora molto forti che mi legano alla sua figura. A tal punto che ho
realizzato prima una tavola, formata soprattutto da parole e scritti per poi
accorgermi di avere creato una forma di autoinganno, descrivendo la sua figura
come “terapeuta”, quando in realtà io non l’ho mai vissuto così, come medico
ma come amico, confidente, compagno. Proiettando su di lui tutti i sentimenti
che si agitavano dentro di me. In questa tavola, l’ultima fatta, ho espresso tutto
quello che mi viene in mente quando penso alla sua persona, come l’ho vissuta
io. Un luogo di serenità e di amore.
Analisi della parte scritta, dei ricordi e vissuti rievocati
La parte scritta è quella che mi ha permesso di integrare e completare le tavole
grafiche che nelle quali non sentivo di aver espresso al meglio ciò che volevo
rappresentare, mentre per alcuni scritti le immagini grafiche hanno reso molto
di più quello che sentivo dentro a riguardo di quella figura d’attaccamento.
E’ ovvio che la scrittura sia uscita in maniera più scorrevole e immediata, ma
questo per una questione molto tecnica. Anche se, a detta di molti, sono brava a
disegnare mi trovo con delle limitazioni (non so usare bene certe tecniche
pittoriche, ad esempio i colori ad olio) che non mi hanno permesso di
avvicinarmi graficamente a quello che avevo nel pensiero, ho dovuto quindi
(alcune volte per scelta, altre per forza) rimediare con un collage o con una
rappresentazione che si avvicinava ma non era esattamente ciò che pensavo
risultasse. Nella parte scritta tutto questo non è successo. Gli errori ortografici
non limitano l’espressione del contenuto. Ciò che volevo dire su di una tale
persona od esprimere di quel dato ricordo l’ho fatto. A livello descrittivo degli
eventi e delle figure d’attaccamento devo quindi dire che scrivere è stato un
momento piacevole e soddisfacente. Cosa che ho notato rispetto agli elaborati
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grafici è che difficilmente mi pongo di fronte allo scritto dopo averlo fatto.
Cioè: l’immagine tendo a riguardarla più volte dopo averla realizzata, anche
dopo un certo tempo perché magari viene appesa al muro o tenuta appoggiata
sul tavolo e questo mi permette di riguardarla spesso e di ricavarne
considerazioni nuove o diverse. Mentre lo scritto una volta riletto per la
correzione di eventuali errori, quindi una rilettura “a fresco” tende ad essere
“chiuso in un cassetto” e non più riletto. Lo sforzo che mi rendo conto dover
fare e quella di lasciare raffreddare le cose scritte per un certo tempo e poi
obbligarmi a rileggerle (anche se non mi interessano più) per poterle “vedere”
con quella giusta distanza che solo il tempo può dare e poter ricavare nuove
considerazioni come per le tavole grafiche.
10.2 Un confronto con l’altro: come mi vedono dal di fuori
Il ruolo della visione esterna del tutor
Se diamo all’immagine la capacità di rispecchiare il mondo di chi la traccia, ad
essa si possono attribuire significati simbolici a vari livelli.
Nel caso delle mie rappresentazioni pittoriche riferite alle figure d’attaccamento
il ruolo del Tutor è stato importante nel trovare significati simbolici diversi da
quelli che avevo dato io, inducendo una riflessione ed una rielaborazione dei
vissuti con la persona rappresentata.
Il Tutor induce, in questo senso, percorsi riflessivi di significazione e risignificazione.
Osservazione degli elaborati grafici
Quando si osserva un dipinto, ci si può accorgere di quanti messaggi esso
trasmette all’osservatore. Ci sono messaggi che possono essere decodificati
razionalmente, tramite valutazioni logiche e riflessive mentre altri hanno una
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valenza emotiva e sensoriale che scaturisce dall’impatto visivo con l’opera e
non può trovare una decodificazione razionale.
Attraverso i giochi di colore e di forme il dipinto evoca delle emozioni che
vanno oltre la ricostruzione osservativi.
Anche nel mio caso il Tutor ha dato due tipi di risposte nella riconsegna delle
immagini. La prima è stata una ricostruzione osservativi, nella quale in certe
tavole è riuscito ad individuare la figura d’attaccamento rappresentata e il tipo
di rapporto che mi legava ad essa. La seconda è stata la riconsegna delle
emozioni suscitate dai giochi di colore e forme della tavola grafica che in taluni
casi erano in sintonia con quanto ricostruito decodificando i significati
razionalmente, in altri casi questo non è avvenuto.
Interpretazione e decodificazione dei significati
Guardando la tavola che rappresenta mio fratello l’impatto emotivo di gioia e
serenità sono stato immediati ed ha coinciso esattamente con ciò che intendevo
esprimere. Ciò che mi trasmetteva il ricordo di mio fratello era, infatti, un
sentimento gioioso e giocoso.
Il tipo di colori usati, vivaci e chiari, i soggetti utilizzati: cielo, aquiloni e prati
verdi hanno trasmesso dei significati immediati.
Da notare come l’impressione avuta dal Tutor è stata quella che nel dipinto non
si percepisce la differenza d’età tra me e mio fratello, ed alla mia dichiarazione
che Mork è stata una figura sostitutiva a quella di mio padre è uscita
un’interpretazione della realtà che io non avevo considerato. Si è aperta da
parte mia un’auto riflessione su fatto che io avessi dato sempre per scontato
che, visto i quasi 12 anni d’età in più, che mio fratello avesse sostituito mio
padre ma in realtà non fu proprio così perché la maturità di mio fratello
equivaleva, a quei tempi, a poco più della mia. Quindi lui è rimasto
principalmente la figura di un fratello e non quella di un padre. Questo, forse,
spiega perché nella mia vita il vuoto della figura paterna non sia in realtà mai
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stato compensato e mi abbia indotto alla ricerca di un compagno molto più
vecchio di me.
Nella tavola che riguardava mia nonna l’impressione di qualcosa di “fiabesco”
che quindi riporta all’età dell’infanzia era anche in questo caso abbastanza
evidente. Ed anche in questo caso la visione del Tutor ha percepito una zona
“buia” della fiaba rappresentata, adducendola al fatto che mia nonna mia
raccontava non delle vere storie di fiabe, ma la storia sua vita ed in questa
c’erano cose brutte come la guerra, la povertà, etc. Questo deve avermi indotto,
a livello inconscio, ad inserire all’interno di quello che voleva essere un
paesaggio fiabesco una fitto bosco scuro.
Anche questo intervento ha indotto da parte mia ad una riflessione, su un lato
del rapporto con mia nonna che non avevo considerato, cioè il suo trasmettermi
assieme alle cose belle anche le cose brutte della sua vita, che sono state
elaborate in maniera istintiva senza lasciare una traccia dolorosa come invece
hanno fatto le cose “brutte” che mi raccontava mia madre della sua vita.
E’ stata la tavola su mia madre a trasmettere più significati emotivi, e ad avere
un impatto di significati discordante tra ciò che volevo rappresentare io e ciò
che invece ha percepito il Tutor.
Insindacabile era la sensazione di qualcosa di opprimente e di un vissuto
traumatico con questa persona. Il Tutor in certi elementi del dipinto vedeva un
tentativo di riavvicinamento da parte di una bambina verso una madre assente,
ed in questo il vissuto è stato azzeccato in pieno, perché durante la mia infanzia
mia madre è stata sempre molto lontana anche fisicamente da me (non mi ha
allattato, non mi ha accudito nei primi mesi di vita e nemmeno nei primi anni).
Io mi sono trovata d’accordo su questa deduzione esatta di come è stato il
rapporto con mia madre, ma non riuscivo a leggere questa richiesta di
riavvicinamento che scaturiva dall’elaborato grafico. Probabilmente c’è stata da
parte del Tutor una lettura che io non percepivo, anzi la mia percezione nei
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confronti di mia madre è sempre stata di rifiuto e di allontanamento. Questa
visione (dall’esterno) delle mie emozioni mi ha aperto certamente una nuova
possibilità interpretativa del rapporto con mia madre mai valutata prima.
Mentre per il mio fidanzato c’è stata una riflessione che ci ha portato alle stesse
conclusioni, cioè che l’esperienza vissuta con lui sembra essersi esaurita come
se dentro a questo rapporto ci fosse stato veramente poco più che un’amicizia.
Nonostante l’importanza avuta da Richard in certi cambiamenti e miglioramenti
della mia vita, per le esperienze vissute (come quella all’estero, in Danimarca),
che mi hanno profondamente segnato e modificato il mio modo di vedere il
mondo la tavola che lo rappresenta si è presentata un po’ spoglia di significati.
Per la tavola della mia migliore amica Ka le sensazioni erano discordanti dai
significati che avrei voluto esprimere. Questo, ho dedotto successivamente, si è
verificato per una mancata capacità tecnica di usare i materiali. Ho infatti
utilizzato dei colori con un abbinamento sbagliato iniziale, ho poi tentato di
correggere il tutto applicando dei collage di elementi che però, nell’insieme non
davano le sensazioni giuste che avrei voluto esprimere. Infatti questa tavola non
mi piaceva ed era forte il desiderio di “rifarla” prima di sottoporla alla visione
del Tutor.
Però anche questo fatto, di aver sbagliato l’esecuzione del dipinto, di non
essermi ritrovata in ciò che volevo esprimere tanto che l’impressione avuto dal
Tutor è stato di “qualcosa di vecchio” mi induce ad una forte riflessione su
questo rapporto di amicizia durato così tanti anni e che non ha trovato
l’espressione giusta per uscire.
Per quanto riguarda la tavola del Dr. Wall, il Tutor non poteva esprimersi
perché ogni sua opinione era “inquinata” dalla conoscenza del Dr. Wall e del
tipo rapporto terapeutico in atto con lui allora.
Indotto comunque da alcune mie domande a delle risposte il risultato di ri___________________________________________________________________
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significazione su questa tavola è stato talmente notevole da indurmi a
realizzarne un’altra. Perché quella realizzata era una forma di auto inganno,
dove avevo rappresentato ciò che in realtà non era per me la figura del Dr. Wall.
In questo caso il confronto, solo parziale dato che avrei dovuto sottoporre la
tavola stessa ad un altro osservatore, mi è servito a rendermi conto che non
sono arrivata ancora alla giusta distanza da questa figura d’attaccamento e che
le emozioni che sento non hanno ancora dei contorni ben definiti. Nella nuova
tavola realizzata ho dato un’interpretazione personale senza sottoporla alla
visione di nessuno, in attesa di allontanarmi il giusto per poter valutare con
serenità un’opinione altrui.
Infine, nella tavola che rappresenta mio marito erano evidenti i significati che
volevo esprimere. La considerazione che mi ha indotto a una nuova riflessione
è che io ero convinta di rappresentare mio marito ma in realtà ho rappresentato
me stessa, la mia situazione con lui. Su questo c’è stato uno scambio di opinioni
interessante, anche perché il rapporto con mio marito è attuale e le
problematiche rappresentate nella tavola grafica le sto vivendo adesso. Forse ho
rappresentato come se fossero sue (la finestra con le sbarre dove si vede il
mondo fuori e dentro il lavoro che fa mio marito che rappresentava sia la sua
vita che la mia con lui) queste problematiche, che invece sono almeno in parte
ancora mie, per distaccarle da me.
Suggerimenti e valutazioni varie
Credo, alla luce di quanto emerso, che sia necessario da parte mia valutare un
percorso di autoanalisi che mi consenta di chiarire punti della mia vita ancora
molto confusi.
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11. CONCLUSIONI
Quale obiettivo mi ero posta?
Gli obiettivi erano più di uno. Il principale ovviamente realizzare questa tesi.
Un obiettivo era quello di iniziare un approccio autobiografico da continuare e
sviluppare anche in seguito a questo lavoro.
Ma il più basilare, era quello di realizzare un’esperienza “arte terapeutica” con
la propria autobiografia. Il motivo di fare un’autobiografia illustrata nasce
proprio dalla possibilità di fare “arte terapia” anche con il racconto di sé, non
limitando questo solo alla trasposizione scritta come negli esistenti “laboratori
di narrazione autobiografia” ma ampliando questo metodo autobiografico di
“cura” verso un’integrazione con l’arte terapia.
Ho raggiunto l’obiettivo?
La scelta di mantenere a livello di narrazione scritta alcune figure rispetto ad
altre è dovuta più a questioni di “tempo” che non mi hanno permesso uno
sviluppo ulteriore della tesi. Però credo che il risultato ottenuto abbia comunque
esplicitato bene l’obiettivo che mi ero posta. Certo l’intenzione è quella di
ampliare il lavoro completandolo con altre rappresentazioni grafiche e di
sviluppare in modo più completo una vera autobiografia, che non dovrà trovarsi
di fronte ad uno stretto limite temporale di un anno.
L’obiettivo di integrare la mia autobiografia con l’arte terapia mi sembra abbia
dato dei risultati che mi incentivano a provare un percorso simile non più solo
su me stessa ma al di fuori, magari con gli utenti del centro diurno per il quale
sto lavorando.
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In che cosa mi ha aiutato questo percorso?
Questo è stato un percorso di lettura interiore con un’apertura di confronto con
il mondo esterno che mi ha permesso una visione alternativa e diversa di certi
vissuti emotivi espressi graficamente con le tavole realizzate.
Alcune delle emozioni espresse nelle rappresentazioni grafiche sono state,
infatti, percepite in pieno, altre un po’ meno. In particolare la tavola che
rappresentava “mia madre” ha trasmesso alle persone che l’hanno osservata le
sensazioni che effettivamente volevo esprimere. Andando anche oltre, ho avuto
dei rimandi di sensazioni che io non percepivo ma che c’erano e che mi hanno
portato ad ulteriori riflessioni, che era uno degli scopi prefissati.
Mi sono resa conto che il coinvolgimento emotivo ha bisogno per essere gestito
di un lasso temporale che ne permetta un’elaborazione interiore. Le risposte
immediate di solito non sono mai le più giuste. Dopo questo percorso
autobiografico (anche se incompleto) sento di poter elaborare e rielaborare i
miei vissuti di vita con la giusta distanza. Ho capito che il confronto con
elementi esterni estranei (persone che non ti conoscono e che parto da altre
esperienze di vita) sia fondamentale per modificare ed ampliare il nostro punto
di vista e quindi le risposte che possiamo dare di fronte ad una certa situazione
già vissuta o in divenire. Credo che questo lavoro mi abbia aiutato a capire
meglio il significato da dare ad una “relazione d’aiuto” che non è “cercare di
cambiare l’altra persona” che ti sta chiedendo aiuto (e che tu vedi sta facendo
degli errori che vorresti istintivamente correggere) ma far si che, grazie a te,
questa persona possa “cambiare da sola”, cioè evolversi verso una visione della
sua vita diversa (e migliore) di quella che ha nel momento in cui sta chiedendo
aiuto.
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Come mi sento ora?
Dopo questo lavoro mi sento in grado di continuare questo percorso di tre anni
di arti terapie con maggiore consapevolezza di me e dell’obiettivo da
raggiungere.
Penso di impostare i prossimi project Work sempre sul tema autobiografico:
- Arricchendo e completando in questo periodo di due anni circa la mia
autobiografia, sia scritta che con immagini.
- Ampliando e sviluppando l’argomento trattato in questa tesi, cioè l’esperienza
artistica nell’attività di narrazione (auto)biografica.
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Michela Ambrosin - SST in Arti Terapie (Primo anno) A.A. 2008/2009
12. BIBLIOGRAFIA
-
Nicola Ghezzani, AUTOTERAPIA guarire la propria psiche con strumenti
personali, Franco Angeli/Le Comete, 2005.
-
Nadia Tarantini,
LABORATORIO
DI
SCRITTURA come
lavorare
nella
comunicazione a migliorare il proprio stile di vita, Franco Angeli/manuali, 2003.
-
Giorgio Patrizi, NARRARE L’IMMAGINE la tradizione degli scrittori d’arte,
Donzelli Editore Roma, 2000.
-
Pietro Favari, LE NUVOLE PARLANTI un secolo di fumetti tra arte e mass media,
Dedalo, 1996.
-
M. Antonietta Trasforini, ARTE E PARTE donne artiste fra margini e centro,
Franco Angeli, 2000.
-
Luigi Pirandello, UNO NESSUNO CENTOMILA, Barbera, 2007.
-
Lucio Della Seta DEBELLARE IL SENSO DI COLPA Contro l'ansia, Marsilio,
collana Le Maschere, 2005.
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Jerome Bruner LA MENTE A PIU’ DIMENSIONI, Laterza, 2005.
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Mann Golo, Cases Cesare THOMAS MANN una biografia per immagini, Studio
Tesi, 1992.
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Cfr. Spence D. P. Martinelli VERITA’ NARRATIVA E VERITA’ STORICA, Firenze
1987 (1984).
-
Duccio Demetrio SCRITTURA CLINICA, Raffaello Cortina, 2008.
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Duccio Demetrio IL GIOCO DELLA VITA, Guerini e Associati, 01/1999.
-
Daniela Orbetti, R. Safina, G. Stacciolli RACCONTARSI A SCUOLA,
Carrocci Faber, 2005.
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Michele Cavallo IL RACCONTO CHE TRASFORMA, Edup, 2002.
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D. Demetrio, Ghedini, Rossetti, Castiglioni, Bolzoni, Bella, Anzaldi
L’EDUCATORE AUTO(BIO)GRAFO, Unicopli, 2007.
-
Orazio
Maria
Valestro
ATELIER
DELL’IMMAGINARIO
AUTOBIOGRAFICO, Ass. Le Stelle in Tasca, 2006 ediz. fuori commercio.
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ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Michela Ambrosin - SST in Arti Terapie (Primo anno) A.A. 2008/2009
13. SITOGRAFIA
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www.wikipedia.org
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www.ildialogo.org (articolo: MEMORIA E REALTA’ di Laura Tussi).
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www.pedagogiadelcorpo.it (articolo: LA DIDATTICA AUTOBIOGRAFICA
di Ivano Gamelli).
-
www.mediazone.info (intervista a cura di M. Cristina Gori a
SERGIO
TRAMMA in riferimento al suo libro “I Nuovi Anziani”, Meltemi, 2003).
-
www.musicoterapia-anziani.eu (articolo: A CASA MIA C’ERA LA MUSICA (I
parte) di Francesco Delicati).
ALLEGATI A SEGUIRE:
Elaborati grafici, stampe in formato A3 degli elaborati realizzati (comprendenti
nr. 6 tavole grafico-pittoriche).
Racconti autobiografici, brevi narrazioni delle figure d’attaccamento citate,
comprendenti fotografie inserite a corredo del testo.
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