12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano

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15 giugno 2015
SAN GAVINO
Un logo per i Giovani Protagonisti della comunità
Andrea Meli, 20 anni, di San Gavino Monreale, è il
vincitore del Concorso per la realizzazione del logo in
merito al progetto PLUS del Distretto Socio Sanitario
di Guspini, dal titolo “Giovani Protagonisti della comunità”. “Mi sono diplomato al liceo artistico di Cagliari - racconta il giovane - e ho cercato di creare un
logo semplice, senza particolari o sfumature, un simbolo che fosse insomma facilmente riconoscibile e che
trasmettesse l’ idea dell’unione e della giovinezza. Ho
fatto il disegno a mano - prosegue Andrea - per poi
digitalizzarlo in vettoriale.”
Il giovane artista, che ha concorso con altri dieci ragazzi d’età compresa tra i 14 e i 30 anni, provenienti da
Guspini, Arbus, Gonnosfanadiga, Villacidro, ha vinto
una somma pari a duecento euro in concerti. “Ho sem-
pre avuto una grande passione per l’arte, che amo in
ogni sua forma perché mi riempie di soddisfazione, e
penso che sentirsi soddisfatti sia una delle cose più importanti della vita. Credo inoltre sia importante non osservare niente in modo passivo: siamo circondati dall’arte ed è sufficiente guardarci attorno con umiltà e un
pizzico di attenzione per scoprire la bellezza nelle cose”.
Il logo, come recitato dalla disciplinare del concorso,
identificherà il progetto permettendo a tutti di riconoscerne le iniziative in modo immediato. “Ora faccio il
servizio civile a San Gavino. Mi piacerebbe moltissimo in futuro lavorare nel campo dell’arte, ma penso
che in fondo ogni lavoro, anche il più umile, se fatto
con passione diventi arte.”
Francesca Virdis
GONNOSFANADIGA
SAN GAVINO
Monumenti aperti: San Cosimo e la tomba dei giganti i più visitati
Resi noti i dati ufficiali
di Monumenti Aperti
È stata un successo la manifestazione Monumenti aperti che
ha portato alla scoperta dei gioielli di Gonnosfanadiga, coinvolgendo associazioni, studenti e appassionati. La tomba dei
giganti e il complesso “San Cosimo” risultano essere i siti
più visitati con oltre 200 presenze. Seconda per numero di
visite la gradinata e la grotta dedicata alla “Madonna di
Lourdes”. A seguire il frantoio Sogus e la chiesa campestre
di Santa Severa, il monumento dei caduti del 17 febbraio 1943,
il tempio a megaron, il montegranatico, l’ex frantoio Porta,
le chiese del Sacro Cuore e della Beata Vergine di Lourdes.
Preso d’assalto il parco Perd’e Pibera dove sono stati organizzati diversi eventi collaterali che hanno coinvolto più di
1200 visitatori. Originali anche una bella mostra di pittura,
l’esposizione naturalistica e la mostra “L’archivio racconta”
che ha proposto un viaggio tra i documenti del passato del
paese. Ha permesso di scoprire i luoghi incantati del paese
l’escursione nella valle di Serru tra vecchie chiese e ulivi secolari. Ora la speranza è che molti di questi monumenti siano
fruibili per tutto l’anno e non solo per poche giornate.
Gian Luigi Pittau
SERRAMANNA
SIDDI
Un incontro per approfondire
la conoscenza dell’Alzheimer
Si è svolto venerdì 29 maggio, nella sala Montegranatico a
Serramanna, organizzato dall’Università della Terza età e dall’Associazione Anziani “Anni d’Argento” e coordinato da
Adriana Puddu, l’incontro formativo
“Conosciamo l’Alzheimer?”. La
relatrice, la dottoressa Debora Zucca, nel suo interessante intervento ha
illustrato i sintomi, il modo in cui si
trasforma il comportamento e la vita
di chi è affetto da Alzheimer, le difficoltà delle famiglie a seguire e provvedere ad un malato che ha bisogno
di essere assistito, controllato, intrattenuto e stimolato durante tutta la
giornata. Tra i presenti, numerosi familiari di malati di Alzheimer che
hanno avuto così modo di confrontarsi e avere informazioni
su un argomento del quale si parla ancora troppo poco, ma
che purtroppo coinvolge un numero sempre maggiore di persone, anche nella comunità di Serramanna. «Parlarne e informarsi è importante», sostiene Debora Zucca, «così sulla base
di questo incontro è nata la proposta, sua e dei presenti, di
farne seguire presto altri, così da aiutare chi convive ogni giorno con questa malattia ad affrontare le grandi difficoltà che
essa comporta. Insieme, parlando dei problemi, confrontando
le soluzioni, sarà possibile sentirsi meno soli e indifesi di fronte
a quel mostro che è il morbo di Alzheimer».
Francesca Murgia
Nuovo logo del Museo ornitologico
Non comporta alcun impegno di spesa per il comune di
Siddi il nuovo logo del Museo ornitologico realizzato dalla Arti Grafiche Pisano e approvato dalla direzione del
museo e dalla giunta comunale. I costi per lo studio del
logo e la fornitura della cartellonistica rientrano infatti
nel finanziamento di 220.654,20 euro, nell’ambito del
Programma operativo regionale del Fondo europeo di sviluppo regionale 2007-2013. (m.p.)
Fondo di 2.300 euro per il culto
La giunta comunale di Siddi ha assegnato 2.292,52 euro
dai fondi per il culto come quota per realizzare le opere
di manutenzione ordinaria della copertura della chiesa parrocchiale, su proposta del parroco del paese, don Roberto Lai, che presenterà apposite pezze giustificative e rendiconto della spesa. (m.p.)
“MarmillAttraverso”
Dal contributo regionale di 850mila euro per il bando Gal
Marmilla “Incentivazione attività turistiche – Azione 1 Itinerari”, che coinvolge un partenariato di 44 comuni, di
cui è capofila Tuili, il comune di Siddi beneficerà di
88.162,79 euro per realizzare “MarmillAttraverso”, il progetto di valorizzazione e miglioramento dell’accessibilità
del nuraghe “Sa Fogaia” e del sito “Sa dom’e s’orcu”.
(m.p.)
In attesa della consegna degli attestati di partecipazione ai volontari il sito istituzionale del Comune di San Gavino ha reso
noti i risultati della manifestazione Monumenti Aperti, svoltasi il 2 e 3 maggio scorso. Quasi 4.000 i visitatori in totale, di
cui il 28% non residenti. Buoni numeri se si considera anche
l’andamento degli anni scorsi, seppur con un impercettibile calo
anche quest’edizione di Monumenti Aperti si conferma un successo e ratifica la volontà della cittadina sangavinese di essere
un centro a vocazione turistica.
Inutile ribadire come il sito
più visitato rimanga la
Chiesa di San Gavino Martire, ben 701 visite per il
“Pantheon degli Arborea”,
così chiamato in quanto nell’abside vi sono raffigurati
gli ultimi giudici della casata Bas-Serra, fra cui
Eleonora. Una conferma
anche per il Convento
basiliano di Santa Lucia,
651 visitatori, normalmente chiuso al pubblico affascina particolarmente per il
chiostro. Sono poi 313 le visite sia per la Casa Museo Dona Maxima, il museo etnografico
all’interno del quale è stata anche allestita la mostra sulla Prima Guerra Mondiale a cura dell’associazione “Sa Moba Sarda”, sia per la Fonderia, (il presidio produttivo però è stato
aperto nella sola giornata di sabato). Anche il Museo Due Fonderie registra 237 visite, in rassegna poi le Chiese di Santa
Croce e Santa Chiara con rispettivamente 140 e 142 visitatori,
l’Archivio Storico (142) e la Collezione Nuccio Delunas (125).
Buoni dati anche per gli eventi collaterali, innanzitutto per la
mostra “Abissi/ De Profundis” organizzata dai giovani del gruppo artistico RIP/ART, 651 visite durante la due giorni. La mostra “Nonnora” sul pani pintau, il pane decorativo, ospitata presso la casa Dona Maxima realizza 313 visite. Bel numero di
visitatori, 252 anche per il percorso naturalistico a cura della
Pro Loco nei locali del CIVIS.
L’Amministrazione Comunale ha voluto ringraziare tutte le
associazioni e i cittadini che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento.
Lorenzo Argiolas
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Sant’Isidoro e sagra delle ciliegie,
grande festa a Villacidro
Una grande folla ha assistito alla festa di Sant’Isidoro che
ogni anno fa rivivere le più antiche tradizioni del paese legate al mondo dell’agricoltura.
SANT’ISIDORO La gente ha accompagnato il percorso della
processione con più di 30 “traccas” allestite alla perfezione
dai villacidresi che hanno riproposto anche scene tipiche della
vita in campagna. La processione è partita dalla chiesa di
Sant’Antonio ed erano tantissimi anche il cavalieri presenti.
Il presidente dell’associazione culturale Sant’Isidoro è Franco Leo: «È una della festa più sentite a Villacidro e alla processione hanno partecipato 15 gruppi folk e molti gioghi di
buoi. All’interno dell’associazione viene individuato un presidente della festa che quest’anno è Giuseppe Casti. Ora abbiamo uno stupendo abbinamento con la sagra delle ciliegie;
questo prodotto è tipico di Villacidro e Sant’Isidoro era un
agricoltore: un evento rafforza l’altro». Come ogni anno l’as-
sociazione di Sant’Isidoro regala momenti di festa ai bambini del paese con l’animazione e la passeggiata a cavallo.
SAGRA DELLE CILIEGIE Un fiume continuo di gente ha
decretato il successo della 43esima sagra delle ciliegie e dei
prodotti locali che si svolge in piazza Dessì: molto gradita la
degustazione dei piatti tipici e di questo frutto.
PRO LOCO E proprio la sagra, organizzata nei minimi dettagli dalla Pro Loco, diventa un momento di grande promozione del territorio: «Siamo arrivati alla 43esima edizione spiega il presidente Luciano Muscas - e abbiamo ripetuto il
successo dello scorso anno. La sagra dà importanza all’agricoltura, un settore trainante per l’intera economia villacidrese
e, con la festa di sant’Isidoro, diventa un grande momento di
promozione dell’intero paese e delle sue più profonde tradizioni. inoltre cade nel momento più interessante del periodo
agricolo».
Ad oggi in media un chilo di ciliegie, nelle sue varianti più
diffuse a Villacidro “Barracocca” e “Regina”, viene venduto
intorno a 4 - 5 euro e la valorizzazione del comparto delle ciliegie può contribuire ad un rilancio dell’agricoltura del paese
con molti villacidresi che non hanno mai abbandonato le campagne neppure durante gli anni d’oro del boom industriale.
Gian Luigi Pittau
La devozione di Gonnosfanadiga per la Madonna della salute
La festa in onore della Madonna della Salute è l’appuntamento religioso più importante del paese. Fede, tradizioni e
folclore caratterizzano la processione, che è sempre stata un
momento di unione e condivisione. La venerazione di
Gonnosfanadiga alla Beata Vergine della Salute risale al maggio del 1846, grazie a una signora di Cagliari, che regalò alla
Chiesa di Sant’Elia (oggi Parrocchia del Sacro Cuore) una
effige della Madonna. Nel maggio del 1849 venne celebrata
la prima festa solenne, per l’occasione una statua in legno
sostituì l’effige originaria. Nello stesso anno venne affidata
la conservazione della festa al viceparroco don Salvatore Vacca. Un comitato costituito da circa 200 fedeli, infatti, provvede annualmente ad organizzare la festa civile e religiosa. Il
Presidente del comitato, Gianni Lisci, passerà alla storia per
l’idea della capsula del tempo (un contenitore appositamente
preparato per conservare oggetti o informazioni destinate ad
essere ritrovate in un’epoca futura. Si tratta di un metodo per
comunicare in modo unidirezionale con il futuro). La capsu-
la del tempo è stata interrata nella piazza Vittorio Emanuele e
conterrà tutti gli oggetti che i cittadini vorranno depositarvi
per futura memoria. «È la prima volta che mi trovo a vivere
questa festa in onore della Madonna della salute - ha dichiarato il parroco don Giorgio Lisci - per rapporti di vicinanza,
essendo di Pabillonis, ne avevo sentito parlare, ma non avrei
mai potuto comunque immaginare la grandissima partecipazione e la sentita devozione alla vergine. Mentre la processione si snodava per le vie della cittadina e notando i tanti
che affollavano le strade e gremivano i balconi e le terrazze,
mi sembrava di trovarmi a Cagliari per la festa di sant’Efisio.
Devo dare atto al comitato ed a tutti i fedeli di aver svolto un
lavoro eccellente, se dovessi dire cosa mi ha colpito di più,
non avrei dubbi nell’affermare le copiose lacrime che riempivano i volti degli anziani e dei malati. Sì, è stata una bellissima manifestazione di fede e devozione, auguro a tutti di
portare sempre nel cuore questo spirito e di impegnarsi perchè
ogni volta sia sempre meglio. Atrus annus cun saludi e cun
presciei».
Francesco Zurru
Serrenti: il paese in festa per il patrono degli agricoltori
Una riscoperta delle tradizioni e la mostra dei prodotti locali. Sono stati questi gli elementi della sagra di Sant’Isidoro che anche quest’anno ha rappresentato un’occasione di festa per gli agricoltori
e i lavoratori dei campi in genere (nelle foto di Renato Sechi). Un’occasione, molto sentita, per chie-
dere la protezione sulle colture agricole contro le
improvvise e rovinose tempeste di fine stagione: la
ge nt e de i c a m pi ha se m pre se nt i t o m ol t o vi c i no
Sant’Isidoro come un Santo che in campagna è di
casa.
Numerosi i gioghi di buoi e i cavalli bardati a festa
con la rappresentazione delle attività agricole nelle
traccas. Uomini, donne, giovani e meno giovani si
sono dati da fare per addobbare al meglio le loro macchine caricandole di allegre comitive inserite nelle
“traccas” in ambienti domestici e rustici ricostruiti.
Renato Sechi
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Medio Campidano
SAN GAVINO. ASSEMBLEA
SINDACALE DEI DOCENTI
Scuola: le ragioni del dissenso
Nel l’aula magna della sede di
via Tommaseo dell’Istituto di
Istruzione Superiore di San
Gavino, si è svolta recentemente un’assemblea pomeridiana
promossa dalle RSU in carica
presso l’Istituto “MarconiLussu”. È stata percepita la necessità di coinvolgere i colleghi docenti, personale ATA,
studenti, genitori attraverso un
momento di incontro per sostenere le ragioni della protesta e
del forte dissenso nei confronti del disegno di legge sulla
“Buona Scuola” che prossimamente sarà all’attenzione del
Senato per la definitiva approvazione. I rappresentanti sindacali attivi nell’Istituto appartenenti alle sigle sindacali FlcCgil, Cobas e Anief hanno voluto con questo incontro ascoltare le ragioni di quanti sono coinvolti nel mondo della scuola e come è stato sottolineato nei diversi interventi dei colleghi insegnanti i quali hanno a cuore la futura formazione degli studenti.
La riforma Renzi sulla scuola promette tanto ma
realisticamente rimane poco convincente, per nulla condivisa con le rappresentanze di docenti, nazionali e tantomeno
locali, che proseguono con la protesta e verosimilmente rimarrà in essere durante le operazioni di scrutinio finale, ad
eccezione naturalmente per la garanzia dei servizi minimi
essenziali per le classi che si preparano all’esame di Stato.
L’entrata in vigore e l’avvio di un rinnovamento che nella
più felice delle ipotesi risulterebbe assolutamente inutile dal
momento che, stando al dibattito condotto durante l’assemblea, si ritiene per nulla capace di alcun beneficio sul sistema
di istruzione pubblica statale.
L’apertura dell’assemblea avviene attraverso la lettura del
documento con il quale si manifestano le critiche sostanziali
alla proposta di riforma. Dalla confronto fra i diversi punti di
vista dei colleghi docenti, è emersa una sintesi, condivisa dalle
stesse RSU e sottoposta all’attenzione dell’assemblea, la quale
ha condiviso il netto rifiuto per una riforma che, oltre l’inutilità, non promette nulla di buono; a cominciare dalla tanto
celebrata assunzione dei precari. Essi già lavorano; la novità
riguarda la modifica contrattuale e tutto rimane invariato per
quanto riguarda la diffusione
delle condizioni di lavoro che
rimarrebbero assolutamente
identiche, favorevoli in alcune
realtà e meno felici, se non
drammatiche, in altre. In un
profilo futuro ancora più inquietante per gravità, viene
proposta inoltre una riorganizza-zione amministrativa che non dice nulla su molti aspetti
importanti (Organi collegiali nella scuola, Albo territoriale
dei docenti, Criteri per la stesura, approvazione ed esecuzione del Piano dell’Offerta formativa, solo per citare alcuni
esempi) per i quali è prevista una delega integrale al Governo sulle cui intenzioni appunto non è dato sapere.
Gli interventi dei partecipanti hanno inizio con il contributo
di un collega docente in servizio presso un Istituto del territorio. Prende la parola quindi il segretario locale del Medio
Campidano della Flc-CGIL, Gianni Spiga che nella discussione mette in evidenza il possibile ripetersi del fenomeno
degli esodati dal momento che di fatto una gran parte di docenti rimarrà priva di incarico di servizio e non ancora nelle
condizioni per la pensione. Cosa sarà di loro ?
Intanto le nuove generazioni fremono. Un giovane studente
invitato a partecipare, rappresentante dell’associazione Rete
Studenti Medi, esprime le carenze evidenti nell’intervento
per il diritto allo studio. Lamenta la necessità di maggior sostegno compensativo sulle disuguaglianze che stanno alla base
dell’effettiva fruizione dei servizi di istruzione scolastica, che
comincia dai licei e prosegue nella formazione universitaria.
Al termine dell’incontro si percepisce un fatto; è ancora possibile incontrarsi, discutere, confrontarsi con opinioni diverse e, in una parola, fare informazione e manifestare liberamente il proprio pensiero su una questione di civiltà; ricordiamo l’esortazione di Antonio Gramsci: cresciamo in cultura e istruzione nell’interesse dei giovani e per il benessere di
tutti.
Giovanni Contu
Entro il 16 giugno bisogna pagare la Tasi e l’Imu
Scadono il 16 giugno l’Imu e la Tasi. Le imposte sono
dovute dal contribuente in auto-liquidazione. Le aliquote
e le detrazioni da utilizzare in occasione dell’acconto (si
può pagare anche in unica soluzione) scadente il 16 giugno 2015, sono uguali a quelle usate per l’anno precedente. In occasione del saldo del 16 dicembre 2015, il contribuente dovrà preoccuparsi di procedere ad eventuali conguagli, qualora le aliquote approvate per l’anno 2015 risultino differenti rispetto a quelle vigenti nell’anno 2014.
Le imposte possono essere versate tramite il modello F24
o utilizzando apposito bollettino postale.
Sono disponibili sui siti istituzionali dei Comuni i software on-line che permettono al cittadino/contribuente di
effettuare il calcolo Tasi e la stampa dei modelli F24.
L’Imu (imposta municipale propria di natura patrimoniale) è dovuta dal possessore di immobili, escluse le abitazioni principali. La Tasi (Tributo servizi indivisibili), invece è il tributo per l’erogazione dei servizi indivisibili
comunali. Il presupposto impositivo è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati, ivi compresa l’abitazione principale, e di aree edificabili, come definiti ai
sensi dell’imposta municipale propria, ad eccezione, in
ogni caso, dei terreni agricoli. La Tasi è dovuta dal contribuente in auto-liquidazione, a carico sia del possessore
che dell’utilizzatore dell’immobile.
Dario Frau
Scompaiono gli artigiani
Le imprese artigiane sono travolte da una crisi senza fine. Nella
Provincia del Medio Campidano gli artigiani non riescono
proprio a sopravvivere. La maglia nera delle aziende che chiudono i battenti è allarmante: sono 113 le attività che hanno
dichiarato fallimento nei primi sei mesi nel 2014. Ma non solo:
il Medio Campidano è al secondo posto per concordati con le
banche per evitare i fallimenti (41), preceduta solo da Cagliari (99). Tali dati, che la sezione del Cna del Medio Campidano
e la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa hanno diffuso, elementi che sono stati ricavati dall’Osservatorio regionale sull’Artigianato e risultano
davvero allarmanti. I numeri che rappresentano lo stato di salute delle aziende artigiane fanno segnare un negativo -0,29%
.
AZIENDE IN DIFFICOLTÀ - È una crisi senza fine per le
imprese artigiane sarde che continuano inarrestabilmente a
chiudere i battenti.«Nessuno ha più forza nelle braccia per nuotare, tutti provano a galleggiare», con queste parole i vertici
della Cna di Cagliari hanno fotografato la crisi che sta attraversando l’Isola e che sta colpendo in particolare il Sud. Sull’Isola il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 21,6%, che in
valori assoluti equivale a meno 84.000 occupati nell’arco di
un anno. In 5 anni si è perso l’11% di PIL in Sardegna. Il
report illustrato dalla Cna del capoluogo mostra una situazione particolarmente critica per l’artigianato. In Sardegna, a
Cagliari, la differenza tra apertura e chiusura segnala un saldo
negativo rispettivamente di – 236 aziende e di – 186. «Cagliari è l’emblema della sofferenza provocata dalla crisi economica, che non conosce soste», si legge nella nota della Cna. Il
capoluogo ha, infatti, un record assoluto negativo. I settori
che risultano in sofferenza sull’Isola sono le costruzioni (-92),
il manifatturiero (-37), i trasporti (-28), servizi alle persone
(6), mentre gli altri settori evidenziano un andamento stazionario. Tutti i settori manifestano una situazione di difficoltà
ad eccezione dell’agroalimentare. I sintomi dell’aggravamento della crisi si colgono nel calo della produzione, del fatturato e degli ordinativi.
LE PROPOSTE - Il Report della Cna è anche ricco di proposte concrete per risalire la china.«Da sei anni si registra una
situazione di calo - lamenta Monica Mereu, segretario della
Cna del Medio Campidano - che continua anche nel secondo
trimestre del 2015. Occorrono risposte adeguate a questa terribile crisi che vive l’impresa».Sconforta poi il fatto che la
nostra terra perde appeal turistico e gli investitori esteri vanno
altrove. Che fare allora? «Occorrono risposte forti dalla politica: un fisco più orientato a premiare chi investe e non chi
vive di rendita, un accesso al credito, ordinario e agevolato,
da rendere possibile e non una chimera, meno burocrazia, investimenti produttivi, miglior utilizzo dei fondi europei, lotta
senza quartiere alla corruzione per premiare il merito».
Mauro Serra
Guspini: i contadini senza foraggio
Potrebbero esserci problemi per l’alimentazione del bestiame da allevamento. Presenta il conto l’annata con scarse piogge. I guai maggiori li temono gli agricoltori e allevatori. È a
rischio il 15% del foraggio, come spiega la Coldiretti sarda:
«Gli allevatori denunciano una perdita di produzione dal 10%
al 35% della raccolta di foraggio». L’allarme è lanciato
dall’allevatore Sergio Pusceddu: «A queste difficoltà se ne
aggiunge una che risuona per la prima volta nelle orecchie
dei non addetti ai lavori, vale a dire il furto notturno di balloni
di foraggio come se fossero oro. Un vero e proprio allarme
sulle caratteristiche stesse della “materia prima” estratta dai
terreni. Credo che quest’anno non avremo oltre alla quantità
una buona qualità di foraggio, soprattutto nelle zone del Medio
Campidano a causa della mancanza di piogge nel mese di
febbraio marzo».
Decine le segnalazioni che stanno arrivando in queste setti-
mane alla Coldiretti di Cagliari che denunciano i problemi
degli agricoltori, che ormai hanno preso atto della reale produzione di foraggio.
Un ulteriore problema che si aggiunge alle ben note difficoltà del settore: una piccola azienda agricola a gestione familiare fa fatica a tirare avanti, vuoi la crisi, la concorrenza dei
grossi produttori europei e non, e la battaglia dei prezzi sui
prodotti caseari potrebbe partire con gravi problemi rispetto
alla concorrenza di altre regioni.
Il tutto mentre si avvicina a grandi passi l’estate e le temperature sembrerebbero confermare la mancata produzione di foraggio, con i coltivatori diretti che hanno già tagliato il fieno.
Le lamentele sono diffuse e numerose, come spiega una
Coldiretti sempre più preoccupata per la piega che la vicenda
sta assumendo. Gli agricoltori possono contare sull’assistenza dell’Associazione come assicura il responsabile Priamo
Picci: «I nostri uffici
di zona sono in costante contatto con le
aziende. Monitoriamo
la situazione e lo stato
dei pascoli visto che il
nostro sistema zootecnico oltre a produrre il
latte di alta qualità
svolge anche un ruolo fondamentale nella tutela del territorio e nella difesa dell’ambiente».
Le associazioni degli agricoltori fortemente preoccupati intendono chiedere alla Regione Sardegna che sondi la possibilità di acquisto, quanto prima, di grandi quantità di foraggio da altre regioni europee al fine di calmierare i prezzi del
prodotto che ormai è salito alle stelle. (m.s.)
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STUDENTI GIORNALISTI
La Gazzetta del Buonarroti
Figumorisca day: un giorno
speciale contro la mafia
Nei dintorni di Gergei, il 18 di Aprile, c’è stato un grande evento, che ha coinvolto numerose scuole, provenienti da tutta la
Sardegna. Il “Figumurisca day”, un giorno speciale, e soprattutto un’occasione importante per mostrare che certi atti di violenza scivolano subito via grazie anche alla grande collaborazione dei giovani. Questo evento è stato organizzato dalle associazioni “Libera Sardegna” e “Sardegna Solidale”, in un terreno confiscato alla Mafia, dove veniva riciclato denaro sporco;
quindi il messaggio mandato dalle persone che hanno partecipato è un segnale chiaro, di forza, di volontà e di presenza contro l’illegalità.
In questo giorno, ogni azione, ogni gesto e ogni atto, erano dei
simboli, che significavano solidarietà, voglia di partecipazione,
voglia di mettersi in gioco. Se si va ad analizzare fino in fondo,
il piantare foglie di “figumurisca” non era solo un gesto che
mandava un segnale, era anche un tributo alle numerose vittime
della Mafia. Sicuramente un compito onorevole quello dei ragazzi, perché era come se in ogni singola foglia ci fosse una
piccola anima di ogni persona morta per mano della Mafia.
Quindi è stata molto importante la presenza di Libera, associazione che si è sempre occupata di combattere la Mafia, ovviamente senza violenza, ma “solo” con una grande forza di volontà. Il presentatore del Figumurisca day ha guidato il tutto, esponendo i motivi per cui è stato fatto questo incontro, per poi dare
il via al piantamento del figumurisca, accompagnato da una canzone di sottofondo. Infatti tutto si è svolto sottoforma di flash
mob.
La cosa bella era anche l’ambiente, sia come locazione, sia come
energia che trasmetteva: in mezzo alla natura, all’aria aperta,
con una vista unica. Il buon umore era talmente alto e presente,
che quasi lo si poteva toccare. Tutti quanti hanno partecipato
con il sorriso, perché è il sorriso la prima “arma” con la quale
mandare questo segnale di pace e di forza. Il Figumurisca day si
può quindi definire una giornata perfetta, dove tutti i partecipanti hanno dato il meglio di loro, dove ognuno ha imparato
qualcosa, soprattutto a non arrendersi mai e dove con un piccolo gesto è stato fatto qualcosa di molto grande.
Davide Marongiu
“Scuola e volontariato: insieme per un mondo solidale”
Il progetto che la mia scuola e la mia classe ha seguito
quest’anno è un progetto di “Sardegna Solidale”, un’associazione che si occupa di solidarietà e volontariato. Il
progetto si chiamava “Scuola e
volontariato” ed era diviso in diverse sezioni e giornate.
Noi come classe abbiamo partecipato a due
sezioni di questo progetto, una era chiamto
concorso “Give me Five” e l’altra
“Figumorisca day”.
Il concorso “Give me Five” consisteva nel
creare o ideare un racconto breve, una poesia, una canzone, un video o una foto che
aveva a che fare con i temi della solidarietà e del volontariato, con un premio in denaro per chi avesse vinto. I premi erano divisi per categorie, per la categoria singoli
si potevano vincere 200,300 o 500€, mentre per i gruppi
1000 o 2000.
Al concorso hanno partecipato quasi tutte le scuole della
Sardegna. La mia scuola si è distinta perché abbiamo
avuto cinque riconoscimenti, tutti nella sezione singoli.
I vincitori sono Francesca Pintus 5^C Ind. Mecc.,
Riccardo Frau 5^A S.I.A., Asia Sofia Vaccargiu 3^A
S.I.A., Mara Casu 3^A S.I.A., Sanela Marjanovic 4^A
S.I.A. Io ho vinto con un racconto breve che trattava,
L’esperienza a Padova: il premio letterario
Galileo per la divulgazione scientifica
Il giorno 8 maggio 2015, si sono riunite nella città
di Padova, per la 9ª edizione del “Premio Galileo”,
all’interno del Galileo Festival, 75 scuole superiori
che rappresentavano le
loro rispettive province. Ogni scuola ha selezionato quattro studenti frequentanti tra le
classi 4ª, per costituire
la giuria studentesca
avente il compito di decretare il libro vincitore del “Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica”.
Il concorso si è svolto
in due fasi: la prima
dove la giuria scientifica, il cui presidente è
Vittorio Andreoli, ha
selezionato i cinque
finalisti, la seconda,
dove si è decretato il
vincitore tramite la votazione della giuria studentesca, in cui ogni scuola aveva un voto.
Il “Premio letterario Galileo” si è tenuto presso il
Palazzo della Ragione alle 16, dove si sono riuniti i
ragazzi delle scuole scelte. La cerimonia è stata condotta dalla presentatrice Maria Luisa Vincenzoni e
dal comico e presentare Dario Vergassola, i quali
hanno presentato i cinque libri finalisti e i loro rispettivi autori. La fase più interessante della cerimonia è stata quando ogni autore ha parlato del pro-
prio libro e risposto alle nostre domande e ciò ci ha
permesso di capire meglio il perché hanno voluto
realizzare quel libro e il perché di quei temi trattati,
svelandoci il lato umanistico che racchiudono.
Per me capire ciò è stata la parte più difficile della
lettura dei cinque testi, soprattutto per il carattere
scientifico di questa tipologia la quale è molto oggettiva e non invoglia i ragazzi a proseguire la lettura.
Io non credevo che un libro scientifico, sotto il suo
mantello di teorie e schemi, avesse un fondo di moralità e significato.
Riccardo Incani classe: 4ª A S.I.A.
come richiesto, del volontariato, e per idearlo ho pensato
di inventare una storia che aveva come protagonisti dei
ragazzi della mia età caduti nel tunnel della droga e dello spaccio. Un giorno però “fortunatamente” questi vengono sorpresi a rubare in un
negozietto e portati in questura dai carabinieri gli viene inflitta come “pena” o unirsi al volontariato e iniziare a cambiare vita
o fare dei lavori socialmente utili per tre
mesi. Il protagonista della storia è l’unico
che sceglie la via del volotariato e grazie a
questa sua scelta intelligente riesce a riflettere e cambiare radicalmente la sua vita.
Vincere questo concorso è stato per me una
vera e propria gioia e parteciparvi mi ha
dato uno stimolo in più per credere in me
stessa e mi ha fatto capire che nella vita
bisogna sempre sfruttare le opportunità che ci vengono
offerte, anche se a volte non vanno a buon fine.
Entrambe le serate sono state per me sinonimo di crescita e condivisione; mettersi al servizio degli altri e lottare
contro la mafia sono due cose che tutti dovrebbero fare;
e vedere tutti collaborare felicemente e attivamente a
questo progetto è stata una sensazione molto bella.
Asia Sofia Vaccargiu
3^ A S.I.A.
Entrare nel mondo della scienza
per un pensiero razionale e critico
La cerimonia della nona edizione del Premio Letterario Galileo per
la divulgazione scientifica si è svolta l’8 maggio nel Palazzo della
Ragione a Padova. Galileo Festival è un progetto che fa sì che il
mondo della letteratura scientifica si incontri con quello dei giovani.
I cinque finalisti del concorso, selezionati da una giuria scientifica
presieduta da Vittorino Andreoli , elencati dal primo all’ultimo classificato sono: il vincitore Carlo Ravelli “La realtà non è come ci
appare”; Roberto Defez, “Il caso OGM. Il dibattito degli organismi
geneticamente modificati”; Vincenzo Schettino “Scienza e arte. Chimica arti figurative e letteratura.”; Claudio Bartocci, “Dimostrare
l’impossibile. La scienza inventa il mondo”; Marco Massa e Romano Camassi “I terremoti. Quando la Terra trema.”
Hanno assistito alla cerimonia circa 700 studenti, quattro rappresentati per provincia, che avevano l’incarico di leggere i cinque
testi e indicare il preferito. Per la provincia del Medio Campidano è
stato selezionato il nostro istituto, il Buonarroti di Guspini, e abbiamo partecipato con una delegazione di tre studenti: Lorenzo Spina,
Riccardo Incani e Roberta Murtas.
I ragazzi hanno avuto il privilegio di formulare domande agli autori, approfondendo così le loro conoscenze. Per gli autori è stata una
bella opportunità per incontrare i propri lettori, ricevere proposte di
chiarimento e capire ciò che li ha interessati.
Il bello dei testi letterari-scientifici scritti dai ricercatori è che la
scienza viene raccontata dagli stessi studiosi e questo suscita un
maggior interesse nel lettore che entra direttamente in contatto con
le scoperte e soprattutto con il pensiero dello scienziato che tratta
argomenti di scottante attualità.
Un messaggio molto importante che è stato trasmesso agli studenti
è di imparare ad avere un pensiero razionale e critico, di continuare
negli studi in base alle passioni personali per sfruttare al meglio le
proprie capacità.
Roberta Murtas
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S. S. 131: tratto Sar
La Supers
dei vel
di Saimen Piroddi
I FATTI
Pubblichiamo i risultati delle analisi chimiche del liquido che
trasuda dai pilastri e dal suolo nel nuovo tratto Sardara- Sanluri
della 131. Dimostrano una presenza di metalli pesanti inquinanti, tra cui arsenico e cadmio, presenti nei materiali usati
come riempitivo per la costruzione del tratto stradale. I lavori sono terminati già da alcuni anni, eppure dai pilastri e dal
sottofondo stradale continua ad uscire un liquido rossastro,
che altro non è che lo scarto dei materiali provenienti dell’ex
miniera d’oro di Furtei. Di questo scempio ambientale, che
sta provocando enormi danni all’agricoltura e all’allevamento, se ne è parlato poco anche se ci sono state diverse denunce da parte delle associazioni ecologiste.
PIETRO CIUCCI: “NON CONOSCO
IL PROBLEMA”
Venerdì 8 maggio una delegazione sarda, composta da attivisti di Tempio, Sinnai e Sardara, si è recata a Roma con la
portavoce del M5S, l’europarlamentare Giulia Moi, per incontrare il commissario straordinario per l’alluvione in Sardegna, il direttore generale (ora dimissionario) dell’Anas Pietro Ciucci. Si è parlato della “Olbia-Tempio”, dei cedimenti
della “nuova 554”, e in particolare dei fanghi velenosi della
statale 131. “Sardara in Movimento”, presente all’incontro,
ha affermato: «Emblematico il momento in cui, a precisa
domanda, il commissario straordinario per la Sardegna, Pietro Ciucci, affermando di non conoscere il problema, ha visto “sbattersi” sul tavolo le analisi chimiche delle acque e dei
fanghi presenti sui 10 Km di SS 131, comprovanti la presen-
za di scorie industriali altamente inquinanti provenienti dal
sito minerario di Furtei. Si sta lavorando per un
coinvolgimento, a breve, dei vertici regionali Anas al fine di
programmare interventi tecnici atti a mitigare o eliminare i
danni creati e sensibilizzare l’ente affinché non abbiano a ripetersi tali nefandezze».
I COMMENTI
Sardara in movimento: «Con la raccolta firme abbiamo coinvolto 500 cittadini, prodotto un intervento in consiglio comunale ed una interrogazione al Senato, prima firmataria
Manuela Serra, portavoce del M5S. Trattandosi di fondi Comunitari, appare altresì importante l’interessamento di Giulia
Moi, europarlamentare e portavoce del M5S, atto a verificare
l’utilizzo dei finanziamenti erogati, dove si presuppone lo
smaltimento illecito di scorie industriali provenienti dal sito
minerario di Furtei interessato dal noto “disastro ambientale” affinché la questione non venga, come spesso succede,
insabbiata finendo nel dimenticatoio e negli ingranaggi paradossali della prescrizione. Oltre alla bonifica, che dobbiamo
pretendere per quanto tecnicamente possibile, ed alle eventuali responsabilità civili e penali che potranno essere eventualmente accertate e che crediamo debbano essere riconosciute anche in termini di risarcimento del danno subito, risulta fondamentale creare i presupposti affinché il nostro territorio non venga più sottoposto a tanta umiliazione. È nello
spirito del M5S operare affinché si contrasti il sistema criminale politico-imprenditoriale diffuso in tutto il territorio nazionale. Cedimenti di viadotti, sprofondamenti di intere carreggiate, occultamenti di discariche abusive etc. sono solo
alcuni esempi degli ultimi scandali Anas, che progettano per
100, appaltano per 65 e sub-appaltano per 50, per poi rimediare con perizie di assestamento, di variante e suppletive e
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DOSSIER
rdara - Sanluri
strada
leni
con l’utilizzo di materiali e modalità operative non conformi.
È notizia di questi giorni l’approvazione del “ddl ecoreati”,
fortemente voluto dal M5S, per cui chi inquina rischia sino a
20 anni di galera».
Fortemente preoccupato l’ex sindaco di Sardara Giorgio Zucca: «Non solo le indagini non devono fermarsi, anzi devono
accelerare. Bisogna risolvere il problema subito. Il paese non
può restare nel dubbio se c’è o meno l’inquinamento. Il pericolo reale che eventuali veleni possano infiltrarsi nelle falde
acquifere e conseguentemente nei pozzi utilizzati per l’agricoltura e per l’abbeveramento degli animali e, ancora, addirittura arrivare alle acque termali, per il paese sarebbe la fine.
Bisogna agire subito anche con ordinanze ad hoc».
L’assessore all’ambiente di Sardara Andrea Caddeo, interpellato per dire la sua, non ha voluto esporre il suo pensiero.
Nel periodo di ottobre 2014 l’amministrazione sardarese ha
avviato un’azione legale per un presunto inquinamento dei
terreni agricoli del proprio territorio limitrofi alla statale 131.
BREVE STORIA DEI VELENI
RACCONTATA
DAL
GRUPPO DI INTERVENTO
GIURIDICO
E AMICI DELLA TERRA
Il 17 ottobre 2012 la Procura della Repubblica di Cagliari ha
chiuso le indagini penali sullo stoccaggio dei rifiuti minerari
finiti sotto il manto stradale della S.S. n. 131. È stato accertato che l’asfalto tra il chilometro 41 e il 58,500 poggia su un
letto di scorie tossiche che, ad ogni pioggia, rilasciano nel terreno acido solforico, ruggine e mercurio. Quattro persone sono
attualmente indagate dalla Procura di Cagliari e accusate di
traffico illecito di rifiuti: Garry Johnston, australiano, amministratore delegato della Sardinia Gold Mining s.p.a.; Aldo
Serafini, rappresentante della Todini Costruzioni s.p.a.;
Antonino Marcis, sub-appaltatore; Giorgio Carboni, dirigente
dell’Anas, che avrebbe rilasciato il certificato di collaudo,
sostenendo di aver eseguito prove per il controllo della qualità dei materiali usati. L’inchiesta, scattata due anni prima, coordinata dal pm Marco Cocco e condotta dai carabinieri del
Noe, puntava a far luce sui pericolosi materiali di scarto provenienti dalla Sardinia Gold Mining, poi fallita, che sarebbero stati usati appunto per realizzare un tratto della Statale 131.
Secondo la Procura, oltre 700 mila tonnellate di rifiuti provenienti dall’attività estrattiva della miniera d’oro sarebbero finiti sotto l’asfalto (cianuro, mercurio e altri metalli pesanti).
L’appalto per la realizzazione di quel tratto di statale era stato
vinto dalla Todini di Roma, che aveva poi subappaltato i lavori alla ditta sarda. Secondo l’accusa, Johnston avrebbe ceduto
i materiali di scarto ritenuti pericolosi a Marcis (il subappaltatore per conto della Todini) che li avrebbe usati per
realizzare il tratto di strada 131 vicino a Furtei.
Il problema nasce quando gli acidi hanno cominciato a colare,
danneggiando i cavalcavia e inquinando i campi provocando
un vero disastro ambientale. Si è scoperto, inoltre, che le analisi chimiche effettuate dall’Anas sono misteriosamente scomparse.
La storia ha inizio nei primi anni ‘90 quando la società australiana Sardinia Gold Mining chiede alla Regione Sarda la concessione per l’estrazione dell’oro nelle colline di Furtei. Le
associazioni ambientaliste Amici della Terra e Gruppo d’Intervento Giuridico si oppongono alla richiesta richiedendo, con
iniziative legali, lo svolgimento della valutazione di impatto
ambientale, come previsto dalle normative in materia della
Comunità Europea. I ricorsi riescono solo a ritardare la concessione e la valutazione d’impatto ambientale, pur obbliga-
toria, non viene eseguita. La Regione Autonoma della Sardegna non applicava la direttiva della Comunità Europea che
prevede la VIA per tutte le attività estrattive, e ha rilasciato la
concessione.
La VIA in Sardegna verrà applicata solo a partire dal 2008,
dopo due procedure di infrazione avviate dalla Commissione
europea per mancato recepimento della normativa, su altrettanti ricorsi proprio delle associazioni ambientaliste Amici della Terra e Gruppo d’Intervento Giuridico.
Dopo la chiusura della miniera e l’abbandono degli impianti
da parte della società sul territorio sono rimaste le ferite e gli
scarti tossici di lavorazione. 47 dipendenti della società si sono
trovati sulla strada.
Dopo lunghe proteste e denunce della nostra associazione la
Regione Autonoma della Sardegna, titolare di una partecipazione minoritaria (20%) del capitale sociale della Sardinia
Gold Mining s.p.a., ha dovuto metter mani al portafoglio per
evitare un disastro ambientale e sociale. Ha quindi deciso di
intervenire per bonificare l’area e per la messa in sicurezza
permanente. Ha stanziato 16 milioni di euro, i lavori sono da
completare entro il 2015. I lavori però non sono mai iniziati e
si è persa ogni traccia anche dello stanziamento. Non si ha,
inoltre, alcuna notizia di iniziative poste in essere dalla Regione per ottenere il pagamento delle spese per la messa in
sicurezza e il ripristino ambientale da parte della società che
gestiva il sito minerario, perlomeno mediante l’escussione
delle fideiussioni di legge prestate (che ormai devono essere
scadute). Perché la Regione non ha reclamato questi soldi? È
presto detto. Chi era all’epoca il presidente del Consiglio di
amministrazione della Sardinia Gold Mining s.p.a.? Ugo
Cappellacci, l’ex presidente della Regione, che alcuni mesi
prima della conclusione del suo mandato attraverso l’Assessorato Regionale all’Industria ha stanziato due milioni e mezzo di euro per la bonifica del sito. Ad occuparsene sarà l’Igea.
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UNA
PAGINA DI STORIA
Forru - Collinas - Forru:
andata e ritorno nei secoli
D
al Dizionario Angius/Casalis si rileva, fra l’altro, che il villaggio di Forru, inserito nella Provincia e nella Prefettura di Oristano,
mandamento di Mogoro e dipartimento Partemontis del
giudicato d’Arborea, era descritto come un agglomerato di case affossate fra piccole colline che ne celavano
la vista “prima che uno siavi sopra”. Agli albori del XVIII
secolo era abitato da circa 960 persone raggruppate in
300 famiglie ospitate in 300 case. Il saldo demografico
riferito al 1838 era pari a zero, poiché a fronte di 30
nascite si registrarono altrettanti decessi.
I suoi abitanti non avevano all’epoca una buona fama
poiché, unitamente ai sardaresi e ai mogoresi, erano
considerati ladri e assassini di professione. Ci pensò il
Marchese di Rivarolo che, nominato Viceré di Sardegna il 2 ottobre 1735, con la sua spietata lotta contro il
banditismo rimise in sesto la Sardegna, imprigionando
più di 3000 persone e giustiziandone 400. Di lui si ricorda anche una curiosa disposizione con la quale si
vietava l’uso delle barbe lunghe perché occultavano i
connotati (problema attuale proprio di questi tempi!).
In conseguenza di ciò il villaggio di Forru tornò ad essere abitato da “uomini tardi”, d’umor serio, tenaci delle antiche abitudini, dissimulatori, contenti del loro poco,
generosi co’ forestieri e nella povertà sdegnosi di mendicare. Le attività prevalenti erano rappresentate dall’agricoltura e dalla pastorizia, in minor misura dall’ar-
tigianato. Col trascorrere del tempo il villaggio di Forru subì un
lento ma progressivo sviluppo, sia in termini di popolazione residente e sia in termini di attività produttive; queste ultime cominciarono a differenziarsi rispetto al preminente settore agricolo e
pastorale. Il livello d’istruzione, tuttavia, continuava a restare
basso. Basti pensare che, nel 1835, nessun membro del consiglio
comunale di Forru, compreso il Sindaco, sapeva leggere e scrivere; l’unico “letterato” era il Segretario comunale!
Si arrivò quindi al periodo storico più rilevante, influenzato in
parte dall’illustre figura di Giovanni Battista Tuveri al quale, fra
l’altro, si deve l’istituzione dell’obbligo d’istruzione di scuola
elementare e dietro sua proposta nel 1863, ricoprendo egli allora
la carica di sindaco, l’amministrazione decise di sostituire al nome
di Forru quello, forse più significativo, di Collinas. Seguì un lungo periodo caratterizzato da una profonda metamorfosi culturale
e sociale per cui, verso la metà del secolo scorso, il paese raggiunse il suo massimo splendore.
All’epoca Collinas contava intorno a 1200 abitanti con un sufficiente livello culturale ed economico e poteva vantare al
suo interno in campo agricolo-pastorale, artigianale e commerciale, come in quello culturale e ricreativo, tutte le attività
atte ad assicurare ai propri cittadini, nel presente e nel tempo,
un livello di vita assai confortevole. Purtroppo la dilagante
crisi economica ha sconvolto l’equilibrio che si era venuto a
creare negli anni e ha portato la popolazione alla precaria situazione attuale.
Collinas conta oggi circa 800 abitanti in larga massima anzia-
ni e non pochi ultra ottantenni; i giovani, costretti ad emigrare nella speranza di un lavoro, abbandonano il proprio
territorio e gli affetti più cari. Le attività produttive sono
ridotte al lumicino con alcune imprese edili e due
falegnamerie, mentre quelle commerciali contano appena
tre rivendite di materiali edili, due negozi di generi alimentari, peraltro in procinto di chiudere i battenti a causa
dell’ingerenza della grande distribuzione, un panificio, una
macelleria, una pescheria e un solo bar.
Per quanto concerne l’istruzione, dopo aver perso la Scuola
Media, accorpata a Villanovaforru, a breve, per carenza di
alunni, si perderanno anche la Scuola Primaria e la Scuola
Materna; sull’orizzonte politico, infine, da segnalare l’adesione al Consorzio dei comuni della Marmilla, cui sono già
state demandate alcune delle funzioni previste dalla norma
in vigore. In buona sostanza è in atto un cammino a ritroso
verso l’antico “Villaggio di FORRU”, con la differenza che,
in origine, si trattava di una comunità autosufficiente anche
se povera, mentre oggi per qualsiasi necessità si è costretti
a dipendere da altri: il flusso continuo verso Sardara, Sanluri,
San Gavino Monreale, lo dimostra ampiamente. E “is
forresus”, nel frattempo avranno mantenuto i propri valori
di dignità etica e morale, saranno ancora tenaci nella fatica,
contenti del poco, accoglienti con i forestieri, rispettosi del
prossimo, sdegnosi di mendicare?
Chissà! Nel proprio intimo ciascuno troverà la risposta!
Francesco Diana
Tre scrittori
di Serramanna
premiati ad Arbatax
Domenica 24 maggio 2015, in occasione della quinta
edizione del “Festival della parola”, l’editore Claudio
Moica ha premiato i vincitori del concorso letterario “Il
Vento” aperto, a livello nazionale, a tutti gli scrittori già
affermati o emergenti, indetto con la collaborazione della
curatrice Margherita Musella, scrittrice e creatrice del
Caffè letterario itinerante “La Rosa dei venti” . Per l’occasione è stata scelta una location da sogno: una struttura in legno in mezzo al mare, presso il Circolo Nautico
di Arbatax. I primi dieci classificati sono stati inseriti nell’antologia “Uniti da un soffio di vento”, edita dalla Pettirosso Editore.
Dieci autori provenienti da tutta Italia, tra i quali ci sono tre autori
di Serramanna: Valentina Spiga con il racconto dal titolo “Anima
nel vento”, Francesca Murgia con il racconto dal titolo “Io sono il
vento” e Cristian Sanna con il racconto dal titolo “La voce del
vento”. Una serata ricca di emozioni per tutti coloro che hanno
partecipato all’evento. Non nasconde la sua soddisfazione la curatrice del concorso Margherita Musella, che ha ammesso che il
progetto è stato un vero successo. Un inno alle persone che
hanno donato il loro tempo per giocare con le parole, con la
loro inventiva, con la loro passione. Un gioco che ha fatto
nascere un libro con storie che hanno come protagonista il
vento. Oltre ai tre scrittori di Serramanna, gli altri classificati
sono: Alessandro Caltabiano (San Giovanni Suergiu), Violetta Arangini (Lanusei), Cristina Giuntini (Prato), Maria Baingia
Dettori (Alghero), Sebastiano Mario Fiori (Tortolì), Sonia
Planamente (Roma), Roberto Rossi (Vicenza). (r. m. c.)
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GUSPINI
I FORNI
PER LA
CALCE
Attraverso la memoria storica di una terra ricca di sfumature, dove natura e umanità si uniscono sapientemente, il lavoro individua il
ruolo centrale di questo territorio, forte delle proprie tradizioni ma attento ai cambiamenti, e ne segnala l’autenticità di “gente unica”.
Guspini era il maggiore centro di produzione di calce per
l’area del Campidano. Questa attività si affermò nel territorio per la sua capacità di
integrare il reddito famigliare, soprattutto a tarda primavera e in autunno, utilizzando la manodopera in eccesso
nelle attività pastorali e agricole svolte vicino a casa.
Non va dimenticato che
l’onere di trasporto di questa
preziosa merce spettava ai
ragazzi e alle donne
Le famiglie, sino al 1960,
erano costituite da numerosi
componenti e le poche attività della campagna non erano sufficienti a garantire una
dignitosa sopravvivenza. Per
questo le nostre genti impararono capacità e conoscenze particolarmente apprezzate nel campo dell’imprenditoria artigianale e sono stati
diversi i guspinesi che hanno dato lustro alla propria
terra creando piccole e grandi aziende che hanno fatto
dei loro prodotti un vanto per
il paese.
Tra le arti tipiche locali di
particolare importanza per
l’economia fu la produzione
della calce, attività assai diffusa. Bambine/i ragazze/i e
donne si inoltravano lungo i
sentieri che attraversano le
colline di argilla di Cuccureba per cercare le pietre bianche e venderle ai proprietari
delle fornaci, le calcinaie. I
forni venivano costruiti dove
era facile reperire le materie
prime necessarie e legna, acqua e pietre bianche, assieme
alla conoscenza dei
segreti della lavorazione, erano
alla base
per la produzione
della calce.
In particolare, nel territorio di Guspini, si contano oggi
15 forni,
ma si ritiene che in
passato essi
fossero più
numerosi e dai
dati risultano “carcinargius”
ancora attivi negli anni ’60
del 1900.
La tipologia costruttiva dei
forni, dalla forma tronco-conica, ricorda l’architettura del
nuraghe, il singolare monumento megalitico che caratterizza il paesaggio sardo.
I forni più grandi, con i 12m.
di diametro alla
base per
poi restringersi
fino a 4m.
nel loro alzarsi fino ai
6-7m., documentano notevoli capacità
architettoniche pur
nel contesto di una
cultura arcaica.
La produzione Una volta
terminate le operazioni preliminari si provvedeva a caricare il forno. La fase di
riempimento era la più fati-
cosa, poiché richiedeva la
raccolta e il trasporto, per lo
più a spalla, del materiale:
una squadra d’operai si occupava della materia prima e
una seconda squadra del legnatico. Nella parte centrale,
vicino al fuoco, erano posti i
blocchi più grandi, mentre
man mano che ci si allontanava si collocavano i pezzi
più piccoli.
Terminata la fase di riempimento si procedeva all’accensione del fuoco. A ridosso del forno era allestito un
piccolo ambiente utilizzato
dagli operai come riparo sia
nei mesi estivi che invernali.
Il lavoro e la fatica sostenuta
erano immani e, per portare
a compimento il processo di
cottura di un solo forno, era
indispensabile la presenza di
almeno 8-10 persone, che si
alternavano per due alla volta per un intero mese, di gior-
no e di notte o, in altri casi,
con squadre più ridotte: era
infatti prioritario non far spegnere il fuoco altrimenti tutto il lavoro sarebbe stato inutile.
La tecnica per la cottura delle pietre calcaree si tramandava nel tempo fra le famiglie, e solo pochi erano in
grado di praticarla correttamente. Non bisognava solo
far fuoco, era necessario conoscere i materiali adatti e
soprattutto i tempi ed il grado di cottura.
La calce così prodotta riusciva a soddisfare le esigenze di
un villaggio intero. Veniva
usata, mescolata alla sabbia,
come materiale per la costruzione delle case, come intonaco, per l’imbiancatura dei
locali (date le sue caratteristiche disinfettanti), così
come in agricoltura.
Mauro Serra
COLLINAS
Teatro del ricordo
È una pièce teatrale quella che i soci della Pro Loco Collinas
hanno intenzione di mettere in scena quest’estate, probabilmente ad agosto. Sono passati cento anni dalla prima guerra
mondiale, la Grande, quella che per la prima volta coinvolse
il pianeta intero su vari fronti, raccogliendo battaglioni di
giovani e vecchi secondo logiche nuove e terribili, inaspettate, come i traumi che lasciò e tutto ciò che da essi deriva.
In onore del centenario, verrà messa in scena la rappresentazione scritta da Antonio Pusceddu, che sarà presente anche
nei panni di attore. Il titolo della pièce “Cento anni in prima
linea” non lascia scampo ad equivoci e vuole sottolineare un
dialogo col presente storico che è sicuramente il punto focale
dell’intera rappresentazione. Non solo, quindi, un racconto
del passato e di guerra, come tanti se ne vedono, spesso
infarciti di retorica e stereotipi, ma anche una riflessione sulla natura umana, sulla sua condizione in bilico eterno fra salvazione e dannazione.
La sceneggiatura è una trasposizione abbastanza libera di due
opere letterarie che hanno attratto fortemente l’attenzione
dell’autore: “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu e “Gli
ultimi giorni dell’umanità” di Karl Kraus. Il progetto è sicuramente ambizioso, infatti le due fonti sono testi particolarmente ricchi di contenuti filosofici e di immagini complesse.
Tuttavia il periodo storico affrontato dai due scrittori è, almeno in parte, lo stesso, e inoltre sono comuni anche alcune
problematiche di base. Sono invece differenti le forme estetiche che veicolano i messaggi dei due artisti. Parliamo, infatti, di un’opera che si situa al confine fra memoriale e romanzo, per quanto riguarda lo scritto di Lussu, mentre l’opera di
Kraus vuole essere una tragedia dalle mille sfacettature, che
include al suo interno vari generi letterari e infinite diagnosi
del male che colpisce l’umanità. Difficile, dunque, il lavoro
di sintesi tra codici differenti, ma allo stesso tempo di sicuro
interesse.
Un’anteprima del testo gentilmente concessaci dalla Pro Loco
ci ha permesso di fare alcune considerazioni. Innanzitutto la
complessità dei messaggi e delle immagini ci è sembrata mitigata da un uso della lingua semplice e scorrevole, inoltre la
drammaticità ovviamente intrinseca al racconto viene alleggerita da intermezzi comico-ironici, laddove l’ironia vuole
comunque essere uno sguardo lucido e tagliente sugli eventi
passati alla storia come emblema della follia e della crudeltà
umana.La trama si svolge in diversi scenari geografici, seguendo le vicende di due differenti gruppi di persone, uno
coinvolto direttamente nella guerra e l’altro invece nella sua
analisi. In entrambi i casi la descrizione di una civiltà e di un
ordine gerarchico sull’orlo del baratro traspare dai dialoghi
tra i personaggi. Emerge un’amalgama di individui di tutte le
età che vaga attraverso paesaggi distrutti dalla furia irrazionale della guerra, aggrappata a bottiglie di Stock.
A impreziosire la rappresentazione saranno alcune registrazioni, compiute dallo stesso Antonio Pusceddu, riportanti i
racconti del nonno materno Antonio Usai, che partecipò alla
prima guerra mondiale sul Monte Grappa. Importanti memorie che diventano sempre più rare e sconosciute a un’umanità
che sembra aver dimenticato l’orrore del passato e gli insegnamenti del tempo.
A Collinas, quest’estate.
Paolo Onnis
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Su sadru chi seus pedrendu
Trespinnigòsus
amesedador’e mraxãis
Contixeddu de Venanziu Tuveri furriau in sadru de tziu Arremundicu
Tenìat sa futia de bivi in su sàtu e de papài, candu ndi tenìat gana, ous friscus, de puddas
pesàdas a poddini, trigu e trimoriscu, chi cerrìant presciadas in su corratzu mannu e dromìant
in su stabi, serrau, apatadas apitzus de pabõis de linna, e onniuna fiat mèri de dromì bisai in
àtu o in basciu. Ma is puddas bisant? E chi ddu scìt. Fut carignosu cun cussas e dd’is potat
s’arrest’e su mandiari: pãi tostau, arrest’e fruta o bidrura. Papàt cun prexei is ous, ma no sa
pudda, e sa mama ndi fadìat de mancu de dda coxinai candu in domu nci fiat Speràu. Dd’as
arregallant a is amigus o parentis. E candu Sperau andàt in baganzia cuncua pudda arrustu o
a buddiu dda codìant puru. Trespinnigòsus fut su nominigiu chi dd’iant postu sa dì chi no iat
agradessiu su chi dd’iat nau u cumpangiu de scolla e, pinnigosu a faci, a su stogumu e torra a
faci, su cumpangiu nci fut arrutu pabas a terra sen’e nai bah. U nominigiu chi si potàt avatu
ma ponìat arrispetu a is avedalis. Chi su mraxãi, chi fiat intrau in s’om’e is puddas, dd’essat
scipiu, iat’essi abarrau atèsu. Sperau iat agatau duas puddas mòtas, iat tzerriàu sa mama, chi
nde dd’as iat bodditas po ddas interrai. Impari iant cicau de cumprendi abì fut intrau, e gei
dd’iant agatau: u stampu in sa retza, iant penzau de ddu serrai cun fiu ‘e ferru, pois Sperau iat
nau a sa mama: «Abèta mama, no serrist su stampu, ollu ponni u làtzu po cassai su mraxãi.»
«Nou -iat arrespostu
sa mama - su mraxãi
est nasciu scàpu e no
tenèus su deretu de
ddu ingolli.» «Ma deu
no dd’ollu bocì,
mama, dd’ollu cassai
po ddu connosci mellus e pois ddu scàpu.»
«E ddu lassas andai
sen’e ddi fai nudda?»
«Ti ddu promitu.»
Iant serrau a sa bella
mellus su stampu e
Trespinnigòsus iat cicàu luegus tabas, puncias e fiu ‘e ferru po
fai su làzu. Iat penzau a ua arretonèra, chi tenìat u cumpangiu: cument’e u passaritziu cun
s’èca cumandada de ua molla chi dda fadìat serrai cun s’animabi aintru. Iat traballau tòtu sa
dì e candu su babu fut torrau a domu dd’iant posta anant’e su stampu, assegurendidda a sa
retza. «Tòtu fàtu - iat nau prexau Trespinnigòsus- aspetaus chi torrit su mraxãi.» «E pois - iat
pedìu su babu - ti ndi fais ua istimenta?» «Nou, dd’apu promitiu a mamai, no ddi fatzu nudda,
dd’ollu connosci pagu pagu.»
Sa nòti fut cabendu, is puddas si fiant acobiadas asut’e su stabi, e bab’e fillu iant serrau
s’enna de s’om’e is puddas e fiant intraus in domu insòru po si sciacuài prim’e xenai. Pàssat
sa nòti ma su mraxãi no si fiat fatu bìi. Fut passada totu sa xida senza chi s’animabi essat
cumpàtu, e Trespinnigòsus fut pedrendu sa spera de ddu cassai. A sa de tres cidas, fut torrau,
passendu in su stampu chi connoscìat ma abarrendu presonèri in su làzu. Su trumentu po si
fui no iat potau a nudda. Aici, a mangiãu, candu Speràu fut andau a bìi dd’iat agatau. Si fut
infromau po scìi cumenti bivìant e ita papànt custas bestias. Ma no tenìat tonigheddus bìius o
pibaras de ddi ‘onai, e nimancu ua bistèca, sen’e ddu pedì a sa mama; insaras iat pigàu u
arrogh’e pãi, ua meba e ua pariga de nuxis e nc’iat ghetau totu aintr’e sa gabia, sperendu chi
su mraxai essat cumprendiu; ma custu no si fut acostau a papai, frotzis at a tenni sidi, iat
penzau, e fut andau a cicai u testevillu cun acua, si fut setziu in terra e iat abetau. Su mrãxai
movìat u passu conc’a sa cos’e papai, ma castiàt is puddas. At a tocai a ddi fai u corratzu, iat
penzau Trespinnigòsus, de cussus chi faint
po is cãis, e u crocadroxu. In d’u furrungõi
de sa pratza ddoi fut u arrogh’e retza de
ferru, su piciocheddu iat inghitzau a traballai, punciài, cracài pabõis in terra e apustis
ua parigh’e oras iat tzerriàu sa mama. «No
mi ndi sapu de custa cosa s- iat arrespostu
issa - candu torrat babu tuu… t’at a scìi
nai.» «Bellu! - iat nau su babu - perou is
pabõis funt prantaus pagu, ponèus tabas e
ddus punciaus apari, po chi poderint béi
sa retza chi ponèus po coberri. Pota tòtu!»
Iat traballau ancòra cun su babu e s’arresutau fut praxibi. Dd’iant postu ua scatula de
cartocìu po crocadroxu, u stresciu mannu
po s’acua e unu po su mandiari. Pois su babu iat pigàu ua fúi, fut arrennesciu a cassai su
mraxãi a latzu e nce dd’iat fatu intrai a su corratzu prontu. «At papau cuncua cosa?» «Ua
meba, custu mericeddu.» «Chi no papat s’at a tocai a ddu scapài, nci as penzau?» «Speru chi
papit», iat arrespostu Speràu. Su mrãxai stadìat mellus in su corratzu, tenìat prus logu de si
movi. Trespinnigòsus andàt a ddu bì botas mèda in sa dìi, ddi potat fruta, pãi e cuncu ‘uncõi
‘e petza. Si setzìat anant’e su corratzu e fueddat cument’e chi fessat u cristiãu. Pàssat tempus
e su mraxãi s’acostat a pigài sa cos’e papai, de mãus de su pipiu, ma si fuìat luegus. Apustis
u mesi Speràu iat dezidiu ca fut ora de ddu potai a passillai, ma dd’iat postu musarolla e loru.
Iat cumentzau a ddu potai in pratza, in s’òtu, pois in sa ìia, acou in bidda puru. Passillendu
ddu carignàt e ddi ‘onàt cos’e papai. Pois, cun su coru chi pistàt e pistàt, nde dd’iat tiràu su
loru e sa musarolla, po bì ita iat’ai detzidiu de fai su mraxãi. Custu iat cumentzau a satai, a
curri a girài tres botas agiru de Trespinnigòsus e poi si fut stesiàu. Apustis ua xida fut torrau,
Sperau dd’iat agatau anant’e s’enna, abetendiddu. Ma fut scéti po ddu saludai, no po abarrai.
A si ‘ntendi mellus. tziu Arremundicu.
Scracàlius
di Gigi Tatti
Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu, custus
“scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus lègius chi seus
passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai scaresci calincunu
pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt innoi. Sciu puru, ca
cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius, ma apu circau de poni
scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu pagheddu de aqua lìmpia.
Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus ligi imparat prus a lestru a
ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de prus.
Fulviu est unu pugili sardu cumbatendi cun dd’unu turcu, e tra una ripresa e un’atra fueddat
cun s’allenadori.
Fulviu: Mìtziga, ge scudit pagu custu turcu. Ma ge s’at a stancai de mi scudi.
S’allenadori: Dai, ca ge ses andendi beni. Biu ca ses pighendindi, ma ses arricendindi puru.
Fulviu: Insandus imoi dd’arrogu.
S’allenadori: Pensa ca a cussu turcu dde nd’asti fatu po fintzas atzicai.
Fulviu: Ma candu? No mi ndi seu acatau.
S’allenadori: Certu fiasta a terra in su tapetu.
Fulviu: Ma insandus comenti at fatu a si nd’atzicai.
S’Allenadori: Certu. At pensau ca t’iat mortu!
.................................................................................................................................................................
Unu cuaddu coiau cun dd’una zebra sa prima noti de coia.
Sa zebra: Seu totu emotzionada. No sciu ita fai!
Su cuaddu: Ti ddu nau deu ita depis fai!
Sa zebra: Insaras naramiddu tui, ca ge ddu fatzu.
Su cuaddu: Po prima cosa, tiradindi cussu pigiama, ca poi ge ddu sciu deu, ita depeus fai.
.................................................................................................................................................................
Galdinu est in vìsita aundi de su dotori.
Galdinu: Seu sempri dèbili, sempri a gana mala. Ita cura depu fai?
Su dotori: Po prima cosa depit smiti de fait traballus aundi serbit sa conca.
Galdinu: Scusimidda, ma no ddu potzu fai.
Su dotori: Poita no ddu podit fai?
Galdinu: Poita fatzu su parruchieri!
.................................................................................................................................................................
Su maistu, in scola, est curregendi is còmpitus. Marieddu ddi fait una domanda.
Marieddu: Signor maestro, est berus ca una borta is animalis fueddànta?
Su maistu: Custu no ddu sciu de seguru. Ma ca curregendi su chi as scritu, sciu ca imoi
scriint!
.................................................................................................................................................................
Toniu est discutendi cun s’amigu Brunellu.
Brunellu: Deu ti nau ca is fèminas bivint de prus de is òminis.
Toniu: E ita ti ddu fait pensai?
Brunellu: Càstia cantu viudas ci funt in bidda!
..................................................................................................................................................................
Anneta in est fuedendi cun dd’unu piciocu chi at connotu in dd’unu locali.
Anneta: Ita traballu fait fostei?
Su piciocu: Deu fatzu unu mestieri chi candu fueddu, sa genti m’ascurtat a buca aberta.
Anneta: Ita fait su polìticu?
Su piciocu: No! Fatzu su dentista!
..................................................................................................................................................................
Gerlandu est in dd’unu stùdiu de unu cardiologu.
Su cardiòlogu: Signor Gerlandu, dd’arregordu ca mi depit ancora pagai s’atra vìsita. Oghinò,
no ddu potzu visitai.
Gerlandu: Castit, ca deu timu is retzetas chi fait, non is minàcias!
………………………………………………………...................................……………………………
Assunta est in s’ambulatòriu fueddendi cun su dotori.
Assunta: Seu benia, poita pobiddu miu est sempri a dolori de ossus. De ita maladia sunfrit?
Su dotori: Est seguramenti mancantza de calcio.
Assunta: No podit essi! Poita pobiddu miu est de mangianu a merì castiendi partidas in televisioni!
.................................................................................................................................................................
Gennaru est fueddendi cun un abogauu de Casteddu.
S’abogau: Spieghit po cali motivu bolit pedì sa separatzioni de sa pobidda?
Gennaru: Poita dònnia merì andat a unu locali de Casteddu po fai s’amori. Ita mi narat?
S’abogau: Po prima cosa, ddi nau de mi scoviai aundi s’agatat custu locali!
.................................................................................................................................................................
Sergiu est in pratza de crèsia fueddendi cun Gianni.
Sergiu: Apu scìpiu ca as arregalau unu cani feroci a sroga tua.
Gianni: Certu, poita sroga mia est viuda e ddi serbit po guàrdia.
Sergiu: Aici dda difendit de is ladronis?
Gianni: No. Aici si circat de bessì po beni a domu, dda mòssiat!
.................................................................................................................................................................
Unu procu est fueddendi cun dd’unu molenti.
Su procu: Ge ses pagu tontu. Ses sempri traballendi a gràtis comenti de unu molenti.
Su molenti: Ellu comenti depu traballai, comenti de unu procu?
Su procu: Ci podis contai. Deu no fatzu nudda, papu e bufu e m’arriposu.
Su molenti: Ge ddu sciu e ti biu. Ma imoi ca ti càstiu beni, no mi parris su procu de s’annu
passau!
.................................................................................................................................................................
Giustinu est chistionendiendi cun Zenobiu.
Zenobiu: Narami o Giustinu, ma a tui ti praxint ancora is fèminas?
Giustinu: A mei meda. Scèti ca no m’arregordu poita mi praxint!
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15 giugno 2015
LA SARDEGNA NEL CUORE
21
di Sergio Portas
Un convegno per il centenario
della morte di Sebastiano Satta
I
n quel fatale 1914, nel mentre i cannoni d’agosto ancora
tacevano (se ancora non l’avete letto vi consiglio il libro
sulla “grande guerra”di Barbara Tuchman dall’analogo
titolo) a fine novembre morì a Nuoro Sebastiano Satta, a
Guspini sei mesi prima era nato Livio Portas, babbo mio. In
comune: tutti e due avevano fatto della poesia la loro cifra,
una buona ragione per cui vivere. E seguendo il consiglio di
Giuseppe Dessì (quello che, tra gli altri, scrisse Paese d’ombre) che giusto cinquant’anni fa si chiedeva a cosa potessero
servire queste celebrazioni di poeti, se non a fare i conti con
noi stessi, a misurare fino a che punto ancora ci rammentiamo di loro, mi piace di riportarvi l’iniziativa del circolo sardo di Milano che sabato 23 maggio ha ricordato questo centenario con un convegno.
Introduce Pierangela Abis, presidentessa del circolo, poi
Pasqualina Deriu che un paio di libri di liriche li ha pure pubblicati (e molte altre ne avrà pure nel cassetto se di lei il pieghevole d’invito la dice semplicemente “Poetessa”), e due
pezzi da novanta della cultura sarda, due scrittori e saggisti
che si sono interrogati su Satta si può dire da sempre, Ugo
Collu (suo insieme ad Angela Quaquero: “Sebastiano Satta
le opere e i giorni, Moderno e postmoderno nella filosofia
italiana, 1992) attualmente presidente della fondazione
Costantino Nivola. E Bruno Rombi, sardo di Calasetta, che
può vantare una pubblicazione sul poeta di Nuoro fin dal 1983:
Sebastiano Satta, vita e opere (prefazione di Manlio
Brigaglia), libro che Condaghes ha riproposto l’anno scorso
come Ebook, in rete alla modica cifra di 3,99 euro.
Comunque sia, se qui dentro è presente un poeta vero, quello è Bruno Rombi, giornalista anche e dal 1956 (col “Lavoro” di Genova, direttore Sandro Pertini, futuro presidente di
Repubblica), saggista fluviale (Dessì, Deledda, Cambosu,
Satta Salvatore) ma soprattutto poeta, in svariate lingue, oltre al natio tabarchino rima in italiano, francese inglese e
rumeno, traduce da tutte queste e anche di più, specie dal
macedone. Non chiedetemi come faccia. L’avevo intervistato dieci anni fa in occasione del suo video-oratorio
“Tsunami”, la catastrofe che seminò morte nel sud est asiatico con numeri mai veramente verificati, ma il computo
parte da centinaia di migliaia. Lui e Collu si lanciano in una
dottissima dissertazione tutta mirante a mostrare quanto la
saggistica più accreditata (leggi Giuseppe Petronio) abbia
sempre sottostimato il valore della poesia di Sebastiano Satta,
declassato dai critici letterari a “carducciano minore”. Insomma questi critici gli rimproveravano che avesse continuato a scrivere “come Giosuè Carducci”, quando gli epigoni
di lui, segnatamente D’Annunzio e Pascoli, avevano già
smesso da tempo. Dispute che volentieri ci vogliamo lasciare
alle spalle, dispute di italiani.
Veniamo a noi sardi di Sardegna. Cosa rappresentasse per
la sua generazione Sebastiano Satta lo faccio dire a babbo,
quando nel ’54 riuscì a pubblicare un suo libretto di poesie,
eravamo a Verona da due anni, io in seconda elementare,
Guspini un ricordo caldo che poco poteva contro la neve
veronese: da “Greto allegro”, pag.21 : “Un Seminatore” e
sotto “Se l’aurora arderà sui tuoi graniti/ Tu lo dovrai, Sardegna, ai nuovi figli” a Sebastiano Satta (1) : Poeta sardo.
Comincia così: “Irto è il tuo bronzo sonoro e in faccia al
sole!/ Le trasmigranti nei sangui, arpe fatate, hanno tintinni
di luce entro le gole/ dei versi, e gridi di speranza o vate?...”
Mi viene da dire che babbo fa poesia con lo stampo di Satta
e forse non poteva essere altrimenti, con quale altro “vate”
avrebbe potuto incontrarsi a Guspini, diciamo negli anni del
fascismo imperante, lui che avrebbe fatto solo le scuole elementari, studiando regolarmente sui libri dei compagni di
classe, visto che i suoi erano poveri in canna e nonno
Pasqualino che, ben intenzionato ad approfittare delle
prebende che il Duce elargiva a famiglie numerose, libri
certo non ne comprava? Sebastiano Satta aveva scritto poesie in italiano e in sardo (la fine di “Su battizzu” è davvero
troppo bella: “...E a su pizzinnu tottus sa fortuna/ leghene in
sas istellas e in su binu/ e li cantana a inghiriu sa cantone./
Ma Antoni, chind’hat bibiu prus de una,/ narat chi tottus
han zirau su tinu,/ ca su pizzinnu finit in presone.”) ma allora quelle pubblicate erano solo le “italiane”, che il fascismo
tutti i gatti voleva neri di notte, così come le camice del
sabato, e delle bandiere coi quattro mori si sarebbe dovuto
perdere la memoria.
Tra gli ultimi anni dell’ottocento e i primi del novecento
Sebastiano Satta sarebbe stato un seminatore per tutta
l’intellighenzia dell’isola, i suoi “Canti Barbaricini” sono
del 1909 (l’edizione di babbo è del ’33, ma lui la firma da
Cagliari 8/12/44) così Satta scrive nella prefazione: “Questo libro, che ha in fronte il nome del mio bambino e si
chiude coi ricordi di una pena indimenticabile (gli era morta una figlioletta un anno prima, ndr.), canta o, meglio, narra il dolore della mia gente e della terra che si distende da
Montespada a Montalbo, dalle rupe di Coràsi fino al mare;
e canta dolor di madri, odio di uomini, pianto di fanciulli...”. Mai parole furono più ricche di verità, il libro è uno di
quelli che chi non l’ha letto non può dirsi sardo pieno, zeppo di versi che come dice babbo sono aratri fatti di suono,
che scavano nell’anima più intima del sardo, a rimestare
insieme con la terra quanto ha di più sacro: “Quando nacque la greggia -ed era bianca/ E lieve come nuvola -fu Dio/
Che a lei cinse una fiorita tanca,/ con siepi di asfodelo in
Ugolio/...”, e ancora: “Caprai di Lula, e voi che pei meandri/ Di Corrasi spargete all’alba i branchi/ Snelli, e voi, donne, che tra gli oleandri/ Lavate, lungo le fiumane,i bianchi/
Lini e le lane...”. e ancora: “Oh spillatemi il vin di Valditorta/
Pieno di sole. Candida ed allegra/ Splenda al mezzo la mensa; molto negra/ Elce bruci nel vasto focolar...cogliete molti
fior negli orti,/ E spargeteli: a salutarmi i morti/ Verran stanotte e qui vorran cenar...”. È la Sardegna aspra di figli che
l’abitano a somiglianza di pecore vaganti, pecore che non
sanno né leggere né scrivere, Satta è uno di quei fortunati
che faranno liceo e università, anche se perse il babbo a cinque anni e lui e il fratello dovettero scontare le ristrettezze
di una famiglia in cui la madre divenne faro di ogni possibilità, distributrice della scarsità che doveva scontare la famiglia. E terribili sono le rime che Bastiano destina alle nere
donne sarde, ognuna delle quali sembra riprodursi nella scultura dell’amico suo Francesco Ciusa, quella “madre dell’ucciso” che raccoglie in sé un dolore indicibile, che rende muti
e trasforma nella pietra da scalpello. E sul rapporto tra Satta
e la madre si sofferma Bruno Rombi: “Credeva Satta?”.
Pasqualina Deriu dice del nucleo soprannaturale della sua
poetica, della visione del mondo panteistica, del meraviglioso
e miracolistico che appare come lampo di temporale ( I tre
re, Passò Gesù Bambino, Gesù appare ai mietitori del
Campidano).
Che la morte faccia inestricabilmente parte del vissuto quotidiano d’ognuno è per Satta scontato, lui i morti li fa parlare, spesso tornare. Le generazioni come un continuo calpestare le stesse strade, le stesse tanche. Dice Collu che quando gli nacque Vindice nel 1908, vide l’evento come vendetta, come riscatto della morte della figliolina. E mise sulle
spalle del bimbo una eredità poetica che questi faticò a sopportare. Anche perché in quell’anno Satta ebbe una paralisi
che l’immobilizzò per il resto della sua breve vita, pur lasciandogli intatte le facoltà intellettive perché potesse continuare a scrivere poesia. Vindice fu magistrato, tentò invano d’instradare il suo di figlio alla poesia, ma fu proprio lui
che all’età di quaranta anni vi si dedicò a tempo pieno, pur
terrorizzato dalla gravità della figura paterna. Ne lasciò a
centinaia e solo da poco vengono pubblicate (“alla tua morte padre, tacque la foresta). Pure il mio di babbo ne ha lasciato a centinaia, vien da dire che ai sardi sia sufficiente di
poterne scrivere ogni giorno per sentirsi appagati. Di lui
anche un paio di quadri, in stile naif, colori sgargianti per un
cielo celeste e un sole abbacinante d’oro, Gesù vestito come
l’iconografia classica ce lo presenta e alcuni contadini neri
di sole, la falce in mano in mezzo a spighe gialle, tra le
colline in sottofondo, mi sembra di ricordare un nuraghe.
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22
15 giugno 2015
Nel regno della Natura, a tu per tu con i fenicotteri rosa
U
na storia semplice di passione. Passione e amore per
la fotografia, per la natura. Matteo Algranati lo conosco da quasi vent’anni, complice lo stesso ambiente lavorativo, aveva un desiderio peculiare: partire dall’hinterland milanese dove è nato e cresciuto per tornare in
Sardegna, rimembrando un viaggio fatto tantissimi anni fa,
con la moglie Monica, per scoprire o riscoprire angoli suggestivi che solo la natura, complice la regalia del Mediterraneo, sa accordare. Blogger (www.algranati.it) che si occupa di tutte la passioni della sua vita, oltre alla fotografia,
i viaggi, gli acquari, il mare tanto per citarne alcune, al suo
rientro dall’isola, come un torrente in piena, enuncia sulle
giornate appassionate trascorse al di là del Tirreno.
Ascoltarlo, enfatico e meticoloso nel dare un volto ai particolari più preziosi, ha donato a me gioia e curiosità, che
vivo e respiro quotidianamente di Sardegna. Come nel decantare la riserva di Monte Arcosu, una passeggiata
naturalistica infinita sotto un sole primaverile ed una luce
accecante che Milano non conosce, in un’area preservata di
proprietà del WWF. È la più estesa in Italia ed è la superficie dove viene salvaguardato il cervo sardo. L’habitat naturale ospita una vasta estensione di macchia e foresta mediterranea. «Un incanto - afferma Matteo - una specie di itinerario fra le specie arboree più rappresentative del periodo».
Il Monte Arcosu per Matteo era l’obiettivo per perpetuare
esemplari faunistici che sono l’elemento di maggiore inte-
resse. Nella riserva sono attualmente vigenti oltre mille esemplari di animali, ma è probabilmente in quest’area che il cervo raggiunge la massima densità. Animale piuttosto schivo,
il cervo sardo trova nella macchia-foresta il suo habitat ideale in cui rifugiarsi e può essere avvistato solo con silenziosi e pazienti appostamenti.
Per Matteo gli equanimi principali erano gli uccelli che vivono nella riserva. Ammonterebbero a circa 70 specie. Il
maggiore interesse si concentra sui rapaci, e la presenza più
autorevole è quella dell’Aquila reale, la cui popolazione è
dell’ordine di pochissime decine di coppie in tutta l’isola.
Nelle personali immagini di Matteo diverse varietà di uccelli fotografati nel giro di pochissimi chilometri: garzette,
aironi maggiori, aironi cinerini, cavalieri d’Italia, marzaiole,
falchi e poiane con una Nikon D610 con obiettivo Tamron
150-600, specifico nel fotografare animali con l’utilizzo alternativo di un grandangolo Sigma 14-24. E poi il piatto
forte rappresentato dai fenicotteri rosa: quelli fotografati nell’area di Cagliari, negli stagni di Santa Gilla e del
Molentargius, luoghi fra i più considerevoli della sosta europea dell’incantevole trampoliere. Gli appostamenti all’alba e al tramonto di Matteo per immortalarli in almeno cinquecento rappresentazioni.
Per molti anni i fenicotteri hanno frequentato gli stagni dell’area cagliaritana senza nidificare, probabilmente a causa
della pressione antropica e dei predatori di uova (soprattutto gabbiani). Negli ultimi anni hanno ripreso a nidificare fra
Serramanna
sulla via di Santiago
La storia del Cammino di Santiago si perde lontana nei secoli e arriva fino
ai giorni nostri, chiamando anche i serramannesi verso quell’antico percorso. Infatti, nonostante i tempi moderni che impongono di vivere una vita
all’insegna della fretta e della corsa, schiavi di impegni e doveri, alcuni
abitanti del nostro paese cercano compagni per organizzare insieme il cammino, meta di pellegrini che giungono fino a Santiago da ogni parte del
mondo . Ma cos’è che spinge le persone a scegliere di affrontare quel lungo
viaggio a piedi? Ognuno, probabilmente, segue un richiamo diverso e, al
contrario di ciò che si potrebbe pensare, non sono solo i credenti a inseguire
quella meta: alcuni cercano Dio, altri se stessi, per trovare l’ anima, altri, il
senso della vita.
Ma com’è nato questo Pellegrinaggio ormai millenario?
Si racconta che San Giacomo Apostolo, dopo la resurrezione di Gesù, percorse la penisola Iberica diffondendo le parole del Vangelo e, quando al suo
ritorno in Palestina venne fatto decapitare dal Re, i suoi discepoli riportarono il suo corpo nei luoghi dove aveva predicato, dandogli sepoltura in un
posto segreto. Nell’anno 816, un eremita guidato da una pioggia di stelle
che cadevano su di un colle e da un sogno dove San Giacomo lo invitava a
scavare in quel luogo, trovò la tomba perduta. Su quel colle venne costruita
una chiesa in onore del Santo e intorno ad essa nacque una città: Santiago
de Compostela (San Giacomo del campo della stella). Da allora, con la via
lattea che indicava la strada giusta da seguire, cominciò il cammino dei
pellegrini verso Santiago. C’era chi intraprendeva il difficile viaggio di Fede
perché aveva fatto un voto, chi per chiedere una grazia, altri ancora come
penitenza imposta dalla Chiesa. In quei tempi lontani, i pellegrini partivano
in gruppo per proteggersi dagli assalti dei briganti e trovavano riparo presso
le locande, gli alloggi e le chiese che vennero costruiti lungo il tragitto.
Ognuno di loro portava cucita sul mantello o sul cappello una conchiglia
raccolta in Galizia o a Fisterra: quello era il simbolo che il pellegrino mostrava per dimostrare di aver visitato la tomba di San Giacomo. E, da allora,
seguendo un misterioso richiamo di fede e scoperta, in gruppo o da soli, i
pellegrini non hanno mai smesso di camminare portando con loro una conchiglia come simbolo del loro viaggio verso Santiago...e, se dopo aver letto
queste parole alcuni di voi sentissero il desiderio di seguire le stelle e raggiungere quella meta misteriosa e spirituale dove il tempo si è fermato a più
di mille anni, contattando l’indirizzo e-mail [email protected] potrete trovare altre persone con lo stesso sogno ed insieme a loro sarà possibile organizzare il cammino di Serramanna verso Santiago di Compostela.
Francesca Murgia
la vegetazione spontanea della palude. Un monitoraggio
del 2004 ha censito oltre 6000 coppie nidificanti. Una bella
esperienza quella che Matteo mi racconta, insaporita anche dall’ottima cucina tipica sarda e dall’altrettanto rinomata accoglienza: la gentilezza delle persone e la pulizia
dei locali e delle stanze d’albergo, lo hanno colpito. Particolarmente suggestionato, rientrando dal viaggio fatto sino
a Carloforte all’altezza di Chia, dove a Capo Spartivento,
all’altezza della stretta piana costiera sulla quale insistono
le formazioni collinari, prevalentemente rocciose, che costituiscono le pendici meridionali dei monti del Sulcis, ha
assistito affascinato al matrimonio tra terra e acqua in una
mescolanza di colori e situazioni davvero seducente. «Io e
Monica - mi spiega Matteo - eravamo in un paradiso che le
Maldive si sognano».
Rimane quella pecca tipica della Sardegna, che a conti fatti rappresenta la lacuna principale dell’isola che ancora oggi
è impreparata a “fare turismo” tutto l’anno, al di là del
costo spesso proibitivo dei trasporti. «In un’area incantevole come quella - ribadisce Matteo - praticamente non
abbiamo incontrato nessuno». Quando si riuscirà a far sì
che la stagione turistica sia composta non solo dai canonici mesi estivi? Ce lo chiediamo tutti, anche il Matteo di
turno, che in un breve viaggio d’inizio primavera ha scoperto l’esclusività di un’isola per molti versi ai più sconosciuta.
Massimiliano Perlato
INVALIDI & DISABILI
di Valentino Pitzalis
www.valentinopitzalis.it
Rifiuto della richiesta di trasferimento se la
persona con handicap ha altri familiari in loco
Con la recente sentenza del 06/08/2014, n. 04200/
2014, il Consiglio di Stato (Sezione IV) ha stabilito
che la richiesta di trasferimento può essere rifiutata
se la persona portatrice di handicap ha altri familiari
in loco.
È sicuramente una brutta notizia in particolare per il
personale delle forze armate e per i dipendenti del
ministero dell’interno (agenti di custodia, carabinieri, poliziotti ecc.) che –
nel recente passato – hanno fatto leva su questo
tipo di beneficio per poter rientrare nell’isola
dopo un periodo “di gavetta” in territorio
extraregionale; nello specifico, il Consiglio di Stato ha evidenziatole le seguenti ragioni:
Con la legge nr. 183 del
2010, è stata eliminata
dall’art. 33 della legge nr.
104 del 1992 la previsione dei requisiti della continuità ed esclusività dell’assistenza. Quindi, tali requisiti non possono più
essere pretesi dall’Amministrazione come presupposto per la concessione dei benefici di cui al citato art.
33, con la conseguenza che gli unici parametri entro
i quali l’Amministrazione deve valutare se concedere o meno i benefici in questione (nella fattispecie
concreta il trasferimento presso altra sede lavorativa) sono le proprie esigenze organizzative ed operative e l‘effettiva necessità del beneficio, al fine di
impedire un suo uso strumentale.
Ciò significa che la richiesta di trasferimento non rappresenta un diritto incondizionato del richiedente; infatti la pubblica amministrazione può legittimamente
rifiutare l’istanza di trasferimento di un proprio dipendente, presentata ai sensi dellï:’art. 33, quando le
condizioni personali e familiari dello stesso recedono
di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e
del prestigio dell’Amministrazione.
Ne deriva che il diritto al
trasferimento è rimesso
ad una valutazione relativamente discrezionale
dell’Amministrazione e
richiede due condizioni:
1. che nella sede di destinazione vi sia un posto vacante e disponibile;
2. che vi sia l’assenso
delle Amministrazioni di
provenienza e di destinazione.
Ne deriva che, anche se il requisito della vacanza e
della disponibilità sia soddisfatto, il beneficio può essere negato in considerazione delle esigenze di servizio della struttura di provenienza o di destinazione.
Quando poi risulta che la persona portatrice di handicap ha altri familiari in loco e che il richiedente non
ha in precedenza prestato attività di assistenza nei suoi
confronti, la p.a. può legittimamente respingere la richiesta di trasferimento.

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