Fagioli a minestra - Città Metropolitana di Catania

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Fagioli a minestra - Città Metropolitana di Catania
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CUCINA NOSTRANA LIBRI IN VETRINA
Fagioli a minestra
Tornando ogni tanto sull’antica figura del contadino siciliano si trovano spunti molto interessanti sul so lavoro, la
sua vita, il suo rapporto con il cibo. Con grande amore, per
esempio, egli si dedica a costruirsi tutti gli utensili di casa.
Nascevano così dei piccoli capolavori – come si dice oggi –
di “arte povera”. Prima fra tutti, i cesti e i panieri di giunco
da utilizzare per la raccolta dei prodotti che il suo orto rigoglioso gli regalava. Ma tanti altri lavori occupavano i suoi
momenti di libertà : i “cannizzi” su cui poggiare fichi,
pomodori, frutta da essiccare al sole cocente dell’isola.
Anche qui la pazienza non poteva mancare. Un altro
attrezzo indispensabile nelle vecchie cucine di ferro era il
“sciuscaloru” o “muscialoru”, per rinvigorire la fiamma dei
carboni o della legna ardenti. La spatola e il cucchiaio di
legno sono, forse, fra gli strumenti che usava di più; mi
piace immaginare la vecchia pentola di coccio nella quale
sobbollano i legumi, che spandono per casa profumi ormai
quasi dimenticati: L’elenco di tutte queste piccole cose preziose potrebbe continuare. Ne riparleremo altre volte.
INGREDIENTI
Dosi per quattro persone
300 grammi di fagioli rossi secchi
1 cavolo rapa
1 cipolla
1 pomodoro maturo privo di buccia e semi
1 pomodoro secco sott’olio
100 grammi di cotenna di maiale (facoltativa)
olio di oliva,sale,pepe e peperoncino (facoltativo)
PREPARAZIONE
Mettere i fagioli a bagno in acqua tiepida ( possibilmente in
acqua di cisterna) per almeno dodici ore e scolarli.
Riporli in pentola e coprirli con altra acqua piovana, se se
ne dispone.
Cuocerli con il coperchio, a fuoco moderato, per un paio di
ore.
A metà cottura, unire ai fagioli il cavolo nettato e tagliato a
pezzi assieme alle sue foglie più tenere, alla cipolla pulita e
tritata, ai due tipi di pomodori, al sale, al pepe e al peperoncino (se piace).
Il piatto può essere arricchito con l’aggiunta di pezzetti di
cotenna di maiale, che si farà cuocere assieme agli ingredienti sopra detti.
I fagioli così cucinati si accoppiano molto bene alla pasta
del tipo “ditali” o “spaghetti” spezzettati; in tal caso si
sconsiglia l’aggiunta della cotenna.
La minestra si può servire anche fredda.
Ciascun commensale aggiungerà nel proprio piatto un filo
di olio crudo.
Come per i ceci e per tutti gli altri legumi, è indispensabile
adoperare una pentola di terracotta, il cucchiaio di legno e,
soprattutto, per una buona riuscita, l’acqua piovana.
I fagioli dovranno essere del tipo chiamato in Sicilia” buttuni di jaddu” (bottoni di gallo).
Eleonora Consoli
Elio Miccichè, Accadeva a Catania...,
Edizioni Incontri - pag. 166 Euro 14,98
Elio Miccichè è un agronomo, con il piglio da letterato curioso,
che si diverte a raccontare testimonianze della civiltà siciliana
con stile affabile ed originale.
Questo libro ne è ulteriore prova: cinque vicende di storia catanese che, a partire dalla seconda metà del ‘700, cambiano il
volto politico ed urbano della città. Francesco Moncada Paternò Castello,
Bernardo Gentile Cusa, Sebastiano Ittar, Cesira Frigeri, Giuseppe De Felice, sono
alcuni dei nomi che popolano le pagine dell’accurata ricerca dell’autore, cui premeva, nonostante la diversità delle vicende, documentare il percorso che ha portato ad un assetto urbanistico moderno, dopo il disastroso terremoto del 1693. La
costruzione di via Etnea, le ville liberty di viale Regina Margherita, la Marina, sono
alcuni dei siti di cui Miccichè si occupa, dove fin dalle prime battute emerge il
volto bifronte di Catania: “ tolte le cinque vie …primarie, le restanti tutte sono
ignobili, senza gente, e diverse nido di sudiciume e di povertà”.
Ciò che si auspica l’autore è la risoluzione di un problema condiviso da molte
grandi città, seguire “il senso estetico per limitare i danni e restituire maggior
decoro al centro storico e non”.
Domenico Trischitta
STORIE DI PIETRE
CALTAGIRONE, CERAMICHE E LUMINARIE
A 67 chilometri da Catania tra i monti Erei e Iblei sorge, a circa 600 metri sul livello
del mare, Caltagirone, dal nome arabo che significa “il castello dei sepolcreti”, proprio per le antiche sepolture venute alla luce nella zona del Calatino. La cittadina
oltre ad essere famosa per le ceramiche (è chiamata la “Faenza della Sicilia”) è rinomata per la scala di Santa Maria del Monte.
Si tratta del collegamento che porta dal Municipio alla Chiesa Santa Maria del
Monte. Il suo dislivello è di circa 50 metri, con 150 gradini larghi 8 metri e fu
costruita dall’architetto Giuseppe Giacalone nel 1608 con pietra arenaria. Ma soltanto nel 1952 la scala ha assunto, grazie all’artista calatino Antonino Ragona,
l’aspetto maestoso che ha oggi. La particolarità di questa scala è il rivestimento
di mattonelle multicolori di ceramica, che sono differenti da un gradino all’altro,
e che fanno di questa opera un’immensa e spettacolare mostra d’arte all’aperto.
Durante le feste di Maria Santissima di Condomini (fine maggio) e del patrono di
Caltagirone San Giacomo (24 e 25 luglio) la scala diventa una vera e propria
meraviglia. Infatti, circa quattromila lucerne di terracotta riempite d’olio, ricoperte da carta colorata, la trasformano in un trionfo di colori. Gli artisti del luogo,
infatti, riescono a trasformare quest’artistica via in un grandioso arazzo multicolore e luminoso, con spettacolari disegni geometrici o floreali che specie nelle
ore serali offrono allo spettatore una visione fantastica e surreale. Queste “luminarie”, che insieme agli scalini in ceramica, hanno reso Caltagirone famosa in
tutto il mondo, sono meta di consistenti carovane di turisti e curiosi che durante le due festività religiose, delle quali abbiamo accennato, affollano le vie del
centro cittadino per far godere i loro occhi e lo spirito.
Antonio Di Paola