Benito Urgu: “qui ci sono ancora quegli angoli fatti alla maniera nostra”

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Benito Urgu: “qui ci sono ancora quegli angoli fatti alla maniera nostra”
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15 giugno 2016
Benito Urgu: “qui ci sono ancora
quegli angoli fatti alla maniera nostra”
N
on ha certo bisogno di presentazioni dopo oltre cinquant’anni di carriera nazionale e internazionale.
Definire Benito Urgu un comico è riduttivo. Anche
se pochi lo sanno, si tratta di un artista a tuttotondo. Ironico
sul palco. Profondo, umile, sensibile, colto ed estremamente riservato nella vita privata. Una super star della Sardegna
attuale, come Zola e Riva che rappresentano alta l’isola nel
mondo. Chi, meglio di una persona che da oltre mezzo secolo gira l’isola in lungo e in largo, conoscendo posti, genti e
menti, è in grado di dare un parere, un’opinione utile a comprendere lo stato in cui versa il Medio Campidano?
Lei è conosciuto a livello internazionale e potrebbe vivere ovunque, ma ha scelto di restare qui. Come mai? «È
vero - risponde Urgu – qui però ci sono ancora quegli angoli
fatti alla maniera nostra. Fuori casa siamo comunque sempre prede. Inoltre ‘mellus strintu in domu mia che allenu in
domu de is aturus’».
Le piacerebbe una Sardegna Stato?
«Si, mi piacerebbe. Ci vorrebbero almeno cinquant’anni per
realizzare e perché il tutto si assesti, però non è impossibile.
I veri sardi sono gli unici indigeni italiani rimasti della colonia Sardegna».
Il Medio Campidano è la provincia più povera d’Italia:
che ruolo pensa potrebbe invece giocare? «Il Medio
Campidano è ricco di spiagge e della cultura dell’accoglienza. L’ospitalità è una caratteristica fortissima, insita nel ter-
ritorio, che potrebbe essere sfruttata al meglio. La zona è
povera, è vero, ma in fondo lo è sempre stata e dunque
anche il turismo potrebbe essere incentrato valorizzando
la cultura, anche storica, delle cose semplici, come ad esempio il cibo e le abitazioni. Il momento è difficile e c’è molta
povertà ma la zona è ricchissima».
È il sardo vittima della politica sarda, o la politica sarda è così perché il cittadino è arrendevole e rassegnato?
«Il sardo ha perso quella che era la sua prepotenza, la
consapevolezza di essere un uomo. Ha perso la sua identità.
Oggi una manciata di ricchi nel mondo ci manipolano facendoci comunicare attraverso segnali. Vedi i social network. Siamo vittime e non lo sappiamo. Ci sentiamo soddisfatti mentre
continuiamo a deprimerci. Siamo talmente abituati a fare quello
che ci dicono indirettamente quei quattro potenti, che ubbidiamo senza accorgercene a qualsiasi cosa, anche alla politica
sbagliata».
Talassemia: coi tagli alla Sanità, alcuni centri trasfusionali
considerati “minori”, tra cui quello dell’ospedale di San
Gavino, rischia la chiusura costringendo chi ne è affetto, e
non solo, a recarsi lontano nei centri più grossi. Cosa ne
pensa?
Penso che come al solito i tagli vanno a ledere le persone più
sfortunate e povere. Allontanare un centro di così vitale importanza da chi ne ha bisogno vuol dire impoverirlo. Vuol
dire dunque sminuire la sua persona. Umiliarla e maltrattarla, facendola vivere in un continuo stato di paura e ansia. Ci
costringono a fare i salti mortali».
Si faccia una domanda attinente al Medio Campidano e
si dia la risposta.
«Cosa ci ha dato questa forma del Medio Campidano? Niente. Abbiamo fatto sedere persone, creato nuovi posti di lavoro per politici. Pare che in Sardegna siano riusciti ad impoverire anche l’uranio».
Tra i vari aneddoti dell’artista vi è un piccolo racconto che
spiega in modo logico la scomparsa e la comparsa di talune
categorie di persone. «Da ragazzo lavoravo in un circo e ho
scoperto che in ogni posto in cui sono stato c’era ‘lo scemo
del paese’. Ora non c’è più. Si è dato alla politica».
Saimen Piroddi
Marisa Putzolu
PABILLONIS
Ugo Serpi e le sue “Tzie”
Le “Tzie” dell’artista della ceramica Ugo Serpi, di Pabillonis,
sono attualmente in mostra ad Oristano nello spazio Marte
in via Cagliari presso Meloni Arredamenti Srl. Il suo impegno nella ceramica dura da una vita. Dopo aver terminato
gli studi oristanesi nell’Istituto Statale d’Arte “Contini”,
fonda, assieme ad altri ceramisti, la Cooperativa Maestri
d’Arte a cui viene in seguito affidata la gestione del centro
pilota dell’Isola di Oristano, diventando nel tempo un preciso punto di riferimento della ceramica artistica dell’intera
isola. Nella Cooperativa Maestri d’Arte, svolge un lavoro
che dura oltre vent’anni ricoprendo negli ultimi tempi il ruolo
di presidente.
Il suo impegno è sempre rivolto alla ricerca di nuove forme,
di diversi volumi, di interpretazioni attuali della millenaria
cultura sarda. La sua passione è la ceramica. Dedica molto
tempo allo studio del colore da applicare alle ceramiche e
rivolge una sublime attenzione ai più piccoli dettagli. Le “Tzie”
sono delle creazioni artistiche che rappresentano la donna sarda arcaica nel vestire, fiera nel portamento ma moderna nel
linguaggio e nel proporsi. Le vesti che ricoprono le “Tzie”
sono lavorate minuziosamente, direi cesellate, curate in ogni
minimo dettaglio. Gli scialli appaiono lisci, altri invece sono
realizzati con l’aiuto di tessuti quali cotone, spugna o juta,
conferendo una particolare forma alla ceramica. Gli smalti,
sia lucidi che opachi, sono dispiegati con eccellente maestria.
A volte le “Tzie” sono bicromatiche, altre con svariati colori
ed altre ancora invece sono monocromatiche. Rappresentate
con i più svariati colori, dal nero al verde scuro, dal rosso al
color mattone, dal bordeaux all’arancione, dal grigio al celeste. Stesi in modo uniforme o con sfumature o con giochi di
colore. Anche la dimensione di una “Tzia” è importante visto
che alcune sono esili, altre basse, altre sono giunoniche, oppure sono alte ma tutte risultano eleganti e dal portamento
austero, tipico della fierezza della donna sarda. I loro volti
inespressi, che ricordano quelli del Modigliani, incastonati
nei fazzoletti, o negli scialli, ti catturano e ti trasportano in
una Sardegna arcaica, ma ancora presente. Pur non essendo
visi effigiati con bocca, occhi, naso e zigomi, risultano invece non solo espressivi ma pure narranti. Le sue “Tzie” ti la-
sciano senza fiato. Ti catturano immediatamente l’attenzione. Sei attratto dalla linearità della figura, dalla bellezza del
costume sardo effigiato, dalla semplicità del fazzoletto, del
velo, della benda, del manto che ricopre i capelli per poi scivolare lungo i fianchi, dall’austerità con cui si pone coi vestiti gonfi dalla vita in giù. Sembra che esse ti parlino. Per realizzarle occorrono due passaggi nei forni ed una attenzione
del particolare degna di nota e soprattutto uno studio a monte
dell’antico vestito sardo. Ogni Tzia è un’opera d’arte a se
stante, mai identica una all’altra e tutte hanno un nome, come
se fossero delle vere persone. Il maestro ceramista Ugo Serpi,
con le sue “Tzie”, ci ha mostrato il suo modo di rappresentare
le figure femminili traendo sicuramente dai ricordi dell’infanzia, rivisitandoli in chiave attuale, per presentarci la collezione le “Tzie” da cui non si può che restare magneticamente
attratti, in quanto non sono solo delle vere sculture in ceramica ma sono proprio un’opera d’arte.
Lorenzo Di Biase
PABILLONIS
Intitolato a Tonino Tiddia
l’impianto sportivo comunale
È stato intitolato a Tonino Tiddia l’impianto sportivo comunale compreso tra le vie Satta, Nuoro, Villacidro e Funtana
Alixi. La struttura comprende un campo di calcio con manto
erboso, un altro in terra battuta,una pista di atletica leggera e
due campi da tennis. Diverse le società che lo utilizzano:
calcio, tennis e atletica che annoverano molti iscritti tra le
loro fila. È proprio pensando a questa moltitudine di sportivi che l’amministrazione comunale ha scelto di intitolare
gli impianti alla memoria di Tonino Tiddia. «Un giovane
che nella sua breve vita si é contraddistinto per il suo impegno su vari fronti: sportivo, sociale, cattolico e politico; fu
anche calciatore nonché dirigente del Pabillonis Calcio nelle
squadre giovanili»,spiega l’assessore allo sport Marco Sanna.
Tonino Tiddia nasce a Pabillonis il 29 agosto 1940, settimo di dieci figli, nel 1958 conseguì il diploma di maestro
elementare, morì a ventuno anni il 18 marzo 1962 alcuni
giorni dopo un’aggressione, che secondo le cronache del
tempo, subì, sembra, da parte di alcuni tifosi, nel corso di
una partita in trasferta dove accompagnava, come dirigente, una squadra giovanile del Pabillonis. Per ricordare la
figura di questo giovane sportivo, impegnato nel sociale e
morto prematuramente, sabato 28 maggio si è svolta la cerimonia ufficiale. Dopo la santa messa nella chiesa di
Fatima, alla presenza del sindaco, dell’amministrazione
comunale, associazioni sportive e delle autorità civili, militari, religiose, dei familiari e della cittadinanza, nella
struttura sportiva è stata scoperta una targa in memoria di
Tonino Tiddia.
Dario Frau
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ARBUS
PROGRAMMA
Antoi de Padua
Santu: il rispetto
di una tradizione
ultracentenaria
DEI FESTEGGIAMENTI
U
na carezza sempre accompagnata da “Sant’Antoi bellu
t’at aggiudai”, “Sant’Antoi c’ada pensai”, “Sant’Antoi t’assistata”: un semplice atto di amore e una didascalia, di preghiera e devozione, che si tramanda oralmente
da secoli di generazione in generazione. Sempre uguale, sempre la stessa, semplice, senza alcuna rivisitazione che la modernità informatica si azzardi a modificare. E a giugno, il 13
per il calendario, devozione, tradizione e religiosità si ritrovano a festeggiare e celebrare il Santo moralmente patrono
dell’arburese e del guspinese, con la sagra di Sant’Antonio
da Padova, sagra antichissima che affonda le proprie radici e
origini nelle fatiche contadine del XVII secolo. Risale infatti
al 1694, come testimoniato (ma non solo) da un documento
presente nell’archivio parrochiale di San Sebastiano, la prima processione, tra le più lunghe d’Europa e in Sardegna
seconda solo a Sant’Efisio, che per la prima volta portò il
simulacro del Santo da Arbus al borgo di Sant’Antonio di
Santadi dove è presente l’antichissima chiesetta (ora rifatta)
dedicata al Santo. Tra le sagre presenti in Sardegna Sant’Antonio, per longevità, viene collocata al terzo posto immediatamente dopo Sant’Efisio, che risale al 1657, e Sant’Antioco, le cui celebrazioni al Santo martire patrono della Sardegna sembrerebbero risalire al 1519. Oggi come tre secoli fa
questa festa di antiche origini rimane nelle sue caratteristiche
peculiari praticamente immutata: quattro giorni all’insegna
della devozione e del divertimento dove i riti religiosi e riti
civili mantenendo intatte le loro tradizioni continuano a regalare fascino, emozioni e colori. “Sa ramadura”, il coloratissimo tappetto formato da migliaia e migliaia di petali di
rose preparato in onore del Santo, i tantissimi gruppi in costume provenienti dai più svariati centri dell’isola, la banda
musicale e “ Is traccas” forse meno numerose di prima ma
sempre belle e colorate che accuratamente e amorevolmente
preparate, impreziosite e arricchite di tappetti, arazzi e tantissimi fiori accompagnano la partenza del Santo. Un’autentica esplosione di colori e di addobbi figli di una sardità sempre più identitaria. Le fisarmoniche che intonano i balli sardi
e i canti a “trallallerusu”, is “croccorigas”, le zucche, gelosamente personali ma spesso e volentieri offerte con un impeto di generosità e ospitalità per un piccolo sorso, a coronamento di un gemellaggio occasionale fatto lungo il pellegri-
naggio. Infine i tantissimi fedeli che col canto del rosario e
la classica “Ave Maria in sardo” scortano il Santo attraverso
il lunghissimo percorso che dalla chiesa parrochiale di Arbus, suo abituale luogo di residenza, porta fino alla frazione
di Santadi. Persino la parte gastronomica e culinaria è rimasta fortemente legata alle tradizioni del passato dal momento
che le lumache al sugo, assieme al formaggio, un buon piatto
di maccheroni e un buon bicchiere di vino, rappresentano,
proprio come una volta, il piatto forte da consumarsi nella
sosta pranzo. Sant’Antonio non è una festa, è la festa per
antonomasia non solo per Arbus e Guspini, comunità maggiormente coinvolte nell’avvenimento, ma di un intero territorio. Una festa che può e deve ambire ad un palcoscenico
ben più vasto e ambizioso di quello attuale. Una ricorrenza
meritevole di maggiori attenzioni e di una promozione turistico/religiosa più intelligente e qualificata che possa consacrarla al pari di Sant’Efisio e Sant’Antioco sagra di levatura
e importanza internazionale. L’arrivo del cocchio e del simulacro a Santadi, affollata da migliaia di fedeli, non è da meno.
La stanchezza negli animali e negli uomini è visibile ma non
rappresenta un alibi. Il Santo viene accolto dall’applauso dei
fedeli e dai fuochi d’artificio cui segue la messa e due giorni
di feste che animeranno non poco la frazione. Funzioni religiose e intrattenimenti civili si alterneranno proprio come
avviene ormai da secoli in attesa che al quarto giorno “Antoi
de Padua Santu” riprenda il suo cammino che lo riporterà
alla chiesa parrocchiale di San Sebastiano ad Arbus, sua dimora abituale.
Gianni Vacca
5a rassegna “Aspettando Sant’Antonio”
Un semestre ricco di iniziative alla riscoperta del patrimonio culturale
Nuova dimensione e nuovi spazi: la festa cresce e riscopre attraverso una minuziosa ricerca
storica e di costume portati
avanti già da qualche anno con
successo dall’ “Associzione
Culturale Comitato permanente Sant’Antonio di Santadi” diversi elementi, tutti legati alla più autentica e genuina
tradizione, che risaltano e vanno a valorizzare i più significativi momenti preparatori della festa stessa. Giunta alla 5^
edizione la rassegna finalizza
l’attività non solo alla promozione della festa ma anche alla
(ri)scoperta del territorio e del ricchissimo patrimonio culturale, naturalistico, archeologico, agroalimentare e di artigianato artistico del comune di Arbus.
Questi gli appuntamenti più significativi del 2016.
Il primo appuntamento, il 10 gennaio, è “Sa die de sa sèmena de su trigu sardu e sreppadura cun is bois” fortemente
legato nella tematica a quello in programma il 10 luglio, ultimo in calendario dedicato a “Sa die de sa messadura a manu
e de sa trèba cun is bois”. Giornate dedicate alla semina a
mano e alla mietitura a falce a mano e trebbiatura, dove ven-
gono valorizzati due elementi
centrali della festa, il grano sardo ed i buoi. Il 9 e 10 aprile
due giornate dedicate alla “Valorizzazione degli addobbi e
dei ricami”. Le giornate del 7
e 8 maggio sono dedicate alla
“Valorizzazione dei buoi” nelle quali sono illustrate le attività correlate ai buoi, in particolare la ferratura, la preparazione artigianale dei ferri, la lavorazione de su jabi e l’aratura
dei campi. Il 21 maggio il calendario ha previsto la 5a edizione della “Corsa di Sant’Antonio”, gara di atletica leggera su strada finalizzata alla valorizzazione della borgata di
Sant’Antonio di Santadi e occasione per la promozione del
territorio circostante, delle coste, delle dune e delle numerose strutture ricettive. L’11 e il 12 di giugno la rassegna propone “Su coccoi de sa Festa”, dove si valorizza l’arte della
decorazione del pane de su coccoi ma anche de “Su pani de
Saba”, ornamento delle corna dei buoi. Infine il 3 luglio, penultimo appuntamento della rassegna, “Traccas senza frontiere”, serata in allegria con lo svolgimento di divertenti ed
interessanti giochi di società. (g. v.)
Quella di quest’anno, in calendario dal 18 al 22 giugno, é
l’edizione numero 320, festeggiamenti interrotti solo per alcuni anni durante la seconda guerra mondiale. Ad organizzarla come avviene ormai dal 1977 è la Proloco tramite un
comitato interno denominato “Passu Passu Cun Tui Antoni
Santu” la cui presidenza è stata affidata per l’edizione 2016 a
Maria Viviana Onnis. Il programma dei festeggiamenti nonostante le innegabili sofferenze economiche figlie del difficile momento che attraversa il paese rimane particolarmente nutrito e legato ad un
tradizionale “palinsesto” tipico di questa sagra ed equamente diviso tra funzioni religiose e intrattenimenti di
tipo civile. Otto le messe che
verranno complessivamente
celebrate. Quattro, quelle del
sabato e del martedì, legate
alle partenza e all’arrivo del
Santo. A Santadi ci saranno
le due processioni, quella
della domenica e quella del
lunedì, la prima con i cavalieri e i gruppi folk, la seconda riservata alla benedizione dei campi. Perché non va dimenticato, la sagra e la grande devozione per il Santo ebbero
anche chiare origini e radici contadine.Tesi suffragata e avvalorata da numerosi storici, critici e scrittori del XIX secolo
tra i quali il professor Goffredo Casalis che alla festa riserva
numerosi passaggi nel suo Dizionario Geografico StoricoStatistico-Commerciale pubblicato nel 1833 e lo stesso Giuseppe Vaquer nel libro “Arbus” del 1895.
La parte laica della festa regala il momento di maggior fascino e spettacolarità con la sfilata dei cavalieri, dei grupppi
folk, della banda musicale e delle traccas. Gli intrattenimenti
musicali saranno tenuti a Santadi il sabato, la domenica ed il
lunedì ed il martedì ad Arbus in concomitanza con il rientro
del Santo. Non mancano poi le sagre con i prodotti tipici locali, i fuochi d’artificio ed un torneo di Calcio giovanile, ormai una tradizione, in memoria del giovane Giuseppe Frau
prematuramente scomparso. (g. v.)
Curiosità e aneddoti
La devozione e l’amore per il Santo accomuna i centri di
Arbus e di Guspini quelli maggiormente coinvolti nell’organizzazione della festa e comunque unici centri abitati in cui
il Santo transita nel suo lungo pellegrinaggio che dalla chiesa parrocchiale di Arbus lo porta alla chiesetta di Sant’Antonio di Santadi. Chiesa costruita nel corso della prima metà
del XVII secolo ma rifatta in modo non restaurativo e riconsacrata il 18 giugno del 1950 dopo che un anno prima veniva
demolito il “grande e sinuoso campanile a vela a luce arcuata”, un autentico capolavoro ormai immortalato solo in immagini e foto d’epoca. Ma non sempre era così. Il primo passaggio del simulacro a Guspini si ebbe l’11 giugno del 1876.
Fino a quel momento infatti simulacro, processione e traccas
non transitavano a Guspini. Lo aggiravano passando per la
strada denominata (tuttora) dai guspinesi “sa ia de is Arburesusu”. L’innesto in direzione Santadi avveniva dopo qualche chilometro dal passo Gennefrongia nella località di “Perd’
e Cuaddu”, strada che da Arbus porta a Montevecchio, e dal
centro minerario si proseguiva poi verso Mattianni.
Altra curiosità, caduta ormai in disuso, era la “gara al tiro
del gallo”, passatempo preferito dagli uomini fino al secolo
scorso nei due giorni di permanenza a Santadi. Narra il Vaquer
nel suo libro: “Si lega esso per i piedi al manico d’uno spiedo,
che si conficca coll’altra estremità sul terreno. I cacciatori si
dispongono in fila - a circa cinquanta metri di distanza - pronti
a far fuoco contro il bipede designato. Devono tirare uno alla
volta, dopo aver pagato cinque centesimi agli operai, i quali
serbano i soldi ricavati a pro del Santo…..il povero gallo,
vittima rassegnata, col capo all’ingiù, prima di venir colpito
deve sentirsi fischiare vicino più di una pallottola….”
Curiosi anche i nomi che i proprietari dei buoi danno ai loro
animali. Ne citiamo alcuni, quelli più simpatici: “Si ses innoi non at’essi po nudda”, “Scarescirì”, “Curregirì ca ses
sennori”, e ancora “No ti pedronu” e “La ca t’ingannasa”.
Infine un detto, quello più famoso che meglio rappresenta la
festa e le sue complicità: “Po Sant’Antoni chi esti sposu
ndi torrada storrau, chi esti bagadiu ndi torrada sposu”.
Detto ancora straordinariamente attuale dal momento che la
festa è da sempre occasione d’incontro e di divertimento, tra
giovani ma non solo, dove talvolta possono nascere grandi o
piccole storie d’amore. (g.v.)
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Sulle ali della Musica tra band e solisti di casa nostra
La musica è ritmo e il ritmo è vita, come il respiro e il battito del cuore
LUNAMATRONA - BARUMINI
I Cinque dell’Oca Giuliva, dopo sei anni il tanto atteso ritorno
F
ra le band che senza dubbio hanno caratterizzato
la musica nel territorio (e non solo) durante il pri
mo decennio degli anni duemila, trovano senza
dubbio posto “I Cinque dell’Oca Giuliva”, un gruppo
molto particolare caratterizzato da un genere originale, ma soprattutto da una maniera di stare sul palco
che li ha resi davvero unici. Quando infatti si cerca di
parlare con loro una cosa è certa: non è possibile farsi
una “chiaccherata seria”, questo per via della loro stravaganza e del loro modo di essere, sempre allegro e
mai posato, che ha rappresentato per certi versi il segreto del proprio successo.
Nata intorno al 2001, la band è stata composta dal cantante Roberto Frailis, noto Rocco, Andrea Orrù e Velio
Ortu (entrambi alla chitarra), Daniele Sideri al basso,
Giorgio Casu, in arte Giorgé, alla batteria, oltre ad
Alessandro Frailis “sesta Oca” definito il corpo da
ballo.
Il gruppo è rimasto in vita sino al 2010 ed ha tenuto
una serie innumerevole di concerti. Tuttavia, durante i
primi anni della loro esistenza, non si sono distinti per
originalità: ai primordi la band vantava un repertorio
e un’impostazione sul palco abbastanza classica e mite.
Poi, intorno alla fine del 2003, avviene la svolta. «Ci
arrivò fra le mani - commenta Andrea Orrù - un cd di
un mio compaesano di Lunamatrona (Fausto Podda
ndr) con dentro i grandi successi degli anni ’60; sto
parlando della musica beat ovvero musica straniera di
successo riadattata con testi italiani incollati un po’ a
forza. Decidemmo di stravolgere la nostra scaletta e
con essa ci venne naturale trasformarci in una band
dove la musica si fondeva con la comicità. Partecipammo ad un contest al Varadero, un locale cagliaritano
oggi non più esistente e nei primi anni 2000 molto in
voga. Vincemmo quel concorso musicale e partecipammo, come premio, ad una manifestazione ad Urbino».
Da quel momento in poi un successo inarrestabile: una
serie infinita di concerti
con il frontman Rocco
vero
e
proprio
intrattenitore insieme al
resto del gruppo. Per il
pubblico numeroso che
li ha sempre seguiti una
serie infinita di concerti
memorabili fatti di balli, risate e tanta allegria.
Con “I Cinque dell’Oca
Giuliva” sul palco le serate si trasformavano,
insieme alla musica, in
veri e propri spettacoli
dov’era soprattutto la
comicità a farla da padrone. «Fra i tanti successi - continua Andrea
Orrù, - c’è da ricordare
anche la vittoria al
festival cagliaritano
“Sottosuoni” riservato
alle band emergenti. Fu
un successo indimenticabile: se ancora ripenso a quegli anni mi viene “la pelle d’oca”!». Come tutte le belle storie però
arrivò, intorno al 2010, la fine del gruppo dovuta alla
partenza verso la penisola di alcuni elementi. «Si sarebbe potuto sostituire chi - conclude Andrea - per motivi personali non si trovava più in Sardegna, ma non
sarebbe stata la stessa cosa: avevamo tatuato dentro
un marchio tutto nostro, nessuno avrebbe potuto echeggiare il verso dell’oca così come ormai ci avevano abituato i partenti».
La sorpresa per i tanti fan potrebbe però essere dietro
l’angolo: i cinque hanno riniziato con le prove, e molto probabilmente a breve, dopo sei anni di quiescenza,
le Oche potrebbero tornare a starnazzare. Nessuna tappa al momento è stata calendarizzata, ma per i nostalgici fan che da anni aspettano con ansia il suono dei
loro starnazzi uniti a quelli dei loro amplificatori, ci
sarà a breve la comunicazione del tanto atteso ritorno.
«Tremate - fanno sapere dalla loro pagina Facebook le terribili Oche stanno per tornare!».
Simone Muscas
“Lalba”: un gruppo di giovani pabillonesi amanti del pop
D
opo la scorpacciata degli anni ‘60 con la musica
beat, quella del decennio successivo con il rock, il
punk e la musica di protesta, gli anni 80 fecero raggiungere al pop la sua massima espansione. Nei primi anni
80, cinque ragazzi di Pabillonis con la passione viscerale per la musica formarono la band “I poker d’assi”, e
riscossero da subito curiosità e applausi fin dalle prime
esibizioni. Il gruppo qualche anno più tardi modificò il
nome e nacque il gruppo pop Lalba. La band era così
composta: voce e basso Marcello Baltolu, Dario Lisci e
Franco Melis alle chitarre, Giuseppe Atzori alla tastiera
e Corrado Collu alla batteria.
I cinque amici e talentuosi musicisti cominciarono a suonare nei locali di Pabillonis e in quelli dei paesi limitrofi, parteciparono a diversi festival e manifestazioni
canore per ragazzi. Iniziarono da subito a sperimentare
canzoni nuove, con testi e musiche proprie. Alla fine
degli anni ’80, il gruppo partecipò a diverse selezioni e
festival regionali di ogni genere. Nel ‘90 la prima soddisfazione, vinsero con merito “Sanremo giovani Sardegna”. Spinti dall’entusiasmante vittoria e da tanta
passione per la musica, suonarono in tantissime piazze
isolane. Nel ’92 terminarono il loro primo lavoro musicale “Terra mia”, prodotto dalla Tecno- Records e registrato negli studi dei Salis & Salis. Videro così la
luce dieci brani scritti e musicati dalla band, pezzi che
rifletterono le loro emozioni, tra amori, attualità e sogni. Successivamente riarrangiarono e cantarono in lingua sarda l’Ave Maria, il brano che, splendidamente eseguito, fu poi inserito in una compilation che riuniva i
migliori gruppi musicali di quell’epoca come i Bertas, i
Barrittas, i Salis & Salis e la banda della Brigata Sassari
con “Dimonius”.
Le loro canzoni passarono anche nelle radio locali, il
sogno dei cinque ragazzi si era avverato. Nel 1998 parteciparono alla manifestazione canora “Festival di
Castrocaro Terme” a Forlì, dove ottennero un buon
piazzamento e consensi positivi da parte della giuria e
della critica. Ci riprovarono l’anno successivo e infine,
nel 2002, riuscirono in tutte le occasioni a farsi apprezzare e far conoscere le loro canzoni. Suonarono ancora
assieme per qualche anno, poi per divergenze e per una
serie di motivi, dopo quasi un ventennio, il gruppo si
sciolse.
A Pabillonis è ancora vivo il ricordo del gruppo “Lalba”,
nei mesi scorsi trapelarono voci di una loro possibile
reunion per festeggiare i trent’anni dalla loro nascita.
La musica ha lo straordinario potere di unire e una canzone potrebbe riunire molto presto “Lalba” per la felicità dei loro tantissimi estimatori.
Stefano Cruccas
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La Scuola va in vacanza
Note di fine anno scolastico
“Insieme per conoscere Villamar”
un progetto didattico - turistico
Si è svolto lo scorso 28 e 29 maggio “Insieme per conoscere Villamar”, un progetto didattico al
quale hanno partecipato i bambini della quinta elementare e
quelli della terza media dell’Istituto Comprensivo di Villamar.
L’evento, messo a punto sulla falsariga di “Monumenti Aperti” (a
cui il Comune di Villamar non ha
aderito), ha coinvolto i ragazzi
delle scuole che per due giornate si sono adoperati come guide
turistiche per far conoscere ai
visitatori le bellezze della comunità. «Abbiamo realizzato questo progetto - commenta la responsabile Paola Murru - in
maniera abbastanza “casereccia”, ma abbiamo ottenuto dei risultati che sono andati al di là di
ogni più rosea aspettativa. Sono
infatti arrivati gruppi di visitatori abbastanza numerosi che
hanno potuto ammirare le bellezze del paese, su tutte: le chiese e la casa maiorchina. Considerando che il progetto non era
inserito all’interno del circuito
Monumenti Aperti, siamo riusciti ad avere
una media di circa duecentocinquanta turisti a monumento, numeri che, se si considera il fatto che si sia trattato di un semplice progetto didattico, rappresentano un risultato importante».
L’occasione di dare la possibilità ai ragazzi
di conoscere le bellezze e la storia del proprio paese ha permesso non soltanto agli
studenti stessi, ma anche ai tanti visitatori,
di approfondire la storia di Villamar. In tanti
hanno preso consapevolezza del fatto che
la comunità villamarese potrebbe giocarsi
in maniera più decisa, grazie alle grosse
potenzialità di cui dispone, le proprie carte
anche a livello turistico. «Il risultato raggiunto - conclude l’insegnante Paola Murru - ci soddisfa per quanto fatto. Un ringraziamento particolare va all’amministrazione comunale che ci ha supportato per lo
svolgimento di questo progetto; personalmente ci terrei a ringraziare l’assessore
Giampiero Mereu che ci ha dato una grossa
mano con grande impegno sin dal primo
momento. Visto il successo della manifestazione, ci auguriamo di riproporre l’evento anche negli anni a venire».
Simone Muscas
“ScopriAmo Sardara”
per valorizzare le risorse locali
Con l’obiettivo di trasmettere agli
studenti di Sardara il ricco patrimonio culturale, artistico e sportivo del
paese, l’anno scolastico si è concluso con diverse manifestazioni,
tra cui visite guidate nei luoghi archeologici del centro, attività ludiche-didattiche, il minivolley con
l’associazione “Pallavolo Sardara”
e l’incontro con la scuola primaria
di Pabillonis per presentare, con
esibizioni musicali dei bambini, il
progetto di lingua e cultura sarda
“Àcua frisca”, dal quale sono nati
un opuscolo di storia sarda da utilizzare come strumento didattico e
il laboratorio di ceramica, condotto a Casa Pilloni dalla cooperativa
Villa Abbas che gestisce i beni culturali locali. «I ragazzi sono stati davvero entusiasmanti - dice Rosanna Onnis - anche nella preparazione dei
cartelloni che servono da guida per “ScopriAmo Sardara”, il
progetto realizzato
dagli alunni della scuola primaria che, in veste di ciceroni, illustrano le ricchezze storiche
del paese. Bisognerebbe trovare un metodo per
conservare questi lavoretti, anche plastificandoli, in modo che i bambini di oggi possano
ritrovarli da adulti come risorsa per la comunità».
Straordinaria partecipazione per l’originale iniziativa “Curricolo verticale” che vede lavorare insieme insegnanti e studenti di ogni ordine
e grado scolastico. Una collaborazione eterogenea tra le classi delle scuole materne, elementari e medie locali, che si è manifestata
anche durante la Giornata dell’Avis, per cui
quest’anno i ragazzi della media hanno preparato il logo delle magliette dell’associazione e
i bambini della terza elementare cartoncini a
forma di cuore appesi al petto, che riportavano
la scritta “Dona il tuo cuore”. Coinvolgente il
momento ludico nato in modo del tutto improvvisato tra insegnante e alunni e tra gli stessi studenti. «Non avevo il mio cuore di carta - spiega l’insegnante - e ho chiesto ai miei alunni chi
di loro in quel momento fosse disposto a donarmelo, o a donarlo a chi in sala non lo avesse. Un gesto significativo che ha rappresentato
il rinunciare a qualcosa di sé per donarlo a chi
invece non ce l’ha».
Nell’ambito del piano triennale dell’offerta
formativa (Pof), a Sardara inoltre in questi
giorni si sta svolgendo la seconda edizione di
“ScopriAmo Sardara”. Nel prossimo numero
del giornale sarà pubblicato il resoconto con
le foto.
Marisa Putzolu
Sanluri: un orto biologico creato dai bimbi della scuola primaria
L
e classi 1a e 2a A della scuola primaria dell’istituto comprensivo di Sanluri hanno messo su un laboratorio dal
titolo “Un piccolo orto ma biologico”. I bambini, con l’aiuto delle insegnanti, hanno in questo modo dato vita alla
riqualificazione del cortile del plesso scolastico con l’opportunità di vedere da vicino ed essere protagonisti di un
processo innanzitutto educativo ed ecologico. «Per noi insegnanti - spiega Silvana Marras - è stato un forte stimolo
per affrontare con gli alunni una tematica di grande attualità». È infatti palpabile l’entusiasmo, non solo delle maestre
ma anche dei bambini stessi, per aver portato avanti un progetto che ha fatto loro conoscere meglio piante ed ortaggi
osservando da vicino la nascita e la crescita di molti cibi
che finiscono sulle nostre tavole ogni giorno. Un’esperienza utile per imparare come si coltiva, perché è sano mangiare più verdure, per capire che si può coltivare in maniera
biologica i vegetali di cui ci nutriamo e infine per comprendere che non siamo solo consumatori, ma possiamo essere
anche produttori di alcuni cibi che mangiamo.
I bimbi hanno risposto in maniera molto positiva, tanto che
si sono dedicati a scrivere qualche pensierino sulla realizzazione dell’orto biologico: «L’otto aprile abbiamo fatto l’orto. E gli abbiamo donato l’amore. Quando abbiamo piantato è stata l’emozione più grande», oppure: «Il momento più
bello è stato quando abbiamo assaggiato le fragole e abbiamo scoperto quanto erano buone le fragole del nostro orto»,
qualcun altro scrive ancora: «Noi l’orto l’abbiamo iniziato
l’otto aprile, ma la cosa che mi rattrista di più è che è quasi
finita la scuola».
I bambini hanno poi portato a casa i prodotti dell’orto biologico, a turno, affinché le loro mamme potessero preparare
pietanze prelibate con il frutto del loro impegno. Un’attività
importante per i bambini, soprattutto educativa, che li ha
portati a comprendere cosa vuol dire coltivare nel rispetto
dell’ambiente e prendersi cura dello stesso.
Lorenzo Argiolas
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15 giugno 2016
La Scuola va in vacanza
Note di fine anno scolastico
VILLACIDRO
Grande festa all’Agrario
con l’ambasciatore dell’Uruguay
Quella del 4 giugno è stata una giornata indimenticabile: una mattinata storica che rimarrà
scritta negli annali dell’Istituto Agrario di Villacidro… impressa nella memoria di studenti,
docenti e autorità civili e militari. Sì, perché al progetto “Uruguay” hanno partecipato l’intero
corpo docente; gli educatori; gli oltre 100 alunni dell’Istituto; il personale ATA; e i dipendenti dell’azienda agricola annessa alla scuola. Tutti, direttamente o indirettamente, sono stati
coinvolti in questo progetto. Trepidanti, tutti hanno accolto l’ambasciatore dell’Uruguay in
Italia, Gastón Lasarte, - accompagnato dal console dell’Uruguay a Cagliari, Martino Contu,
e dal Presidente di Confagricoltura Sardegna, Luca Sanna - nel piazzale antistante la scuola,
addobbato per l’occasione con le piante tipiche della macchia mediterranea e con il ceibo, la
pianta simbolo del paese latinoamericano. L’ambasciatore è giunto appositamente nella località villacidrese di Turrighedda per conoscere e per congratularsi personalmente con gli allievi e i docenti che, nel corso dell’anno scolastico 2015-2016, hanno studiato e approfondito
l’Uruguay, a cominciare dalla sua ricca e sviluppata agricoltura, realizzando il volume Uruguay
e Italia. Nella terra le radici comuni di due Paesi lontani, scritto e curato da 39 studenti e 20
docenti.
AGRICOLTURA. «L’agricoltura è stata - ha dichiarato Ignazio Cau, responsabile dell’Agrario
- il punto di partenza, ma, appena gli studenti hanno iniziato il loro percorso di ricerca, hanno
trovato innumerevoli spunti di approfondimento e tante similitudini con l’Uruguay, che
spaziano dalla geografia all’economia, dall’ambiente alle tradizioni popolari, dalla letteratura alla satira, passando per lo sport, la matematica e la religione. Anche la lingua straniera,
spesso elemento di frattura per gli ostacoli nella comunicazione, è stata invece motivo di
aggregazione». All’iniziativa erano presenti, oltre gli studenti e i docenti che hanno presentato il libro insieme all’ambasciatore, i sindaci e gli assessori delegati con fascia tricolore di
Villacidro, Arbus, San Gavino, San Sperate, Sanluri e Tuili, e l’Arma dei Carabinieri della
Compagnia di Villacidro.
IL DIRIGENTE SCOLASTICO REGIONALE FELIZIANI. Tra gli ospiti, a sorpresa, è
giunto il direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale, Francesco Feliziani, il quale,
rivolgendosi in un eccellente spagnolo all’ambasciatore Lasarte, ha esaltato il lavoro di studenti e docenti proponendo, insieme al dirigente scolastico Giancarlo Vinci, di proseguire il
percorso iniziato con un gemellaggio e uno scambio di studenti e docenti tra l’Agrario di
Villacidro e un Istituto Professionale agricolo dell’Uruguay.
Le piante del mate e del ceibo. Gli allievi, insieme ai loro docenti, conclude il dirigente Vinci,
ricorderanno “tale esperienza come momento di fatica, certamente, ma anche come momento
di confronto e di crescita personale nelle conoscenze agricole di un’altra importante realtà
umana. La yerba mate non sarà più un’illustre sconosciuta. Gli allievi riconosceranno in essa
una pianta dell’Uruguay e dell’area del Plata, dalle cui foglie essiccate si produce un infuso,
il mate appunto, la nota bevanda nazionale. Così come nel ceibo dal fiore bianco che cresce
solo in una piccola area dell’Uruguay, individueranno il fiore simbolo di un piccolo paese
che, forse, non avrebbero mai avuto la possibilità di conoscere e di apprezzare”.
Manuela Garau
Gli autori e i curatori del libro
La pianta
del ceibo
All’ambasciatore ... i piatti
della tradizione mediterranea
Sotto l’abile direzione del dirigente scolastico Giancarlo Vinci, studenti e docenti dell’Agrario, unitamente ad un gruppo di studenti dell’Istituto Alberghiero di Arbus, hanno preparato
numerosi piatti tipici della cucina sarda, compresi i maialetti abilmente arrostiti da Andrea
Pitzanti e Giacomo Fadda, allievi dell’Agrario, ma anche primizie della nostra primavera,
dalle succulente albicocche alle gustose fragole biologiche prodotte dall’azienda agricola
annessa all’Istituto. E non mancavano neppure i “gueffus” tricolori e a strisce bianche e
celesti dell’Uruguay e la torta, anch’essa tricolore e con il bianco, il celeste e il giallo del sole
ridente del vessillo uruguaiano.
Tra malloreddus, maialetto, cuscus, dolci tipici e un ottimo vino rosso della casa, si è rotto
maggiormente il ghiaccio, l’ambasciatore si è spogliato di ogni formalismo e si è intrattenuto
con studenti e docenti… firmando e dedicando a tutti il libro Uruguay e Italia. (m. g.)
I docenti: Giuseppe Ancora, Sergio Arbus, Ignazio
Cau, Martino Contu, Luigi Deidda, Elisabetta Favarolo,
Maria Angela Fois, Manuela Garau, Cristina Gritti, Vincenzo Ibba, Manuela Manca, Maria Francesca Massa,
Anna Paola Melis, Ottavia Moi, Vilma Mossa,
Antonella Porru, Loredana Porcu, Marco Spingola, Daniela Urpi, Giancarlo Vinci
Gli studenti: Bruno Aresti, Juri Antonio Avaro, William
Avaro, Lorenzo Bandinu, William Cabiddu, Michael
Cancedda, Aurora Carboni, Simone Floris, Gabriele
Melis, Manuel Melis, Samuele Melis, Matteo Mocci,
Luca Montis, Matteo Pintori, Ilaria Soddu, Luca Sogus,
Patrick Sollai, Fabio Tatti, Andrea Virdis (1aA)
Giulia Atzeni, Matteo Fois, Francesca Matta, Pier Giovanni Pinna (2a B)
Francesco Abis, Alessandro Ecca, Giuseppe Sisinnio
Piras, (3a A)
Mattia Addis, Omar Cocco, Manuel Dessì, Alessandro
Masala, Mattia Mocci, Veronica Mocci, Roberto
Muntoni, Kevin Muru, Samuele Pili, Giuseppe Piras,
Martino Scanu, Nicola Scanu, Kristian Spada (5a A)
L’INDICE DEL LIBRO
- Geografia fisica e umana dell’Uruguay
- Piante e arbusti della macchia mediterranea e del “Mediterraneo Rioplatense”
- Lezione d’inglese: le schede del leccio e del mate tradotte nella lingua di Shakespeare
- Il Ceibo: l’albero del corallo
- La Yerba Mate e la cultura del mate
- Antologia di scritti, racconti e poesie di autori uruguaiani, italo-uruguaiani e italiani
- Lo sport in Uruguay e la grande passione per il calcio
- Il difficile cammino della religione cattolica in un paese laico
- L’insegnamento della matematica nella Banda Orientale
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La Scuola va in vacanza
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Note di fine anno scolastico
SERRAMANNA
GUSPINI. ISTITUTO ALESSANDRO VOLTA
I volti della violenza 3.0
I volti della violenza 3.0 è la sintesi di un lavoro e di una
riflessione corale fatta dagli alunni dell’Istituto Professionale per Servizi Socio-Sanitari e quelli dell’Industria e Artigianato del comune di Guspini guidata dai docenti Giannina Usai,
Alessandro Pinna, Laura Paderi e Maria Pina Marras.
3.0 perché è il terzo anno che, dopo aver preparato e approfondito l’argomento, con una manifestazione finale, aperta
al territorio e agli studenti, nell’Istituto si riflette su violenza
di genere, bullismo, ciberbullismo e su ogni altra forma di
sopruso che si manifesta in molti ambienti e a qualsiasi età.
Gli studi di Radio Area Ipsia, l’emittente attiva nell’I.I.S.
“A. Volta”, da alcuni anni sono il laboratorio dove alunni e
docenti si confrontano, si sono scambiati idee e dove è nata
quella che è stata l’attività presentata nei mesi di aprile e
maggio. I frutti di tanto impegno sono stati raccolti in una
mostra fotografica preparata dagli alunni, guidati dai docenti
e da alcuni professionisti, truccatori, fotografi, registi che
gratuitamente si sono messi in gioco per insegnare, donare la
loro arte e contribuire al progetto.
Il 22 aprile, durante un convegno svoltosi nell’aula magna
dell’Istituto, è stata presentata la mostra. I molti volti della
violenza hanno preso forma in immagini di grande effetto.
Un cortometraggio realizzato dagli alunni, guidati dal regista Mikael Saba, ha messo in risalto, con il gesto e la parola,
i molti volti che essa può assumere. Gli studenti hanno occupato la scena e prestato le loro facce a una finzione teatrale
molto rappresentativa di una realtà, purtroppo, possibile. Un
flash-mobe e il brano ‘Brividi nel cuore’ scritto per l’occasione dal gruppo rep Nervo and Kikkoz, gruppo musicale
nato all’ombra di Radio Area Ipsia, sono stati un altro contributo alla riflessione in un’aula magna stracolma di studenti,
insegnanti e alla presenza di alcuni rappresentanti delle istituzioni e specialisti invitati a dare il loro contributo e la loro
testimonianza qualificata. Il saluto della professoressa
Mariarosa Maiorana, rappresentante dell’Ufficio Scolastico
Regionale, è stato indirizzato agli studenti, ai docenti e quanti hanno contribuito a una riflessione di grande valore didattico, educativo e civile sulla violenza in tutte le sue forme.
Centrale elettrica
Prima della proiezione del video “I volti della violenza”
dai docenti è stato presentato il progetto, definito “Di
grande valore artistico, educativo e sociale” dall’ispettore capo della Polizia Postale e delle Comunicazioni Roberto Manca, esperto di ciberbullismo e violenza
mediatica. Lo stesso ispettore ha consigliato ai ragazzi
di proteggere il video con copyright. Organizzata
sapientemente, la giornata è andata avanti con l’intervento
della coordinatrice del Centro Antiviolenza del Medio
Campidano dottoressa Cinzia Neri che dopo essersi
congratulata per l’iniziativa ne ha evidenziato il valore
educativo e l’impegno civile che scaturisce dal
coinvolgimento dei giovani in queste attività. Il video di
Christian Castangia “Il bullo” ha chiuso la giornata.
Si potrebbe dire che I volti della violenza 3.0 abbia
esaurito la sua funzione se, con sorpresa di docenti e studenti, il Comune di Sanluri, venuto a conoscenza dell’iniziativa, non avesse chiesto di ospitare nel proprio Comune, per qualche tempo, la mostra e di ripetere la giornata svoltasi nell’aula magna dell’I.I.S. “A. Volta”. Doveva essere un’attività di sensibilizzazione, riflessione e
impegno civile sui volti della violenza. Questo è stato!
Un segnale che cambiare si può se ci si impegna a cambiare se stessi e si rispettano i compagni di viaggio.
Sandro Renato Garau
Sala macchine manovre di sbarco
“Sport di Classe 2016”,
una giornata dedicata allo sport
L’istituto comprensivo di Serramanna sabato 4 giugno scorso ha organizzato, fra le varie manifestazioni di fine anno
scolastico, una giornata interamente dedicata allo sport. Tutti
gli alunni della scuola primaria sono stati coinvolti nell’iniziativa “Sport di classe 2016”. Gli alunni, muniti di magliette
colorate, zainetto, merenda, acqua e cappellino, accompagnati
dai genitori, sono stati accolti di primo mattino dai docenti
nel campo di atletica di via Nuraminis.
Le classi coinvolte hanno sfilato lungo la pista con in prima
fila i bambini delle classi prime e seconda, ed a seguire le
classi terze, quarte e quinte per poi raggiungere i diversi campi
allestiti nel manto erboso. In una calda giornata di primavera, quasi estiva, i bambini hanno corso, saltato, giocato davanti al pubblico dei genitori tifosi. Sempre presenti durante
l’intera manifestazione i volontari della Croce Verde di
Serramanna, con mezzo di soccorso ed equipaggio al seguito: «la curiosità dei bambini non è mai troppa» amano sottolineare i volontari, che hanno accolto tutti i bambini che hanno voluto visitare l’ambulanza.
La mattinata spensierata si è conclusa con le premiazioni per
le attività dei giochi di fine anno, con tutti i bambini atleti
vincitori nello sport.
Elena Fadda
Accanto ai motori
Guspini: nove studenti dell’Istituto Volta
a bordo delle navi Tirrenia
Alla seconda edizione del Progetto ForMare, organizzato da
Tirrenia Compagnia Italiana di Navigazione in collaborazione con il Miur e la Direzione scolastica regionale, finalizzato
alla preparazione degli studenti sardi al loro percorso professionale e all’ingresso nel mondo del lavoro, sono stati coinvolti venti istituti in tutta la Sardegna, fra cui il Volta di
Guspini. Nove studenti sono stati imbarcati a bordo delle navi
con iscrizione a ruolo per uno stage dal 9 al 13 maggio, nella
linea di navigazione Olbia Livorno. Gli studenti, tutti mag-
giorenni, delle classi quarta A e B Michele Murgia, Michael
Ogno, Mattia Pala, Simone Saiu, Simone Vaccargiu, Giovanni
Mocci, Mauro Martis, Davide Orrù, Luca Sollai accompagnati dall’insegnante tutor, hanno partecipato alle lezioni teoriche e pratiche, svolgendo mansioni di macchina, sempre
accompagnati da un “tutor” Tirrenia.
A due studenti ,che hanno preso parte allo stage con particolare profitto, sarà riconosciuta l’opportunità di imbarcarsi con
un contratto a tempo determinato della durata di due mesi
Manutenzione bronzine
Un motore della nave
per la prossima stagione estiva, con la qualifica di assistente
ufficio, mozzo o giovanotto di macchina. La compagnia si
ripropone tramite questa iniziativa “di investire sulla formazione dei giovani sardi, stringendo un rapporto di collaborazione con gli istituti scolastici isolani per promuovere la
cultura marittima, per rafforzare i contenuti e i metodi dell’apprendimento e incoraggiare l’orientamento professionale
per le carriere rivolte al mare e alla logistica portuale”.
Mauro Serra
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La Scuola va in vacanza
Note di fine anno scolastico
Gonnosfanadiga. Intervista alla dirigente scolastica Romina Di Nardi
“Il tempo pieno,
un indispensabile
servizio
per le famiglie”
R
omina Di Nardi, laureata in Lettere ad indirizzo
classico, inizia la sua carriera scolastica come
docente di scuola primaria nel Lazio, sua terra d’origine. Ha insegnato poi nella scuola secondaria di I e II
grado acquisendo vasta esperienza pedagogica. Nell’anno 2004, a soli 33 anni, vince il concorso per dirigente scolastico e prende servizio in Sardegna, prima
nella provincia di Sassari, quindi ad Arbus. Dal 2011
guida l’Istituto Comprensivo di Gonnosfanadiga.
Come trova l’ambiente scolastico a Gon-nosfanadiga?
Una scuola dal contesto socio-culturale potenzialmente elevato.
Qual è, in generale, il livello di preparazione degli
studenti anche alla luce delle prove Invalsi?
Discreto, comunque c’è sempre da migliorare.
La partecipazione dei genitori agli organi collegiali
è soddisfacente?
Buona.
La “buona scuola”, come viene chiamata l’ultima
riforma, ha avuto i suoi effetti qui a Gonnosfanadiga? Ha modificato qualcosa?
Certo! L’Istituto scolastico nei suoi tre ordini ha lavorato per predisporre il Piano Triennale dell’Offerta
Formativa così come previsto dal decreto legge sulla
Buona Scuola, redatto per i prossimi anni scolastici,
in sinergia con tutte le componenti sociali del territorio: rappresentanti dei genitori degli organi collegiali,
Comune, associazioni culturali, sportive, musicali. Già
a partire da quest’anno sono in corso diverse iniziative volte al miglioramento dei processi di apprendimento degli alunni al fine di facilitare il conseguimento
delle competenze di base (italiano, matematica). La
scuola si caratterizza inoltre attraverso la realizzazione dei diversi progetti, alcuni dei quali sono svolti
anche in orario extrascolastico, con la scuola aperta al
pomeriggio che diventa presidio culturale e sociale, e
strumento per contrastare la dispersione scolastica,
togliendo i ragazzi dalle strade, nonché mezzo per combattere fenomeni come il bullismo, con la sperimentazione di momenti di condivisione di valori etici e sociali, durante i quali i ragazzi imparano a convivere e
a rispettare gli altri.
Dai libri alle dotazioni informatiche: com’è la situazione?
La scuola sta cercando di implementare le dotazioni
informatiche attraverso la partecipazione a finanziamenti di progetti europei, chiamati Pon linea 2014-20,
che sono risultati in posizione utile ad ottenere il relativo finanziamento. Questi ultimi consentiranno di
ampliare la rete Lan in tutti e tre i plessi scolastici dell’Istituto, di migliorare il funzionamento delle reti interne ed esterne e soprattutto di allestire nuovi ambienti
scolastici digitali.
Esistono fenomeni di abbandono scolastico? E la
scuola è attenta a rimuoverne le cause e con quali
strumenti?
Pochissimi, limitati a 1-2% annui. La scuola lavora
sull’opera di prevenzione dell’abbandono scolastico
mediante una serie di attività progettuali di carattere
teatrale, musicale, sportivo, motorio; una di queste, in
particolare, Unplugged, aiuta i ragazzi della scuola
Secondaria a prendere maggiore consapevolezza delle
proprie potenzialità e ad avere maggiore fiducia in se
stessi, contribuendo così a far prendere le distanze dai
fenomeni di abbandono.
Il pianeta scuola è attraversato dalle problematiche della società attuale: inserimento degli alunni
diversamente abili, extracomunitari, provenienza da ambienti familiari in difficoltà e allo stesso tempo valorizzare le eccellenze. Come
risponde la scuola?
L’Istituzione scolastica tenta di dare
risposte adeguate alle diverse esigenze formative degli alunni cercando di
valorizzare le eccellenze e di compensare le carenze
anche attraverso la collaborazione con i Servizi Sociali del territorio, la Asl, il Comune, nonché altre agenzie formative.
La scuola è l’istituzione dove è fondamentale la collaborazione tra amministrazione comunale e dirigenza scolastica. Come sono questi rapporti?
Abbastanza positivi; stiamo lavorando affinché siano
maggiormente ascoltate le esigenze degli alunni e della scuola circa la collaborazione per rendere ancora più
efficace il diritto allo studio.
Dal punto di vista logistico, come giudica la situazione dei tre caseggiati scolastici?
Un po’ dispersiva. Avrei preferito che fossero più vicini anche per migliorare i rapporti di continuità tra i
diversi ordini di scuola che nel nostro Istituto stanno
diventando un perno centrale dell’attività di tutta la
scuola. Si stanno consolidando negli ultimi anni attività di continuità che vedono il coinvolgimento dei
bambini e ragazzi delle classi ponte; la partecipazione
a progetti comuni è utile per far sperimentare il valore
della continuità tra le diverse scuole che pur nelle loro
specificità formative tengono conto del percorso formativo unitario dell’alunno.
Ha qualche proposta per migliorare la scuola a Gonnosfanadiga?
Ne ho tantissime e spero di realizzarle tutte per il bene
della comunità scolastica. Già lo scorso anno ho avviato il tempo pieno nella scuola primaria: una novità
storica per il paese, un indispensabile servizio per le
famiglie, nonché per gli alunni; l’indirizzo musicale
per la scuola secondaria di I Grado ha segnato una svolta per la scuola, in quanto ha dato la giusta voce agli
alunni in un paese particolarmente ricettivo nei confronti dell’attività musicale: vedasi la presenza della
scuola civica, della banda musicale, la più antica in
tutto il circondario. Mi auguro che nel prossimo futuro ogni classe ad ogni livello possa avvalersi della
possibilità di sperimentare nuove esperienze scolastiche che le aiutino a migliorare i risultati.
Può spiegare la differenza fra apprendimento frontale e apprendimento circolare?
La differenza tra l’apprendimento circolare e quello
frontale è piuttosto complessa e può essere così esemplificata: essa attiene ad una serie di strategie didattiche che nel primo caso prevedono un processo di insegnamento-apprendimento che privilegia la tecnica di
cooperazione delle attività, ossia un apprendimento di
conoscenze mediante attività di gruppo nelle diverse
discipline di studio, attività che sono molto efficaci in
quanto consentono agli alunni di socializzare le informazioni apprese. Allo stesso modo si fissano meglio
anche le competenze di carattere sociale in quanto ciascuno collabora nelle attività per un fine comune, si
impara anche dai propri coetanei e si costruiscono insieme le conoscenze. L’apprendimento frontale è una
modalità oggi un po’ superata nella scuola, anche se ancora praticata; in tal caso l’apprendimento diventa meno
stimolante in quanto più passivo perché l’insegnante “ex
cattedra” trasmette agli alunni le conoscenze. Sono del
parere che tutte le strategie di insegnamento-apprendimento vadano sperimentate e che i migliori insegnanti
siano coloro che le alternano tutte nelle attività della
classe. Gli alunni della scuola secondaria già dallo scorso anno, e da quest’anno anche nella scuola primaria,
stanno lavorando a un progetto di “Cooperative Learning” (Apprendimento Cooperativo) con l’ausilio di uno
psicologo che vede la sperimentazione di tecniche di
apprendimento cooperativo, ma anche di alta formazione per i docenti. Al termine dello scorso anno scolastico nella scuola secondaria si sono registrati progressi
degli alunni negli apprendimenti. Gli stessi hanno raggiunto esiti formativi più elevati in quasi tutte le discipline. Vorrei concludere con quella che è la premessa al
nostro Piano triennale dell’Offerta Formativa, primo
perché ne è la carta di identità, secondo perché sia una
promessa di intenti per il futuro di questa comunità scolastica. Una delle finalità ultime che il nostro istituto si
prefigge di raggiungere è quella di promuovere le relazioni esistenti tra i vari contesti di vita del bambino:
realtà che, tra loro, devono interagire al fine di creare
le migliori occasioni di crescita all’interno di un percorso formativo continuo, ma soprattutto unitario, il
quale garantisca il raggiungimento di un equilibrio emotivo, affettivo e intellettivo dell’individuo che apprende, nel rispetto della propria identità sociale e culturale. La scuola, però, non può da sola assolvere a tale funzione educativa, pertanto si rende necessario l’apporto
di tutte le agenzie formative presenti sul territorio, prime fra tutte la famiglia, al fine di creare quanto più possibile un “sistema formativo integrato”, laddove gli apprendimenti formali si uniscono a quelli informali e ai
non formali. L’azione educativa della nostra scuola,
pertanto, si concentra particolarmente su attività progettuali che si sviluppano attraverso due grandi linee:
la continuità orizzontale (continuum tra servizio, scuola, contesto sociale, familiare e territoriale) e la continuità verticale (passaggio tra le diverse istituzioni educative e scolastiche), particolarmente curata nel nostro
istituto mediante progetti trasversali che vedono il coinvolgimento pieno di tutti gli alunni delle classi ponte.
La continuità verticale, inoltre, è pratica educativa fondamentale nel nostro Istituto in quanto prerogativa indispensabile al passaggio costruttivo e graduale di un
alunno da un settore scolastico all’altro, proprio nel rispetto dei processi formativi dell’individuo che apprende. Si auspica un proficuo lavoro di tutti gli operatori
della scuola, delle famiglie, di tutto il mondo dell’extrascuola, per il vantaggio degli alunni, veri protagonisti del loro sapere. Ciò induce a mirare all’obiettivo
contemplato dalla celebre nonché attuale frase di Nelson Mandela: “L’educazione è il grande motore dello
sviluppo personale. È grazie all’educazione che la figlia di un contadino può diventare medico, il figlio di
un minatore il capo miniera o un bambino nato in una
famiglia povera il presidente di una grande nazione.
Non ciò che ci viene dato, ma la capacità di valorizzare
al meglio ciò che abbiamo è ciò che distingue una persona dall’altra.”
Francesco Zurru
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SERRAMANNA
“I Cabilli” diVico Mossa al Salone
internazionale del libro diTorino
Può un vecchio libro pubblicato nel 1965 e sconosciuto ai
più giovani, togliersi di dosso la polvere del tempo e ringiovanire, diventando una lettura attuale e partecipare a presentazioni, saloni e mostre? Certo che può. Può se è “I Cabilli” di Vico Mossa. La riedizione del libro, promossa e
finanziata dall’amministrazione comunale di Serramanna e
affidata alla casa editrice “Ilisso Edizioni” di Nuoro, ha dato
il via ad una reazione a catena che ha portato all’inserimento dell’opera nella prestigiosa collana “Scrittori di Sardegna”, alla sua presentazione al Salone Internazionale del
Libro di Torino ed alla mostra del libro in Sardegna di Macomer. Il libro, di cui il Comune di Serramanna ha acquistato 3.000 copie personalizzate che saranno distribuite gratuitamente ai cittadini serramannesi, sarà commercializzato
dalla “Ilisso Edizioni”, disponibile per chiunque volesse
possedere la nuova copia di un vecchio libro.
«Con la certezza che promuovere un romanzo come “I Cabilli” sia in realtà promuovere tutta la comunità serramannese, essendo contenuto in esso uno straordinario spaccato
della sua storia, delle sue tradizioni e della sua cultura, l’amministrazione si è subito attivata affinché la riedizione dell’opera avesse adeguata pubblicità e suscitasse il giusto in-
teresse nei confronti della critica e del popolo
dei lettori», dichiara il consigliere Guido Carcangiu
«La partecipazione al Salone Internazionale del
libro di Torino, resa possibile anche grazie alla
collaborazione della Regione Autonoma della
Sardegna, dell’Associazione Editori Sardi, dell’Associazione Nazionale “Città della Terra
Cruda” e della medesima “Ilisso Edizioni”, ha
fatto si che il Comune di Serramanna fosse
l’unico Comune sardo ad essere inserito nel programma degli eventi proposti dal padiglione della Regione
Sardegna, permettendo ai “Cabilli”, alla figura di Vico
Mossa e a tutta la comunità serramannese di avere una vetrina straordinaria.»
La presentazione ufficiale di “I Cabilli” a Torino ha avuto
luogo nel padiglione della Regione Sardegna, venerdì 13
maggio. La delegazione incaricata dall’Amministrazione
Comunale, composta dall’archivista Alessandra Mocci, dal
giornalista Enrico Pinna, dall’architetto Alceo Vado e dal
rappresentante del Comune Guido Carcangiu, ha fornito una
panoramica non solo dell’opera riedita, ma anche della fi-
SAMASSI
PABILLONIS
Beppe Chierici ospite del
centro di aggregazione sociale. È questa l’eccezionale serata di particolare spessore
culturale che si è tenuta lunedì 23 maggio nella struttura comunale di via Su
Rieddu. Dopo i saluti del sindaco Riccardo Sanna e di
Igor Lampis, musicista, scrittore nonchè neo editore, la
scena è stata tutta di Beppe
Chierici. Ospite di alcuni
amici in Sardegna, il famoso
artista di Cuneo ha voluto
regalare al pubblico presente una spettacolare esibizione mettendo in mostra la sua
consistenza culturale con la
presentazione del libro La
cattiva erba e cantando diverse canzoni del grande
chansonnier francese Georges Brassens. Sono proprio
le ballate del grande cantautore francese il filo conduttore della sua opera.
Presentato il libro
La cattiva erba
di Beppe Chierici
La cattiva erba è infatti un
libro di canzoni con allegati
due Cd frutto delle cinquantennale fatica di Beppe Chierici, che si presenta, fin dalla
rilegatura ad anelli, come un
lavoro di ottima fattura, dove
la cura grafica (dalle belle illustrazioni a colori di Dario
Faggella ai materiali fotografici d’archivio, fin alla qualità della stampa), è di primissimo livello. Aprirlo è entrare in un mondo particolare.
Nelle quasi 200 pagine di
grande formato si può trovare un’ampia parte introduttiva ad opera di Margherita
Zorzi e dello stesso autore,
ricca di aspetti “tecnici” e di
gustosi aneddoti. E poi 86 testi di Brassens, riprodotti con
a fianco la traduzione di Chierici: un lavoro certosino degno
di grande ammirazione. Accompagnandosi con un particolare strumento musicale, ha
cantato e recitato,da grande
cantautore, le opere del suo repertorio. Tanti gli applausi e
gli interventi, a fine esecuzione, che hanno caratterizzato
l’indimenticabile serata con la
partecipazione ,tra gli gli ospiti anche degli scrittori di Guspini Tarcisio Agus ed Iride
Peis.
Dario Frau
Francesco Mani, opera
prima di Luigi Lilliu
Domenica 29 maggio alle
18.30, nella sala consiliare
Grazia Deledda di Samassi.
si è svolta la presentazione
del libro “Francesco Mani”
di Luigi Lilliu.Evento da inquadrare fra quelli organizzati per il Maggio Culturale
Samassese che ormai da un
paio d’anni arricchisce l’ambito culturale del paese.
La serata è stata aperta dai
saluti del Sindaco Enrico
Pusceddu e una breve introduzione dell’Assessore alla
Cultura Giulia Setzu che
hanno presentato l’autore
Luigi Lilliu.
Luigi ha vissuto tanti anni in
Svizzera ed è tornato nel paese dove è nato, nella sua
amata Sardegna, da pensionato per godersi un meritato riposo.
È dalla facile parlantina e
Lunamatrona. 2a rassegna di cori polifonici “In…Canto”
Si è svolta, presso la chiesa di parrocchiale di
Lunamatrona, la seconda edizione di “In…Canto”, una
rassegna di cori polifonici che ha visto come protagonisti, oltre al coro locale “Boxis de Luna”, anche quelli di
“Santu Pedru” di Villamar e “Montanaru” di Desulo. Dinanzi ad una buona cornice di pubblico, con la presentazione della presidente del coro di casa Brunella Garau, si
sono esibiti nell’ordine il coro di Lunamatrona, poi quello villamarese ed infine di Desulo. Grande l’apprezzamento per lo spettacolo fra i presenti che hanno potuto ascoltare con piacere le musiche molto diverse nel genere dei
tre gruppi partecipanti.
gura di Vico Mossa a
tutto tondo.«L’iniziativa», spiega ancora Guido Carcangiu,
«è stata accolta con sincero interesse da parte dei partecipanti, colpiti soprattutto dalla ricchezza e dalla particolarità dell’Archivio di Architettura “Vico Mossa”, custodito a
Serramanna presso la Biblioteca Comunale “Giovanni Solinas”». A tale iniziativa ha fatto seguito, sabato 21 maggio,
la partecipazione della medesima delegazione serramannese
alla Mostra del Libro in Sardegna di Macomer, all’interno della
quale si è proseguito il cammino di promozione e di valorizzazione della figura dell’illustre architetto serramannese.
Francesca Murgia
«Siamo molto soddisfatti -c ommenta Brunella Garau - per
questa seconda edizione dell’evento. Il nostro coro, nato
appena quattro anni fa, sta lentamente crescendo e tessendo
rapporti con altri cori polifonici della zona e non. La nostra
comunità può finalmente vantare di avere un proprio coro
polifonico, più volte si è tentato in passato di costituirlo,
ma mai prima d’ora si era riusciti a far decollare questo
progetto. Ci auguriamo di poter continuare migliorandoci
ulteriormente in tutti gli aspetti, sia tecnico che
organizzativo. Ringraziamo, infine, i due cori ospiti che
hanno partecipato a questa bella rassegna».
Simone Muscas
senza grandi inviti incomincia a narrare frammenti della sua vita, aneddoti divertenti che sciolgono il ghiaccio in pochi minuti e riescono ad accattivare l’attenzione dei presenti.
Si continua con una lettura
tratta dalla sua prima opera
“Francesco Mani” che traccia abilmente uno spaccato
della fine degli anni 20, in
piena epoca fascista, in una
Sardegna funestata dalla povertà, dai malviventi e dagli
abusi di potere.
Ci tiene a ricordare in più riprese che il suo romanzo è
una storia quasi vera, verosimile per ambientazione e
fatti narrati, ma di fantasia
per alcuni aspetti.
Il protagonista: Francesco
Mani è un uomo realmente
vissuto in quegli anni, che
per uno scherzo del destino
Luigi ha avuto la possibilità
di conoscere e di cui ha sentito l’esigenza di scrivere la
storia, per rendergli onore e
far in modo che il suo ricordo non vada perduto.
Nel momento in cui ha deciso di mettersi a battere al
computer tale storia, l’ispirazione ha preso il
sopravvento ed il risultato è
stato un interessante romanzo, denso di azione, ma, anche d’amore.
Questa è la sua prima opera
edita, ma, ci promette che ne
seguiranno tante altre perché ha nel cassetto già altri
racconti ben custoditi che attendono solo noi per essere
letti e apprezzati.
Carola Onnis
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20
15 giugno 2016
Su sadru chi seus pedrendu
Su Grifõi
O
i in dì, poburu o arricu, chi prus e chi mancu, ma totus téint in domu onnia comodidadi. Imou in terra est arregiobau, arregioba cumuna, bella, de marmu… u tempus fut a apomentau. Prima de mundai depiant arrusciài po no pesai pruíu. A is tempus
di oi chi ua femia no oit mundai atacat a sa currenti sa machina de pinnicai su pruíu e
su giogu est fàtu. In coxía e in s’aposent’e si sciacuai ddoi est s’acua chi cabat de su
grifõi passendu me in is cannas de ferru o arramini, ma u tempus no fut aici. Chini
tenìat sa funtana in domu piscàt s’acua e acuàt arresis, froris, sciacuàt s’arroba e sa
pressona. Chi no tenìat funtana andat a s’arriu a fai sa lissia, o a dom’e tzia Anna Arrù
ca ddoi tenìat u làcu mannu mannu e ddoi capiant mancai dexi femias sciacuendu arroba, paganta cuncu soddu e torrant a domu insòru cun s’arroba sciacuàda, e cuncuna
sciugàda puru poita ca dda spraxiant in d’ua cresura de arrù chi ddoi fudi. Po s’acua
bella, de bufai, tocàt a bandai a is
mitzas: de tzia Anna Arrù, paghendu, o de una chi ddoi fut a su
costau, a sa funtana de su seddaiu, a sa stiddiadroxa, a sa mitza
de sa pixiédda, lutzifuru e a atras
mitzas spaíadas in su sàtu.
U annu su cumunu iat fàtu u depositu ampiosu, po s’acua, in su
monti mannu e nde dd’iant cabada a bidda cun sa tubatziõi, chini
tenìat dinai si nce dda ponìat in
domu, po is atrus poburus su cumunu iat postu grifõis in dogna
ingruxeri. A su nòti s’acua fut serrada, po donài tempus de préi su
depositu, e dd’aberrìant a pat’e
chitzi a s’orbexidroxu. Sa genti,
po cuetai a préi nci potat sa marighedda de sa nòti innantis e dda
ponìat anant’e su grifõi. Sutzedìat
ca medas acotzant su strexu atzatz’e muru e bessìat ua fillera longa longa de marigheddas. In atrus
bixiãus custumant a ddas põi arrogli’arrogliu de su grifõi e, aici, ndi pinnicat giai totu
su ngruxeri e chi prim’e orbexi passat cuncu carru andend’a su sàtu ndi strecàt u fasci
mannu. Chi sa mariga no fut segada mèda, dd’arrangiàt s’aconciacossu, candu passàda, chi nou fut marighedda noba! Tzia Gesusetamaria Papasantus, femia cresiastica
mèda, ma prus de issa sa mama, biu su nomini chi dd’iat postu, cicàt di essi sa prima
poita ca acou depìat andai a cresia a primu missa. Custumàt a põi sa marighedda in su
grifõi prim’e cenài, de merì mannu, e fut sa prima o segunda, o a totu mabi andai fiat sa
de tresi o sa de cuaturu. Cussu merì iat tentu strobu, fiat torrada a scurigadroxu de
dom’e sa mama mobadia e, arribada a domu sua, iat agatau su pobiddu setziu in su
scannu, màturu: cabendindi de cuaddu s’iat scolliau u pei. «Faimì luegus s’impriast’e
s’ou ca m’increscit mèda. » «Imou dep’andai a nci ponni sa marighedda in su grifõi.»
«Cussu ddu fais apustis cenau.» «No fait ca insaras agatu medas marigas e cras’a mangiãu mi sonat mesudì prim’e torrai a domu.» «Brava! Insaras ti fais sa ruxi e torras a
domu.» «Sì e sa missa? Deu dep’andai a primu missa.» «Po uota chi no andas no ddi
fait nudda, sa missa su predi dda fait mancai no ddoi sias tui…» «Ma deu oll’andai…»
«Apatami s’acausiõi e movidì. Anzis, bai primas a tzerriai a tzia Maria Trassera ca
m’arrangiat sa scolliadura e cun su scèti imbriagu o s’impriast’e s’ou, cras’a mangiãu
su pei est giài sanau… Movidì, ancora ingúi sesi?» Olli o no bolli a tzia Papasantus
ddi fut tocau a nci ‘essì e de pressi puru. Iat acinnau a pigài sa marighedda, ma su
tzerriu de su pobiddu dd’iat fata tremi paris: «Lassa sa marighedda chi nou ti dda segu
in conca!» In d’u patir’e fillu fiat torrada cun tzia Maria Trassera, issa dd’iat tocau su
pei e arrangiau sa scolliadura: «Fadiddi luegus su scèti imbriagu – iat nau a Gesusetasegas ua pariga de tirias de lenzou e si ddu trogas a istrintu. As a bì ca cras’a mangiãu
sa scolliadura at’essi u narregodu.» Mancai de maba gana tzia Gesuseta iat depiu fai su
scèti imbriagu e ddu fasciai in su pei de su pobiddu, cun is murrungius de issu: «Pecau
de bíu ghetau a peis.» «E it’iast a bolli a ti ddu ghetai a buca?» Apustis iat depiu
aprontai sa xena e cenai. Pois iat pigàu is duas marigheddas e fiat andada a nce ddas
potai a su grifõi. Ddoi fut ua fillera de marigheddas cantu fiat longa sa ia. Non si biat
nemus in giru e issa nc’iat stichiu is marigas suas in mes’e is primas, cad’e sa de cincui, acostendindi prus apari ua pariga. «Tantis - iat penzau- indromiscadas cument’ant’essi no s’ant arregodai in calli tretu ddas anti postas.» S’incrasi, de primu
chitzi, issa fiat andada a su grifõi e si fut posta acant’e is matigheddas suas, ascutendu
is cristiõis de is atras femias. Ecus ca arribat Onorada Mãulongas, a su nomini no
dd’assimbillàt e su nominigiu fut ca, anca passàt cussa, no lassàt né bidri e né sicàu,
totus dda timìant a bentu. Onorada ddoi acostat acanta e ddi narat: «Nara tui Papasantus, poita ses acant’e sa marighedda mia?» «Mai Deus ddu ollat a põi is marigheddas
mias acant’e is tuas.» «Castia ca deu no mi seu crocada imbriaga e candu seu benida fia
sa de cincui, imou m’agatu sa de sesi, est a nai ca tui, totu santa Maria mama de Deus,
ses arribada tradu e po coitai a bandai a fragai sa unnedda de su predi, as spostau is
mias po nci ponni is tuas.» «Tui ti sbaglias, candu mi ndi seu andada t’apu biu arribendu de cussa ia.» «Gei t’as’a isbagliài, bruta corruda, deu no seu passada ingúi e cun
mimi nci fut gomai puru e marigas nci nd’iat cuaturu.» «Ita as nau? Corruda a mei?
corruda ses tui, ca ddu scint totus.» E de ingúi, u fueddu tirat s’aturu e si fiant pigada
a trogus de pius, cuncuna iat cicau de ddas scrobai, cuncuantra, in sa cunfusiõi, prenìat
sa mariga e si nd’andada. Balla Gesuseta iat fatu bì ca no fut bona scéti a nai avimarias
e, candu ddas iant scobadas, sa ia fut peus de candu passàt su carru de tziu Arrichetu:
marigheddas sanas nd’iat barrau pagus. Onorada iat castiau cun ogus de fogu a Gesuseta e dd’iat nau: «Castia, no ddu credìa ca fust’aici, tui Gesusetamaria potas a Deus in
buca e su tiau in cropus!»
A si ‘ntendi mellus. tziu Arremundicu.
Scracàlius
di Gigi Tatti
Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu, custus
“scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus lègius chi seus
passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai scaresci calincunu
pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt innoi. Sciu puru, ca
cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius, ma apu circau de poni
scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu pagheddu de aqua lìmpia.
Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus ligi imparat prus a lestru a
ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de prus.
Gigliosu est fueddendi ananti de campusantu cun s’amigu Corbeliu
Corbeliu: Dd’as biu chi est intrau a campusantu?
Gigliosu: Eja. No fiat Bertucciu cun totu is fillus?
Corbeliu: Sì, fiat cussu. Ma ddu scis poita arregolli totus is fillus impari?
Gigliosu: Poita ddu fait?
Corbeliu: Ddu fait po arresparmiai is froris de poni in sa tumba de sa pobidda.
Gigliosu: No cumprendu ita bolis intzirai.
Corbeliu: Bollu intzirai ca portat totus is fillus impari, po ddus poni acanta de sa tumba, poita
de nòmini si tzèrriant, Narcisu, Margherita, Rosa, Ortensia e Gigliu e aici no spendit
comporendi froris.
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Sigismondu incontrat sa filla Nutilla chi est po ci bessì in giru
Sigismondu: Nara, aundi depis andai?
Nutilla: Seu andendi in discoteca a baddai.
Sigismondu: Ma biu ca ci ses bessendi chene mudandinas. Si bit craru craru.
Nutilla: Poita fostei babbu, candu andàt a unu concertu, ita si poniàt unu tapu ne is origas?
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Repettu incontart s’amigu Amuigi in carrozzella
Repettu: Ma ita t’est sucèdiu? Ti biu in carrotzella.
Amuigi: Apu tentu un incidenti stradali.
Repettu: Ma ita ses abarrau paralizau?
Amuigi: Ma cali paralizau, seu fadendi fintas e aici m’ant pagau s’assicuratzioni.
Repettu: Ma ita ses scemu? Imoi ti tocat a fai finta po sempri de essi paralitìcu.
Amuigi: No ti dda cretas chi siat a ici. Cida ch’intrat depu andai a Lourdes. E ndi torru
miraculau e in peis!
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Borlotta est in dd’unu ristoranti candu arribat su camerieri
Su camerieri: Mi dica, cosa le porto?
Borlotta: Ita cosa mi consillat. Portimì calincuna cosa chene glùtine.
Su camerieri: Poita chene glùtine?
Borlotta: Poita seu celìaca.
Su camerieri: No dd’ia p’essi crètiu mai ca fostei fiat cèliaca.
Borlotta: Po cali motivu no nci creit?
Su camerieri: Poita de comenti fueddat mi parrit chi fostei siat sarda!
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Tzia Rosmella est in sa firmada de sa corriera in sa statzioni de Oristanis e domandat a s’autista
Tzia Rosmella: Scusimidda signor autista, mi podit donai una informatzioni?
S’autista: Certu sa tzia, domandit puru.
Tzia Rosmella: Ia boli sciri si custa corriera andat a Abbasanta.
S’autista: Nossi sa tzia, custa corriera po imoi andat a gasoliu!
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Corolla est in giru candu incontrat a sa sorresta Fasolina
Fasolina: Ciau sorresta, ita dimòniu tenis totu sciancada?
Corolla: Est po culpa de pobiddu miu chi seu totu lumbada.
Fasolina: Ita cosa? Ita ti fait?
Corolla: Est candu fadeus s’amori. Sa bella est ca nanca su pobiddu est la “dolce metà” e
inveci pobiddu miu pesat centu killus atru che metadi!
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Tzia Corolla est in s’ambulatòriu
Tzia Corolla: Su dotori, ddi depu nai ca pobiddu miu sunfrit “di pene”.
Su dotori: Ita tipu “di pene”dell’inferno”?
Tzia Corolla: Nossi, su dotori, di quello di “dentro le mutande!”
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Roncaliu est bufendi in su bar cun s’amigu Antellu
Antellu: Nara, o Roncaliu, t’iat a praxi a fai s’amori in tres?
Roncaliu: Ti depu cunfessai, ca est una cosa chi apu sempri disigiau.
Antellu: Insaras curri in pressi, ca apu biu s’amanti de pobidda tua intrendi a domu tua!
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Duranti sa missa su predi est fadendi sa predica
Su predi: Comenti si narat: “Chi tra di voi non ha mai peccato scagli la prima pietra!” Oci, oci
oci sa conca!
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Marieddu cun su babbu Sebastianu
Marieddu: Babbu, ti potzu fai una domanda?
Sebastianu: Certu fillu miu, ita mi depis pedì?
Marieddu: Ia boli sciri candu est sa festa de nonna, sa mamma de mamma?
Sebastianu: Se festa de nonna tua, est candu si ndi andat a domu sua!
Marieddu: O babbu, e candu est sa festa tua?
Sebastianu: Candu mamma tua non est in domu!
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Gerundiu est in tribunali interrogau de su giudici
Su Giudici: Mi depit spiegai po cali motivu at tzacau una puntada de pei a sa brenti de sa sroga.
Gerundiu: Est culpa sua.
Su Giudici: Poita culpa de sa sroga? Spieghimidda sa cosa.
Gerundiu: Poita sroga mia s’est girada totu a una borta!
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15 giugno 2016
LA SARDEGNA NEL CUORE
21
di Sergio Portas
In mostra i quaderni di Gramsci
salvati dalla sorella Tatiana
E
finalmente ho potuto vederli i quaderni di Gramsci.
Sono esposti qui, a Milano, sbucando dalla Galleria
Vittorio Emanuele, che se ti volti si scorge ancora il
Duomo, ancora più bianco del solito per tutta l’acqua che sta
venendo giù questi giorni, la fila lunghissima e sospetto oramai perenne di turisti che cercano di entrarci, a destra palazzo Marino che espone lo striscione giallo per Giulio Regeni,
a sinistra la Scala, davanti quella che fino a poco tempo fa
era la Comit, la banca commerciale italiana. Il palazzone che
l’architetto Beltrami tirò su a inizio novecento per dare uniformità a tutta la piazza con al centro la statua di Leonardo.
Per edificarlo fu demolita la chiesa barocca di San Giovanni
decollato, da sempre luogo di sepoltura dei nobili condannati
a morte. Insieme a palazzo Brentani e l’Anguissola Antona
Traversi è diventato un grande e sfarzoso spazio espositivo
in cui sono esposti i tesori artistici, centinaia, che la fondazione Cariplo e la banca Intesa hanno collezionato nel corso
del loro operare. Magari Bertolt Brecht esagerava un po’ nel
far dire ai suoi personaggi che rapinare una banca era cosa da
nulla a confronto di fondarla, e le migliaia di correntisti di
banca Etruria e di Veneto banca che si sono visti scippare i
risparmi sono persino più drastici di lui, comunque sia questo restituire alla collettività tutta una serie di ricchezze accumulate col risparmio popolare di anni e anni, è una sorta di
compensazione meritoria. Tra i Caravaggio, i Rubens, i
Perugino e i Lotto (“La bellezza ritrovata e altri 140 capolavori restaurati), in una sala riservata a destra dell’entrata due
teche centrali raccolgono una quindicina dei trenta quaderni
che Antonio, Nino Gramsci, scrisse nel carcere dove il tribunale Speciale (speciale perché composto da: un presidente
scelto fra i generali della milizia fascista, cinque membri scelti
fra i “consoli” fascisti, il pubblico ministero magistrato dell’esercito) lo aveva condannato a più di vent’anni. Di poca
salute com’era il regime carcerario avrebbe agito lentamente
da boia.
A fare da quinta alle teche centrali due grandi tele di Guttuso,
dove il colore rosso per bandiere e camicie di garibaldini occupa la maggior parte dei dipinti, uno racconta degli scontri
per prendere Palermo, l’eroe dei due mondi a cavallo con
sciabola sguainata, l’altro è il celeberrimo sui funerali di
Togliatti, tra la folla almeno cinque facce di Lenin ma anche
una di Gramsci in primo piano, tanti pugni chiusi a saluto. I
quaderni sono quaderni di scuola che i bimbi italiani usavano nel ’25 per aste e addizioni.
C’è naturalmente quello a copertina nera classica, i bordi delle
pagine rossi, gli altri picchettati come piastrelle di cucina sono
di colori vari, mai sgargianti, sobri verrebbe da dire. Riempiti tutti da una grafia regolare, estremamente curata, con
scarsissime correzioni, leggibilissima seppure a caratteri piccoli. Trattano di intellettuali, di Machiavelli, di Umanesimo
e Rinascimento. Di letteratura popolare. Il ruolo di Cavour e
dei democratici mazziniani nel Risorgimento italiano. Ma ci
sono anche le traduzioni delle favole dei fratelli Grimm (forse per i figli della sorella Teresina, quella con cui andava più
d’accordo). Il quinto scrive dei cattolici, del ruolo dei gesuiti
nella Chiesa , con particolare interesse per l’Azione cattolica
nel Risorgimento e la posizione del Vaticano nei confronti
dello Stato italiano. L’immancabile ormai ma assai comodo
nella sua fruibilità formato digitale consente di sfogliarli uno
per uno. Che siano tornati nella banca che fu di Raffaele
Mattioli è solo uno di quegli scherzi che il destino si diverte
a mettere in scena. Ne avrebbe sorriso sicuramente Piero
Sraffa, suo grande amico, come grande amico e “compagno”
fu di Nino, e che ebbe grande parte nella intrigata storia che
salvò gli scritti gramsciani dalla censura fascista. Sraffa, ebreo
era figlio di Angelo, rettore dell’Università Cattolica di Milano, dove Mattioli era bibliotecario, ambedue avevano “fatto la guerra” e maturato la convinzione che si dovesse almeno tentare di colmare il fossato che separava le classi proletarie che avevano combattuto nelle trincee da quelle dirigenti
che lì le avevano gettate. Piero incontrò Gramsci a Torino,
Nino fondava L’Ordine Nuovo, Sraffa si laureava in economia con Einaudi, il destino lo avrebbe fatto presidente di
Repubblica. Solo ultimamente, da quando cioè agli storici
sono stati aperti archivi segreti che l’unione sovietica aveva
tenuti gelosamente custoditi, la figura di Pietro Sraffa nella
complessa vicenda della carcerazione di Antonio Gramsci ha
preso a ingigantire, fino ad essere paragonata a quella di
Tatiana Schucht, laTanja destinataria di tante lettere che Nino
scrisse dal carcere, sorella della moglie Giulia e quindi sua
cognata. Nel suo “Vita e pensieri di Antonio Gramsci”,
Einaudi 2012, Giuseppe Vacca filtra la corrispondenza che
Tatiana Schucht intraprese e con Gramsci e con Sraffa, mettendone in risalto il ruolo di vero e proprio “agente segreto”
che lui ebbe nell’informazione puntuale che fornì ai capi del
comunismo italiano in esilio a Mosca, segnatamente a Palmiro
Togliatti. Poteva muoversi con un certo agio in Europa Sraffa,
era finito a Cambridge dove erano allora le massime scuole
di economia, si incontrò e ebbe esperienze di lavoro con John
Maynard Keynes, di filosofia: fu per decenni amico intimo
di Wittgenstein. Con lui ruppe i rapporti alquanto bruscamente
ma ebbero insieme frequentazioni plurisettimanali, da qui le
polemiche giornalistiche di questi giorni che si riferiscono a
tratti specifici della filosofia di Wittgenstein , che seppur in
maniera semplicistica dirò filosofo del linguaggio. Gramsci
quando grazie a una borsa di studio riuscì ad iscriversi all’università di Torino, da quel grande cervello che era, si fece
notare anche da Matteo Bartoli, docente di linguistica, che lo
voleva come assistente (Cfr. Giancarlo Schirru: “Antonio
Gramsci studente di linguistica”) e per anni ne seguì i corsi.
E ne scrisse nei suoi famosi quaderni, segnatamente il numero 29, uno di quelli che vergò quando nel ’36 era oramai a
fine vita, e Mussolini si risolse a consentirgli il ricovero nella
clinica “Quisisana”. Come spesso gli accade qui Gramsci getta
dei semi di pensiero prima inesplorato, dice in sostanza che il
linguaggio come oggetto teorico autonomo, regolato dalla
grammatica, non è soggetto autonomo, non si può scindere
dalla coppia lingua-parlanti (insomma da due che comunica-
no nella loro lingua). I quali non sono meri esecutori di regole, ma parti costitutive delle medesime, in quanto le trasformano in norme, e così facendo diventano il motore della grammatica. È possibile che Sraffa abbia potuto avere accesso alle
10 pagine del quaderno, lui era “solo” un grande economista,
ed è altrettanto possibile che ne abbia parlato col suo amico
filosofo. Fatto sta che termini come “gioco linguistico” e
“forme di vita” sono alla base delle “Ricerche filosofiche”
che Wittgenstein va elaborando in quegli anni, e queste definizioni risultano in perfetta sintonia con l’idea di Gramsci
della non autonomia e della non strumentalità dell’universo
delle parole. Franco Lo Piparo ci ha scritto un libro: “Il
professor Gramsci e Wittgenstein”, il linguaggio e il potere,
Saggine ed. 2014, e del resto nella prima edizione del ’38
delle Ricerche il filosofo scrive della “gratitudine che devo
alla critica che P. Sraffa ha incessantemente esercitato sul mio
pensiero”. Poi i due hanno litigato, e alla fine della sua vita
Wittgenstein va ad insegnare in una scuola elementare in
Scozia. Sraffa è rimasto vicino a Gramsci sempre, gli ha fornito ogni libro lui avesse richiesto, ha pagato i conti delle
cliniche in cui è stato ricoverato. Tramite Tatiana e la fitta
corrispondenza con lei che gli mandava le lettere del carcerato ha fatto da tramite tra Antonio e il partito comunista esule in Russia. Ha agito da perfetto “compagno”. Morirà nel
1983, dopo una vita tutta dedicata alla ricerca accademica,
nel 1961 ebbe la medaglia Soderstrom della Reale Accademia di Svezia, un premio che di fatto anticipava il Nobel per
l’economia, istituito solo nel 1969. Lauree “honoris causa”
alla Sorbona e all’università di Madrid. Quando Gramsci
muore è a lui che si rivolge Tatiana per poter salvare gli scritti dei Quaderni.
E veniamo alle polemiche che vi dicevo, mi sono imbattuto
anche io nell’articolo che Franco Lo Pipero ha scritto il 30
maggio sul “Corriere della sera”, in cui adombra l’idea che
Mussolini lo abbia in realtà “trattato bene”: cella singola,
possibilità di leggere e scrivere, che gli sia stato concesso di
finire la sua vita, prima a Formia, poi “nella costosa clinica
romana Quisisana”. “Frequentata dalla buona borghesia romana” (sic). Lo Pipero si appassiona a questi particolari al
punto da considerarli “capitolo fondamentale della storia
d’Italia”. Faccio mie, integralmente, le parole di Silvano
Tagliagambe che non gliele manda a dire: «...continuo a pensare che la storia d’Italia debba fare i conti soprattutto con la
crescente sottrazione degli spazi della politica, della democrazia e della cultura, dimostrata anche dal fatto che ci appassioniamo di quisquilie...anziché dai tanti e ben più gravi
problemi che rischiano di minare alla base i principi della
nostra convivenza sociale».