12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano
Transcript
12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano
PDF Compressor Pro 12 1 aprile 2016 San Gavino. Caseificio Girau Formaggio caprino, fatturato da record U n fatturato da record e un boom delle produzioni da latte caprino per il caseificio di San Gavino che, dopo i primi due anni di affitto, è stato acquistato dalla società Tre A di Arborea pur conservando il marchio delle ‘Fattorie Girau’. I numeri sono in continua crescita e l’azienda di Arborea è diventata leader nazionale nel settore della produzione e lavorazione del latte caprino che si aggiunge a quella dei formaggi ovini. I NUMERI Nel 2015 sono stati conferiti nello stabilimento di San Gavino, completamente rimodernato, cinque milioni di litri di latte con aumento del trenta per cento rispetto all’anno precedente: tutti i produttori sono sardi a partire da quelli del Medio Campidano. Il fatturato è in continua ascesa ed è passato in tre anni da 3,6 a 5,2 milioni di euro. ESPORTAZIONI DA RECORD I formaggi ovini e caprini prodotti a San Gavino vengono esportati in Italia con il marchio storico ‘Girau’ in importanti catene commerciali, ma non solo, perché i prodotti di San Gavino arrivano anche in Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Austria, Inghilterra, Po- lonia, Svizzera, Slovenia, Croazia, Armenia e Georgia ed ora l’azienda guarda con attenzione al mercato asiatico. Secondo i dati Nielsen, fattorie Girau rappresenta il 16,2% del volume dell’intero mercato nazionale e il 38,2% di quello sardo. La produzione è distribuita su un centinaio di allevamenti sparsi in tutta la Sardegna. Il numero più alto è nel Monteacuto (39 aziende), seguono Gallura (17), Sarcidano e Marmilla (11), Supramonte (10), Anglona (8), Marghine e Planargia (6), Nurra (5) e Ogliastra (1). I capi sono circa 11 mila, il 60% di razza Saanen, il 20% Murciana Granadina, il 12% Misto terra e l’8% Alpina. Per quanto riguarda il mercato, l’80% della produzione finisce nella penisola, il 17,5% rimane in Sardegna e il resto è destinato all’estero. POSTI DI LAVORO Nel caseificio sono occupate 40 persone a cui si aggiunge tutto l’indotto, come ricorda il direttore della Tre A Francesco Casula: «Compriamo il latte ovino e caprino dagli allevatori della zona e da altri produttori sardi, i nostri pagamenti sono regolari e sono indice della serietà della nostra azienda». NUOVE ASSUNZIONI E di recente nove posti di lavoro a termine sono stati trasformati a tempo indeterminato e i sindacati sono fiduciosi, come sottolinea il segretario territoriale della Flai Cgil Gabriele Virdis: «Non possiamo che essere contenti delle nuove stabilizzazioni di lavoro e speriamo che in futuro ci siano anche nuove assunzioni all’interno della Tre A che ha fatto grandi investimenti nello stabilimento di San Gavino. Con il tramonto dell’industria, il Medio Campidano per il suo rilancio deve ripartire dal settore agricolo e dall’agroalimentare». IL SINDACATO Nel territorio ci sono tantissimi prodotti di eccellenza come il miele, lo zafferano e i carciofi: «Bisogna incentivare - conclude il dinamico sindacalista - i consumi dei prodotti sardi a partire dalle mense scolastiche, dove spesso gli alimenti sono di importazione. Inoltre molti posti di lavoro si potrebbero creare in campo agricolo: bisogna ripartire dalla formazione in questo settore puntando sui giovani, ci sono tanti fondi messi a disposizione dal piano di sviluppo rurale». Gian Luigi Pittau SARDARA. GAL LINAS CAMPIDANO All’interno dell’azienda Agris di Villasor c’è un opificio inattivo da 8 anni L’incompetenza è produttrice di povertà, ma la questione più preoccupate è l’indulgenza delle alte burocrazie, più allineate al servilismo che ai sani suggerimenti verso chi ha responsabilità di governo per rendere produttivi gli investimenti pubblici All’interno dell’immensa azienda dell’ex Consorzio interprovinciale della frutticoltura di Villasor è stata realizzata nell’anno 1990 la Cantina sperimentale al servizio della vitivinicoltura sarda. Sin dalle sue origini, questa struttura con i suoi tecnici, ha cercato di rispondere al compito impegnativo di raccordo con i viticoltori e gli enotecnici per soddisfare il ruolo di polo culturale, tecnico scientifico del comparto. Ben presto la Cantina si è distinta per la produzione dei rossi di alta qualità e subito dopo degli spumanti. Due luminari della viticoltura e dell’enologia, Mario Fregoni e Luciano Usseglio Tomasset, erano di casa al Consorzio della frutticoltura. La spumantizzazione della malvasia nacque alla Cantina sperimentale di Villasor. Per lo stesso motivo molti giovani tecnici crescevano sotto lo sguardo attento degli enotecnici, responsabili della Cantina Marcello Serra prima e di Paolo Cardu dopo. Il Consorzio ha intessuto una fitta rete di rapporti con molte istituzioni accademiche italiane ed europee, riuscendo a qualificarsi a livello internazionale come uno dei poli di eccellenza per la formazione didattica e di ricerca del comparto vitivinicolo. I campi delle piante madri delle viti americane erano un’eccellenza, utilizzata anche da Rauscedo, distrutta dalla volontà demolitrice di persone senza nessuna lungimiranza identitaria. Attualmente si fanno prove sperimentali e micro vinificazioni delle uve ottenute dai vitigni autoctoni, un gran bel lavoro finalizzato alla valorizzazione delle biodiversità isolane ma ben lontano dall’uso produttivo di una struttura costata fior di milioni alla collettività della Sardegna. L’attuale attività sperimentale deriva dall’attenzione rivolta alla viticoltura isolana, in sintonia con le esigenze culturali e professionali ormai orientate verso un modello di sviluppo basato sulla sostenibilità. A distanza di anni la Cantina, che potrebbe occupare dei giovani enotecnici e degli operatori stagionali del territorio massacrato dalla crisi, è ancora lì inutilizzata. Ancora ben curata dentro e fuori è in attesa che i responsabili dell’agricoltura sarda rinsaviscano e la rendano utile anche al servizio dei piccoli viticoltori che intendono preparare e imbottigliare i loro vini. A distanza di 8 anni della chiusura sarebbe giusto conoscere i ben pensanti che hanno suggerito alla politica la chiusura dell’attività vivaistica locale e della Cantina di Villasor che insieme producevano occupazione e lavoro in campagna e un insostituibile servizio alle aziende agricole. Ricchezza che ora viene a mancare. Fulvio Tocco Incontri comunali sulle opportunità di finanziamento Il Gal Linas Campidano ha incontrato i sei comuni associati per discutere di nuove opportunità di finanziamento insieme a cittadini, imprenditori, artigiani, operatori turistici e culturali, associazioni di volontariato e amministratori locali e presentare poi alla Regione un nuovo piano di azione locale per la programmazione 2014-2020. «La precedente programmazione ha ottenuto risultati brillanti - hanno dichiarato il presidente e il direttore del Gal, rispettivamente Antonio Marrocu e Antonello Ennas - con otto milioni di euro sono stati finanziati 150 progetti nei comuni di Arbus, Gonnosfanadiga, Guspini, Pabillonis, Sardara e Villacidro». Sono previste ulteriori assemblee pubbliche prima del prossimo 30 giugno, data di scadenza del bando. (m.p.) PDF Compressor Pro 1 aprile 2016 13 Guspini Nei negozi ricompare il libretto del pagherò «Quanto pago per la pasta, il barattolo di pelati e il latte?». «Quattro euro...». «Me li segni, passo a fine mese». Una conversazione, questa - tra un commerciante e il cliente - che sembrava riposta nei cassetti della memoria, quando l’Italia comprava a credito. Ma che l’attuale crisi ha rispolverato. Così droghieri, panettieri, fruttivendoli, lattai e macellai hanno rimesso sul banco, accanto al registratore di cassa, quel quaderno con scritti nome e cognome del cliente, data e importo dell’acquisto. È quanto accade in tutta la Sardegna e in particolare nel Medio Campidano e a Guspini, dove questo fenomeno rappresenta l’esemplificazione dello scenario di crisi economica che stiamo vivendo. In qualche panificio hanno addirittura tre libretti differenti per registrare i debitori. «Uno è per i clienti che pagano saltuariamente - precisa un panettiere - un secondo per chi salda una volta al mese, l’ultimo per i clienti che regolano i debiti ogni tre o quattro mesi». Anche qui, come in tutti gli esercizi interpellati, il privilegio del pagamento a credito è riservato alla clientela affezionata. «È la nostra arma in più contro i grandi supermercati», conferma il gestore dello spaccio alimentare del centro. Non si tratta solo della rivincita degli alimentari al dettaglio, è uno dei segni quotidiani della crisi che intacca le disponibilità mensili delle famiglie e dei pensionati, le categorie che fruiscono di più di queste agevolazioni. «A volte ci chiedono direttamente di dilazionare i pagamenti - continua il commerciante - altre volte usano delle scuse: la più sentita è ‘guardi, ho dimenticato il portafoglio a casa’». Spesso non si tratta di grandi acquisti. «Lo sa che qui - afferma un esercente - io faccio credito per l’acquisto di mezzo litro di latte?». Un prodotto che costa intorno ai 70 centesimi. E non è raro che poi i debitori non si facciano più vedere. Io sono cresciuto nella miseria - prosegue - e ho 68 anni, ma una crisi così non l’avevo mai vista». Il pagamento a credito, infatti, è un fenomeno che ha ripreso recentemente a essere praticato. La maggior parte degli esercenti conferma che da tre anni si sono decisi a riaprire il quaderno dei crediti perché le famiglie soffrono soprattutto la quarta settimana del mese e chiedono di dilazionare il pagamento fino all’arrivo dello stipendio. «In particolare - precisa un commerciante del quartiere popolare di Guspini, - dal 2013, che è stato un anno micidiale, faccio credito a una ventina di clienti fissi su un totale di 150 acquirenti. Si sta tornando a un passato che credevo dimenticato». Il meccanismo del pagamento a credito è ormai una realtà per i rivenditori al dettaglio. «Succede spesso - conferma un gestore dell’ortofrutta nel mercato rionale - poi ci metta che il costo dei prodotti è aumentato e ottiene un quadro molto brutto: e così ricorriamo al libretto del pagherò». In realtà, i meccanismi dei gestori per la registrazione dei clienti a credito sono differenti. «Io segno debito e debitore sul calendario di un’agenda», «A me basta scriverlo su dei “post-it”», «Io uso il quaderno per tradizione», «Noi scriviamo tutto sullo scontrino che teniamo in cassa e ne diamo una copia al cliente», precisano i diversi gestori. Per quanto il credito sia uno strumento che avvantaggia i negozianti alimentari al dettaglio, i piccoli esercizi sono continuamente falciati dalla mannaia della grande distribuzione. Resistono i panettieri, che vendono ormai moltissimi generi alimentari. Ma soffrono i rivenditori di frutta. «Qui il lavoro è calato del 40%», lamentano i gestori del mercato civico, «ma a un mio cliente farei sempre credito», com- Siddi menta un fruttivendolo. Nel commercio locale sono drasticamente diminuiti anche i salumieri, che ormai confluiscono nelle macellerie. «Ora si paga spesso con le carte di credito - afferma il titolare della macelleria di via Gramsci a Guspini». Nella macelleria non si accettano strumenti di pagamento elettronico. «Lo scriva - afferma uno dei gestori noi non li usiamo per non far guadagnare le banche: per questo preferiamo fare credito ai clienti fidati». Un altro macellaio di un quartiere rionale afferma: «Io non faccio credito perché poi nessuno paga, piuttosto la carne la regalo». Ma sulla cattiva congiuntura non si può scherzare. «Faccio credito a buona parte dei miei clienti - conclude la titolare di una rivendita alimentare del rione accanto alla chiesa di Don Bosco - anche per un mese. Ma oggi per esempio non si è presentato chi mi doveva pagare e questo pesa sul bilancio, e se considera poi la grande diffusione dei supermercati che ci hanno portato via anche quei quattro clienti che ci erano rimasti, la situazione è davvero preoccupante». Con la crisi stanno tornando in auge i negozi che vendono i prodotti senza confezione, come negli anni ’70 quando pasta, conserva, zucchero e caffè si compravano a etti ed erano confezionati all’istante con involucri di carta. Si vende senza imballaggi né plastica e con un occhio al “chilometro zero”. Si tratta di negozi dove le merci sono sfuse e l’impatto ambientale è ridotto alla fonte per far risparmiare. Mauro Serra VILLACIDRO Jo Jo e Lele Cau: la scelta di investire sull’apicoltura L’Ifold apre i corsi di Oss Il mercato del miele offre la possibilità di costruirsi un reddito anche in un territorio come la Marmilla, non certo famoso per la sua floridità economica. A darci una prova di quanto ciò sia possibile sono due fratelli di Siddi, Massimiliano ed Emanuele Cau che, dopo aver frequentato un corso di formazione nel settore e investito qualche soldo, gestiscono da quindici anni una piccola azienda di produzione di miele e di prodotti “secondari” quali propoli e pappa reale. «Questo mercato - fa sapere Massimiliano - è una possibilità sulla quale investire con buone probabilità di successo». Eppure nel settore ci sono parecchie difficoltà, su tutte il fatto che in Sardegna arrivano prodotti stranieri non di ottima qualità venduti spesso ad un prezzo decisamente inferiore rispetto a quelli delle imprese locali. «Le difficoltà del mercato continua Massimiliano - le conosciamo; tuttavia la nostra parola d’ordine è stata e sempre sarà quella di puntare su un prodotto di alta qualità». Al di là degli aspetti concorrenziali, esistono poi una serie di problematiche che negli ultimi anni stanno minacciando il settore. A spiegarle è lo stesso Massimiliano: «Nei primi anni del 2000 la media regionale sarda di produzione per alveare era di 40 kg di miele, oggi invece lo stesso dato si assesta intorno ai 14: questo perché l’ultimo decennio è stato caratterizzato da stagioni che hanno condizionato il regolare ciclo delle api. È probabile che questo calo di produzione (di circa due terzi) dipenda in grossa misura anche dall’inquinamento del suolo e dell’aria». Visto il quadro c’è poco da sorridere anche considerando che un tale, dal nome di Albert Einstein, profetizzò che qualora dovessero estinguersi le api, all’essere uma- no non sarebbero rimasti che quattro/ cinque anni di vita soltanto. Lasciando da parte certe previsioni, appare comunque evidente come occorra prestare mag- Massimiliano Cauli giore attenzione al settore apistico dato che la Regione Sardegna in primis non ha mai equiparato la figura dell’apicoltore a quella dell’allevatore o dell’agricoltore. «Nel 2008 spiega a tal proposito Massimiliano Cau - a causa di un’alluvione perdemmo circa 40 alveari. Non ho ricevuto un centesimo per il danno subito e per questo credo che la nostra figura meriti maggior tutela. Nonostante tutto cerchiamo di guardare oltre: negli ultimi anni abbiamo organizzato dei laboratori didattici con bambini e ragazzi in modo da far loro conoscere come dall’allevamento delle api si arriva a produrre il barattolo del miele che giunge sulle nostre tavole. Questi appuntamenti catturano tantissimo l’attenzione dei partecipanti, anche per questo stiamo pian piano acquisendo sempre più contatti per portare avanti quest’attività complementare. Chiunque volesse saperne di più sappia che su Facebook è presente una nostra pagina dal nome “Azienda apistica Jo Jo e Lele Cau”». Simone Muscas Dopo una lunga stasi sembra riavviarsi l’azione regionale sulla formazione. Un settore strategico per affrontare i mutamenti nel mondo del lavoro e favorire la nuova occupazione. In quest’ottica riprende vigore l’Ifold (Istituto Formazione Lavoro Donne) che da oltre un anno ha deciso di aprire una sezione nell’area industriale di Villacidro. Uno sforzo notevole per consentire anche al nostro territorio ed ai giovani in particolare di non perdere le opportunità offerte da Garanzia Giovani per il quale l’Ifold attualmente è impegnata in prima linea.L’apertura di uno sportello consentirà, in affiancamento ai Centri Servizi per l’Impiego, l’iscrizione a Garanzia Giovani, procedimento che può avvenire anche attraverso il sito nazionale www.garanziagiovani.gov.it. L’Ifold, che ha già avviato un corso di formazione mirata con l’Unità Operativa di Villacidro ubicato all’ingresso della Zona Industriale (S.P. n. 61 al Km.4), metterà a disposizione dei giovani e delle imprese un team specializzato nell’orientamento del mercato del lavoro. L’Unità Organizzativa di Villacidro offrirà ai giovani disoccupati ed in cerca di lavoro un luogo di accoglienza, informazione e organizzazione dove i soggetti potenzialmente interessati possono recarsi per conoscere i servizi e le misure offerte. Attualmente l’Ifold è impegnato in varie misure del programma ed in questi giorni è stato autorizzato per lo svolgimento dei corsi per Operatore socio sanitario anche nella sede di Villacidro. Sono state avviate le procedure per l’iscrizione ai corsi aperti ai giovani che abbiano compiuto i 18 anni, assolto all’obbligo scolastico e in possesso di idoneità psicofisica al ruolo. Sono previsti due tipologie di corsi, tutti a pagamento, di 1000 ore e 400 ore per chi dispone di una qualifica del settore. Gli interessati possono rivolgersi direttamente alla sede di Villacidro, il lunedì, mercoledì e venerdì o contattare i numeri 070 5489144, sede di Cagliari, o Villacidro, allo 070 9313032 e 347 2421479, oppure tramite mail: [email protected]. Tarcisio Agus PDF Compressor Pro 14 1 aprile 2016 GUSPINI DOPO TRE ANNI DI ATTIVITÀ CHIUDE IL LABORATORIO VENAS Foto di Simone Zaugg Paola Milano: “Sarò costretta ad emigrare” A veva trasformato l’antica mascalcia al civico 2 di via Roma nella fucina di vezzosi, delicati e profumati gioielli nei quali, all’argento della perfetta tradizione orafa sarda, si univano ora la ruvidezza del sughero di quercia, ora i pigmenti brillanti delle bacche di mirto e ginepro. Laddove un tempo, quando il ferro temprava nella brace, il maniscalco Cesare intonava il ballo sardo con il martello sopra l’incudine, fino a un mese fa Paola Milano, nel silenzio del suo laboratorio, si dedicava a fondere, laminare, ridefinire, tornire, lucidare collane e pendenti. Un sogno durato tre anni e finito lo scorso 28 febbraio, quando la bottega della giovane orafa ha chiuso definitivamente i battenti. «È stata una bella avventura, “Venas”, - commenta l’artigiana di Guspini - che mi ha riempito di soddisfazione e permesso, da autonoma, di sviluppare intraprendenza e forza d’animo. Ma benché l’attività si stesse avviando, il licenziamento di mio marito, operaio a Villacidro, mi ha costretta a mettere in atto una scelta. Con il solo laboratorio non riesco a mantenere la famiglia e ho due figli, di 14 e di 19 anni, a cui pensare. Il piano, ora, è di inviare curricola all’estero e partire. Cerco soltanto un lavoro dignitoso per mantenere la mia famiglia». Nato a ottobre 2012 attraverso il concorso di idee “Europeando”, giungendo secondo nel Medio Campidano e nono nell’intera isola, “Venas” si avvaleva di alcune prerogative tali da rendere l’attività assolutamente unica nel suo genere. «L’innovazione per me è la chiave di tutto. Sono diventata esperta nella cardatura della lana di pecora sarda e nella selezione e valorizzazione di semi e legumi autoctoni, nonché dei profumi della macchia mediterranea, prestando particolare attenzione alle specie in via d’estinzione. Ho imparato a fare uso di questi elementi per la composizione dei miei gioielli, ma è stata la curiosità e l’amore per questa terra a spingermi altrove e permettermi di comparire nella vetrina dell’artigianato artistico della Sardegna». Eppure non si abbatte, Paola Milano, decisa a volare sino in Austria, Germania o Svizzera alla ricerca di un nuovo impie- go. «Sto imparando il tedesco», afferma, indicando con lo sguardo libri e appunti impilati sul tavolo. «Ich bin Paola Milano - espone sorridente - ma non essere come tutti quelli che si spaventano quando prospetto loro il mio piano di partire e mi dicono che sono coraggiosa. Io mollo tutto, il coraggio è di chi resta qui - ricorda l’orafa, un sorriso dolceamaro sul volto - e ogni giorno solleva la serranda, sebbene privo di stimoli e certezze per il futuro, solo perché ha qualcuno da proteggere e a cui assicurare un futuro. Io resterei, ma non ci sono presupposti. Mancano serie iniziative di promozione del territorio, mancano finanziamenti, manca quel dialogo tra amministrazione e piccoli commercianti che non deve necessariamente tradursi in un contributo economico. Ma io - conclude l’artigiana - non sono intenzionata a lasciarmi togliere le mie onestà e dignità. Amo questa terra e lasciarla non sarà facile, ma sento di avere ancora delle cose da fare. Io non mi arrendo». Francesca Virdis BARUMINI Successo al secondo Expo sui Beni Culturali È stato un autentico successo il “Secondo Expo turismo culturale in Sardegna” svoltosi al Centro culturale Giovanni Lilliu di Barumini l’11, 12 e 13 marzo scorso, con migliaia di visitatori. Un ricco programma in cui sono state mostrate le eccellenze del turismo culturale nell’Isola: artigianato, degustazioni, enogastronomia, spettacoli, convegni, siti culturali, workshop e laboratori. La manifestazione ha avuto lo scopo di rilanciare l’economia, e tra l’altro, un’importante occasione di promozione dei principali siti culturali, dei produttori del settore enogastronomico e dell’artigianato artistico dell’intera Sardegna, che sono stati accolti in tremila metri quadrati di stand e spazi espositivi allestiti per l’occasione. Inoltre, c’è stato approfondimento, dibattito con esperti, ricerca e intrattenimento, grazie ai convegni, mostre, degustazioni, rievocazioni storiche, momenti di spettacolo, laboratori didattici dedicati a studenti e pubblico adulto. «Un appuntamento importante per gli espositori e le eccellenze sarde. L’obiettivo è stato anche quello di attirare i turisti, che chiedono qualcosa di diverso otre il mare e le spiagge», spiega il sindaco Emanuele Lilliu. Infatti, ci sono stati tanti incontri tra tour operator e aziende sarde del settore. L’inaugurazione ha avuto inizio col convegno “Verso una destinazione turistica: la Marmilla dal marketing territoriale al web marketing”, poi il seminario “Social Media Marketing per il turismo culturale” a cura dell’Università di Cagliari e Instagramers Sardegna. Infine le tre mostre: Viseras e Cartzas, La quotidianità del mito e L’arte del costume … il costume nell’arte. L’Università cagliaritana ha svolto una conferenza sui “Beni culturali e sapere di massa, il ruolo dell’Università”. Enorme la partecipazione ed entusiasmo al defilè degli abiti di Paolo Modolo e altre importanti sartorie dell’Isola, con la madrina Caterina Murino, e la presentazione dell’antropologo Bachisio Bandinu. Le degustazioni, gratuite per tutta la durata della manifestazione, sono state preparate dall’Istituto Alberghiero Tuveri di Villamar. SERRAMANNA ASSOCIAZIONE CULTURALE L’ultimo giorno dell’Expo, presso il Museo di Casa Zapata, conferimento della cittadinanza onoraria al maestro di launeddas Luigi Lai, e omaggio al famoso archeologo Giovanni Lilliu con la presentazione del catalogo della mostra “L’Isola delle Torri, Giovanni Lilliu e la Sardegna Nuragica” e l’istituzione del Premio Giovanni Lilliu. Particolare attenzione anche alla rievocazione storica a cura dell’Associazione storica medioevale Sardisca di Las Plassas e Falconeria sarda del Giudicato d’Arborea. A chiudere la tre giorni del Secondo Expo del turismo culturale in Sardegna, è stato un concerto del gruppo musicale I Tazenda. L’evento, organizzato dalla Fondazione Barumini Sistema Cultura e dal Comune, rientra nell’ambito delle Manifestazioni pubbliche di grande interesse turistico, promosse e finanziate dalla Regione Sardegna attraverso l’assessorato del Turismo, come momento d’incontro e scambio tra i più variegati settori della cultura e del turismo isolano, al fine di contribuire allo sviluppo del turismo cultura- le e delle aree interne. Un’importante vetrina per la Marmilla, Medio Campidano, e Sardegna intera. Soddisfatti gli organizzatori, espositori e partecipanti, che si danno appuntamento al prossimo anno. Carlo Fadda “IL PUNGOLO” Incontro-dibattito su: “La forza delle donne” Il tema sul valore della donna non si conclude con la giornata celebrativa dell’otto marzo. L’associazione il “Pungolo” organizza un incontro-dibattito aperto al pubblico, in cui si parla dell’universo femminile con cenni storici e nel mondo contemporaneo. Accolti grazie alla disponibilità dell’amministrazione comunale nella sala Montegranatico, a diverso titolo intervengono gli ospiti che portano il proprio punto di vista sul ruolo della donna nei diversi contesti sociali. L’incontro ha inizio con il saluto di don Giuseppe Pes che con un breve intervento ricorda il ruolo della donna nelle difficoltà del passato; molti sacrifici e grande buona volontà delle mamme e della loro abnegazione per i propri figli. Tra gli invitati, Roberto Arba, sulla base del proprio ruolo professionale di insegnante all’estero, propone un contributo sulla difficoltà e sulle contraddizioni del contesto africano nel quale la donna vive la propria vita quotidiana e le poche opportunità di riscossa per una esistenza migliore. Una testimonianza diretta ricca di emozione è stata raccontata da Daniela Tocco che, da veterana della polisportiva atletica serramannese, dopo aver allenato diverse generazioni di giovani, vuole ancora mettersi in gioco e raggiungere nuovi traguardi per sé stessa e per le persone a cui vuol bene. Clara Ligas mette in rilievo il ruolo della donna nella comuni- tà educante e nell’impegno per la formazione dell’uomo, completato da un innato spessore lirico raggiunto nei versi poetici. Nella continuità del pathos affettivo Carla Spano esprime un toccante pensiero di riconoscenza rivolto alla suocera Maria Rosaria Porceddu. Ancora una volta Maria Grazia Cossu e il gruppo, che con lei sostiene l’organizzazione di eventi culturali come questo, riescono a coinvolgere il pubblico e, in questa specifica occasione, ne riconoscono ancora una volta il merito alla forza delle donne. Giovanni Contu PDF Compressor Pro 1 aprile 2016 SERRAMANNA. SCUOLA EVARISTIANA PER L’INFANZIA 15 SARDARA. NUOVO CIRCOLO A spasso nel tempo con “Il trullo Tore e il nuraghe Peppino” Nuovi traguardi per la neoscrittrice di Guspini Ottavia Ruggeri: il suo libro d’esordio “Il trullo Tore e il nuraghe Peppino”, già vincitore a giugno 2015 del prestigioso Concorso Letterario Nazionale “Antonio Grussu”, diventa fulcro del progetto “ A spasso nel Tempo”, a cura della Scuola Evaristiana per l’Infanzia di Serramanna. « L’intento è quello di avvicinare i bambini all’affascinante mondo della preistoria, suscitando in loro la curiosità di conoscere il passato e le proprie origini. Solo suscitando la sete di conoscenza sin da piccoli si potrà sperare di avere adulti consapevoli di quel richiamo “ancestrale” che deve rimanere vivo in ogni essere umano». L’istituto, noto per i progetti all’avanguardia sviluppati nel corso degli anni (con la vincita, non più tardi dello scorso anno, del Concorso nazionale per le scuole bandito dal Ministero dell’Istruzione nell’ambito dell’Expo 2015), ha così accolto l’autrice di Guspini nel corso della mattinata dello scorso 11 marzo. Coinvolte nel progetto, la coordinatrice d’istituto Eliana D’Oca, le operatrici e le insegnanti Stefania, Simona, Silvia e Monica Pittau, l’artista Marina Putzolu, figlia ed erede del grande vignettista Franco Putzolu, conosciuto come “Il Forattini sardo”. «Durante la lettura, Marina affiancava le mie parole traducendole in strepitose il- lustrazioni “in diretta”. In lei ho riconosciuto l’umiltà e la modestia proprio solo di chi è veramente grande. Alla narrazione ha fatto seguito un laboratorio di creazione di nuraghi in miniatura con carta e argilla. L’attività ci ha inoltre dato modo di parlare ai piccoli delle innumerevoli similitudini tra Puglia e Sardegna, a partire dai monumentali colossi di pietra che, con mio grande rammarico - ha aggiunto l’autrice - non sempre sono conosciuti o visitati anche da chi li ha, per così dire, a due passi. Proseguirò nella mia volontà di insegnare ai bimbi a tornare nel passato per innamorarsi del proprio futuro». Francesca Virdis San Gavino: Pierluigi Montis è il nuovo presidente della Pro Loco Cambio al vertice della Pro Loco che ha rinnovato il proprio consiglio direttivo. Ora il nuovo presidente è Pierluigi Montis, che subentra ad Antonio Garau che in questi ultimi anni ha cercato di aprire l’associazione turistica a giovani, adulti ed anziani. IL DIRETTIVO Nel nuovo direttivo Marco Ennas, che vanta una lunga esperienza associativa e che è già stato presidente dell’associazione turistica, sarà il portavoce del consiglio di amministrazione mentre Giorgio Marcias è stato riconfermato nel ruolo di tesoriere. Il segretario è il professor Salvatore Manno mentre Elvio Carola è il responsabile delle attrezzature. Il dottor Ernesto Deiana è il presidente dei revisori, Antonio Bandino è il revisore supplente, Giampiero Porcu è il presidente dei probiviri affiancato dagli altri due componenti Zemiro Curreli e Alfredo Atzeni. Fanno parte del direttivo i due consiglieri comunali Maria Elena Addari per la minoranza e Andrea Farris per la maggioranza. IL PRESIDENTE USCENTE La Pro Loco ha un ruolo molto importante a San Gavino Monreale. Il presidente uscente Antonio Garau si è sempre battuto per la promozione dello zaffe- rano di qualità con l’organizzazione della mostra regionale dedicata al fiore viola, per stabilire un ponte con gli emigrati con una festa annuale a loro dedicata e per la valorizzazione della lingua sarda. BILANCIO DEGLI ULTIMI ANNI Tante le iniziative portate avanti con l’agenzia Laore per la realizzazione di corsi professionali sullo zafferano e sulle altre piante condimentarie e il mercatino solidale senza soldi al tempo della crisi che nel parco “Rolandi” ha visto tantissimi scambi come l’olio di oliva con lo zafferano di San Gavino e altri prodotti locali ed ancora giocattoli e abbigliamento. Non va dimenticato l’aggiornamento costante delle iniziative culturali ed economiche sangavinesi e non che il presidente ha portato avanti anche attraverso i sociale network ed in particolare il profilo facebook della Pro Loco. Ora al nuovo presidente il compito di portare giovani e non dentro questa gloriosa associazione turistica. Gian Luigi Pittau “Condilibriamo”: incontri mensili per discutere sulle letture Con l’obiettivo di condividere la passione per la lettura, la 42enne Annarita Vacca di Sardara, insieme all’assessore comunale alla cultura Raimondo Pisu e ad una decina di concittadine, ha costituito il circolo di lettura “Condilibriamo” aperto a tutti i cittadini del territorio e di qualsiasi età e genere. I membri del neonato gruppo, seduti al tavolo di uno spazio della biblioteca comunale, s’incontrano una volta al mese per scegliere un libro da leggere sulla base della trama e discuterne in modo spontaneo, critico e confidenziale. Organizzano il passamano dei libri di cui dispone il circuito bibliotecario del territorio e si lasciano guidare da cinque regole base: l’amore per la lettura; il tempo da dedicare all’iniziativa, un titolo da proporre a turno, la propria opinione espressa liberamente su ciò che si legge, e il confronto democratico e rispettoso. «Il piacere di leggere raddoppia quando può essere condiviso - dichiara entusiasta la presidente, che fa parte anche delle “letturine sarde”, gruppo virtuale di staffetta letteraria di Cagliari. - Il circolo “Condilibriamo” è un’occasione per ampliare la propria biblioteca mentale, un modo per confrontarci sulle tematiche lette e sul punto di vista che ci ha colpito di più, scoprendo che un libro trasmette un messaggio non solo oggettivo ma anche soggettivo, diverso per ogni lettore». Partecipi ai turni di lettura, seppur non alle riunioni, anche molti familiari e conoscenti del gruppo, tra cui l’arzilla 83enne Luigia Concas. Il circolo invita la scrittrice Cristina Caboni Il circolo “Condilibriamo” organizza anche eventi per presentare alcuni scrittori dei libri letti. Il prossimo 29 aprile nei locali del centro d’aggregazione sociale di Sardara sarà ospite Cristina Caboni di San Sperate per presentare “La custode del miele e delle api”, libro sulle antiche usanze sarde, sui conflitti generazionali e sulla difesa del territorio, che ha conseguito il premio letterario Osilo. La manifestazione, organizzata dal Circolo in collaborazione con la Proloco e l’amministrazione comunale, coinvolgerà anche i produttori locali di miele e derivati. Marisa Putzolu GONNOSFANADIGA Riaperte al culto le chiese parrocchiali Beata Vergine di Lourdes e Santa Barbara Il 18 marzo è stata inaugurata e riaperta ai fedeli la chiesa parrocchiale della B.V. di Lourdes, alla presenza di monsignor Giovanni Dettori, amministratore apostolico e vescovo emerito della diocesi di Ales - Terralba. Alla Santa Messa, celebrata dal vescovo, ha partecipato tutta la comunità con tangibile soddisfazione per la ristrutturazione della chiesa dopo un lungo periodo di chiusura forzata che ha creato non pochi disagi ai fedeli. I lavori di ristrutturazione sono stati finanziati dalla CEI. Evidente la soddisfazione del parroco don Giampaolo Spada che invita i fedeli a riprendere la normale frequenza della chiesa. Il 20 marzo in occasione della domenica delle palme è stata riaperta al pubblico anche la chiesa di Santa Barbara, l’edificio storico più importante del paese, chiuso da oltre cinque anni. Il parroco don Raimondo Virdis, artefice dell’opera, dopo la benedizione delle palme nel piazzale dell’oratorio, in processione ha guidato i fedeli verso la chiesa parrocchiale. Un atto storico. Nel volto dei fedeli era facile leggere l’espressione della gioia testimoniata dal sorriso e dalle parole dentro e fuori della chiesa monumentale, patrimonio indiscusso del paese, luogo che custodisce gelosamente i segreti di tante generazioni di gonnesi. Al termine della celebrazione don Raimondo Virdis ha comunicato ai fedeli che al termine dei lavori la chiesa sarà consacrata dal neo vescovo padre Roberto Carboni. Ha evidenziato le vetrate fiorentine che raffigurano le immagini del Sacro Cuore, della Madonna di Lourdes, di Santa Barbara, a significare l’unità della chiesa gonnese, nelle tre diverse parrocchie. Singolare la vetrata che riproduce l’immagine dello Spirito Santo, della Basilica di San Pietro a Roma «poiché - ha ag- giunto don Virdis - senza il suo aiuto questa chiesa sarebbe rimasta chiusa per sempre». Massima trasparenza del sacerdote che ha portato a conoscenza dei fedeli gli importi spesi per la ristrutturazione, 155.756,81 euro contributo dell’Amministrazione Comunale, 169.540 dalla CEI, 15.000 dalla diocesi di Ales-Terralba, 20.500 raccolti dalla bontà dei cittadini tramite un apposito conto corrente, 10.000 da un donatore non di Gonnosfanadiga, che ha scelto di rimanere anonimo. Don Raimondo Virdis si è congedato dalla folla di fedeli con la promessa di un nuovo appalto per il rifacimento del pavimento deteriorato e ha aggiunto: “Se parteciperete sempre così numerosi sarò costretto ad acquistare altri banchi”. Un lungo e liberatorio applauso dei numerosissimi presenti ha provocato una visibile commozione del parroco, che a stento ha trattenuto le lacrime. Francesco Zurru PDF Compressor Pro 16 1 aprile 2016 Sulle ali della Musica tra ba La musica è ritmo e il ritmo è vita, come GONNOSFANADIGA Gli Isolani I Plebei La data di nascita della Band i Plebei risale al lontano 1969, voluta dai fratelli Antonio e Gianluigi Piras, appassionati di musica. Il gruppo inizialmente è costituito da Antonio Piras, Gianluigi Piras, Claudio Concas, Pierluigi Carreras, Mario Peddis, Modesto Lecca, Pinuccio Lecca, Franco Ecca, Benedetto Sardu, Gianni Murgia, Giorgio Ecca, Mario Foddi. La loro prima e storica esibizione porta la data del 20 dicembre 1970, il loro primo successo risale al 31 dicembre al veglione di Capodanno. I Plebei sono sostenuti nel tempo da tanti appassionati e amanti della musica, Franco Casti, Gianfranco Deias, Luigi Piras, Marco Antonio Spina, Mario Melis, Giuseppe Ronchi, Gianni Collu, Francolino Marongiu, Mauro Lecca, Antioco Melis, Sergio Martis, Gianni Lisci, Tore Lisci, Mario Piras, Antonio Sitzia, Sergio Sogus, Pierpaolo Zanda, Nino Zanda. La passione per la musica porta il gruppo de i Plebei a firmare cambiali per acquistare gli strumenti quando ancora erano studenti spiantati e capelloni. Il gruppo conquista il pubblico in varie parti dell’Isola, supera anche la crisi dovuta alla chiamata alle armi di alcuni componenti per il servizio militare allora obbligatorio, nella circostanza ricevono l’aiuto di Pinuccio Casti (basso), Anicetto Scanu (organo), Franco Cabitza (voce solista). Nel 1979 il gruppo per problemi di lavoro si scioglie, e nel 1980 viene ricostituito. Attualmente è costituito da Piras Antonio (chitarra solista), Piras Gianluigi (tastiera e voce solista) Gianni Marongiu (voce solista), Sandro Marongiu (tastiera e voce solista), Lino Atzei (basso), Marco Piras (batteria), Rino Malloci (batteria). Nella foto storica, da sinistra verso destra Piras Antonio, Lello Pintus, Sandro Marongiu, Gigi Carreras, Gianluigi Piras, Luigi Pinna. Francesco Zurru Antonio Sanna: “La musica è respiro” I Corsari Antonio Sanna, chitarrista solista, oggi 63 enne, sostiene che la musica è respiro. All’età di soli 12 anni partecipò ai Festival organizzati dagli oratori e dai comitati delle feste paesane, cantando e suonando la chitarra. Da subito emersero le sue doti di musicista, che faranno di lui una persona conosciuta e stimata in mezza Sardegna. Ancora ragazzino entrò a far parte del gruppo musicale “I Corsari” di Gonnofsanadiga, di cui facevano parte Ninetto Peddis (chitarra accompagnante), Franco Marongiu (chitarra solista), Giancarlo Melis (batterista), Antonio Saiu (basso), Antonio Sanna (2°cantante, chitarrista nella foto al microfono) Nanni Pilotto (cantante). Con il complesso “Gli Isolani” di Cagliari” Antonio Sanna (l’ultimo nella foto di gruppo) fece il salto di qualità. Il gruppo era costituito da Giorgio Aresu (batterista), Franco Sanna (chitarra e canto), Antonello Moi (tastiera), Paolo Atzori (basso). Antonio trasformò la sua passione in lavoro. Ha insegnato musica per 25 anni nella scuola media di Gonnosfanadiga fino alla sopraggiunta disabilità che però non gli ha fatto perdere la sua passione per la musica. Ancora oggi, non potendo suonare gli strumenti, Antonio si dedica allo studio della composizione. (f. z.) VILLAMAR, GUSPINI E PABILLONIS Un pezzo di Medio Campidano che fa musica a Madrid Dalla Blue Moon mediocampidanese alla Furisteria spagnola Tre ragazzi, Fabio Muscas di Villamar, Valentina Sessini di Guspini e Alberto Pisanu di Pabillonis, da qualche anno, per motivi di lavoro, risiedono a Madrid in Spagna. I primi sono due dottorandi, entrambi laureati in Scienza dei Materiali, e lavorano presso due fra le più importanti università madrilene, mentre Alberto è un laureato in Lingue Straniere e si occupa di insegnamento della lingua italiana. Il comune denominatore di questi tre ragazzi è la passione per la musica. Per tanti anni in Sardegna hanno costituito una blues band chiamata Blue Moon suonando in lungo e in largo per l’isola. Per conto proprio vantano poi altre esperienze: Fabio è un polistrumentista specializzatosi con la batteria e sin da nove anni può vantare un ricco curriculum con diversi gruppi e collaborazioni con numerosi artisti, Valentina, cantante, è stata anch’essa voce corale di altre band e studiosa di canto, mentre Alberto, bassista e chitarrista, vanta esperienza in tanti gruppi di matrice reggae e rock’n roll. Nei loro quasi primi trent’anni di vita c’è tanta gavetta musicale che i tre sono stati abili a portare avanti con continuità, nonostante i loro studi universitari conclusi in breve tempo. Succede poi che i tre ragazzi, un po’ per scelta e un po’ per necessità, partono in Spagna dove riescono ad inserirsi nel proprio settore lavorativo. Fine dei sogni musicali e inizio di una vita più “concreta”? Manco a parlarne, “il trio spagnolo” senza i suoni dei propri amplificatori proprio non riesce a stare. Ed ecco che al suo arrivo a Madrid, circa due anni fa, Valentina viene ingaggiata da un coro gospel; Fabio, arrivato qualche mese più tardi, è invece reclutato come batterista da un gruppo spagnolo di buona fama ed infine Alberto, l’ultimo dei tre a trasferirsi in terra iberica, non tarda a inserirsi come chitarrista in una band locale. Ma la tentazione di riformare i Blue Moon è grande e, memori del buon successo in terra sarda, (ri)fondano il gruppo e iniziano a suonare in giro nei locali della capitale spagnola. La nuova band si chiama ora “Furisteria”, che deriva dalla parola “furisteri” in sardo, ovvero “straniero”. Alla loro prima esibizione in un locale de “La Latina”, uno dei quartieri madrileni più quotati, la band riceve un buon apprezzamento da parte del numeroso pubblico presente. «Per noi - spiega Fabio - è bellissimo poter continuare a coltivare la passione musicale pur abitando in un altro Paese. Spesso chi va fuori trascura quelle che sono le proprie passioni per dedicarsi soltanto al lavoro. Ci siamo inseriti nei giusti canali degli ambienti musicali a Madrid. Speriamo ora di continuare a crescere e, soprattutto, a divertirci». La musica come divertimento e passione, che può però trasformarsi anche in strumento per “arrotondare” economicamente: «Con qualche serata - spiega Valentina - riusciamo per lo meno ad andare in pareggio con le spese che la stessa musica richiede; non viviamo certo di musica, ma almeno riusciamo a coltivare più serenamente questa passione che ci unisce». I sogni non mancano di certo, il coraggio neppure e soprattutto la nuova realtà sta facendo loro ampliare la propria esperienza musicale. È bello sapere che c’è un pezzo di cuore del Medio Campidano che pulsa e fa sentire la sua voce (nel senso vero della parola) nella capitale spagnola. Chissà che col tempo, anche grazie alla bella esperienza dei tre, il nostro territorio non possa acquisire un po’ più di visibilità agli occhi dei cugini spagnoli. Simone Muscas PDF Compressor Pro 1 aprile 2016 17 and e solisti di casa nostra il ritmo del respiro e del battito del cuore La band de I Principi I Nobili al Poetto Roberto Casti e la band de I Principi con la voce solista Marisa Sannia e il giovane Piero Salis, alias Piero Marras Ha origini sardaresi il chitarrista solista della prima band di Marisa Sannia, la celebre cantante sarda, soprannominata “La gazzella di Cagliari”, scomparsa nel 2008. Figlio del maresciallo Eligio Casti e nipote di “tziu Generosu” di Sardara, Roberto insieme a Paolo Tocco costituirono, all’inizio degli anni ’60, il gruppo musicale cagliaritano “I Principi” composto da Casti e Tocco rispettivamente chitarra solista e accompagnamento, da Pasqualino Cao sax e clarinetto, da Tonino Mura al basso e Pierpaolo Maccioni alla batteria. A metà degli anni ’60 si aggiunse al “complessino”, come si chiamavano allora i gruppi musicali, Marisa Sannia. Da qui l’esordio di Marisa Sannia come cantante dei “Principi” in feste patronali e vari locali della città. La svolta avvenne nel ’65 quando la cantante venne iscritta proprio da Casti e dalla sorella di Marisa al concorso nazionale per voci nuove indetto dalla Fonit Cetra che si svolse alla sede Rai di Cagliari. «Accompagnata alla chitarra da me e Cao - racconta Casti - Marisa si classificò seconda con la canzone di Salvatore Adamo ‘Perduto amor’. Come giudice era presente il maestro Bruno Canfora. Fu poi convocata a Roma, quindi Sergio Endrigo, Canzonissima, Sanremo, ecc.». Non fu quindi Endrigo a scoprire Marisa. Come vi siete conosciuti? «Fu la sorellina Carla che, sentendoci suonare durante le prove nella cantina di una palazzina in zona via della Pineta, ci chiese se poteva presentarci Marisa. Scoprii così la sua straordinaria voce. In gara con tanti altri gruppi musicali, “I Principi” vinsero al cineteatro “Arena Giardino” con il brano “ The House of the rising sun” degli Animals. Per motivi di studio e lavoro, nel 1966 mi trasferii a Milano e venni sostituito dal chitarrista solista Antonio Pintori». Un anno dopo, quando la Sannia era ormai già famosa a livello nazionale, Casti ci riprovò e costituì un’altra band, niente meno che con il cantautore Piero Marras, altro giovane artista che, da lì a poco, avrebbe calcato le scene della musica pop e folk oltre i confini dell’isola. «Alla fine del ’66 incontrai Marras - continua Casti - che allora si chiamava Piero Salis ed era appena arrivato a Cagliari per intraprendere gli studi universitari. Suonava bene il pianoforte, per cui gli proposi di costituire insieme un nuovo gruppo. Accettò di buon grado e da lì per me ripartì una nuova avventura musicale con ‘The Nobles’, successivamente “ ‘I Nobili’». Come mai la scelta di denominazioni “monarchiche”? Gruppi musicali esclusivi, da élite, o contestatori del potere? «Ci sembrava potesse dare prestigio alla band, niente di più. Per la denominazione successiva invece, solo un’inconscia prosecuzione del precedente nome a cui ero affezionato, nonché per la forte amicizia con Marisa a cui rimasi legato per anni. Col nuovo gruppo, cambiò completamente registro anche il genere musicale, orientato verso un tipo di musica considerata all’epoca “rivoluzionaria”, come quella di Jimi Hendrix, The Beatles, Rolling Stones, Joan Baez, Bob Dylan e di altri gruppi rock anche italiani». Per usare una sua citazione, ora “ha appeso la chitarra al chiodo”. Ogni tanto la “rispolvera”? «Con familiari e amici, per far riemergere suoni e ricordi di quei bellissimi e irripetibili momenti del passato», risponde Roberto Casti, che di certo può vantare di aver segnato in modo indelebile, con il talento e an- Roberto Casti e Marisa Sannia Le fantomatiche divise de ‘I Nobili’ che le sue scelte, il percorso futuro di due artisti di fama internazionale. Si sente di dare un suggerimento ai numerosi giovani del Medio Campidano che tentano di affacciarsi al mondo della musica? «Sì.Il futuro è nelle loro mani. Di quei giovani che vogliono raggiungere con tenacia risultati in qualsiasi campo, anche nella musica». Marisa Putzolu I Collegium: il ricordo di Franco Vacca Fra le band musicali che si sono distinte nel panorama musicale della Sardegna meritano una menzione d’onore i Collegium che, dalla fine degli anni sessanta e sino a qualche anno fa, hanno calcato i più importanti palcoscenici isolani, inciso tanti bei brani di successo e si sono distinti per le loro doti musicali. Il gruppo, nel corso della sua quarantennale carriera, ha avuto un nucleo storico costituito da due elementi che, sin dalla sua fondazione, hanno fatto presenza fissa: si tratta di Franco Vacca, noto chitarrista di Lunamatrona, e di Felice Cassinelli, tastierista di Senorbì. «Nel corso dei quattro decenni di vita della band - spiega Franco Vacca - si sono succeduti diversi elementi, tutti con una buona formazione musicale». La band originaria, denominata Lied Group, venne costituita da cinque giovani studenti del conservatorio di Cagliari: oltre a Franco Vacca e Felice Cassinelli, vi erano Gianni Pontis, Mariano Casula e Ubaldo Trudu. «Gli anni ‘60 e ‘70 - precisa con un pizzico di nostalgia sono stati davvero meravigliosi, forse perché eravamo giovani e spensierati. Il gruppo inizialmente proponeva dei brani con un repertorio basato sui gruppi maggiormente conosciuti: Creedence, Deep Purple, Huriah Heep, Led Zeppelin e i Pooh. Negli anni abbiamo inserito pezzi dei Colosseum, King Crimson, Emerson Lake e Palmer e, successivamente, anche dei Pink Floyd e dei Genesis che, soprattutto negli anni ’80, occupavano buona parte della scaletta nei nostri concerti». I Collegium (che assumono questa denominazione dal 1974), vantano nel loro repertorio tanti album inediti, alcuni di grande successo: su tutti “L’ansia dei tuoi anni” e “Paola” (1974, 45 giri), “Proprio tu” e “Dimmi che farai” (1979, 45 giri), “Prima raccolta” (1985) e “Veridade” (1990); quest’ultimo, in particolare, è stato un album molto “forte” con brani tratti dai testi in lingua sarda del poeta Salvatore Poddighe di Dualchi che, nel 1918, aveva elaborato un’opera fortemente polemica sul ruolo della Chiesa. Questo scritto fu successivamente censurato ed osteggiato nel periodo fascista. «Abbiamo fatto tanti concerti prosegue Franco Vacca - Abbiamo accompagnato numerosi artisti italiani di fama come Piero Marras, Little Tony, Mino Reitano e altri. Ricordo poi la partecipazione al Cantagiro nel 1978. La nostra, visti anche i numerosi cambiamenti di formazione, è diventata una famiglia allargata tuttora in buoni rapporti». Il leader Franco Vacca è la prova di quanto il gruppo fosse umile e la band è stata circondata da tanti amici. Fra questi, in particolare, Ettore Urracci, Alverio Cadau e Pinuccio Cau di Lunamatrona, e Gianni Melas e Mimmo Tartaglia di Sanluri, che hanno dato una grossa mano soprattutto nel periodo della loro formazione. Pinuccio Cau, su tutti, è stato da loro considerato un padre e, se finivano all’alba i loro concerti, lui era lì pronto con il suo camion a riaccompagnarli a casa. «A fine concerto - ricorda Franco - lo ringraziavo sempre: gli dicevo che senza di lui non ce l’avremmo mai fatta. Sono bei momenti che custodisco nel mio cuore». Il gruppo dopo il 1990 ha avuto delle brevi reunion sino a circa due anni fa; è lo stesso Franco a concludere: «Chissà se in futuro torneremo a suonare, ma se non dovesse succedere mi ritengo fortunato per aver fatto parte di una famiglia come quella dei Collegium. Una delle mie più grandi soddisfazioni è stata anche quella di aver suonato con i miei due figli Stefano e Nicola che negli ultimi anni dei concerti del gruppo si sono avvicendati come batteristi. Il gruppo appartiene alla storia, ma aver fatto crescere i miei figli in una casa dove si “respirava” tanta musica è stato uno stimolo enorme per avviarli a questo mondo. Per un padre come me, con la musica nel sangue, è certamente una bella soddisfazione». Simone Muscas PDF Compressor Pro 18 1 aprile 2016 Renzo Laconi alla presentazione dell’inizio dei lavori delle saline CENTENARIO DELLA NASCITA DI RENZO LACONI di Toto Putzu T empora mutant et Historia transit. Se Renzo Laconi fosse morto centenario come il suo “compagno” Pietro Ingrao avrebbe visto farsi tabula rasa il mondo, gli ideali e l’Isola per cui si era battuto come un leone, scomparso il suo Partito Comunista e quello avversario della Democrazia Cristiana, i Liberali di Malagodi, i Socialisti di Nenni, il PRI di Ugo La Malfa e il Movimento Sociale di Almirante. Purtroppo e per fortuna non ha fatto in tempo. Tramontati i protagonisti e gli antagonisti, una sola cosa però resta e speriamo resti imperitura della loro opera: la Costituzione della Repubblica Italiana. Egli nacque in piena Prima Guerra Mondiale, il 13 gennaio del 1916, poco prima di Giorgio Bassani e di Natalia Ginsburg, nel Sulcis Iglesiente che era allora il bacino minerario più rivoluzionario d’Europa (moti di Buggerru 1904). Orfano di guerra, il padre morì nel ’17, si laureò in Storia e Filosofia a Cagliari nel 1938 ed era un promettente “intellettuale” come egli si definiva, ma nella temperie della Resistenza, della Ricostruzione e della Rinascita sentì il dramma acuto dell’insufficienza “dell’intellettuale puro” nel fuoco vivo delle lotte dei minatori, operai e contadini; e dalla turris eburnea della Cattedra a Firenze si tuffò nel gorgo della vita politica e civile, diventando un “intellettuale organico”, pupillo di Togliatti, deputato e capogruppo in Parlamento dal 1948 e Segretario regionale in Sardegna prima di Velio Spano, in compagnia di “giovinastri” come Umberto Cardia, Luigi Pintor, Giuseppe Fiori, Girolamo Sotgiu e un timido scapigliato sassarese Enrico Berlinguer. Fu uno dei padri del Partito Nuovo e colui che curò insieme a Togliatti la pubblicazione delle Lettere e dei Quaderni di Gramsci che stupirono il mondo e sono ancora oggi un monumentum aere perennius fur ewig di quel martire sovraumano, dove in nuce ci sono i lineamenti dello “Stato nuovo”democratico e repubblicano. Tra due giganti come De Gasperi e Togliatti protagonista fondamentale della Commissione dei “75” che stesero la nostra Magna Charta insieme a un giovane introverso Aldo Moro, Gullo,Benedetto Croce, Calamandrei, Dossetti, La Pira, Fanfani, Umberto Terracini, Giorgio Napolitano, Nilde Iotti e Tina Anselmi, era una mente splendida formata alla scuola di Platone e di Kant, di Hegel, di Rousseau e di Montesquieu e del Diritto Romano: tra gli anni ’46’-‘48’ fautore di una Repubblica Parlamentare ma non Presidenziale a suffragio universale, senza distinzione di sesso, uno degli architetti e ingegneri del nostro Stato laico e democratico e della “Democrazia progressiva” di una Repubblica fondata sul Lavoro la cui sovranità appartiene al Popolo, che la esercita tramite il Governo, la Camera e il Senato, con la Corte Costituzionale super partes e l’indipendenza della Magistratura per esorcizzare per sempre “lo scramento” del Ventennio e dove la Chiesa con l’Articolo 7 può esercitare il suo Magistero Spirituale ed Economico “senza oneri per lo Stato”. Al paragone oggi un “costituzionalista” come Calderoli sembra un azzeccagarbugli insieme a quella “lengua macellara” di Denis Verdini, e non a caso contro la nostra Carta Fondamentale perché “troppo sovietica” si sono scagliati le Destre di Valerio Borghese, la P2 del compianto Licio Gelli, le stragi di Milano, di Brescia e di Bologna e “statisti” del calibro di Bossi e Berlusconi. Personalmente ho avuto la fortuna da studente di sentire a Firenze una della ultime conferenze del Padre Firmatario della Charta, il vecchio Umberto Terracini, minuscolo, miope e strabico sotto le spessissime lenti ma di una vista politica acutissima, oratore freddo, lucido e incantevole come un cristallo di Boemia nell’ana- lisi anatomica della Costituzione e nel rievocare l’opera e l’ingegneria dei Padri Costituenti, Laconi in primis, di cui elogiò la perizia di Doctor Juris e la capacità tecnica nel dare forma concreta alla “substanzia” di quella che non a caso è definita la Costituzione più bella del mondo. Ma Laconi fu oltre che un grande italiano un grande sardo, un Sardus Pater et Magister a cui dobbiamo le grandi battaglie per il nostro Statuto Autonomistico, per la Rinascita e per la Riforma Agraria, all’interno della architettura più generale del giovane Stato Unitario: unità nella diversità senza separatismo. Nel ’44, come il PC sardo stesso ecumenico ed internazionalista, anch’egli era contro il “rischio” dell’Autonomia, ma poi si convinse del contrario quando un “continentale”come Togliatti,ma che si diplomò al liceo Atzuni di Sassari e fu “amico e compagno” del sardissimo Gramsci, a Roma nell’aprile del ’45 e poi al V Congresso, richiamò “i nostri compagni sardi che non riescono ancora a comprendere che non devono avere nessuna paura perché l’autonomia è una rivendicazione democratica rispondente agli interessi del popolo sardo”. Da allora Laconi ne fece il suo cavallo di battaglia e soffrì amaramente a livello personale, per le aspre polemiche tra Lussu e il Partito perché era il dirigente più aperto nei confronti dei Sardisti al punto da proporre una federazione tra PCI, PSI e Partito Sardo d’Azione. Promotori della Autonomia in quelli anni di battaglia si scontrarono e incontrarono grandi “sardi” come lui Emilio Lussu, Francesco Cossiga, Antonio Segni, Giovanni Lilliu, Partiti Sardi e Sardisti; e Laconi diede ed ebbe molto filo da torcere anche dentro il suo stesso Partito, perché era un rivoluzionario più aperto ed eterodosso dell’ intransigente Segretario Velio Spano antiautonomista e internazionalista. Lui che leggeva e amava molto i poeti in lingua sarda, i cantores a bolu e le launeddas si battè per una Autonomia anche come identità culturale, e già nel ’54 parlava di “Nazione Sarda” per lingua e per etnocultura (non solo banale folklore) per salvare, progredendo, insieme alla identità anche la cultura materiale dei paesi, dei pastori e dei contadini proprio nei mitici anni ’50-60’ nell’epoca d’oro del Neorealismo, negli anni in cui Leopold Wagner pubblicava la sua opera monumentale sulla Lingua Sarda e il danese Andreas Fridolin Bentzon girava la Sardegna con la sua moto Nimbus, macchina e registratore a tracolla, e Giovanni Lilliu riportava alla luce le rovine di Barumini dedicando ai pastori la sua “La Civiltà dei Sardi”, e la Sirena di Siligo Miss Sardegna, Maria Carta, faceva i suoi primi recitals. Sardinia Tellus quantum mutata ab illa quae fuerat oggi, e che tristezza pensare che noi sardi stessi, di Destra, di Centro e di Sinistra dietro le magnifiche sorti e progressive per vedere chi e come eravamo appena cinquantenni orsono dobbiamo andare al Museo etnografico di Copenaghen. Anche in ciò Laconi fu un anticipatore che vedeva molto più lontano degli altri, dentro e fuori dal Partito, ribelle ubbidientissimo, tollerante e mai settario in tempi di anatemi e di scomuniche, stimato e temuto dai cattolici, uomo del dialogo sia in Parlamento sia nella Società Civile come nei pochi anni in cui insegnò a Firenze, alla quale rimase legato anche dopo, città profetica, quella di Giovanni Maria Turoldo, di Piero Bargellini, di Giorgio La Pira, di Padre Balducci, della Scuola di Barbiana di Don Milani, intellettuale duttile e osmotico, “rivoluzionario moderato”, all’epoca in cui la Chiesa dopo il torvo Eugenio Pacelli con Papa Roncalli viveva la sua “rivoluzione conciliare”, e Kennedy e Chrushchev post staliniano reggevano le sorti del mondo diviso in due e la precaria pacem in terris. Io ho avuto la fortuna di conoscerlo a Gonnos al primo comizio della mia vita, studentello ginnasiale militante dell’Azione Cattolica, e di capire da lui e non dal Parroco Don Cauli i fermenti del Concilio Vaticano Secondo: quel pomeriggio c’era un putiferio di bandiere rosse, di gente in pullman che accorreva da ogni parte, altoparlanti, minatorie e operai del Guspinese e della fonderia di San Gavino; ed io che ero in tutt’altre faccende affaccendato,metafisico e trascendentale, a studiare e a scrivere una tesina sulla doppia natura di Cristo e sulla verginità di Maria nella vana speranza di vincere un viaggio premio nella Roma Conciliare, incuriosito da tanto rumore e lasciando perdere il Concilio di Efeso e di Nicea, Nestorio e l’Oratorio, lo andai a sentire in Piazza Mercato. Sul palco, alla luce del tramonto, aveva un aspetto cardinalizio e ieratico quell’uomo mai visto e mai sentito, “un comunista”, ma si vedeva che era diverso da come dal pulpito ce li avevano descritti i Padri Passionisti. Aveva le due regole auree dell’Oratoria antica: rem tene, verba sequentur (Catone) e quella del Vir bonus dicendi peritus (Cicerone), la vis dell’eloquio, l’inventio, la dispositio e l’actio ciceroniana, e attraverso la voce stentorea il fascino modulato della parola nell’epoca in cui nasceva la televisione e le folle correvano in massa a sentire gli “oratores” perché la giovane Democrazia era allora una cosa viva e incandescente. Ad ogni applauso cresceva un diapason rossiniano come onde sempre più fragorose sulla scogliera, e mentre applaudivo anch’io tra uno sventolio di bandiere rosse nel momento in cui parlava della Chiesa e del Concilio, dalle spalle mi arrivò un brutale ceffone e un calcio nel sedere. Era un dirigente dell’Azione Cattolica mandato da Don Paolo Orrù che mi trascinò nell’Oratorio per la pubblica reprimenda. Da allora divenni uno scismatico e feci parte per me stesso. L’Orator morì qualche anno dopo per epatite fulminante a cinquant’anni appena, durante una campagna elettorale in Sicilia, e fu un lutto e uno stupore generale. Quando venni a sapere la notizia mi rattristai anche se capii più tardi la postuma grandezza. Il caso volle che nascesse in Sardegna e che morisse in Sicilia a Catania, nella terra di Salvatore Giuliano e di Portella delle Ginestre, le due patrie per la cui Autonomia Speciale si era battuto, ma che faranno pessimo uso del loro privilegio. Non licet magnis componere parva, ma Willy Brandt fece scrivere come epitaffio “ho fatto quello che ho potuto”. Renzo Laconi fece più di quello che avrebbe potuto e morì come morirà il suo “compagno” Enrico Berlinguer nel campo di battaglia per la Democrazia, per la Libertà, per il Lavoro e per la Pacem in Terris. Il sindaco di Sant’Antioco, suo paese natale, e di Cagliari, Massimo Zedda, gli vorranno dedicare almeno una strada o una piazza cittadina, e Pigliaru e Renato Soru almeno un giorno solenne in Consiglio Regionale per ricordare a tutto il popolo sardo chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo? E per ricordare quale patrimonio di uomini, di idee e di Storia nel bene e nel male nel Novececento “l’autonomo” Popolo Sardo ha dato al Popolo Italiano!Temporibus nostris nei confronti di temporibus illis non guasterebbe una giornata di resipiscenza e di reminiscenza. PDF Compressor Pro 1 aprile 2016 GUSPINI. PROMOSSO DALL’ASSOCIAZIONE “IL 19 MERCATINO DEI SOGNI” Nasce lo sportello gratuito per le donne affette da endometriosi Nasce a Guspini “Mondo Endo”, primo sportello d’ascolto gratuito rivolto a tutte le donne affette da endometriosi: offerto in chiave totalmente gratuita dall’associazione culturale di promozione sociale “Il mercatino dei sogni”, il servizio è primo nel suo genere all’interno della provincia del Medio Campidano. A dare notizia dell’apertura dello sportello, ispirata dalle attività svolte dai volontari di “Sandalia Solidale” di Assemini, è la presidente del Mercatino dei Sogni Giovanna Maria Tomasi, nel corso del convegno sull’endometriosi tenutosi venerdì 4 marzo in aula consiliare. « Spesso questo male è motivo di vergogna per quante sono costrette a conviverci: di qui, l’omertà dilagante che caratterizza le vite di tante donne, spesso lasciate sole a fronteggiare una malattia fortemente invalidante. Se avete bisogno, non abbiate paura di dar voce al vostro dolore. Ci trovate al civico 1 di via Togliatti, nei locali della ex scuola materna Rodari». Ad accompagnare “Mondo Endo” nel suo nuovo, importante ruolo all’inter- no della comunità, la psicologa Alice Bandino: «Sensibilizzare la popolazione alla patologia è fondamentale: come spesso accade quando si parla di problematiche che investono la sfera sessuale, le donne appaiono restie a chiedere un aiuto specialistico e lasciano correre. Ma a essere coinvolta è in realtà l’intera rete familiare ed amicale che le circonda, e che soffre in misura non minore della loro difficile situazione psicologica ». Ulteriore e prezioso contributo alla discussione è poi giunto da parte del giovane medico ginecologo Mariagrazia Perseu, che ha illustrato la patologia soffermandosi sulle attuali forme di intervento più utilizzate per cercare di arginare i danni dell’endometriosi, ricordando che a causa delle diagnosi tardive (dai 7 ai 10 anni in media), spesso il percorso di cura è tortuoso e incerto nonostante i sintomi prodromici siano presenti sin dall’adolescenza. Al convegno del 4 marzo, opportunamente rappresentata da Rita Lecis, c’era anche “Sandalia Solidale”, pio- niere in Sardegna dell’aiuto alle donne colpite dalla patologia, che ha ribadito la necessità di sostegno da parte delle istituzioni per la creazione del registro nazionale sull’endometriosi, strumento di conoscenza dell’incidenza del male nell’isola. « È una soddisfazione vedere in che modo un semplice gesto possa aprire uno spiraglio di speranza per tante donne - conclude Giovanna Maria Tomasi - ma ancor più assistere alla loro lenta, ma progressiva rinascita: non siamo fatte per soffrire, ma per risplendere ». Francesca Virdis Serramanna: il cimitero, un monumento da visitare Non sarà grande ed importante come quello monumentale di Bonaria a Cagliari, però, anche a Serramanna, il cimitero è un monumento di grande importanza storica ed artistica e merita di essere visitato e ammirato, non con il pensiero che è il luogo nel quale sono ospitati i resti di persone defunte, ma con occhi pronti a cogliere gli affascinanti particolari di vere e proprie opere d’arte realizzate da scultori che, nei loro lavori, hanno messo parte del loro cuore. La sua costruzione risale alla seconda metà del XIX Secolo, quando le sepolture all’interno dei centri abitati vennero vietate e Su Gimitoriu, che si trovava accanto alla Chiesa di San Leonardo, non si poté più utilizzare. Nel corso degli anni, furono molte le persone che non si accontentarono di far realizzare per i loro cari semplici tombe a stele, ma scelsero di far erigere come ultima dimora tombe monumentali con statue e incisioni, a perenne ricordo di chi non era più in vita. Nella tomba della famiglia Vargiu, la scultura di una ragazza distesa su dei fiori, con le braccia allargate è forse quella che colpisce maggiormente il visitatore: chi ha realizzato l’opera, è riu- PABILLONIS scito a rendere quella giovinezza, portata via troppo presto, immortale. Nel viale d’ingresso e nelle zone ai suoi lati, sono numerosi i monumenti che attirano lo sguardo. Purtroppo molte incisioni state rese illeggibili dal tempo, ma, nel poco che ancora si riesce a decifrare, appare evidente l’amore e la sofferenza di chi ha commissionato agli scultori quelle ultime parole di saluto. La cappella, costruita alla fine del 1800, meriterebbe di essere visitata e ammirata, ma è veramente raro trovarla aperta. Al suo interno, c’è ancora il pavimento originale in mattoni cotti e l’altare di marmo che ospita degli antichi candelabri di legno. In una parete, incisi su targhette in ferro, ci sono i nomi dei serramannesi che, morti nella ARBUS Grande Guerra, non sono più tornati a casa. Sotto, nella cripta, sono custodite ancora le ossa che, nonostante il lungo tempo trascorso, rifiutano di tornare ad essere polvere. Mariti, figli, fratelli, mamme, mogli. Persone che non sono più fra noi. Persone che spesso non hanno più portato loro un fiore perché anche chi li amava ha lasciato questo mondo. Persone che, nonostante tante vite siano iniziate e finite dopo le loro, all’ombra dei monumenti che le ricordano e degli alti cipressi che le proteggono, silenziose si fanno ammirare, come se fossero andate via soltanto ieri. Francesca Murgia VILLAMAR Addobbi e ricami per Grande successo per la vendita “Aspettando Sant’Antonio” delle gardenie dell’AISM Consulta giovanile È stata istituita anche a Pabillonis la Consulta giovanile. Alla presenza del sindaco Riccardo Sanna, degli assessori Marco Sanna e del vicesindaco Graziella Gambella è avvenuto l’insediamento ufficiale. Con l’approvazione dello statuto da parte del consiglio comunale si è concluso l’iter burocratico e concretizzato l’impegno di alcuni giovani che da tempo si occupavano di problematiche inerenti questa fascia di età. Lo statuto, illustrato nell’assemblea dall’assessore alle Politiche Giovanili Marco Sanna e votato all’unanimità da tutti i consiglieri, si compone di 23 articoli. «La Consulta, costituita da giovani di età compresa tra 15 e 30 anni, è un importante organo consultivo, la sua funzione è quella di farsi portavoce, presso le istituzioni amministrative, delle problematiche dei giovani, ma anche delle loro opinioni o proposte», spiega l’assessore. Fanno parte del direttivo della Consulta Stefania Collu presidente, Andrea Frau vice, Andrea Sanna tesoriere e Daniel Pintori consigliere. Dario Frau Durante il weekend del 9 e 10 aprile, in località “Genna e Frongia” ad Arbus, prenderà il via la quinta edizione della rassegna “Aspettando Sant’Antonio” con la valorizzazione degli addobbi e dei ricami e la seconda Fiera dell’artigianato artistico. Laboratori, degustazioni, esposizioni di prodotti locali, artigianali e artistici saranno protagonisti della manifestazione che valorizza le tradizioni del territorio. Dalle 15.30 di sabato e dalle 10 di domenica, “maestri nell’arte” condurranno lavorazioni artigianali per la realizzazione di fiori di carta e organza, dei gigli di Sant’Antonio e dei pom pom di lana, delle rose di porcellana, degli arazzi, dei tappeti, dei pizzi in macramè e tombolo, dei ricami a mano e dei cestini con l’intreccio di materiali naturali (“is scattedusu”) e quelli della lavorazione di giunco e fieno (“crobisi” e “corbule”). Sono previsti inoltre laboratori per la realizzazione e decorazione de “is pistoccheddus de cappa” e per l’intaglio di frutta e verdura, che si terranno rispettivamente sabato e domenica dalle 16.30 alle 18.30. Entrambi i pomeriggi si svolgeranno laboratori creativi anche per bambini. Tra i prodotti locali è attesa “la Raviolata”, degustazione dei ravioli di ricotta locale e semola di grano duro. La giornata domenicale sarà accompagnata dalla musica dei suonatori di launeddas. Marisa Putzolu Si è svolta nelle giornate del 5, 6 e 8 marzo, in diverse postazioni del paese, la vendita delle gardenie per la ricerca sulla sclerosi multipla. L’appuntamento, che si rinnova a Villamar da diversi anni, ha come obiettivo quello di raccogliere dei fondi per l’AISM, l’associazione nazionale di ricerca per la quale Tiziana Cau svolge il ruolo di responsabile della zona. «Ringrazio di cuore tutti i villamaresi - dichiara la stessa Tiziana Cau - per la solidarietà mostrata, la stessa che, da quando abbiamo intrapreso quest’iniziativa, non è mai venuta meno ed anzi è cresciuta con gli anni. Mio figlio Lorenzo ha scoperto di essere affetto da questa malattia qualche anno fa e la sua vita è inevitabilmente cambiata. Attualmente esistono soltanto delle terapie sulla sclerosi, ma non una cura vera e propria. Mi sono messa in gioco in prima linea perché voglio che si trovi un farmaco che possa un giorno debellare questa malattia. Non perdo la speranza: quello che oggi sembra improbabile, magari domani potrà essere possibile. Confido molto nella ricerca scientifica. Chi vuole può fare delle donazioni tutto l’anno, non soltanto con l’acquisto delle gardenie o delle mele, quest’ultimo è l’altro appuntamento fisso che si svolge però in ottobre». Chi volesse avere informazioni sull’associazione può contattare la sezione regionale dell’AISM al numero 070 27869 o scrivere una e-mail all’indirizzo [email protected].(s. m.) PDF Compressor Pro 20 1 aprile 2016 Su sadru chi seus pedrendu Fabas S’ omini, a botas, sen’e nesci, põit impari tòtu e nudda: su grãu a is peis de monti cun sa pedrischedda in susu in susu, in punta. Antonicu Nieddu, candu fut nascia sa segunda filla, a tretu de set’annus de sa prima, dd’iant postu de nomini Vera, poita sciant ca no nd’iat’ai arribau atrus de fillus, cument’iant nau is datoris, po ua mobadìa maba chi iat passau Doloreta, sa pobidda. Sigumenti fiant tropu cuntentus de custu nascimentu, a crèpu de is datoris, e poita sa pipia fiat bella che u frori, cuntentus e prexaus dd’iant tzerriada aici, poita ca sa nova fut beridadi bera! Ma, po crupa de sa sorrixedda prus manna, e di essi nascia su primu de Abribi, dì de contai fabas, dd’iant annominigiàda: Fabas! De nomini Vera e de nominigiu Fabas, ita fait s’omini strollicu. Ma andeus a passu a passu. Apustis dus annus de su nascimentu de Giustina, sa prima filla, Doloreta fiat arruta mobadia. Antonicu iat cicàu datoris e flebotumus, tòtus ddi narànt ca fut ua mobadìa sen’e spicatziõi, poita ca parrìat ua cosa ma podìat essi uantra, po dda fai crutza: fut u nùu mau a scapiài. Dd’iant fatu po finzas sa mexía de s’ogu liàu, ma no fiat pigàda de ogu; s’afumentu, ma no fut atzicàda; su scinitzu mau chi tenìat in totu sa pressona, sighìat a ddi ‘onai gana màba onnia dì. Mexías de onnia arratza e cabori, nudda! Is pregadorìas a is santus non si contànt, ma nudda; brebus e nudda. Finas a candu Antonicu no iat intendiu fueddai de unu bravu e capassu professori chi fiat in zitadi, ddoi fut andau. Issu iat bisitau béi béi Doloreta e iat nau: «Custa mobadìa s’at fai trumentai po nd’agatai su cabudu, ma si teneis passienzia e fidi, eis a bì ca cun is mexías chi si ‘onu deu, imbentadas de mimi e de fradi miu potacariu e, cun s’agiudu de Deus, su cabudu dd’eus agatai!» In tempus de ses mesis Doloreta iat cumentzau a bivi prus serena. Imou ddi ‘onat penzamentu sa filla chi fiat acant’e fai ses annus: iat’essi poita ca no dd’iat potzia sighì cument’iat’ai ofiu, po crupa de sa mobadìa, o arribelliõi de sa pipia contras a sa mama, bai e cica poita ma custa pipiedda fut frabancia! Ndi sconcàt a donnia momentu e cuncunu dda credìat puru. Su prim’annu de scolla fut abarrada tres disi cuada cun s’amighixedda sen’e ddoi andai e, a sa torrada a scolla, candu sa mésta dd’iat pregontau s’arrexõi, iat arrespostu ca sa mama, ca fut sanàda de sa mobadìa, iat tentu u pipieddu. Augurius de pat’e tòtus e imprassus de is cumpangeddus. Biendu ca dd’iant cretia, a merì fut andada a dom’e s’aiaia, de sa padrina, de ua zia, a tòtus iat potau sa nova, e tòtus dd’iant fatu is sa strías. Giustina, mai nomini fut prus isbagliàu, biendu ca dda credìant onnia ‘ntantu ndi imbentat una. Uantr’ota iat conzillau ua cumpangedda a dd’acumpangiai a scolla. Fiat intrada in sa crassi prangendu ,sa mésta dd’iat pedìu ita fut sutzediu «Est mòta aiaia» iat arrespostu, issa trista e afrigida iat nau a cudd’atra pipiedda de dd’acumpangiài, e andadas si ndi fiant, cuntentas de uantra dì de baganzia furàda. Pàssat tempus e ua dì sa mama dd’iat mandada a comporài u chillu de petz’e procu, candu fiat torrada a domu, sa mama no ddoi fut, insà iat postu sa petza in d’u pratu, dd’iat crobèta cun d’ua tiallora, e fut andada a dom’e sa padrina «Léda padrina m’at mandau mama a ddi potai custa mandada poita ca eus mòtu su procu.» Issa iat buidau su pratu e dd’iat fatu is sa strías prexada sen’e penzai ca no fut tempus de bocì su procu. Torrada a domu a sa mama iat contau ca u piciocheddu dd’iat cabussada a cropus e nde dd’iat furau su ‘inai. Prus a tradu fut andada issa a comporài sa petza, su crannatzeri dd’iat nau: «Balla! Oi prangiu mannu, eis cumbidàu genti mèda a prandi? Primas est benìa filla tua puru a ndi comporai…» Issa fut abarrada mot’e frida, penzendu ca de custa filla no ndi ‘ogat supa. Apustis u annixeddu fut nascia Vera, su primu de Abribi, sa dì de contai fabas. Dolorèta mandat Giustina a potai sa nova a is parentis. «Ascuta Giustina - dd’iat nau s’aiaia - deu seu bècia, no seu tonta: oi est dì de contai fabas, fai ua cosa torra crasi.» «Bella mia dd’iat nau sa padrina - apustis tanti fabas chi m’as contau, penzas chi ti creta propriu oi ca est sa dì giusta?» «Nàra Giustina - iat arrespostu sa zia - ancora no dd’acabas de sconcai fabas, penzas chi ti créta propriu oi?» Sa dì Giustina iat provau it’oit nai a no essi cretia narendu sa beridadi. Nemus fut andau a domu ‘insòru a bì is pipieddus moddis. A scurigadroxu Antonicu fut andau a dom’e sa sroga a pedì cosa prezisa e iat scrobètu poita nisciunus fut andau a bì sa pipia noba: no iant cretiu a Giustina. E cus spricau s’arrexõi de su nomini Vera donàu a sa pipia apenas nascia, cun s’aciunta de su nominigiu: Fabas! Giustina prangìat in d’u furrungõi, ca no dd’iat cretia nemus, «Filla mia - dd’iat consobada sa mama - custu sutzedit a chi contat fabas a onnia momentu, arregodadì ca tocat a nai sempiri sa beridadi!» «Ma deu apu nau sa beridadi.» «Ma fiat sa dì sbagliada e totus ti connoscint cument’e frabancia!» «Promitu ca no torr’a nai prus fabas in vida mia.» «Brava! eus a bì.» A is dus mesis de sa pipia si fiant acataus ca Vera potat sa buca màba, «Cust’est su frori biancu o giunchigliu - iat nau s’aiaia - tocat, po sanai, a dda fai abidai de ua femia nascia apustis sa mòti de su babu.» «E cumenti dd’agataus una aici?» iat pedìu Doloreta. «Lassa fai a mimi - iat arrespostu sa mama - domandu a gomai, issa scit e connoscit onnia serchetu.» Tenìat arrexõi, inditada de sa gomai iant agatau sa femia giusta chi, fut andada a domu insòru, iat abidau sa pipia e, fessat po cussu o poita ca s’aiaiu, in su mentris, ddi frigàt sa ‘uca cun mebi, fatu si stait ca sa pipia ndi fut sanàda. Giustina iat cumprendiu, crescendu, ca a contai fabas si pedrit sempiri, poita ca béint scrobetas, iat scrementau e no naràt fabas mancu su primu de Abribi, ca si podìat fai. A si ‘ntendi mellus. tziu Arremundicu. Scracàlius di Gigi Tatti Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu, custus “scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus lègius chi seus passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai scaresci calincunu pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt innoi. Sciu puru, ca cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius, ma apu circau de poni scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu pagheddu de aqua lìmpia. Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus ligi imparat prus a lestru a ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de prus. Tziu Nicodemu est che su dotori Su dotori: Ita dd’est sucèdiu? Est totu unfrau. Tziu Nicodemu: Seu beniu po cussu. Poita m’ant puntu cincu espis. Su dotori: Insaras setzassidda ca ddi fatzu una puntura. Tziu Nicodemu: Puntura? Un atra? ................................................................................................................................................. Tziu Angelinu at tzerriau su nebodi Marieddu Tziu Angelinu: Marieddu, Si andas in farmacia a mi comporau una scàtula de Viagra, nonnu t’arregallat binti eurus e ti ddus pongu asuta de su coscinu. Marieddu: Certu nonnu, curru luegus. ...DOPO DUE GIORNI Tziu Angelinu: Insandus Marieddu, ddus as agataus is binti eurus asuta de su coscinu? Marieddu: Nossi nonnu. Tziu Angelinu: Comenti nossi? Marieddu: Nossi nonnu, poita de eurus, ndd’apu agatau coranta inveci de binti. Tziu Angelinu: Comenti coranta? Deu ti nd’apu postu binti. Marieddu: Sissi! Ma apu biu a nonna aciungencinci atru binti! ................................................................................................................................................. Pieru incontrat s’amigu Sandru Pieru: Saludi, e insaras ita novas? Apu intèndiu ca ti ses lassau cun sa picioca. Ita cosa? Sandru: Mi ndi seu acatau ca fiat tropu lègia, peus de sa tua.. Pieru: Nudda est! Deu d’apu lassada, poita candu andaiaus in giru, sa genti ci giràt sa faci po no dda castiai. Sandru: Custu est nudda. Tui pensa ca a sa picioca mia est su sprigu chi si giràt po no dda biri! ............................................................................................................................................................ Armanda cun sa gomai Sofia Sofia: Apu intèndiu ca sroga tua s’est trasferia a bivi in domu tua. Armanda: No mi dd’arregordis. Seu amachiendumì. Sofia: Poita si comportat mali? Armanda: No, ma fueddat tropu. No si citit mai. Tui pensa ca tra unu fueddu e s’atru, no nci stait mancu una vìrgola! .......................................................................................................................................................... Francesca cun s’amiga Gesuina Gesuina: Insaras nanca a tui puru est arribada sa menopàusa. Francesca: Eja. Est giai unu mesi chi seu intrada in menopausa. Gesuina: E comenti andat? Ti creat problemas? Francesca: A mei no. Ma pobiddu miu candu si crocaus est meda scociau. Gesuina: E poita? Francesca: Poita seu sempri una borta a gana de coberri e una borta a gana de scoberri e ddi donat fastìdiu. Francesca: Cali fastìdiu? Gesuina: Poita a cussu dd’iat a praxi non a scoberri, ma a coberri! ...................................................................................................................................................... Tzia Assunta est fuedendi cun su dotori Tzia Assunta: M’intendu tropu mali. Su dotori: Ita dda fait stai mali? Tzia Assunta: Pensu de essi un’atra persona. Su dotori: Custus funti is sintòmus clàssicus de una dòpia personalidadi. Tzia Assunta: Ita bolit nai? Seu gravi? Visitimì a fatzamì sanai Su dotori: Narit “trentatre” Tzia Assunta: Ma deu ca nanca seu dòpia? Potzu nai sessantasesi? ................................................................................................................................................... Tzia Margherita est cun su nebodi Marieddu Marieddu: Nonna est berus ca si andu cun dd’unu tzopu bessu tzopu deu puru? Tzia Margherita: Non est berus. Oghinò deu ca bessu cun nonnu tuu, depia essi giai bessia maca! ................................................................................................................................................................ Duus topis s’incontrant Su primu topi: Saludi, comenti stais? Su segundu topi: Beni. E nara, comenti stait fillu tuu? Su primu topi: Tropu beni, traballat in dd’unu casifìciu. E fillu tuu ita fait? Su segundu topi: Ah, issu ge stait beni est in America. Traballat in su campu de s’informatica cun is Computer. Su primu topi: Bellu. E de ita si ocupat cun is computer? Su segundu topi: Fait su mouse! ................................................................................................................................................. Duus cassadoris Francu e Gigettu funt fueddendi de is canis insoru Gigettu: Balla, su cani miu est tropu bravu e traballanti. Francu: Su miu puru e bravu ma est tropu mandroni. Gigettu: Poita? Francu: Poita, candu depeus andai a cassa, inveci de mi ndi portai su guintzàliu, mindi portat is crais de sa màchina! ................................................................................................................................................... Sa maista est curregendi is còmpitus de Marieddu Sa maista: Ma o Marieddu, ma si podit sciri poita scriis is còmpitus a caligrafia aici pitica? Marieddu: Ddu fatzu a posta. Aici is sbàlius si bint prus pagu! PDF Compressor Pro 1 aprile 2016 LA SARDEGNA NEL CUORE 21 di Sergio Portas Quest’estate al mare sulle nostre spiagge ci saranno i colori, i giochi e le risate dei bambini giapponesi di Fukushima S criveva Elémire Zolla sul numero 128 di “Paragone”, agosto del 1960 una vita fa, a proposito di Mellville e della sua celebre balena bianca: “La natura in antico veniva riverita, oggi viene aggredita senza ritegni, ogni traccia di divinità, cioè di inconoscibilità è in essa sparita...Quale il metodo seguito da Ahab per dominare la natura? Egli deve sottrarle la sua qualità essenziale, l’imprevedibilità...L’arma dello scienziato e tecnico moderno è il concetto di probabilità e di media statistica”. E allora tu tiri su un muro alto sei metri davanti a una centrale nucleare costruita incautamente vicino al mare, statisticamente su quelle spiagge onde di così elevata altezza non se ne sono mai viste, ma il terremoto che si sviluppa, che pure è a cento chilometri di distanza è del più alto grado delle scale che li misurano di sempre, l’onda di “tsunami” che si sprigiona spazza via 400 chilometri di costa, in alcuni punti è alta 40 metri, a Fukushima arriva “solo” ai quattordici: è disastro nucleare. Cinque anni fa, l’11 di marzo. A giugno in Italia un referendum abrogativo fece naufragare il tentativo dell’allora governo Berlusconi di riaprire nel nostro paese il capitolo dell’energia nucleare. In Sardegna pochi mesi prima, in un referendum consultivo voluto da Sardigna Natzione, la stragrande maggioranza della popolazione aveva detto no al nucleare nell’isola (votanti 60%, no al nucleare 99,24%). Ed è dall’anno dopo che l’associazione italo-giapponese “Orto dei sogni” ha l’ambizione di coltivare quelli dei bambini di Fukushima in Italia. Più specificatamente in Sardegna, in grazia del fatto che uno dei cinque soci fondatori l’associazione Claudio Carta è di Riola Sardo, sul loro sito internet ne viene tracciato un profilo sintetico: “Presidente della cooperativa Carta, per 16 anni ha svolto la sua attività tra Cina e Italia nel settore tessile e dell’abbigliamento. Attualmente in Sardegna, sua terra d’origine, ha avviato un progetto di recupero ambientale e turistico attraverso lo sviluppo di coltivazioni biologiche e di energie sostenibili”. È sposato con una giapponese, socia fondatrice come ovvio, Kayo Tokunaga, nel nostro paese dal 2001, giornalista nel settore del life style/design. Una figlia: Sara, beata lei che parla correttamente giapponese e italiano e sardo e inglese, così quasi per gioco. A giocare vengono portati una quindicina di bimbi giapponesi opportunamente selezionati, otto-dieci anni, particolarmente esposti alle radiazioni, in quel di Marrubiu, l’anno passato erano in località Sant’Anna, nella casa parrocchiale della chiesa, ambiente pieno di verde, campo da basket e di calcio. A un tiro di schioppo da Is Bangius che fu, ai tempi di Caracalla imperatore (200 d.C.), “Pretorium” romano per chi, da Karalis, andava verso Forum Traiani (Fordongianus) e più su verso Turris Libisonis (Olbia): c’erano terme con pavimenti a mosaico, e ampie strutture di cui si possono ammirare le rovine, da qui un pregevole museo che il sindaco Andrea Santucciu sta opportunamente molto valorizzando. La scommessa, finora sempre vinta, consiste nel far vivere, per un mese, nel modo più naturale possibile, un gruppo di bambini che, nel loro paese, in modo naturale non vivono proprio per niente, a cinque anni dal “disastro”, dal “sotagai”, l’inimmaginabile, l’imprevedibile, in giapponese. Come stiano le cose da loro lo mostra un documentario che l’”Orto dei sogni” proietta a Milano in Galleria Vittorio Emanuele, sponsor il Comune che pure aiuta il progetto dell’associazione. Morimi Kobaiashi, la presidentessa, dice di una drammatica situazione, di crescenti numeri di tumori infantili alla tiroide: 115 su 385.000 bimbi esposti alle radiazioni, 299 per milione in tutto il Giappone, in Italia sono 2,9 per milione. Dice giustamente che, di fronte a queste cifre, non bisogna chiudere gli occhi né il cuore. Sarà che la regista Hitomi Kamanaka preferisce far parlare mamme piuttosto che i padri, sono comunque loro le grandi protagoniste, anche perché i bambini li tirano su loro, le vedi comunque scavare la terra contaminata (almeno tre centimetri di terreno) sulla strada che porta alla scuola, misurare col contatore Geiger i millisievert e i bequerel che svelano la radioattività del riso o dei pesci, dell’erba in giardino. Farne sacchi di quest’erba contaminata, ve ne sono a milioni attorno a Fukushima, con le tonnellate d’acqua radioattiva stivate in contenitori d’acciaio sono l’eredità che questa generazione di giapponesi lascerà alle generazioni future per i prossimi trecento anni, almeno. Il cesio 137 ci mette 35 anni a dimezzare la sua emissione di radiazioni beta e non finisce di essere nocivo, ma il vero problema è costituito dalle barre di uranio ancora presenti all’interno dei quattro reattori disastrati. A tutt’oggi neppure i robot sono in grado di avvicinarsi al nucleo di queste strutture, smettono di funzionare. Quindi nessuno sa veramente se l’uranio abbia o no fuso il contenitore di acciaio che lo conteneva e se ne stia andando sotto terra, tremila gradi di temperatura, dove inesorabilmente incontrerà la falda acquifera. La verità è che senza una provvidenziale valvola che è saltata e ha permesso alla piscina d’acqua di mare di tracimare sulle barre d’uranio del reattore numero quattro, pericolosamente esposte all’aria, raffreddando il sistema e scongiurando l’emissione di radiazioni in modo incontrollato, si sarebbe dovuta evacuare la popolazione della grande Tokio, qualcosa come 50 milioni di abitanti. Intorno a Fukushima ne sono stati allontanati 160.000, i più vivono in case-container. Lo tsunami ne ha uccisi 16.000, e 5000 sono dichiarati “dispersi”. Claudio Carta, presidente della cooperativa Orto dei sogni I bimbi che arrivano in Sardegna possono finalmente fare, per un mese, quello che fanno i bimbi sardi: giocare a pallone, andare scalzi sull’erba (come punge!), coltivare un orto, mangiare malloreddus e seadas, andare al mare a Torregrande. Con loro anche un gruppo di volontari, cinque l’anno scorso, quattro quest’anno, che aiuteranno quelli dell’associazione, sono studenti universitari che studiano la lingua giapponese presso il dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Cà Foscari di Venezia. Il gruppo dei piccoli giapponesi è come fosse “adottato” dalla comunità di Marrubiu, le partite di pallone si svolgono fra loro e i coetanei della zona della “Nuova Terralba calcio”. Latte e latticini vengono da Arborea, c’è chi dà carne e chi frutta che non conosce trattamenti chimici di sorta (Biomura). I muggini per la grigliata vengono da Cabras, dalla “Nuovo consorzio cooperative Pontis”. Al mercato capita di assaggiare pecorino e prosciutto di cinghiale. Dolci sontuosi. E i valori di radioattività delle urine si dimezzano dopo un mese di Sardegna. Gli episodi di epistassi (sangue dal naso) frequenti in almeno la metà di loro si riducono quasi a zero. Subito dopo l’arrivo iniziano gli esami del sangue dei bambini. È un servizio sanitario a titolo gratuito grazie al supporto dell’Asl locale. Una volta alla settimana il laboratorio di danza, con maestra Cristina. Nella serata aperitivo organizzata per i sostenitori locali sono stati serviti piatti tipici giapponesi cucinati con cura particolare da Tomoko, la capo-cuoca di Casa Orto (da Osaka dove aveva un ristorante si è trasferita a Oristano dal 2007, scrive anche libri di ricette sarde in giapponese). Le bimbe con il kimono estivo di cotone dai mille fiori colorati, i maschi con quello rigorosamente scuro. Se questa estate nelle spiagge del Sinis sentite risa e urla di gioia in un dialetto che non è quello di Guspini o di Berchidda non c’è da stupirsi più di tanto: sono i bambini giapponesi di Fukushima.