12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano

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12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano
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1 aprile 2016
San Gavino. Caseificio Girau
Formaggio caprino, fatturato da record
U
n fatturato da record e un boom delle produzioni da latte
caprino per il caseificio di San Gavino che, dopo i primi
due anni di affitto, è stato acquistato dalla società Tre A di
Arborea pur conservando il marchio delle ‘Fattorie Girau’. I
numeri sono in continua crescita e l’azienda di Arborea è diventata leader nazionale nel settore della produzione e lavorazione del latte caprino che si aggiunge a quella dei formaggi ovini.
I NUMERI Nel 2015 sono stati conferiti nello stabilimento
di San Gavino, completamente rimodernato, cinque milioni
di litri di latte con aumento del trenta per cento rispetto all’anno precedente: tutti i produttori sono sardi a partire da
quelli del Medio Campidano. Il fatturato è in continua ascesa
ed è passato in tre anni da 3,6 a 5,2 milioni di euro.
ESPORTAZIONI DA RECORD I formaggi ovini e caprini
prodotti a San Gavino vengono esportati in Italia con il marchio storico ‘Girau’ in importanti catene commerciali, ma non
solo, perché i prodotti di San Gavino arrivano anche in Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Austria, Inghilterra, Po-
lonia, Svizzera, Slovenia, Croazia, Armenia e Georgia ed ora
l’azienda guarda con attenzione al mercato asiatico. Secondo i dati Nielsen, fattorie Girau rappresenta il 16,2% del volume dell’intero mercato nazionale e il 38,2% di quello sardo. La produzione è distribuita su un centinaio di allevamenti sparsi in tutta la Sardegna. Il numero più alto è nel
Monteacuto (39 aziende), seguono Gallura (17), Sarcidano e
Marmilla (11), Supramonte (10), Anglona (8), Marghine e
Planargia (6), Nurra (5) e Ogliastra (1). I capi sono circa 11
mila, il 60% di razza Saanen, il 20% Murciana Granadina, il
12% Misto terra e l’8% Alpina. Per quanto riguarda il mercato, l’80% della produzione finisce nella penisola, il 17,5%
rimane in Sardegna e il resto è destinato all’estero.
POSTI DI LAVORO Nel caseificio sono occupate 40 persone a cui si aggiunge tutto l’indotto, come ricorda il direttore della Tre A Francesco Casula: «Compriamo il latte ovino e
caprino dagli allevatori della zona e da altri produttori sardi,
i nostri pagamenti sono regolari e sono indice della serietà
della nostra azienda».
NUOVE ASSUNZIONI E di recente nove posti di lavoro a
termine sono stati trasformati a tempo indeterminato e i sindacati sono fiduciosi, come sottolinea il segretario territoriale della Flai Cgil Gabriele Virdis: «Non possiamo che essere contenti delle nuove stabilizzazioni di lavoro e speriamo
che in futuro ci siano anche nuove assunzioni all’interno della Tre A che ha fatto grandi investimenti nello stabilimento di
San Gavino. Con il tramonto dell’industria, il Medio
Campidano per il suo rilancio deve ripartire dal settore agricolo e dall’agroalimentare».
IL SINDACATO Nel territorio ci sono tantissimi prodotti di
eccellenza come il miele, lo zafferano e i carciofi: «Bisogna
incentivare - conclude il dinamico sindacalista - i consumi dei
prodotti sardi a partire dalle mense scolastiche, dove spesso
gli alimenti sono di importazione. Inoltre molti posti di lavoro
si potrebbero creare in campo agricolo: bisogna ripartire dalla
formazione in questo settore puntando sui giovani, ci sono tanti
fondi messi a disposizione dal piano di sviluppo rurale».
Gian Luigi Pittau
SARDARA. GAL LINAS CAMPIDANO
All’interno dell’azienda Agris di Villasor
c’è un opificio inattivo da 8 anni
L’incompetenza è produttrice di povertà, ma
la questione più preoccupate è l’indulgenza
delle alte burocrazie, più allineate al servilismo che ai sani suggerimenti verso chi ha responsabilità di governo per rendere produttivi gli investimenti pubblici
All’interno dell’immensa azienda dell’ex
Consorzio interprovinciale della frutticoltura
di Villasor è stata realizzata nell’anno 1990
la Cantina sperimentale al servizio della
vitivinicoltura sarda. Sin dalle sue origini,
questa struttura con i suoi tecnici, ha cercato
di rispondere al compito impegnativo di raccordo con i viticoltori e gli enotecnici per soddisfare il ruolo di polo culturale, tecnico
scientifico del comparto. Ben presto la Cantina si è distinta per la produzione dei rossi
di alta qualità e subito dopo degli spumanti.
Due luminari della viticoltura e dell’enologia,
Mario Fregoni e Luciano Usseglio Tomasset,
erano di casa al Consorzio della frutticoltura.
La spumantizzazione della malvasia nacque
alla Cantina sperimentale di Villasor. Per lo
stesso motivo molti giovani tecnici crescevano sotto lo sguardo attento degli enotecnici,
responsabili della Cantina Marcello Serra prima e di Paolo Cardu dopo.
Il Consorzio ha intessuto una fitta rete di rapporti con molte istituzioni accademiche italiane ed europee, riuscendo a qualificarsi a
livello internazionale come uno dei poli di
eccellenza per la formazione didattica e di
ricerca del comparto vitivinicolo. I campi
delle piante madri delle viti americane erano
un’eccellenza, utilizzata anche da Rauscedo,
distrutta dalla volontà demolitrice di persone
senza nessuna lungimiranza identitaria. Attualmente si fanno prove sperimentali e micro
vinificazioni delle uve ottenute dai vitigni
autoctoni, un gran bel lavoro finalizzato alla
valorizzazione delle biodiversità isolane ma
ben lontano dall’uso produttivo di una struttura costata fior di milioni alla collettività
della Sardegna.
L’attuale attività sperimentale deriva dall’attenzione rivolta alla viticoltura isolana, in
sintonia con le esigenze culturali e professionali ormai orientate verso un modello di
sviluppo basato sulla sostenibilità. A distanza di anni la Cantina, che potrebbe occupare
dei giovani enotecnici e degli operatori stagionali del territorio massacrato dalla crisi, è
ancora lì inutilizzata. Ancora ben curata dentro e fuori è in attesa che i responsabili dell’agricoltura sarda rinsaviscano e la rendano
utile anche al servizio dei piccoli viticoltori
che intendono preparare e imbottigliare i loro
vini. A distanza di 8 anni della chiusura sarebbe giusto conoscere i ben pensanti che
hanno suggerito alla politica la chiusura dell’attività vivaistica locale e della Cantina di
Villasor che insieme producevano occupazione e lavoro in campagna e un insostituibile
servizio alle aziende agricole. Ricchezza che
ora viene a mancare.
Fulvio Tocco
Incontri comunali
sulle opportunità
di finanziamento
Il Gal Linas Campidano ha incontrato i sei
comuni associati per discutere di nuove
opportunità di finanziamento insieme a
cittadini, imprenditori, artigiani, operatori turistici e culturali, associazioni di volontariato e amministratori locali e presentare poi alla Regione un nuovo piano di
azione locale per la programmazione
2014-2020.
«La precedente programmazione ha ottenuto risultati brillanti - hanno dichiarato il
presidente e il direttore del Gal, rispettivamente Antonio Marrocu e Antonello
Ennas - con otto milioni di euro sono stati
finanziati 150 progetti nei comuni di Arbus, Gonnosfanadiga, Guspini, Pabillonis,
Sardara e Villacidro».
Sono previste ulteriori assemblee pubbliche prima del prossimo 30 giugno, data
di scadenza del bando. (m.p.)
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Guspini
Nei negozi ricompare il libretto del pagherò
«Quanto pago per la pasta, il barattolo di pelati e il latte?».
«Quattro euro...». «Me li segni, passo a fine mese». Una conversazione, questa - tra un commerciante e il cliente - che
sembrava riposta nei cassetti della memoria, quando l’Italia
comprava a credito. Ma che l’attuale crisi ha rispolverato.
Così droghieri, panettieri, fruttivendoli, lattai e macellai hanno rimesso sul banco, accanto al registratore di cassa, quel
quaderno con scritti nome e cognome del cliente, data e importo dell’acquisto.
È quanto accade in tutta la Sardegna e in particolare nel Medio Campidano e a Guspini, dove questo fenomeno rappresenta l’esemplificazione dello scenario di crisi economica che
stiamo vivendo. In qualche panificio hanno addirittura tre libretti differenti per registrare i debitori. «Uno è per i clienti
che pagano saltuariamente - precisa un panettiere - un secondo per chi salda una volta al mese, l’ultimo per i clienti che
regolano i debiti ogni tre o quattro mesi». Anche qui, come in
tutti gli esercizi interpellati, il privilegio del pagamento a credito è riservato alla clientela affezionata. «È la nostra arma in
più contro i grandi supermercati», conferma il gestore dello
spaccio alimentare del centro. Non si tratta solo della rivincita degli alimentari al dettaglio, è uno dei segni quotidiani della crisi che intacca le disponibilità mensili delle famiglie e
dei pensionati, le categorie che fruiscono di più di queste
agevolazioni. «A volte ci chiedono direttamente di dilazionare i pagamenti - continua il commerciante - altre volte usano
delle scuse: la più sentita è ‘guardi, ho dimenticato il portafoglio a casa’».
Spesso non si tratta di grandi acquisti. «Lo sa che qui - afferma un esercente - io faccio credito per l’acquisto di mezzo
litro di latte?». Un prodotto che costa intorno ai 70 centesimi.
E non è raro che poi i debitori non si facciano più vedere. Io
sono cresciuto nella miseria - prosegue - e ho 68 anni, ma una
crisi così non l’avevo mai vista». Il pagamento a credito, infatti, è un fenomeno che ha ripreso recentemente a essere praticato. La maggior parte degli
esercenti conferma che da tre
anni si sono decisi a riaprire il
quaderno dei crediti perché le
famiglie soffrono soprattutto la quarta settimana del mese e
chiedono di dilazionare il pagamento fino all’arrivo dello
stipendio. «In particolare - precisa un commerciante del quartiere popolare di Guspini, - dal 2013, che è stato un anno
micidiale, faccio credito a una ventina di clienti fissi su un
totale di 150 acquirenti. Si sta tornando a un passato che
credevo dimenticato».
Il meccanismo del pagamento a credito è ormai una realtà
per i rivenditori al dettaglio. «Succede spesso - conferma un
gestore dell’ortofrutta nel mercato rionale - poi ci metta che
il costo dei prodotti è aumentato e ottiene un quadro molto
brutto: e così ricorriamo al libretto del pagherò».
In realtà, i meccanismi dei gestori per la registrazione dei
clienti a credito sono differenti. «Io segno debito e debitore
sul calendario di un’agenda», «A me basta scriverlo su dei
“post-it”», «Io uso il quaderno per tradizione», «Noi scriviamo tutto sullo scontrino che teniamo in cassa e ne diamo
una copia al cliente», precisano i diversi gestori.
Per quanto il credito sia uno strumento che avvantaggia i
negozianti alimentari al dettaglio, i piccoli esercizi sono continuamente falciati dalla mannaia della grande distribuzione. Resistono i panettieri, che vendono ormai moltissimi
generi alimentari. Ma soffrono i rivenditori di frutta. «Qui il
lavoro è calato del 40%», lamentano i gestori del mercato
civico, «ma a un mio cliente farei sempre credito», com-
Siddi
menta un fruttivendolo. Nel commercio locale sono
drasticamente diminuiti anche i salumieri, che ormai confluiscono nelle macellerie. «Ora si paga spesso con le carte di
credito - afferma il titolare della macelleria di via Gramsci a
Guspini». Nella macelleria non si accettano strumenti di pagamento elettronico. «Lo scriva - afferma uno dei gestori noi non li usiamo per non far guadagnare le banche: per questo preferiamo fare credito ai clienti fidati». Un altro macellaio di un quartiere rionale afferma: «Io non faccio credito
perché poi nessuno paga, piuttosto la carne la regalo».
Ma sulla cattiva congiuntura non si può scherzare. «Faccio
credito a buona parte dei miei clienti - conclude la titolare di
una rivendita alimentare del rione accanto alla chiesa di Don
Bosco - anche per un mese. Ma oggi per esempio non si è
presentato chi mi doveva pagare e questo pesa sul bilancio, e
se considera poi la grande diffusione dei supermercati che ci
hanno portato via anche quei quattro clienti che ci erano rimasti, la situazione è davvero preoccupante».
Con la crisi stanno tornando in auge i negozi che vendono i
prodotti senza confezione, come negli anni ’70 quando pasta, conserva, zucchero e caffè si compravano a etti ed erano
confezionati all’istante con involucri di carta. Si vende senza
imballaggi né plastica e con un occhio al “chilometro zero”.
Si tratta di negozi dove le merci sono sfuse e l’impatto ambientale è ridotto alla fonte per far risparmiare.
Mauro Serra
VILLACIDRO
Jo Jo e Lele Cau: la scelta di investire sull’apicoltura L’Ifold apre i corsi di Oss
Il mercato del miele offre la possibilità di costruirsi un
reddito anche in un territorio come la Marmilla, non certo
famoso per la sua floridità economica. A darci una prova di quanto ciò sia possibile sono due fratelli di Siddi,
Massimiliano ed Emanuele Cau che, dopo aver frequentato un corso di formazione nel settore e investito qualche soldo, gestiscono da quindici anni una piccola azienda di produzione di miele e di prodotti “secondari” quali propoli e pappa reale. «Questo mercato - fa sapere
Massimiliano - è una possibilità sulla quale investire con
buone probabilità di successo». Eppure nel settore ci
sono parecchie difficoltà, su tutte il fatto che in Sardegna arrivano prodotti stranieri non di ottima qualità venduti spesso ad un prezzo decisamente inferiore rispetto
a quelli delle imprese locali. «Le difficoltà del mercato continua Massimiliano - le conosciamo; tuttavia la nostra parola d’ordine è stata e sempre sarà quella di puntare su un prodotto di alta qualità».
Al di là degli aspetti concorrenziali, esistono poi una
serie di problematiche che negli ultimi anni stanno minacciando il settore. A spiegarle è lo stesso Massimiliano:
«Nei primi anni del 2000 la media regionale sarda di
produzione per alveare era di 40 kg di miele, oggi invece lo stesso dato si assesta intorno ai 14: questo perché
l’ultimo decennio è stato caratterizzato da stagioni che
hanno condizionato il regolare ciclo delle api. È probabile che questo calo di produzione (di circa due terzi)
dipenda in grossa misura anche dall’inquinamento del
suolo e dell’aria».
Visto il quadro c’è poco da sorridere anche considerando che un tale, dal nome di Albert Einstein, profetizzò
che qualora dovessero estinguersi le api, all’essere uma-
no non sarebbero rimasti
che quattro/
cinque anni di
vita soltanto.
Lasciando da
parte certe
previsioni, appare comunque evidente
come occorra
prestare mag- Massimiliano Cauli
giore attenzione al settore apistico dato che la Regione Sardegna in
primis non ha mai equiparato la figura dell’apicoltore
a quella dell’allevatore o dell’agricoltore. «Nel 2008 spiega a tal proposito Massimiliano Cau - a causa di
un’alluvione perdemmo circa 40 alveari. Non ho ricevuto un centesimo per il danno subito e per questo credo
che la nostra figura meriti maggior tutela. Nonostante
tutto cerchiamo di guardare oltre: negli ultimi anni abbiamo organizzato dei laboratori didattici con bambini e ragazzi in modo da far loro conoscere come dall’allevamento delle api si arriva a produrre il barattolo
del miele che giunge sulle nostre tavole. Questi appuntamenti catturano tantissimo l’attenzione dei partecipanti, anche per questo stiamo pian piano acquisendo sempre più contatti per portare avanti quest’attività complementare. Chiunque volesse saperne di più
sappia che su Facebook è presente una nostra pagina
dal nome “Azienda apistica Jo Jo e Lele Cau”».
Simone Muscas
Dopo una lunga stasi sembra riavviarsi l’azione regionale sulla formazione. Un settore strategico per affrontare i mutamenti nel mondo del
lavoro e favorire la nuova occupazione. In quest’ottica riprende vigore
l’Ifold (Istituto Formazione Lavoro Donne) che da oltre un anno ha
deciso di aprire una sezione nell’area industriale di Villacidro. Uno
sforzo notevole per consentire anche al nostro territorio ed ai giovani
in particolare di non perdere le opportunità offerte da Garanzia Giovani per il quale l’Ifold attualmente è impegnata in prima linea.L’apertura
di uno sportello consentirà, in affiancamento ai Centri Servizi per l’Impiego, l’iscrizione a Garanzia Giovani, procedimento che può avvenire anche attraverso il sito nazionale www.garanziagiovani.gov.it.
L’Ifold, che ha già avviato un corso di formazione mirata con l’Unità
Operativa di Villacidro ubicato all’ingresso della Zona Industriale (S.P.
n. 61 al Km.4), metterà a disposizione dei giovani e delle imprese un
team specializzato nell’orientamento del mercato del lavoro. L’Unità
Organizzativa di Villacidro offrirà ai giovani disoccupati ed in cerca di
lavoro un luogo di accoglienza, informazione e organizzazione dove i
soggetti potenzialmente interessati possono recarsi per conoscere i servizi e le misure offerte.
Attualmente l’Ifold è impegnato in varie misure del programma ed
in questi giorni è stato autorizzato per lo svolgimento dei corsi per
Operatore socio sanitario anche nella sede di Villacidro. Sono state
avviate le procedure per l’iscrizione ai corsi aperti ai giovani che
abbiano compiuto i 18 anni, assolto all’obbligo scolastico e in possesso di idoneità psicofisica al ruolo. Sono previsti due tipologie di
corsi, tutti a pagamento, di 1000 ore e 400 ore per chi dispone di
una qualifica del settore.
Gli interessati possono rivolgersi direttamente alla sede di Villacidro, il lunedì, mercoledì e venerdì o contattare i numeri 070 5489144,
sede di Cagliari, o Villacidro, allo 070 9313032 e 347 2421479, oppure tramite mail: [email protected].
Tarcisio Agus
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GUSPINI DOPO TRE
ANNI DI ATTIVITÀ CHIUDE IL LABORATORIO
VENAS
Foto di Simone Zaugg
Paola Milano:
“Sarò costretta ad emigrare”
A
veva trasformato l’antica mascalcia al civico 2 di via
Roma nella fucina di vezzosi, delicati e profumati gioielli nei quali, all’argento della perfetta tradizione orafa sarda, si univano ora la ruvidezza del sughero di quercia, ora i
pigmenti brillanti delle bacche di mirto e ginepro. Laddove
un tempo, quando il ferro temprava nella brace, il maniscalco Cesare intonava il ballo sardo con il martello sopra l’incudine, fino a un mese fa Paola Milano, nel silenzio del suo
laboratorio, si dedicava a fondere, laminare, ridefinire,
tornire, lucidare collane e pendenti. Un sogno durato tre anni
e finito lo scorso 28 febbraio, quando la bottega della giovane orafa ha chiuso definitivamente i battenti. «È stata una
bella avventura, “Venas”, - commenta l’artigiana di Guspini
- che mi ha riempito di soddisfazione e permesso, da autonoma, di sviluppare intraprendenza e forza d’animo. Ma benché l’attività si stesse avviando, il licenziamento di mio
marito, operaio a Villacidro, mi ha costretta a mettere in atto
una scelta. Con il solo laboratorio non riesco a mantenere la
famiglia e ho due figli, di 14 e di 19 anni, a cui pensare. Il
piano, ora, è di inviare curricola all’estero e partire. Cerco
soltanto un lavoro dignitoso per mantenere la mia famiglia».
Nato a ottobre 2012 attraverso il concorso di idee
“Europeando”, giungendo secondo nel Medio Campidano e
nono nell’intera isola, “Venas” si avvaleva di alcune prerogative tali da rendere l’attività assolutamente unica nel suo genere. «L’innovazione per me è la chiave di tutto. Sono diventata esperta nella cardatura della lana di pecora sarda e nella
selezione e valorizzazione di semi e legumi autoctoni, nonché
dei profumi della macchia mediterranea, prestando particolare attenzione alle specie in via d’estinzione. Ho imparato a
fare uso di questi elementi per la composizione dei miei gioielli, ma è stata la curiosità e l’amore per questa terra a spingermi altrove e permettermi di comparire nella vetrina dell’artigianato artistico della Sardegna».
Eppure non si abbatte, Paola Milano, decisa a volare sino in
Austria, Germania o Svizzera alla ricerca di un nuovo impie-
go. «Sto imparando il tedesco», afferma, indicando con lo
sguardo libri e appunti impilati sul tavolo. «Ich bin Paola
Milano - espone sorridente - ma non essere come tutti quelli
che si spaventano quando prospetto loro il mio piano di partire e mi dicono che sono coraggiosa. Io mollo tutto, il coraggio è di chi resta qui - ricorda l’orafa, un sorriso
dolceamaro sul volto - e ogni giorno solleva la serranda, sebbene privo di stimoli e certezze per il futuro, solo perché ha
qualcuno da proteggere e a cui assicurare un futuro. Io resterei, ma non ci sono presupposti. Mancano serie iniziative di
promozione del territorio, mancano finanziamenti, manca
quel dialogo tra amministrazione e piccoli commercianti che
non deve necessariamente tradursi in un contributo economico. Ma io - conclude l’artigiana - non sono intenzionata a
lasciarmi togliere le mie onestà e dignità. Amo questa terra e
lasciarla non sarà facile, ma sento di avere ancora delle cose
da fare. Io non mi arrendo».
Francesca Virdis
BARUMINI
Successo al secondo Expo sui Beni Culturali
È stato un autentico successo il “Secondo
Expo turismo culturale in Sardegna” svoltosi
al Centro culturale Giovanni Lilliu di Barumini l’11, 12 e 13 marzo scorso, con migliaia
di visitatori. Un ricco programma in cui sono
state mostrate le eccellenze del turismo culturale nell’Isola: artigianato, degustazioni, enogastronomia, spettacoli, convegni, siti culturali, workshop e laboratori. La manifestazione ha avuto lo scopo di rilanciare l’economia,
e tra l’altro, un’importante occasione di promozione dei principali siti culturali, dei produttori del settore enogastronomico e dell’artigianato artistico dell’intera Sardegna, che
sono stati accolti in tremila metri quadrati di
stand e spazi espositivi allestiti per l’occasione. Inoltre, c’è stato approfondimento, dibattito con esperti, ricerca e intrattenimento, grazie ai convegni, mostre, degustazioni, rievocazioni storiche, momenti di spettacolo, laboratori didattici dedicati a studenti e pubblico
adulto. «Un appuntamento importante per gli
espositori e le eccellenze sarde. L’obiettivo è
stato anche quello di attirare i turisti, che chiedono qualcosa di diverso otre il mare e le spiagge», spiega il sindaco Emanuele Lilliu. Infatti, ci sono stati tanti incontri tra tour operator
e aziende sarde del settore. L’inaugurazione
ha avuto inizio col convegno “Verso una destinazione turistica: la Marmilla dal marketing
territoriale al web marketing”, poi il seminario “Social Media Marketing per il turismo
culturale” a cura dell’Università di Cagliari e
Instagramers Sardegna. Infine le tre mostre:
Viseras e Cartzas, La quotidianità del mito e
L’arte del costume … il costume nell’arte.
L’Università cagliaritana ha svolto una conferenza sui “Beni culturali e sapere di massa, il
ruolo dell’Università”. Enorme la partecipazione ed entusiasmo al defilè degli abiti di
Paolo Modolo e altre importanti sartorie dell’Isola, con la madrina Caterina Murino, e la
presentazione dell’antropologo Bachisio Bandinu. Le degustazioni, gratuite per tutta la durata della manifestazione, sono state preparate dall’Istituto Alberghiero Tuveri di Villamar.
SERRAMANNA ASSOCIAZIONE
CULTURALE
L’ultimo giorno dell’Expo, presso il Museo
di Casa Zapata, conferimento della cittadinanza onoraria al maestro di launeddas Luigi Lai,
e omaggio al famoso archeologo Giovanni
Lilliu con la presentazione del catalogo della
mostra “L’Isola delle Torri, Giovanni Lilliu e
la Sardegna Nuragica” e l’istituzione del Premio Giovanni Lilliu. Particolare attenzione
anche alla rievocazione storica a cura dell’Associazione storica medioevale Sardisca di Las
Plassas e Falconeria sarda del Giudicato d’Arborea. A chiudere la tre giorni del Secondo
Expo del turismo culturale in Sardegna, è stato un concerto del gruppo musicale I Tazenda. L’evento, organizzato dalla Fondazione
Barumini Sistema Cultura e dal Comune, rientra nell’ambito delle Manifestazioni pubbliche di grande interesse turistico, promosse e
finanziate dalla Regione Sardegna attraverso
l’assessorato del Turismo, come momento
d’incontro e scambio tra i più variegati settori
della cultura e del turismo isolano, al fine di
contribuire allo sviluppo del turismo cultura-
le e delle aree interne. Un’importante vetrina
per la Marmilla, Medio Campidano, e Sardegna intera. Soddisfatti gli organizzatori, espositori e partecipanti, che si danno appuntamento al prossimo anno.
Carlo Fadda
“IL PUNGOLO”
Incontro-dibattito su:
“La forza delle donne”
Il tema sul valore della donna non si conclude con la giornata
celebrativa dell’otto marzo. L’associazione il “Pungolo” organizza un incontro-dibattito aperto al pubblico, in cui si parla
dell’universo femminile con cenni storici e nel mondo contemporaneo. Accolti grazie alla disponibilità dell’amministrazione comunale nella sala Montegranatico, a diverso titolo intervengono gli ospiti che portano il proprio punto di vista sul
ruolo della donna nei diversi contesti sociali.
L’incontro ha inizio con il saluto di don Giuseppe Pes che con
un breve intervento ricorda il ruolo della donna nelle difficoltà
del passato; molti sacrifici e grande buona volontà delle mamme e della loro abnegazione per i propri figli.
Tra gli invitati, Roberto Arba, sulla base del proprio ruolo professionale di insegnante all’estero, propone un contributo sulla difficoltà e sulle contraddizioni del contesto africano nel
quale la donna vive la propria vita quotidiana e le poche opportunità di riscossa per una esistenza migliore. Una testimonianza diretta ricca di emozione è stata raccontata da Daniela
Tocco che, da veterana della polisportiva atletica serramannese,
dopo aver allenato diverse generazioni di giovani, vuole ancora mettersi in gioco e raggiungere nuovi traguardi per sé
stessa e per le persone a cui vuol bene.
Clara Ligas mette in rilievo il ruolo della donna nella comuni-
tà educante e nell’impegno per la formazione dell’uomo, completato da un innato spessore lirico raggiunto nei versi poetici.
Nella continuità del pathos affettivo Carla Spano esprime un
toccante pensiero di riconoscenza rivolto alla suocera Maria
Rosaria Porceddu.
Ancora una volta Maria Grazia Cossu e il gruppo, che con lei
sostiene l’organizzazione di eventi culturali come questo, riescono a coinvolgere il pubblico e, in questa specifica occasione, ne riconoscono ancora una volta il merito alla forza delle
donne.
Giovanni Contu
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SERRAMANNA. SCUOLA EVARISTIANA PER L’INFANZIA
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SARDARA. NUOVO CIRCOLO
A spasso nel tempo
con “Il trullo Tore
e il nuraghe Peppino”
Nuovi traguardi per la neoscrittrice di Guspini Ottavia Ruggeri:
il suo libro d’esordio “Il trullo Tore e il nuraghe Peppino”, già
vincitore a giugno 2015 del prestigioso Concorso Letterario
Nazionale “Antonio Grussu”, diventa fulcro del progetto “ A
spasso nel Tempo”, a cura della Scuola Evaristiana per l’Infanzia di Serramanna. « L’intento è quello di avvicinare i bambini
all’affascinante mondo della preistoria, suscitando in loro la
curiosità di conoscere il passato e le proprie origini. Solo suscitando la sete di conoscenza sin da piccoli si potrà sperare di
avere adulti consapevoli di quel richiamo “ancestrale” che deve
rimanere vivo in ogni essere umano». L’istituto, noto per i progetti all’avanguardia sviluppati nel corso degli anni (con la vincita, non più tardi dello scorso anno, del Concorso nazionale
per le scuole bandito dal Ministero dell’Istruzione nell’ambito
dell’Expo 2015), ha così accolto l’autrice di Guspini nel corso
della mattinata dello scorso 11 marzo. Coinvolte nel progetto,
la coordinatrice d’istituto Eliana D’Oca, le operatrici e le insegnanti Stefania, Simona, Silvia e Monica Pittau, l’artista Marina Putzolu, figlia ed erede del grande vignettista Franco Putzolu,
conosciuto come “Il Forattini sardo”. «Durante la lettura,
Marina affiancava le mie parole traducendole in strepitose il-
lustrazioni “in diretta”. In lei ho riconosciuto l’umiltà e la
modestia proprio solo di chi è veramente grande. Alla narrazione ha fatto seguito un laboratorio di creazione di
nuraghi in miniatura con carta e argilla. L’attività ci ha inoltre dato modo di parlare ai piccoli delle innumerevoli
similitudini tra Puglia e Sardegna, a partire dai monumentali
colossi di pietra che, con mio grande rammarico - ha aggiunto l’autrice - non sempre sono conosciuti o visitati anche da chi li ha, per così dire, a due passi. Proseguirò nella
mia volontà di insegnare ai bimbi a tornare nel passato per
innamorarsi del proprio futuro».
Francesca Virdis
San Gavino: Pierluigi Montis
è il nuovo presidente della Pro Loco
Cambio al vertice della Pro Loco che ha rinnovato il proprio
consiglio direttivo. Ora il nuovo presidente è Pierluigi Montis,
che subentra ad Antonio Garau che in questi ultimi anni ha
cercato di aprire l’associazione turistica a giovani, adulti ed
anziani.
IL DIRETTIVO Nel nuovo direttivo Marco Ennas, che vanta
una lunga esperienza associativa e che è già stato presidente
dell’associazione turistica, sarà il portavoce del consiglio di
amministrazione mentre Giorgio Marcias è stato riconfermato
nel ruolo di tesoriere. Il segretario è il professor Salvatore
Manno mentre Elvio Carola è il responsabile delle attrezzature. Il dottor Ernesto Deiana è il presidente dei revisori, Antonio Bandino è il revisore supplente, Giampiero Porcu è il presidente dei probiviri affiancato dagli altri due componenti
Zemiro Curreli e Alfredo Atzeni. Fanno parte del direttivo i
due consiglieri comunali Maria Elena Addari per la minoranza
e Andrea Farris per la maggioranza.
IL PRESIDENTE USCENTE La Pro Loco ha un ruolo molto
importante a San Gavino Monreale. Il presidente uscente Antonio Garau si è sempre battuto per la promozione dello zaffe-
rano di qualità con l’organizzazione della mostra regionale dedicata al fiore viola, per
stabilire un ponte con gli emigrati con una festa annuale a loro dedicata e per la
valorizzazione della lingua sarda.
BILANCIO DEGLI ULTIMI ANNI Tante le iniziative
portate avanti con l’agenzia Laore per la realizzazione di
corsi professionali sullo zafferano e sulle altre piante
condimentarie e il mercatino solidale senza soldi al tempo
della crisi che nel parco “Rolandi” ha visto tantissimi scambi
come l’olio di oliva con lo zafferano di San Gavino e altri
prodotti locali ed ancora giocattoli e abbigliamento. Non
va dimenticato l’aggiornamento costante delle iniziative
culturali ed economiche sangavinesi e non che il presidente ha portato avanti anche attraverso i sociale network ed in
particolare il profilo facebook della Pro Loco. Ora al nuovo presidente il compito di portare giovani e non dentro
questa gloriosa associazione turistica.
Gian Luigi Pittau
“Condilibriamo”:
incontri mensili per
discutere sulle letture
Con l’obiettivo di condividere la passione per la lettura, la
42enne Annarita Vacca di Sardara, insieme all’assessore comunale alla cultura Raimondo Pisu e ad una decina di concittadine, ha costituito il circolo di lettura “Condilibriamo” aperto
a tutti i cittadini del territorio e di qualsiasi età e genere. I
membri del neonato gruppo, seduti al tavolo di uno spazio
della biblioteca comunale, s’incontrano una volta al mese per
scegliere un libro da leggere sulla base della trama e discuterne in modo spontaneo, critico e confidenziale. Organizzano il passamano dei libri di cui dispone il circuito bibliotecario del territorio e si lasciano guidare da cinque regole base:
l’amore per la lettura; il tempo da dedicare all’iniziativa, un
titolo da proporre a turno, la propria opinione espressa liberamente su ciò che si legge, e il confronto democratico e rispettoso. «Il piacere di leggere raddoppia quando può essere
condiviso - dichiara entusiasta la presidente, che fa parte anche delle “letturine sarde”, gruppo virtuale di staffetta letteraria di Cagliari. - Il circolo “Condilibriamo” è un’occasione
per ampliare la propria biblioteca mentale, un modo per confrontarci sulle tematiche lette e sul punto di vista che ci ha
colpito di più, scoprendo che un libro trasmette un messaggio non solo oggettivo ma anche soggettivo, diverso per ogni
lettore». Partecipi ai turni di lettura, seppur non alle riunioni,
anche molti familiari e conoscenti del gruppo, tra cui l’arzilla 83enne Luigia Concas.
Il circolo invita la scrittrice Cristina Caboni Il circolo
“Condilibriamo” organizza anche eventi per presentare alcuni scrittori dei libri letti. Il prossimo 29 aprile nei locali del
centro d’aggregazione sociale di Sardara sarà ospite Cristina
Caboni di San Sperate per presentare “La custode del miele e
delle api”, libro sulle antiche usanze sarde, sui conflitti generazionali e sulla difesa del territorio, che ha conseguito il premio letterario Osilo. La manifestazione, organizzata dal Circolo in collaborazione con la Proloco e l’amministrazione
comunale, coinvolgerà anche i produttori locali di miele e
derivati.
Marisa Putzolu
GONNOSFANADIGA
Riaperte al culto
le chiese parrocchiali
Beata Vergine di Lourdes
e Santa Barbara
Il 18 marzo è stata inaugurata e riaperta ai fedeli la chiesa parrocchiale della B.V. di Lourdes, alla presenza di monsignor
Giovanni Dettori, amministratore apostolico e vescovo emerito
della diocesi di Ales - Terralba. Alla Santa Messa, celebrata dal
vescovo, ha partecipato tutta la comunità con tangibile soddisfazione per la ristrutturazione della chiesa dopo un lungo periodo di chiusura forzata che ha creato non pochi disagi ai fedeli. I lavori di ristrutturazione sono stati finanziati dalla CEI.
Evidente la soddisfazione del parroco don Giampaolo Spada
che invita i fedeli a riprendere la normale frequenza della chiesa.
Il 20 marzo in occasione della domenica delle palme è stata
riaperta al pubblico anche la chiesa di Santa Barbara, l’edificio
storico più importante del paese, chiuso da oltre cinque anni. Il
parroco don Raimondo Virdis, artefice dell’opera, dopo la
benedizione delle palme nel piazzale dell’oratorio, in processione ha guidato i fedeli verso la chiesa parrocchiale.
Un atto storico. Nel volto dei fedeli era facile leggere
l’espressione della gioia testimoniata dal sorriso e dalle parole dentro e fuori della chiesa monumentale, patrimonio
indiscusso del paese, luogo che custodisce gelosamente i
segreti di tante generazioni di gonnesi. Al termine della celebrazione don Raimondo Virdis ha comunicato ai fedeli
che al termine dei lavori la chiesa sarà consacrata dal neo
vescovo padre Roberto Carboni. Ha evidenziato le vetrate
fiorentine che raffigurano le immagini del Sacro Cuore, della
Madonna di Lourdes, di Santa Barbara, a significare l’unità della chiesa gonnese, nelle tre diverse parrocchie. Singolare la vetrata che riproduce l’immagine dello Spirito Santo, della Basilica di San Pietro a Roma «poiché - ha ag-
giunto don Virdis - senza il suo aiuto questa chiesa sarebbe
rimasta chiusa per sempre». Massima trasparenza del sacerdote che ha portato a conoscenza dei fedeli gli importi spesi
per la ristrutturazione, 155.756,81 euro contributo dell’Amministrazione Comunale, 169.540 dalla CEI, 15.000 dalla diocesi di Ales-Terralba, 20.500 raccolti dalla bontà dei cittadini tramite un apposito conto corrente, 10.000 da un donatore
non di Gonnosfanadiga, che ha scelto di rimanere anonimo.
Don Raimondo Virdis si è congedato dalla folla di fedeli con
la promessa di un nuovo appalto per il rifacimento del pavimento deteriorato e ha aggiunto: “Se parteciperete sempre
così numerosi sarò costretto ad acquistare altri banchi”.
Un lungo e liberatorio applauso dei numerosissimi presenti
ha provocato una visibile commozione del parroco, che a stento ha trattenuto le lacrime.
Francesco Zurru
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1 aprile 2016
Sulle ali della Musica tra ba
La musica è ritmo e il ritmo è vita, come
GONNOSFANADIGA
Gli Isolani
I Plebei
La data di nascita della Band i Plebei risale al lontano 1969, voluta dai fratelli Antonio e Gianluigi Piras, appassionati di musica. Il gruppo inizialmente è
costituito da Antonio Piras, Gianluigi Piras, Claudio Concas, Pierluigi Carreras,
Mario Peddis, Modesto Lecca, Pinuccio Lecca, Franco Ecca, Benedetto Sardu,
Gianni Murgia, Giorgio Ecca, Mario Foddi. La loro prima e storica esibizione
porta la data del 20 dicembre 1970, il loro primo successo risale al 31 dicembre al veglione di Capodanno. I Plebei sono sostenuti nel tempo da tanti appassionati e amanti della musica, Franco Casti, Gianfranco Deias, Luigi Piras,
Marco Antonio Spina, Mario Melis, Giuseppe Ronchi, Gianni Collu,
Francolino Marongiu, Mauro Lecca, Antioco Melis, Sergio Martis, Gianni
Lisci, Tore Lisci, Mario Piras, Antonio Sitzia, Sergio Sogus, Pierpaolo Zanda,
Nino Zanda. La passione per la musica porta il gruppo de i Plebei a firmare
cambiali per acquistare gli strumenti quando ancora erano studenti spiantati e
capelloni. Il gruppo conquista il pubblico in varie parti dell’Isola, supera anche la crisi dovuta alla chiamata alle armi di alcuni componenti per il servizio
militare allora obbligatorio, nella circostanza ricevono l’aiuto di Pinuccio Casti
(basso), Anicetto Scanu (organo), Franco Cabitza (voce solista). Nel 1979 il
gruppo per problemi di lavoro si scioglie, e nel 1980 viene ricostituito. Attualmente è costituito da Piras Antonio (chitarra solista), Piras Gianluigi (tastiera e voce solista) Gianni Marongiu (voce solista), Sandro Marongiu (tastiera e voce solista), Lino Atzei (basso), Marco Piras (batteria), Rino Malloci
(batteria). Nella foto storica, da sinistra verso destra Piras Antonio, Lello Pintus,
Sandro Marongiu, Gigi Carreras, Gianluigi Piras, Luigi Pinna.
Francesco Zurru
Antonio Sanna:
“La musica è respiro”
I Corsari
Antonio Sanna, chitarrista solista, oggi 63 enne, sostiene
che la musica è respiro. All’età di soli 12 anni partecipò ai
Festival organizzati dagli oratori e dai comitati delle feste
paesane, cantando e suonando la chitarra. Da subito emersero le sue doti di musicista, che faranno di lui una persona
conosciuta e stimata in mezza Sardegna. Ancora ragazzino
entrò a far parte del gruppo musicale “I Corsari” di
Gonnofsanadiga, di cui facevano parte Ninetto Peddis (chitarra accompagnante), Franco Marongiu (chitarra solista),
Giancarlo Melis (batterista), Antonio Saiu (basso), Antonio Sanna (2°cantante, chitarrista nella foto al microfono)
Nanni Pilotto (cantante).
Con il complesso “Gli Isolani” di Cagliari” Antonio Sanna
(l’ultimo nella foto di gruppo) fece il salto di qualità. Il
gruppo era costituito da Giorgio Aresu (batterista), Franco
Sanna (chitarra e canto), Antonello Moi (tastiera), Paolo
Atzori (basso). Antonio trasformò la sua passione in lavoro. Ha insegnato musica per 25 anni nella scuola media di
Gonnosfanadiga fino alla sopraggiunta disabilità che però
non gli ha fatto perdere la sua passione per la musica. Ancora oggi, non potendo suonare gli strumenti, Antonio si
dedica allo studio della composizione. (f. z.)
VILLAMAR, GUSPINI
E
PABILLONIS
Un pezzo di Medio Campidano che fa musica a Madrid
Dalla Blue Moon mediocampidanese alla Furisteria spagnola
Tre ragazzi, Fabio Muscas di Villamar, Valentina Sessini di
Guspini e Alberto Pisanu di Pabillonis, da qualche anno,
per motivi di lavoro, risiedono a Madrid in Spagna. I primi
sono due dottorandi, entrambi laureati in Scienza dei Materiali, e lavorano presso due fra le più importanti università
madrilene, mentre Alberto è un laureato in Lingue Straniere
e si occupa di insegnamento della lingua italiana. Il comune
denominatore di questi tre ragazzi è la passione per la musica. Per tanti anni in Sardegna hanno costituito una blues
band chiamata Blue Moon suonando in lungo e in largo per
l’isola. Per conto proprio vantano poi altre esperienze: Fabio è un polistrumentista specializzatosi con la batteria e sin
da nove anni può vantare un ricco curriculum con diversi
gruppi e collaborazioni con numerosi artisti, Valentina, cantante, è stata anch’essa voce corale di altre band e studiosa
di canto, mentre Alberto, bassista e chitarrista, vanta esperienza in tanti gruppi di matrice reggae e rock’n roll. Nei
loro quasi primi trent’anni di vita c’è tanta gavetta musicale
che i tre sono stati abili a portare avanti con continuità, nonostante i loro studi universitari conclusi in breve tempo.
Succede poi che i tre ragazzi, un po’ per scelta e un po’ per
necessità, partono in Spagna dove riescono ad inserirsi nel
proprio settore lavorativo. Fine dei sogni musicali e inizio di
una vita più “concreta”? Manco a parlarne, “il trio spagnolo”
senza i suoni dei propri amplificatori proprio non riesce a
stare.
Ed ecco che al suo arrivo a Madrid, circa due anni fa, Valentina
viene ingaggiata da un coro gospel; Fabio, arrivato qualche
mese più tardi, è invece reclutato come batterista da un gruppo spagnolo di buona fama ed infine Alberto, l’ultimo dei tre
a trasferirsi in terra iberica, non tarda a inserirsi come chitarrista in una band locale.
Ma la tentazione di riformare i Blue Moon è grande e, memori
del buon successo in terra sarda, (ri)fondano il gruppo e iniziano a suonare in giro nei locali della capitale spagnola. La
nuova band si chiama ora “Furisteria”, che deriva
dalla parola “furisteri” in sardo, ovvero “straniero”.
Alla loro prima esibizione in un locale de “La Latina”, uno dei quartieri madrileni più quotati, la band
riceve un buon apprezzamento da parte del numeroso pubblico presente. «Per noi - spiega Fabio - è
bellissimo poter continuare a coltivare la passione
musicale pur abitando in un altro Paese. Spesso chi
va fuori trascura quelle che sono le proprie passioni
per dedicarsi soltanto al lavoro. Ci siamo inseriti nei
giusti canali degli ambienti musicali a Madrid. Speriamo ora di continuare a crescere e, soprattutto, a
divertirci». La musica come divertimento e passione, che può però trasformarsi anche in strumento
per “arrotondare” economicamente: «Con qualche
serata - spiega Valentina - riusciamo per lo meno ad
andare in pareggio con le spese che la stessa musica
richiede; non viviamo certo di musica, ma almeno
riusciamo a coltivare più serenamente questa passione che ci unisce». I sogni non mancano di certo,
il coraggio neppure e soprattutto la nuova realtà sta
facendo loro ampliare la propria esperienza musicale.
È bello sapere che c’è un pezzo di cuore del Medio
Campidano che pulsa e fa sentire la sua voce (nel senso vero
della parola) nella capitale spagnola. Chissà che col tempo,
anche grazie alla bella esperienza dei tre, il nostro territorio
non possa acquisire un po’ più di visibilità agli occhi dei
cugini spagnoli.
Simone Muscas
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and e solisti di casa nostra
il ritmo del respiro e del battito del cuore
La band de I Principi
I Nobili al Poetto
Roberto Casti e la band de I Principi
con la voce solista Marisa Sannia
e il giovane Piero Salis, alias Piero Marras
Ha origini sardaresi il chitarrista solista della prima band di
Marisa Sannia, la celebre cantante sarda, soprannominata “La
gazzella di Cagliari”, scomparsa nel 2008. Figlio del maresciallo Eligio Casti e nipote di “tziu Generosu” di Sardara,
Roberto insieme a Paolo Tocco costituirono, all’inizio degli
anni ’60, il gruppo musicale cagliaritano “I Principi” composto da Casti e Tocco rispettivamente chitarra solista e accompagnamento, da Pasqualino Cao sax e clarinetto, da Tonino Mura al basso e Pierpaolo Maccioni alla batteria. A metà
degli anni ’60 si aggiunse al “complessino”, come si chiamavano allora i gruppi musicali, Marisa Sannia. Da qui l’esordio di Marisa Sannia come cantante dei “Principi” in feste
patronali e vari locali della città. La svolta avvenne nel ’65
quando la cantante venne iscritta proprio da Casti e dalla sorella di Marisa al concorso nazionale per voci nuove indetto
dalla Fonit Cetra che si svolse alla sede Rai di Cagliari. «Accompagnata alla chitarra da me e Cao - racconta Casti - Marisa
si classificò seconda con la canzone di Salvatore Adamo ‘Perduto amor’. Come giudice era presente il maestro Bruno
Canfora. Fu poi convocata a Roma, quindi Sergio Endrigo,
Canzonissima, Sanremo, ecc.».
Non fu quindi Endrigo a scoprire Marisa. Come vi siete conosciuti? «Fu la sorellina Carla che, sentendoci suonare durante
le prove nella cantina di una palazzina in zona via della Pineta,
ci chiese se poteva presentarci Marisa. Scoprii così la sua straordinaria voce. In gara con tanti altri gruppi musicali, “I Principi”
vinsero al cineteatro “Arena Giardino” con il brano “ The House
of the rising sun” degli Animals. Per motivi di studio e lavoro,
nel 1966 mi trasferii a Milano e venni sostituito dal chitarrista
solista Antonio Pintori». Un anno dopo, quando la Sannia era
ormai già famosa a livello nazionale, Casti ci riprovò e costituì
un’altra band, niente meno che con il cantautore Piero Marras,
altro giovane artista che, da lì a poco, avrebbe calcato le scene
della musica pop e folk oltre i confini dell’isola. «Alla fine del
’66 incontrai Marras - continua Casti - che allora si chiamava
Piero Salis ed era appena arrivato a Cagliari per intraprendere
gli studi universitari. Suonava bene il pianoforte, per cui gli proposi di costituire insieme un nuovo gruppo. Accettò di buon
grado e da lì per me ripartì una nuova avventura musicale con
‘The Nobles’, successivamente “ ‘I Nobili’».
Come mai la scelta di denominazioni “monarchiche”? Gruppi musicali esclusivi, da élite, o contestatori del potere? «Ci
sembrava potesse dare prestigio alla band, niente di più. Per la
denominazione successiva invece, solo un’inconscia prosecuzione del precedente nome a cui ero affezionato, nonché per la
forte amicizia con Marisa a cui rimasi legato per anni. Col nuovo gruppo, cambiò completamente registro anche il genere
musicale, orientato verso un tipo di musica considerata all’epoca “rivoluzionaria”, come quella di Jimi Hendrix, The Beatles,
Rolling Stones, Joan Baez, Bob Dylan e di altri gruppi rock
anche italiani». Per usare una sua citazione, ora “ha appeso la
chitarra al chiodo”.
Ogni tanto la “rispolvera”? «Con familiari e amici, per far
riemergere suoni e ricordi di quei bellissimi e irripetibili momenti del passato», risponde Roberto Casti, che di certo può
vantare di aver segnato in modo indelebile, con il talento e an-
Roberto Casti e Marisa Sannia
Le fantomatiche divise de ‘I Nobili’
che le sue scelte, il percorso futuro di due artisti di fama internazionale.
Si sente di dare un suggerimento ai numerosi giovani del
Medio Campidano che tentano di affacciarsi al mondo della
musica? «Sì.Il futuro è nelle loro mani. Di quei giovani che
vogliono raggiungere con tenacia risultati in qualsiasi campo,
anche nella musica».
Marisa Putzolu
I Collegium: il ricordo di Franco Vacca
Fra le band musicali che si sono distinte nel panorama musicale
della Sardegna meritano una menzione d’onore i Collegium che,
dalla fine degli anni sessanta e sino a qualche anno fa, hanno
calcato i più importanti palcoscenici isolani, inciso tanti bei brani di successo e si sono distinti per le loro doti musicali. Il gruppo, nel corso della sua quarantennale carriera, ha avuto un nucleo storico costituito da due elementi che, sin dalla sua fondazione, hanno fatto presenza fissa: si tratta di Franco Vacca, noto
chitarrista di Lunamatrona, e di Felice Cassinelli, tastierista di
Senorbì. «Nel corso dei quattro decenni di vita della band - spiega Franco Vacca - si sono succeduti diversi elementi, tutti con
una buona formazione musicale». La band originaria, denominata Lied Group, venne costituita da cinque giovani studenti
del conservatorio di Cagliari: oltre a Franco Vacca e Felice
Cassinelli, vi erano Gianni Pontis, Mariano Casula e Ubaldo
Trudu. «Gli anni ‘60 e ‘70 - precisa con un pizzico di nostalgia sono stati davvero meravigliosi, forse perché eravamo giovani e
spensierati. Il gruppo inizialmente proponeva dei brani con un
repertorio basato sui gruppi maggiormente conosciuti: Creedence,
Deep Purple, Huriah Heep, Led Zeppelin e i Pooh. Negli anni
abbiamo inserito pezzi dei Colosseum, King Crimson, Emerson
Lake e Palmer e, successivamente, anche dei Pink Floyd e dei
Genesis che, soprattutto negli anni ’80, occupavano buona parte
della scaletta nei nostri concerti».
I Collegium (che assumono questa denominazione dal 1974),
vantano nel loro repertorio tanti album inediti, alcuni di grande
successo: su tutti “L’ansia dei tuoi anni” e “Paola” (1974, 45
giri), “Proprio tu” e “Dimmi che farai” (1979, 45 giri), “Prima
raccolta” (1985) e “Veridade” (1990); quest’ultimo, in particolare, è stato un album molto “forte” con brani tratti dai testi in
lingua sarda del poeta Salvatore Poddighe di Dualchi che, nel
1918, aveva elaborato un’opera fortemente polemica sul ruolo
della Chiesa. Questo scritto fu successivamente censurato ed
osteggiato nel periodo fascista. «Abbiamo fatto tanti concerti prosegue Franco Vacca - Abbiamo accompagnato numerosi artisti italiani di fama come Piero Marras, Little Tony, Mino Reitano
e altri. Ricordo poi la partecipazione al Cantagiro nel 1978. La
nostra, visti anche i numerosi cambiamenti di formazione, è diventata una famiglia allargata tuttora in buoni rapporti».
Il leader Franco Vacca è la prova di quanto il gruppo fosse umile e la band è stata circondata da tanti amici. Fra questi, in particolare, Ettore Urracci, Alverio Cadau e Pinuccio Cau di
Lunamatrona, e Gianni Melas e Mimmo Tartaglia di Sanluri,
che hanno dato una grossa mano soprattutto nel periodo della
loro formazione. Pinuccio Cau, su tutti, è stato da loro considerato un padre e, se finivano all’alba i loro concerti, lui era lì
pronto con il suo camion a riaccompagnarli a casa. «A fine concerto - ricorda Franco - lo ringraziavo sempre: gli dicevo che
senza di lui non ce l’avremmo mai fatta. Sono bei momenti che
custodisco nel mio cuore». Il gruppo dopo il 1990 ha avuto delle brevi reunion sino a circa due anni fa; è lo stesso Franco a
concludere: «Chissà se in futuro torneremo a suonare, ma se
non dovesse succedere mi ritengo fortunato per aver fatto parte
di una famiglia come quella dei Collegium. Una delle mie più
grandi soddisfazioni è stata anche quella di aver suonato con i
miei due figli Stefano e Nicola che negli ultimi anni dei concerti
del gruppo si sono avvicendati come batteristi. Il gruppo appartiene alla storia, ma aver fatto crescere i miei figli in una casa
dove si “respirava” tanta musica è stato uno stimolo enorme per
avviarli a questo mondo. Per un padre come me, con la musica
nel sangue, è certamente una bella soddisfazione».
Simone Muscas
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1 aprile 2016
Renzo Laconi alla presentazione dell’inizio dei lavori delle saline
CENTENARIO DELLA NASCITA
DI RENZO LACONI
di Toto Putzu
T
empora mutant et Historia transit. Se Renzo Laconi
fosse morto centenario come il suo “compagno” Pietro Ingrao avrebbe visto farsi tabula rasa il mondo,
gli ideali e l’Isola per cui si era battuto come un leone,
scomparso il suo Partito Comunista e quello avversario
della Democrazia Cristiana, i Liberali di Malagodi, i Socialisti di Nenni, il PRI di Ugo La Malfa e il Movimento
Sociale di Almirante. Purtroppo e per fortuna non ha fatto
in tempo. Tramontati i protagonisti e gli antagonisti, una
sola cosa però resta e speriamo resti imperitura della loro
opera: la Costituzione della Repubblica Italiana. Egli nacque in piena Prima Guerra Mondiale, il 13 gennaio del
1916, poco prima di Giorgio Bassani e di Natalia Ginsburg,
nel Sulcis Iglesiente che era allora il bacino minerario più
rivoluzionario d’Europa (moti di Buggerru 1904). Orfano
di guerra, il padre morì nel ’17, si laureò in Storia e Filosofia a Cagliari nel 1938 ed era un promettente “intellettuale” come egli si definiva, ma nella temperie della Resistenza, della Ricostruzione e della Rinascita sentì il dramma acuto dell’insufficienza “dell’intellettuale puro” nel
fuoco vivo delle lotte dei minatori, operai e contadini; e
dalla turris eburnea della Cattedra a Firenze si tuffò nel
gorgo della vita politica e civile, diventando un “intellettuale organico”, pupillo di Togliatti, deputato e capogruppo in Parlamento dal 1948 e Segretario regionale in Sardegna prima di Velio Spano, in compagnia di “giovinastri” come Umberto Cardia, Luigi Pintor, Giuseppe Fiori,
Girolamo Sotgiu e un timido scapigliato sassarese Enrico
Berlinguer. Fu uno dei padri del Partito Nuovo e colui che
curò insieme a Togliatti la pubblicazione delle Lettere e
dei Quaderni di Gramsci che stupirono il mondo e sono
ancora oggi un monumentum aere perennius fur ewig di
quel martire sovraumano, dove in nuce ci sono i lineamenti dello “Stato nuovo”democratico e repubblicano.
Tra due giganti come De Gasperi e Togliatti protagonista
fondamentale della Commissione dei “75” che stesero la
nostra Magna Charta insieme a un giovane introverso Aldo
Moro, Gullo,Benedetto Croce, Calamandrei, Dossetti, La
Pira, Fanfani, Umberto Terracini, Giorgio Napolitano, Nilde Iotti e Tina Anselmi, era una mente splendida formata
alla scuola di Platone e di Kant, di Hegel, di Rousseau e di
Montesquieu e del Diritto Romano: tra gli anni ’46’-‘48’
fautore di una Repubblica Parlamentare ma non Presidenziale a suffragio universale, senza distinzione di sesso, uno
degli architetti e ingegneri del nostro Stato laico e democratico e della “Democrazia progressiva” di una Repubblica fondata sul Lavoro la cui sovranità appartiene al
Popolo, che la esercita tramite il Governo, la Camera e il
Senato, con la Corte Costituzionale super partes e l’indipendenza della Magistratura per esorcizzare per sempre
“lo scramento” del Ventennio e dove la Chiesa con l’Articolo 7 può esercitare il suo Magistero Spirituale ed Economico “senza oneri per lo Stato”. Al paragone oggi un
“costituzionalista” come Calderoli sembra un azzeccagarbugli insieme a quella “lengua macellara” di Denis Verdini, e non a caso contro la nostra Carta Fondamentale perché “troppo sovietica” si sono scagliati le Destre di Valerio Borghese, la P2 del compianto Licio Gelli, le stragi di
Milano, di Brescia e di Bologna e “statisti” del calibro di
Bossi e Berlusconi. Personalmente ho avuto la fortuna da
studente di sentire a Firenze una della ultime conferenze
del Padre Firmatario della Charta, il vecchio Umberto Terracini, minuscolo, miope e strabico sotto le spessissime
lenti ma di una vista politica acutissima, oratore freddo,
lucido e incantevole come un cristallo di Boemia nell’ana-
lisi anatomica della Costituzione e nel rievocare l’opera e
l’ingegneria dei Padri Costituenti, Laconi in primis, di cui
elogiò la perizia di Doctor Juris e la capacità tecnica nel
dare forma concreta alla “substanzia” di quella che non a
caso è definita la Costituzione più bella del mondo. Ma
Laconi fu oltre che un grande italiano un grande sardo, un
Sardus Pater et Magister a cui dobbiamo le grandi battaglie per il nostro Statuto Autonomistico, per la Rinascita e
per la Riforma Agraria, all’interno della architettura più
generale del giovane Stato Unitario: unità nella diversità
senza separatismo.
Nel ’44, come il PC sardo stesso ecumenico ed internazionalista, anch’egli era contro il “rischio” dell’Autonomia, ma poi si convinse del contrario quando un
“continentale”come Togliatti,ma che si diplomò al liceo
Atzuni di Sassari e fu “amico e compagno” del sardissimo
Gramsci, a Roma nell’aprile del ’45 e poi al V Congresso,
richiamò “i nostri compagni sardi che non riescono ancora a comprendere che non devono avere nessuna paura
perché l’autonomia è una rivendicazione democratica rispondente agli interessi del popolo sardo”.
Da allora Laconi ne fece il suo cavallo di battaglia e soffrì
amaramente a livello personale, per le aspre polemiche tra
Lussu e il Partito perché era il dirigente più aperto nei confronti dei Sardisti al punto da proporre una federazione tra
PCI, PSI e Partito Sardo d’Azione.
Promotori della Autonomia in quelli anni di battaglia si
scontrarono e incontrarono grandi “sardi” come lui
Emilio Lussu, Francesco Cossiga, Antonio Segni, Giovanni Lilliu, Partiti Sardi e Sardisti; e Laconi diede ed
ebbe molto filo da torcere anche dentro il suo stesso
Partito, perché era un rivoluzionario più aperto ed eterodosso dell’ intransigente Segretario Velio Spano antiautonomista e internazionalista. Lui che leggeva e
amava molto i poeti in lingua sarda, i cantores a bolu e
le launeddas si battè per una Autonomia anche come
identità culturale, e già nel ’54 parlava di “Nazione Sarda” per lingua e per etnocultura (non solo banale folklore) per salvare, progredendo, insieme alla identità
anche la cultura materiale dei paesi, dei pastori e dei
contadini proprio nei mitici anni ’50-60’ nell’epoca
d’oro del Neorealismo, negli anni in cui Leopold Wagner pubblicava la sua opera monumentale sulla Lingua Sarda e il danese Andreas Fridolin Bentzon girava
la Sardegna con la sua moto Nimbus, macchina e registratore a tracolla, e Giovanni Lilliu riportava alla luce
le rovine di Barumini dedicando ai pastori la sua “La
Civiltà dei Sardi”, e la Sirena di Siligo Miss Sardegna,
Maria Carta, faceva i suoi primi recitals. Sardinia Tellus quantum mutata ab illa quae fuerat oggi, e che tristezza pensare che noi sardi stessi, di Destra, di Centro
e di Sinistra dietro le magnifiche sorti e progressive per
vedere chi e come eravamo appena cinquantenni orsono dobbiamo andare al Museo etnografico di Copenaghen. Anche in ciò Laconi fu un anticipatore che vedeva molto più lontano degli altri, dentro e fuori dal Partito, ribelle ubbidientissimo, tollerante e mai settario in
tempi di anatemi e di scomuniche, stimato e temuto dai
cattolici, uomo del dialogo sia in Parlamento sia nella
Società Civile come nei pochi anni in cui insegnò a Firenze, alla quale rimase legato anche dopo, città profetica, quella di Giovanni Maria Turoldo, di Piero Bargellini, di Giorgio La Pira, di Padre Balducci, della
Scuola di Barbiana di Don Milani, intellettuale duttile e
osmotico, “rivoluzionario moderato”, all’epoca in cui
la Chiesa dopo il torvo Eugenio Pacelli con Papa Roncalli viveva la sua “rivoluzione conciliare”, e Kennedy
e Chrushchev post staliniano reggevano le sorti del
mondo diviso in due e la precaria pacem in terris.
Io ho avuto la fortuna di conoscerlo a Gonnos al primo
comizio della mia vita, studentello ginnasiale militante
dell’Azione Cattolica, e di capire da lui e non dal Parroco Don Cauli i fermenti del Concilio Vaticano Secondo: quel pomeriggio c’era un putiferio di bandiere rosse, di gente in pullman che accorreva da ogni parte, altoparlanti, minatorie e operai del Guspinese e della fonderia di San Gavino; ed io che ero in tutt’altre faccende
affaccendato,metafisico e trascendentale, a studiare e a
scrivere una tesina sulla doppia natura di Cristo e sulla
verginità di Maria nella vana speranza di vincere un
viaggio premio nella Roma Conciliare, incuriosito da
tanto rumore e lasciando perdere il Concilio di Efeso e
di Nicea, Nestorio e l’Oratorio, lo andai a sentire in Piazza Mercato. Sul palco, alla luce del tramonto, aveva un
aspetto cardinalizio e ieratico quell’uomo mai visto e
mai sentito, “un comunista”, ma si vedeva che era diverso da come dal pulpito ce li avevano descritti i Padri
Passionisti. Aveva le due regole auree dell’Oratoria antica: rem tene, verba sequentur (Catone) e quella del
Vir bonus dicendi peritus (Cicerone), la vis dell’eloquio,
l’inventio, la dispositio e l’actio ciceroniana, e attraverso la voce stentorea il fascino modulato della parola
nell’epoca in cui nasceva la televisione e le folle correvano in massa a sentire gli “oratores” perché la giovane
Democrazia era allora una cosa viva e incandescente.
Ad ogni applauso cresceva un diapason rossiniano come
onde sempre più fragorose sulla scogliera, e mentre applaudivo anch’io tra uno sventolio di bandiere rosse nel
momento in cui parlava della Chiesa e del Concilio, dalle
spalle mi arrivò un brutale ceffone e un calcio nel sedere. Era un dirigente dell’Azione Cattolica mandato da
Don Paolo Orrù che mi trascinò nell’Oratorio per la
pubblica reprimenda. Da allora divenni uno scismatico
e feci parte per me stesso. L’Orator morì qualche anno
dopo per epatite fulminante a cinquant’anni appena,
durante una campagna elettorale in Sicilia, e fu un lutto
e uno stupore generale. Quando venni a sapere la notizia mi rattristai anche se capii più tardi la postuma grandezza. Il caso volle che nascesse in Sardegna e che morisse in Sicilia a Catania, nella terra di Salvatore Giuliano
e di Portella delle Ginestre, le due patrie per la cui Autonomia Speciale si era battuto, ma che faranno pessimo uso del loro privilegio.
Non licet magnis componere parva, ma Willy Brandt
fece scrivere come epitaffio “ho fatto quello che ho potuto”. Renzo Laconi fece più di quello che avrebbe potuto e morì come morirà il suo “compagno” Enrico Berlinguer nel campo di battaglia per la Democrazia, per la
Libertà, per il Lavoro e per la Pacem in Terris.
Il sindaco di Sant’Antioco, suo paese natale, e di Cagliari, Massimo Zedda, gli vorranno dedicare almeno
una strada o una piazza cittadina, e Pigliaru e Renato
Soru almeno un giorno solenne in Consiglio Regionale
per ricordare a tutto il popolo sardo chi siamo, da dove
veniamo e dove andiamo? E per ricordare quale patrimonio di uomini, di idee e di Storia nel bene e nel male
nel Novececento “l’autonomo” Popolo Sardo ha dato al
Popolo Italiano!Temporibus nostris nei confronti di temporibus illis non guasterebbe una giornata di resipiscenza e di reminiscenza.
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1 aprile 2016
GUSPINI. PROMOSSO
DALL’ASSOCIAZIONE
“IL
19
MERCATINO DEI SOGNI”
Nasce lo sportello gratuito
per le donne affette da endometriosi
Nasce a Guspini “Mondo Endo”, primo sportello d’ascolto
gratuito rivolto a tutte le donne affette da endometriosi: offerto in chiave totalmente gratuita dall’associazione culturale di promozione sociale “Il mercatino dei sogni”, il servizio
è primo nel suo genere all’interno della provincia del Medio
Campidano. A dare notizia dell’apertura dello sportello, ispirata dalle attività svolte dai volontari di “Sandalia Solidale”
di Assemini, è la presidente del Mercatino dei Sogni Giovanna Maria Tomasi, nel corso del convegno sull’endometriosi
tenutosi venerdì 4 marzo in aula consiliare. « Spesso questo
male è motivo di vergogna per quante sono costrette a conviverci: di qui, l’omertà dilagante che caratterizza le vite di tante
donne, spesso lasciate sole a fronteggiare una malattia fortemente invalidante. Se avete bisogno, non abbiate paura di dar
voce al vostro dolore. Ci trovate al civico 1 di via Togliatti,
nei locali della ex scuola materna Rodari». Ad accompagnare “Mondo Endo” nel suo nuovo, importante ruolo all’inter-
no della comunità, la psicologa Alice Bandino:
«Sensibilizzare la popolazione alla patologia è fondamentale: come spesso accade quando si parla di problematiche che
investono la sfera sessuale, le donne appaiono restie a chiedere un aiuto specialistico e lasciano correre. Ma a essere
coinvolta è in realtà l’intera rete familiare ed amicale che le
circonda, e che soffre in misura non minore della loro difficile situazione psicologica ». Ulteriore e prezioso contributo
alla discussione è poi giunto da parte del giovane medico
ginecologo Mariagrazia Perseu, che ha illustrato la patologia soffermandosi sulle attuali forme di intervento più utilizzate per cercare di arginare i danni dell’endometriosi, ricordando che a causa delle diagnosi tardive (dai 7 ai 10 anni
in media), spesso il percorso di cura è tortuoso e incerto nonostante i sintomi prodromici siano presenti sin dall’adolescenza. Al convegno del 4 marzo, opportunamente rappresentata da Rita Lecis, c’era anche “Sandalia Solidale”, pio-
niere in Sardegna dell’aiuto alle donne colpite dalla patologia, che ha ribadito la necessità di sostegno da parte delle
istituzioni per la creazione del registro nazionale
sull’endometriosi, strumento di conoscenza dell’incidenza del
male nell’isola. « È una soddisfazione vedere in che modo
un semplice gesto possa aprire uno spiraglio di speranza per
tante donne - conclude Giovanna Maria Tomasi - ma ancor
più assistere alla loro lenta, ma progressiva rinascita: non siamo fatte per soffrire, ma per risplendere ».
Francesca Virdis
Serramanna: il cimitero,
un monumento da visitare
Non sarà grande ed importante come quello monumentale di
Bonaria a Cagliari, però, anche a Serramanna, il cimitero è
un monumento di grande importanza storica ed artistica e
merita di essere visitato e ammirato, non con il pensiero che è
il luogo nel quale sono ospitati i resti di persone defunte, ma
con occhi pronti a cogliere gli affascinanti particolari di vere
e proprie opere d’arte realizzate da scultori che, nei loro lavori, hanno messo parte del loro cuore.
La sua costruzione risale alla seconda metà del XIX Secolo,
quando le sepolture all’interno dei centri abitati vennero vietate e Su Gimitoriu, che si trovava accanto alla Chiesa di San
Leonardo, non si poté più utilizzare.
Nel corso degli anni, furono molte le persone che non si
accontentarono di far realizzare per i loro cari semplici
tombe a stele, ma scelsero di far erigere come ultima dimora tombe monumentali con statue e incisioni, a perenne ricordo di chi non era più in vita. Nella tomba della
famiglia Vargiu, la scultura di una ragazza distesa su dei
fiori, con le braccia allargate è forse quella che colpisce
maggiormente il visitatore: chi ha realizzato l’opera, è riu-
PABILLONIS
scito a rendere quella
giovinezza, portata
via troppo
presto, immortale.
Nel viale
d’ingresso e nelle zone ai suoi lati, sono numerosi i monumenti che attirano lo sguardo. Purtroppo molte incisioni state rese illeggibili dal tempo, ma, nel poco che ancora si riesce a decifrare, appare evidente l’amore e la sofferenza di chi ha commissionato agli scultori quelle ultime parole di saluto.
La cappella, costruita alla fine del 1800, meriterebbe di
essere visitata e ammirata, ma è veramente raro trovarla
aperta. Al suo interno, c’è ancora il pavimento originale
in mattoni cotti e l’altare di marmo che ospita degli antichi candelabri di legno. In una parete, incisi su targhette
in ferro, ci sono i nomi dei serramannesi che, morti nella
ARBUS
Grande Guerra, non sono più tornati a casa. Sotto, nella
cripta, sono custodite ancora le ossa che, nonostante il
lungo tempo trascorso, rifiutano di tornare ad essere polvere. Mariti, figli, fratelli, mamme, mogli. Persone che
non sono più fra noi. Persone che spesso non hanno più
portato loro un fiore perché anche chi li amava ha lasciato
questo mondo. Persone che, nonostante tante vite siano
iniziate e finite dopo le loro, all’ombra dei monumenti
che le ricordano e degli alti cipressi che le proteggono,
silenziose si fanno ammirare, come se fossero andate via
soltanto ieri.
Francesca Murgia
VILLAMAR
Addobbi e ricami per
Grande successo per la vendita
“Aspettando Sant’Antonio”
delle gardenie dell’AISM
Consulta giovanile
È stata istituita anche a Pabillonis la Consulta giovanile. Alla
presenza del sindaco Riccardo Sanna, degli assessori Marco
Sanna e del vicesindaco Graziella Gambella è avvenuto l’insediamento ufficiale. Con l’approvazione dello statuto da parte
del consiglio comunale si è concluso l’iter burocratico e
concretizzato l’impegno di alcuni giovani che da tempo si
occupavano di problematiche inerenti questa fascia di età. Lo
statuto, illustrato nell’assemblea dall’assessore alle Politiche
Giovanili Marco Sanna e votato all’unanimità da tutti i consiglieri, si compone di 23 articoli. «La Consulta, costituita da
giovani di età compresa tra 15 e 30 anni, è un importante
organo consultivo, la sua funzione è quella di farsi portavoce, presso le istituzioni amministrative, delle problematiche
dei giovani, ma anche delle loro opinioni o proposte», spiega l’assessore. Fanno parte del direttivo della Consulta Stefania Collu presidente, Andrea Frau vice, Andrea Sanna tesoriere e Daniel Pintori consigliere.
Dario Frau
Durante il weekend del 9 e 10 aprile, in località
“Genna e Frongia” ad Arbus, prenderà il via la
quinta edizione della rassegna “Aspettando Sant’Antonio” con la valorizzazione degli addobbi
e dei ricami e la seconda Fiera dell’artigianato
artistico. Laboratori, degustazioni, esposizioni di
prodotti locali, artigianali e artistici saranno protagonisti della manifestazione che valorizza le
tradizioni del territorio. Dalle 15.30 di sabato e
dalle 10 di domenica, “maestri nell’arte” condurranno lavorazioni artigianali per la realizzazione di fiori di carta e organza, dei gigli di Sant’Antonio e dei pom pom di lana, delle rose di
porcellana, degli arazzi, dei tappeti, dei pizzi in
macramè e tombolo, dei ricami a mano e dei cestini con l’intreccio di materiali naturali (“is
scattedusu”) e quelli della lavorazione di giunco
e fieno (“crobisi” e “corbule”). Sono previsti inoltre laboratori per la realizzazione e decorazione
de “is pistoccheddus de cappa” e per l’intaglio
di frutta e verdura, che si terranno rispettivamente
sabato e domenica dalle 16.30 alle 18.30. Entrambi i pomeriggi si svolgeranno laboratori creativi anche per bambini. Tra i prodotti locali è
attesa “la Raviolata”, degustazione dei ravioli di
ricotta locale e semola di grano duro. La giornata domenicale sarà accompagnata dalla musica
dei suonatori di launeddas.
Marisa Putzolu
Si è svolta nelle giornate del 5, 6 e 8 marzo, in diverse postazioni del paese, la vendita delle gardenie per la ricerca sulla sclerosi multipla. L’appuntamento, che si rinnova a Villamar da diversi anni, ha come
obiettivo quello di raccogliere dei fondi
per l’AISM, l’associazione nazionale di
ricerca per la quale Tiziana Cau svolge il
ruolo di responsabile della zona. «Ringrazio di cuore tutti i villamaresi - dichiara
la stessa Tiziana Cau - per la solidarietà
mostrata, la stessa che, da quando abbiamo intrapreso quest’iniziativa, non è mai
venuta meno ed anzi è cresciuta con gli
anni. Mio figlio Lorenzo ha scoperto di
essere affetto da questa malattia qualche
anno fa e la sua vita è inevitabilmente
cambiata. Attualmente esistono soltanto
delle terapie sulla sclerosi, ma non una
cura vera e propria. Mi sono messa in gioco in prima linea perché voglio
che si trovi un farmaco che possa un giorno debellare questa malattia.
Non perdo la speranza: quello che oggi sembra improbabile, magari domani potrà essere possibile. Confido molto nella ricerca scientifica. Chi
vuole può fare delle donazioni tutto l’anno, non soltanto con l’acquisto
delle gardenie o delle mele, quest’ultimo è l’altro appuntamento fisso
che si svolge però in ottobre».
Chi volesse avere informazioni sull’associazione può contattare la sezione regionale dell’AISM al numero 070 27869 o scrivere una e-mail all’indirizzo [email protected].(s. m.)
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1 aprile 2016
Su sadru chi seus pedrendu
Fabas
S’
omini, a botas, sen’e nesci, põit impari tòtu e nudda: su grãu a is peis de monti cun
sa pedrischedda in susu in susu, in punta. Antonicu Nieddu, candu fut nascia sa
segunda filla, a tretu de set’annus de sa prima, dd’iant postu de nomini Vera, poita sciant
ca no nd’iat’ai arribau atrus de fillus, cument’iant nau is datoris, po ua mobadìa maba chi
iat passau Doloreta, sa pobidda.
Sigumenti fiant tropu cuntentus
de custu nascimentu, a crèpu de
is datoris, e poita sa pipia fiat
bella che u frori, cuntentus e
prexaus dd’iant tzerriada aici,
poita ca sa nova fut beridadi
bera! Ma, po crupa de sa
sorrixedda prus manna, e di essi
nascia su primu de Abribi, dì de
contai
fabas,
dd’iant
annominigiàda: Fabas! De nomini Vera e de nominigiu Fabas,
ita fait s’omini strollicu.
Ma andeus a passu a passu.
Apustis dus annus de su
nascimentu de Giustina, sa prima filla, Doloreta fiat arruta mobadia. Antonicu iat cicàu
datoris e flebotumus, tòtus ddi narànt ca fut ua mobadìa sen’e spicatziõi, poita ca parrìat
ua cosa ma podìat essi uantra, po dda fai crutza: fut u nùu mau a scapiài. Dd’iant fatu po
finzas sa mexía de s’ogu liàu, ma no fiat pigàda de ogu; s’afumentu, ma no fut atzicàda;
su scinitzu mau chi tenìat in totu sa pressona, sighìat a ddi ‘onai gana màba onnia dì.
Mexías de onnia arratza e cabori, nudda! Is pregadorìas a is santus non si contànt, ma
nudda; brebus e nudda. Finas a candu Antonicu no iat intendiu fueddai de unu bravu e
capassu professori chi fiat in zitadi, ddoi fut andau. Issu iat bisitau béi béi Doloreta e iat
nau: «Custa mobadìa s’at fai trumentai po nd’agatai su cabudu, ma si teneis passienzia e
fidi, eis a bì ca cun is mexías chi si ‘onu deu, imbentadas de mimi e de fradi miu potacariu
e, cun s’agiudu de Deus, su cabudu dd’eus agatai!»
In tempus de ses mesis Doloreta iat cumentzau a bivi prus serena. Imou ddi ‘onat
penzamentu sa filla chi fiat acant’e fai ses annus: iat’essi poita ca no dd’iat potzia sighì
cument’iat’ai ofiu, po crupa de sa mobadìa, o arribelliõi de sa pipia contras a sa mama,
bai e cica poita ma custa pipiedda fut frabancia! Ndi sconcàt a donnia momentu e cuncunu
dda credìat puru. Su prim’annu de scolla fut abarrada tres disi cuada cun s’amighixedda
sen’e ddoi andai e, a sa torrada a scolla, candu sa mésta dd’iat pregontau s’arrexõi, iat
arrespostu ca sa mama, ca fut sanàda de sa mobadìa, iat tentu u pipieddu. Augurius de
pat’e tòtus e imprassus de is cumpangeddus. Biendu ca dd’iant cretia, a merì fut andada
a dom’e s’aiaia, de sa padrina, de ua zia,
a tòtus iat potau sa nova, e tòtus dd’iant
fatu is sa strías. Giustina, mai nomini
fut prus isbagliàu, biendu ca dda
credìant onnia ‘ntantu ndi imbentat una.
Uantr’ota iat conzillau ua cumpangedda
a dd’acumpangiai a scolla. Fiat intrada
in sa crassi prangendu ,sa mésta dd’iat
pedìu ita fut sutzediu «Est mòta aiaia»
iat arrespostu, issa trista e afrigida iat
nau a cudd’atra pipiedda de
dd’acumpangiài, e andadas si ndi fiant,
cuntentas de uantra dì de baganzia
furàda. Pàssat tempus e ua dì sa mama
dd’iat mandada a comporài u chillu de petz’e procu, candu fiat torrada a domu, sa mama
no ddoi fut, insà iat postu sa petza in d’u pratu, dd’iat crobèta cun d’ua tiallora, e fut
andada a dom’e sa padrina «Léda padrina m’at mandau mama a ddi potai custa mandada
poita ca eus mòtu su procu.» Issa iat buidau su pratu e dd’iat fatu is sa strías prexada
sen’e penzai ca no fut tempus de bocì su procu. Torrada a domu a sa mama iat contau ca
u piciocheddu dd’iat cabussada a cropus e nde dd’iat furau su ‘inai. Prus a tradu fut
andada issa a comporài sa petza, su crannatzeri dd’iat nau: «Balla! Oi prangiu mannu, eis
cumbidàu genti mèda a prandi? Primas est benìa filla tua puru a ndi comporai…» Issa fut
abarrada mot’e frida, penzendu ca de custa filla no ndi ‘ogat supa.
Apustis u annixeddu fut nascia Vera, su primu de Abribi, sa dì de contai fabas. Dolorèta
mandat Giustina a potai sa nova a is parentis. «Ascuta Giustina - dd’iat nau s’aiaia - deu
seu bècia, no seu tonta: oi est dì de contai fabas, fai ua cosa torra crasi.» «Bella mia dd’iat nau sa padrina - apustis tanti fabas chi m’as contau, penzas chi ti creta propriu oi
ca est sa dì giusta?» «Nàra Giustina - iat arrespostu sa zia - ancora no dd’acabas de
sconcai fabas, penzas chi ti créta propriu oi?» Sa dì Giustina iat provau it’oit nai a no essi
cretia narendu sa beridadi. Nemus fut andau a domu ‘insòru a bì is pipieddus moddis. A
scurigadroxu Antonicu fut andau a dom’e sa sroga a pedì cosa prezisa e iat scrobètu poita
nisciunus fut andau a bì sa pipia noba: no iant cretiu a Giustina. E cus spricau s’arrexõi
de su nomini Vera donàu a sa pipia apenas nascia, cun s’aciunta de su nominigiu: Fabas!
Giustina prangìat in d’u furrungõi, ca no dd’iat cretia nemus, «Filla mia - dd’iat consobada
sa mama - custu sutzedit a chi contat fabas a onnia momentu, arregodadì ca tocat a nai
sempiri sa beridadi!» «Ma deu apu nau sa beridadi.» «Ma fiat sa dì sbagliada e totus ti
connoscint cument’e frabancia!» «Promitu ca no torr’a nai prus fabas in vida mia.» «Brava!
eus a bì.» A is dus mesis de sa pipia si fiant acataus ca Vera potat sa buca màba, «Cust’est
su frori biancu o giunchigliu - iat nau s’aiaia - tocat, po sanai, a dda fai abidai de ua
femia nascia apustis sa mòti de su babu.» «E cumenti dd’agataus una aici?» iat pedìu
Doloreta. «Lassa fai a mimi - iat arrespostu sa mama - domandu a gomai, issa scit e
connoscit onnia serchetu.» Tenìat arrexõi, inditada de sa gomai iant agatau sa femia giusta chi, fut andada a domu insòru, iat abidau sa pipia e, fessat po cussu o poita ca s’aiaiu,
in su mentris, ddi frigàt sa ‘uca cun mebi, fatu si stait ca sa pipia ndi fut sanàda. Giustina
iat cumprendiu, crescendu, ca a contai fabas si pedrit sempiri, poita ca béint scrobetas,
iat scrementau e no naràt fabas mancu su primu de Abribi, ca si podìat fai.
A si ‘ntendi mellus. tziu Arremundicu.
Scracàlius
di Gigi Tatti
Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu, custus
“scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus lègius chi seus
passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai scaresci calincunu
pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt innoi. Sciu puru, ca
cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius, ma apu circau de poni
scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu pagheddu de aqua lìmpia.
Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus ligi imparat prus a lestru a
ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de prus.
Tziu Nicodemu est che su dotori
Su dotori: Ita dd’est sucèdiu? Est totu unfrau.
Tziu Nicodemu: Seu beniu po cussu. Poita m’ant puntu cincu espis.
Su dotori: Insaras setzassidda ca ddi fatzu una puntura.
Tziu Nicodemu: Puntura? Un atra?
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Tziu Angelinu at tzerriau su nebodi Marieddu
Tziu Angelinu: Marieddu, Si andas in farmacia a mi comporau una scàtula de Viagra, nonnu
t’arregallat binti eurus e ti ddus pongu asuta de su coscinu.
Marieddu: Certu nonnu, curru luegus.
...DOPO DUE GIORNI
Tziu Angelinu: Insandus Marieddu, ddus as agataus is binti eurus asuta de su coscinu?
Marieddu: Nossi nonnu.
Tziu Angelinu: Comenti nossi?
Marieddu: Nossi nonnu, poita de eurus, ndd’apu agatau coranta inveci de binti.
Tziu Angelinu: Comenti coranta? Deu ti nd’apu postu binti.
Marieddu: Sissi! Ma apu biu a nonna aciungencinci atru binti!
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Pieru incontrat s’amigu Sandru
Pieru: Saludi, e insaras ita novas? Apu intèndiu ca ti ses lassau cun sa picioca. Ita cosa?
Sandru: Mi ndi seu acatau ca fiat tropu lègia, peus de sa tua..
Pieru: Nudda est! Deu d’apu lassada, poita candu andaiaus in giru, sa genti ci giràt sa faci po
no dda castiai.
Sandru: Custu est nudda. Tui pensa ca a sa picioca mia est su sprigu chi si giràt po no dda biri!
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Armanda cun sa gomai Sofia
Sofia: Apu intèndiu ca sroga tua s’est trasferia a bivi in domu tua.
Armanda: No mi dd’arregordis. Seu amachiendumì.
Sofia: Poita si comportat mali?
Armanda: No, ma fueddat tropu. No si citit mai. Tui pensa ca tra unu fueddu e s’atru, no nci
stait mancu una vìrgola!
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Francesca cun s’amiga Gesuina
Gesuina: Insaras nanca a tui puru est arribada sa menopàusa.
Francesca: Eja. Est giai unu mesi chi seu intrada in menopausa.
Gesuina: E comenti andat? Ti creat problemas?
Francesca: A mei no. Ma pobiddu miu candu si crocaus est meda scociau.
Gesuina: E poita?
Francesca: Poita seu sempri una borta a gana de coberri e una borta a gana de scoberri e ddi
donat fastìdiu.
Francesca: Cali fastìdiu?
Gesuina: Poita a cussu dd’iat a praxi non a scoberri, ma a coberri!
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Tzia Assunta est fuedendi cun su dotori
Tzia Assunta: M’intendu tropu mali.
Su dotori: Ita dda fait stai mali?
Tzia Assunta: Pensu de essi un’atra persona.
Su dotori: Custus funti is sintòmus clàssicus de una dòpia personalidadi.
Tzia Assunta: Ita bolit nai? Seu gravi? Visitimì a fatzamì sanai
Su dotori: Narit “trentatre”
Tzia Assunta: Ma deu ca nanca seu dòpia? Potzu nai sessantasesi?
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Tzia Margherita est cun su nebodi Marieddu
Marieddu: Nonna est berus ca si andu cun dd’unu tzopu bessu tzopu deu puru?
Tzia Margherita: Non est berus. Oghinò deu ca bessu cun nonnu tuu, depia essi giai bessia
maca!
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Duus topis s’incontrant
Su primu topi: Saludi, comenti stais?
Su segundu topi: Beni. E nara, comenti stait fillu tuu?
Su primu topi: Tropu beni, traballat in dd’unu casifìciu. E fillu tuu ita fait?
Su segundu topi: Ah, issu ge stait beni est in America. Traballat in su campu de s’informatica
cun is Computer.
Su primu topi: Bellu. E de ita si ocupat cun is computer?
Su segundu topi: Fait su mouse!
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Duus cassadoris Francu e Gigettu funt fueddendi de is canis insoru
Gigettu: Balla, su cani miu est tropu bravu e traballanti.
Francu: Su miu puru e bravu ma est tropu mandroni.
Gigettu: Poita?
Francu: Poita, candu depeus andai a cassa, inveci de mi ndi portai su guintzàliu, mindi portat
is crais de sa màchina!
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Sa maista est curregendi is còmpitus de Marieddu
Sa maista: Ma o Marieddu, ma si podit sciri poita scriis is còmpitus a caligrafia aici pitica?
Marieddu: Ddu fatzu a posta. Aici is sbàlius si bint prus pagu!
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1 aprile 2016
LA SARDEGNA NEL CUORE
21
di Sergio Portas
Quest’estate al mare sulle nostre spiagge
ci saranno i colori, i giochi e le risate
dei bambini giapponesi di Fukushima
S
criveva Elémire Zolla sul numero 128 di “Paragone”,
agosto del 1960 una vita fa, a proposito di Mellville e
della sua celebre balena bianca: “La natura in antico
veniva riverita, oggi viene aggredita senza ritegni, ogni traccia di divinità, cioè di inconoscibilità è in essa sparita...Quale
il metodo seguito da Ahab per dominare la natura? Egli deve
sottrarle la sua qualità essenziale, l’imprevedibilità...L’arma
dello scienziato e tecnico moderno è il concetto di probabilità e di media statistica”.
E allora tu tiri su un muro alto sei metri davanti a una centrale nucleare costruita incautamente vicino al mare, statisticamente su quelle spiagge onde di così elevata altezza
non se ne sono mai viste, ma il terremoto che si sviluppa,
che pure è a cento chilometri di distanza è del più alto grado
delle scale che li misurano di sempre, l’onda di “tsunami”
che si sprigiona spazza via 400 chilometri di costa, in alcuni
punti è alta 40 metri, a Fukushima arriva “solo” ai quattordici: è disastro nucleare. Cinque anni fa, l’11 di marzo.
A giugno in Italia un referendum abrogativo fece naufragare il tentativo dell’allora governo Berlusconi di riaprire nel
nostro paese il capitolo dell’energia nucleare. In Sardegna
pochi mesi prima, in un referendum consultivo voluto da
Sardigna Natzione, la stragrande maggioranza della popolazione aveva detto no al nucleare nell’isola (votanti 60%,
no al nucleare 99,24%). Ed è dall’anno dopo che l’associazione italo-giapponese “Orto dei sogni” ha l’ambizione di
coltivare quelli dei bambini di Fukushima in Italia. Più
specificatamente in Sardegna, in grazia del fatto che uno dei
cinque soci fondatori l’associazione Claudio Carta è di Riola
Sardo, sul loro sito internet ne viene tracciato un profilo sintetico: “Presidente della cooperativa Carta, per 16 anni ha
svolto la sua attività tra Cina e Italia nel settore tessile e
dell’abbigliamento. Attualmente in Sardegna, sua terra d’origine, ha avviato un progetto di recupero ambientale e turistico attraverso lo sviluppo di coltivazioni biologiche e di
energie sostenibili”. È sposato con una giapponese, socia
fondatrice come ovvio, Kayo Tokunaga, nel nostro paese
dal 2001, giornalista nel settore del life style/design. Una
figlia: Sara, beata lei che parla correttamente giapponese e
italiano e sardo e inglese, così quasi per gioco.
A giocare vengono portati una quindicina di bimbi giapponesi opportunamente selezionati, otto-dieci anni, particolarmente esposti alle radiazioni, in quel di Marrubiu, l’anno
passato erano in località Sant’Anna, nella casa parrocchiale
della chiesa, ambiente pieno di verde, campo da basket e di
calcio. A un tiro di schioppo da Is Bangius che fu, ai tempi
di Caracalla imperatore (200 d.C.), “Pretorium” romano per
chi, da Karalis, andava verso Forum Traiani (Fordongianus)
e più su verso Turris Libisonis (Olbia): c’erano terme con pavimenti a mosaico, e ampie strutture di cui si possono ammirare le rovine, da qui un pregevole museo che il sindaco Andrea
Santucciu sta opportunamente molto valorizzando.
La scommessa, finora sempre vinta, consiste nel far vivere,
per un mese, nel modo più naturale possibile, un gruppo di
bambini che, nel loro paese, in modo naturale non vivono proprio per niente, a cinque anni dal “disastro”, dal “sotagai”,
l’inimmaginabile, l’imprevedibile, in giapponese. Come stiano le cose da loro lo mostra un documentario che l’”Orto dei
sogni” proietta a Milano in Galleria Vittorio Emanuele, sponsor il Comune che pure aiuta il progetto dell’associazione.
Morimi Kobaiashi, la presidentessa, dice di una drammatica
situazione, di crescenti numeri di tumori infantili alla tiroide:
115 su 385.000 bimbi esposti alle radiazioni, 299 per milione
in tutto il Giappone, in Italia sono 2,9 per milione. Dice giustamente che, di fronte a queste cifre, non bisogna chiudere gli
occhi né il cuore. Sarà che la regista Hitomi Kamanaka preferisce far parlare mamme piuttosto che i padri, sono comunque
loro le grandi protagoniste, anche perché i bambini li tirano su
loro, le vedi comunque scavare la terra contaminata (almeno
tre centimetri di terreno) sulla strada che porta alla scuola,
misurare col contatore Geiger i millisievert e i bequerel che
svelano la radioattività del riso o dei pesci, dell’erba in giardino.
Farne sacchi di quest’erba contaminata, ve ne sono a milioni
attorno a Fukushima, con le tonnellate d’acqua radioattiva
stivate in contenitori d’acciaio sono l’eredità che questa generazione di giapponesi lascerà alle generazioni future per i prossimi trecento anni, almeno. Il cesio 137 ci mette 35 anni a dimezzare la sua emissione di radiazioni beta e non finisce di
essere nocivo, ma il vero problema è costituito dalle barre di
uranio ancora presenti all’interno dei quattro reattori disastrati.
A tutt’oggi neppure i robot sono in grado di avvicinarsi al nucleo di queste strutture, smettono di funzionare. Quindi nessuno sa veramente se l’uranio abbia o no fuso il contenitore di
acciaio che lo conteneva e se ne stia andando sotto terra, tremila gradi di temperatura, dove inesorabilmente incontrerà la
falda acquifera.
La verità è che senza una provvidenziale valvola che è saltata
e ha permesso alla piscina d’acqua di mare di tracimare sulle
barre d’uranio del reattore numero quattro, pericolosamente
esposte all’aria, raffreddando il sistema e scongiurando l’emissione di radiazioni in modo incontrollato, si sarebbe dovuta
evacuare la popolazione della grande Tokio, qualcosa come 50
milioni di abitanti. Intorno a Fukushima ne sono stati allontanati 160.000, i più vivono in case-container. Lo tsunami ne ha
uccisi 16.000, e 5000 sono dichiarati “dispersi”.
Claudio Carta, presidente della cooperativa Orto dei sogni
I bimbi che arrivano in Sardegna possono finalmente fare,
per un mese, quello che fanno i bimbi sardi: giocare a pallone, andare scalzi sull’erba (come punge!), coltivare un
orto, mangiare malloreddus e seadas, andare al mare a
Torregrande. Con loro anche un gruppo di volontari, cinque l’anno scorso, quattro quest’anno, che aiuteranno quelli
dell’associazione, sono studenti universitari che studiano
la lingua giapponese presso il dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Cà Foscari
di Venezia. Il gruppo dei piccoli giapponesi è come fosse
“adottato” dalla comunità di Marrubiu, le partite di pallone
si svolgono fra loro e i coetanei della zona della “Nuova
Terralba calcio”. Latte e latticini vengono da Arborea, c’è
chi dà carne e chi frutta che non conosce trattamenti chimici di sorta (Biomura). I muggini per la grigliata vengono da
Cabras, dalla “Nuovo consorzio cooperative Pontis”. Al
mercato capita di assaggiare pecorino e prosciutto di cinghiale. Dolci sontuosi.
E i valori di radioattività delle urine si dimezzano dopo un
mese di Sardegna. Gli episodi di epistassi (sangue dal naso)
frequenti in almeno la metà di loro si riducono quasi a zero.
Subito dopo l’arrivo iniziano gli esami del sangue dei bambini. È un servizio sanitario a titolo gratuito grazie al supporto dell’Asl locale. Una volta alla settimana il laboratorio di danza, con maestra Cristina. Nella serata aperitivo
organizzata per i sostenitori locali sono stati serviti piatti
tipici giapponesi cucinati con cura particolare da Tomoko,
la capo-cuoca di Casa Orto (da Osaka dove aveva un ristorante si è trasferita a Oristano dal 2007, scrive anche libri
di ricette sarde in giapponese). Le bimbe con il kimono
estivo di cotone dai mille fiori colorati, i maschi con quello
rigorosamente scuro.
Se questa estate nelle spiagge del Sinis sentite risa e urla di
gioia in un dialetto che non è quello di Guspini o di
Berchidda non c’è da stupirsi più di tanto: sono i bambini
giapponesi di Fukushima.