libano, l`attentato che mette hezbollah in difficoltà

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libano, l`attentato che mette hezbollah in difficoltà
 Commentary,11luglio2013
LIBANO, L’ATTENTATO CHE METTE
HEZBOLLAH IN DIFFICOLTÀ
ANTONIO PICASSO
L
’attentato del 9 luglio a Bir el-Abed, quartiere
della periferia sud di Beirut, ha il sapore di una
provocazione, se non di una schietta dichiarazione di guerra. La zona è abitata da una comunità
quasi a prevalenza sciita, quindi vicina a Hezbollah,
quindi ancora sostenitrice del presidente Assad nella
guerra civile in Siria. Fare esplodere un’autobomba tra
quei caseggiati, che sette anni fa sono stati già bersaglio dell’aviazione israeliana, durante la “guerra dei 33
giorni”, significa colpire, o tentare di colpire il Partito
di Dio. Significa cercare di provocarne l’elettorato,
facendolo scendere sul sentiero di guerra. Vuol dire, da
ultimo, dichiarare l’intenzione di espandere il conflitto
siriano anche oltre i confini del paese, dilatandolo
quindi al Libano.
©ISPI2013 Dal punto di vista operativo, il caso rientra nella costante instabilità, in questo momento a bassa tensione,
che è propria del Libano. Un’autobomba è stata parcheggiata in uno spazio di proprietà di un imprenditore
notoriamente vicino a Hezbollah. L’esplosione ha distrutto le vetrine di alcuni negozi circostanti e ha
provocato una cinquantina di feriti, per lo più non
gravi, ma nessun morto. Questo secondo la ricostruzione degli inquirenti. Due i problemi. Primo, gli in-
quirenti non appartengono alle forze di polizia libanesi,
bensì a Hezbollah. Il che lascia inevaso il dubbio sulla
assoluta veridicità della ricostruzione dei fatti. Secondo, l’auto con l’ordigno a bordo è stata parcheggiata senza dare minimamente nell’occhio. La conseguenza è altrettanto binaria. Da un lato l’apparato di
sicurezza sciita mostra dei punti permeabili. Dall’altro,
a esplosione avvenuta la rete di controllo dell’apparato
stesso si è immediatamente serrata, al punto che né alle
istituzioni governative (polizia o intelligence) né ai
media, soprattutto se stranieri, è stato permesso di avvicinarsi al luogo dell’attentato. Gli unici giornalisti
filtrati dal cordone di controllo sono stati quelli di
al-Manar. Emittente televisiva di Hezbollah. Si è costretti quindi a formulare supposizioni anziché analisi
fondate su dati certi.
Per il movimento sciita il colpo è duro da un punto di
vista simbolico. Un attentato il primo giorno del Ramadan può essere visto come un sacrilegio, compiuto
da chi dell’Islam è intenzionato a far risaltare la parte
più fanatica. Quindi la deriva più lontana dalla genuinità del messaggio di pace custodito nel Corano. Nella
fattispecie l’ala sunnita dei salafiti schierata contro gli
sciiti, visti come la quintessenza dell’eresia.
Antonio Picasso, giornalista freelance.
Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. 1 commentary
Del resto, l’interesse a provocare Hezbollah può avere
anche un’altra origine. Israele per esempio. «Ancora si
indaga», riferisce una fonte vicina al Partito di Dio. Se
non si trattasse del Libano, queste tre parole meriterebbero di essere lasciate alla loro laconicità. Tuttavia,
nel paese dei cedri quello che non viene detto ha altrettanto valore di quel che si dice. La dichiarazione
anonima fa pensare che tra le fila del movimento sciita
stia maturando il dubbio di un coinvolgimento
dell’intelligence israeliana. Tutto da provare, ovviamente.
Detto questo, non resta che avanzare le ipotesi sul responsabile dell’accaduto. Oppure sui responsabili. In
simili circostanze, l’operazione viene portata a termine
grazie all’intervento di una filiera di soggetti. Chi piazza
l’ordigno spesso non fa parte del medesimo gruppo,
movimento o milizia che lo promuove e che ne auspica
le reazioni. Il trust operativo è un fenomeno assai frequente nella realtà libanese, così smembrata fra etnie,
partiti politici, clan, centri di potere e gruppi d’interesse.
Al momento la maggior parte degli indizi, ma soprattutto delle analisi politiche, porta alla pista salafita.
L’apertura del Ramadan, il fatto che gli sciiti di Hezbollah stiano combattendo in Siria contro i ribelli
sunniti, infine la storica rivalità fra le due confessioni
musulmane. Questi i punti di forza della teoria che
accusa i sunniti. La frizione confessionale, già in passato, è stata fonte di tensioni e potenziale focolaio di
una guerra civile. Nel 2008, quando a Beirut la crisi
istituzionale non trovava uno sbocco, i miliziani sunniti, fedeli al clan Hariri e quelli sciiti del Partito di Dio
evitarono lo scontro aperto solo perché le rispettive
leadership raggiunsero un salvifico compromesso.
Allora fu l’elezione di Michel Suleiman, ex capo di
stato maggiore dell’esercito libanese e oggi presidente
della repubblica, a salvare il paese dal baratro. La
bomba a Bir el-Abed riporta il Libano sul crinale di
cinque anni fa.
©ISPI2013 Sapendo che molti dei punti interrogativi che aleggiano intorno all’attentato di Beirut resteranno inevasi,
è necessario capire la reazione che può avere Hezbollah. A esplosione avvenuta, la massa dei suoi elettori è
scesa in piazza inneggiando contro i terroristi takfiri,
gli estremisti sunniti, quindi salafiti. Il segretario generale del partito, Seyyed Hassad Nasrallah, sa che la
linea rossa è davvero sottile. La degenerazione dai
cortei di protesta agli scontri aperti è breve. Per questo,
la leadership del movimento è disposta a tollerare
soltanto le manifestazioni di piazza, organizzate e
promosse esclusivamente nei quartieri sotto il suo
controllo, a maggioranza sciita. Per quanto disonorevole possa apparire un attentato non vendicato a Bir
el-Abed, Hezbollah non può permettersi di combattere
una guerra anche in Libano.
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