Nuova corrente di pensiero sul Medio Oriente

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Nuova corrente di pensiero sul Medio Oriente
Tregua in Medio Oriente
23 agosto 2006, Mercoledì •
3
La missione di pace. D’ Alema: nessun soldato se Israele continua a sparare
Parisi: siamo pronti a partire
Ma quanti scarponi di altri Paesi?
Il governo italiano punta ad ottenere al
vertice Ue di venerdì il conferimento ufficiale
di un «mandato» per guidare la forza di pace.
Ma i dubbi e le perplessità sul tappeto sono
ancora molti. Venerdì a Bruxelles ci sarà
anche Kofi Annan, a cui spetta l’ultima parola
su chi comanderà il contingente di caschi blu
Roma. Primo colpo di freno
nel governo sulla missione.
Mentre oggi a Bruxelles le di­
plomazie dei 25 Paesi Ue tenta­
no di fare chiarezza sulla parte­
cipazione de vari stati membri
al contingente Onu, in vista di
un vertice dei ministri degli
Esteri che si terrà dopodomani,
dove ci sarà anche il segretario
dell’Onu Kofi Annan, nell'ese­
cutivo serpeggiano i primi dub­
bi sul ruolo dell'Italia e sul con­
tributo degli altri Paesi: «Non
partiremo con il plauso genera­
le per ritrovarci dopo qualche
mese in solitudine», osserva il
vice premier Francesco Rutelli.
Dopo aver raccolto riconosci­
menti e incassato la candidatu­
ra a guidare la missione, il go­
verno si trova di fronte a un
esplicito invito alla prudenza di
un suo esponente, che è anche
compagno di partito del mini­
stro della Difesa Arturo Parisi. Il
quale del resto solleva lo stesso
problema, anche se in termini
diversi: «L'Italia si sta prepa­
rando ma quanto saranno gli
scarponi degli altri Paesi? Que­
sta è la risposta che conta»,
incalza il titolare della Difesa.
In serata, Romano Prodi telefo­
na a Vladimir Putin e chiarisce
che l'Italia guiderà la missione
solo in base a una «chiara ri­
chiesta» della «comunità inter­
nazionale». Cioè, non al buio.
Putin ha assicurato che la Rus­
sia sosterrà gli sforzi italiani
Intanto, il ministro degli Este­
ri, Massimo D'Alema, prosegue
nel suo febbrile lavoro diplo­
matico per arrivare a una solu­
zione in grado di far decollare
la missione: chiede e ottiene da
Bruxelles un vertice con i suoi
colleghi europei, che si svolge­
rà venerdì. Di fronte ai primi
tentennamenti, D'Alema difen­
de la linea da lui fino a qui
sostenuta, fare in fretta con
l'Italia «in prima fila». «Non mi
si venga a parlare di avventuri­
smo. L'avventurismo è solo un
argomento di becera propagan­
da usato dalla destra», dice il
ministro. D’Alema però ha
mandato anche un messaggio
molto chiaro al governo israe­
liano: «Ci aspettiamo un impe­
gno rinnovato, e stavolta dav­
vero vincolante, a rispettare il
cessate il fuoco. E’ giusto pre­
tendere che gli Hezbollah de­
pongano le armi, ma non pos­
siamo mandare i nostri soldati
in Libano se l’esercito di Tsahal
continua a sparare» Ora però la
Cdl ha qualche argomento in
più per dire che il governo ri­
schia di fare il passo più lungo
della gamba. Anche nel governo
c'è chi non intende inviare sol­
dati in Libano senza la garanzia
che gli altri Paesi faranno la
loro parte: «L'Italia è pronta ma
è indispensabile un impegno
concorde della comunità inter­
nazionale e il sostegno pieno di
tutti i 25 pesi dell'Ue», puntua­
lizza Rutelli. Insomma, la mis­
sione è «critica e difficile»,
quindi l'Italia non può partire
con «il plauso generale» per ri­
trovarsi poi da sola in Libano.
Il colpo di freno di Rutelli non
è casuale ma rispecchia i dubbi
sollevati dal Pierluigi Casta­
gnetti, il vice presidente della
Camera, che ammonisce: «Sen­
za la Francia, noi non possiamo
partire». Questo in mattinata.
Ma all'ora di pranzo, Rutelli si
mostra anche lui prudente. E la
faccenda assume tutt'altra pie­
ga e i richiami della Margherita
sembrano rivolti direttamente
a D'Alema, impegnato nella
raccolta delle adesioni finora
davvero scarse con Francia,
Germania, Olanda, Spagna Gre­
cia, che restano defilate. Per
non parlare della Gran Breta­
gna. Eppure, il ministro degli
Esteri non demorde.
«Se ci riusciamo, la missione
avrà una forza molto cogente.
Sarà un riconoscimento impor­
tante per l'Italia», dice D'Alema.
Il quale, domani, vedrà la colle­
ga israeliana, Tzipi Livni, che
arriverà a Roma dopo la sosta
di oggi a Parigi. Due snodi im­
portanti per la missione Onu.
Ma Israele fa ormai affidamen­
to sul nostro Paese: «L'Italia è il
Paese europeo più serio nella
sua volontà di aiutare la pace in
Libano. E quindi dovrà avere un
ruolo centrale nella forza inter­
nazionale», fa sapere il premier
Ehud Olmert.
Il ministro degli Esteri deve
fare in fretta di fronte alle cre­
pe che si notano nella maggio­
ranza, che la Cdl non esita a
sfruttare. «La dimensione euro­
pea della missione è un ele­
mento essenziale, esattamente
come le regole d'ingaggio. In
assenza di un forte impegno
politico e militare dei 25 Paesi
Ue, l'Italia sarebbe costretta a
rivedere la sua posizione», in­
calza l'ex ministro degli Esteri,
Gianfranco Fini. In serata, an­
che l'Udeur tentenna: «Cautela.
L'Italia non può muoversi da
sola». La sinistra radicale, come
accade da giorni, è schierata
con D'Alema e invita il governo
a fare presto.
Michele Lombardi
ANTICIPAZIONE DI LE MONDE
L’Unifil non potrà disarmare gli Hezbollah
ma aprirà il fuoco, se attaccata
Parigi. Le regole d’ingaggio provvisorie per la
missione Unifil rafforzata in Libano autorizzano
i caschi blu ad aprire il fuoco per difendersi,
proteggere i civili e disarmare i miliziani che si
dovessero trovare sul loro passaggio. Lo scrive Le Monde, venuto in possesso del documento dell’Onu distribuito ai Paesi che hanno
partecipato alla riunione del 18 agosto. I 15mila soldati che dovrebbero costituire la forza
Onu non avranno comunque come compito -
scrive il quotidiano francese - quello di ricercare attivamente le armi di Hezbollah che
spetta all’esercito libanese, né di interporsi in
caso di ripresa dei combattimenti. Nel documento, di 21 pagine, si afferma che l’Unifil
rafforzata opera secondo principi «di natura
principalmente difensiva» ma che «autorizzano
l’ uso di una forza appropriata e credibile se
necessaria». Le regole d’ingaggio - osserva Le
Monde - consentono senza ambiguità il diritto
all’autodifesa dei caschi blu.
Passeggiata con rovine. Una donna libanese cammina per le strade di Saddikine, vicino a Tiro
Cauto ottimismo. Parziale marcia indietro degli Usa sulla seconda risoluzione, bloccata dalla Francia
Al Palazzo di vetro una parola d’ordine: fare in fretta
Missione del segretario generale in Medio Oriente. Forse andrà anche in Siria e Iran
New York. Alle Nazioni Unite la
parola d’ordine è fretta: fitti contat­
ti sono in corso in vista del vertice
Ue venerdì a Bruxelles per definire
modalità e mandato della missione
europea in Libano.
Al Palazzo di vetro si respira un
aria di cauto ottimismo e il segreta­
rio generale Kofi Annan (anche se il
suo portavoce Stephane Dujarric
ancora non lo conferma ufficial­
mente) sarà anche lui a Bruxelles
per la riunione del 25 agosto da cui
potrebbe uscire l’investitura della
leadership italiana nella missione.
«Il segretario generale ha parlato
più volte con il premier Romano
Prodi negli ultimi tre giorni, l’ultima
volta ieri», ha detto Dujarric osser­
vando che «la cessazione delle osti­
lità è fragile, avere truppe nella re­
gione rafforza la tregua e dunque
serve avere sul posto un’avanguar­
dia al più presto».
L’Onu vorrebbe vedere il primo
contingente dell’Unifil rafforzata sul
terreno a partire dal 28 agosto e la
diplomazia del Palazzo di vetro se­
gue da vicino i contatti nelle capita­
li: all’Onu si guarda con attenzione
ai colloqui che il ministro degli
Esteri israeliano Tizpi Livni avrà a
partire da oggi a Parigi e poi a
Roma. Non confermate, circolano
alle Nazioni Unite indiscrezioni su
una missione dello stesso Annan
nella regione dopo la tappa bruxel­
lese: il capo delle Nazioni Unite,
secondo fonti Onu protette dall’ano­
nimato, potrebbe fermarsi anche a
Kofi Annan
Teheran e a Damasco.
Annan ­ ha indicato Dujarric ­ è
stato in contatto la settimana scorsa
con Iran e Siria, i due Paesi accusati
quotidianamente dagli Stati Uniti di
aver incoraggiato Hezbollah scate­
nando la crisi: «Continuano a soste­
nere Hezbollah in violazione della
risoluzione 1701 del Consiglio di
Sicurezza», ha detto l’ambasciatore
americano John Bolton.
«Speriamo che i Paesi che hanno
influenza nella regione la usino po­
sitivamente», ha osservato il porta­
voce del segretario generale senza
confermare le voci sulla missione.
Gli Stati Uniti hanno intanto fatto
una parziale marcia indietro sulla
«seconda risoluzione» annunciata a
sorpresa lunedì dal presidente Ge­
orge W. Bush e relativa alle regole
di ingaggio della forza internaziona­
le e al disarmo di Hezbollah.
«Se ne sta parlando, ma non ci
prefiggiamo tempi. Ora c’è la 1701 e
stiamo a guardare la sua applicazio­
ne», ha detto Bolton ai giornalisti
del Palazzo di vetro. Lunedì la Fran­
cia aveva bloccato l’iniziativa: «Di
una seconda risoluzione ­ aveva
detto una fonte diplomatica ­ non si
parla».
Quanto alle regole di ingaggio, se­
condo Dujarric, erano l’argomento
di discussione della scorsa settima­
na e i nodi sembrano essere al mo­
mento risolti. In questi giorni si sta
parlando di composizione della for­
za con l’obiettivo di vedere un con­
tingente «legittimo politicamente e
veramente internazionale» grazie a
contributi «europei e non europei,
islamici e non islamici».
Intanto in Francia è polemica sulla
posizione ondeggiante del governo.
Il quotidiano Libération si è posto la
domanda che un pò tutti, nella co­
munità internazionale, si fanno:
«Cosa è successo», per far cambiare
l’atteggiamento di Chirac, passato in
pochi giorni dall’annuncio di un
contributo importante e dalla di­
sponibilità ad assumere la guida del
comando nella forza dell’Onu in Li­
bano, all’invio di soli 200 soldati del
genio? Nessuno sembra spiegare la
nuova posizione di Parigi. Ma alcuni
ufficiali­ hasnno ammesso in confi­
denza­ di essere poco entusiasti di
andare alla guerra.
Alessandra Baldini
A Beirut in attesa dei caschi blu
dicono già «grazie» agli italiani
Beirut. Che siano gli italiani a pren­
dere il comando della missione Onu
non dispiace certo ai libanesi, anche
se da alcune parti emerge una delu­
sione per l’ormai probabile, anche se
non dichiarata, rinuncia francese e il
ridotto numero di loro militari desti­
nati in Libano. L’attesa per tutti è
rinviata all’esito delle riunioni del­
l’Unione Europea previste oggi e ve­
nerdì a Bruxelles per la definizione
dei termini della missione.
Sulla base del numero di tricolori
bianco­rossi­verdi, piccoli e grandi,
che sono ancora appesi a finestre e
su palazzi anche diroccati in punti
diversi del Libano, da Beirut al mar­
toriato sud, non c’è dubbio che i
caschi blu italiani siano benvenuti.
Anche se quelle bandiere sono l’ere­
dità della vittoria dei mondiali di
calcio e non sono direttamente colle­
gate allo schieramento previsto dal­
l’Onu.
Peraltro un «grazie sentito» per
l’impegno manifestato finora dall’Ita­
lia e dal suo governo è stato espresso
dal primo ministro libanese, Fuad Si­
niora, all’ambasciatore d’Italia a Bei­
rut, Franco Mistretta. Così come la
notizia degli italiani pronti a prende­
re il comando della missione appare
a caratteri cubitali sul quotidiano di
lingua francese L’Orient le Jour, se­
la storia
Aita al Chaab (Libano). Ma­
riam Haïdar, 19 anni, è rimasta
con una dozzina di abitanti del
villaggio sul campo di battaglia
di Aita Al Chaab, nel Sud del
Libano, per aiutare i combat­
tenti Hezbollah coinvolti in una
guerra spietata con Israele. «Ho
decisamente rifiutato di rag­
giungere il resto della mia fa­
miglia al villaggio cristiano di
Rmaich», afferma la giovane ra­
gazza coperta dalla testa ai pie­
di con uno chador, «nonostante
mio fratello, che difendeva il
villaggio insieme ai combatten­
ti di Hezbollah, mi avesse sug­
gerito di farlo, approfittando
della tregua». La giovane ag­
giunge: «Gli ho risposto che
avevo deciso di restare con le
altre compagne per aiutare i
miliziani».
Dopo il bombardamento isra­
eliano del villaggio di Cana, che
uccise 29 persone, Israele aveva
stabilito una tregua di 48 ore.
Questa cessazione provvisoria
dei combattimenti aveva per­
messo la fuga di gran parte del­
la popolazione dei villaggi di
confine bombardati. «Da un
giorno all'altro, la situazione
mia e delle compagne è precipi­
tata», afferma Mariam. «Da
semplici civili in preda ai bom­
bardamenti siamo diventate as­
condo il quale, tuttavia, la Francia
non avrebbe ancora detto l’ultima
parola e non avrebbe fissato definiti­
vamente il numero dei militari da
inviare.
Nei giorni scorsi grande pubblicità
era invece stata fatta proprio al grup­
po dei 49 ingegneri e genieri sbarcati
sulle note della Marsigliese sulle co­
ste libanesi con i loro anfibi e blinda­
ti, con la sottintesa speranza che si
trattasse solo di un piccolo avampo­
sto di una forza molto più consisten­
te. Proprio quella limitata apparizio­
ne aveva poi provocato non celate
delusioni da parte di politici e osser­
vatori che hanno continuato a solle­
citare Parigi perché riveda i suoi pia­
ni e aumenti il numero di soldati da
inviare.
Lo ha sottolineato il Consiglio dei
ministri nella sua riunione di lunedì
sera, «svoltasi in un clima particolar­
mente calmo e cortese ­ scrive
L’Orient le Jour ­ ma improntata a un
certo pessimismo sulla situazione at­
tuale». E l’austerità è provocata, oltre
che dal futuro per ora estremamente
incerto, anche dal blocco marittimo e
aereo che Israele continua a imporre
sul Paese dei Cedri, insieme alle vio­
lazioni israeliane della tregua, entra­
ta ormai nella seconda settimana.
Remigio Benni
il biglietto
Le ragazze di Hezbollah
Parlano le giovani rimaste in prima linea
Una sostenitrice di Hezbollah mostra orgogliosa e sorridente un poster dello sceicco Nasrallah
sistenti di Hezbollah». «Siamo
restate in casa di Oum Hussein,
in un quartiere relativamente
risparmiato dalle bombe. Cuci­
navamo purè di piselli, ceci e
lenticchie» racconta la ragazza,
seduta nella piazza centrale del
villaggio. «Mio fratello veniva
con i combattenti a prendere la
pentola per riportarla poi la se­
ra stessa».
Un'altra giovane, Battoul, 22
anni, afferma: «I nostri contatti
con i miliziani erano brevissimi.
Leggevamo insieme qualche
verso del Corano per invocare
la protezione di Dio, poi riparti­
vano verso gli avamposti del
villaggio». E aggiunge: «I soldati
israeliani sono arrivati solo una
volta fino al centro del villag­
gio. Ci siamo nascosti in una
grotta. Sentivamo le loro voci e
il rumore dei loro apparecchi di
comunicazione. Poi abbiamo
udito colpi e detonazioni.
Quando siamo usciti dalla grot­
ta, i combattenti ci hanno detto
che l'unità israeliana si era riti­
rata nel villaggio di El Qaouzah,
situato a qualche centinaia di
metri da Aita Al Chaab».
El Qaouzah, piccolo agglome­
rato cristiano, domina un setto­
re che appartiene alla fazione
sciita Hezbollah, contro la quale
Israele è venuto a combattere
in Libano. Gli israeliani ne ave­
vano fatto la loro base per ri­
spondere ai colpi delle località
vicine prese da Hezbollah. Oum
Georges, una sessantenne, con­
ferma che il villaggio ha ricevu­
to la visita dell'unità israeliana.
«Sono restata nel villaggio con
mio marito», e indicando con il
dito la cappella aggiunge: «Gli
israeliani si sono stabiliti lì».
Aita Al Chaab è di fronte alla
località israeliana di Avivim,
dove gli Hezbollah hanno con­
dotto un’operazione di com­
mando il mese scorso, catturan­
do due soldati israeliani e pro­
vocando l'offensiva di Israele.
Seicento delle 1.150 abitazioni
di Aita Al Chaab sono state di­
strutte, dice un membro del
Consiglio municipale, Ali Zein,
mentre sorveglia i lavori di ri­
mozione delle macerie dalla via
principale effettuati da un bull­
dozer dell'associazione Jihad Al
Binna, un organo di Hezbollah.
AFP
(traduzione
di Elisabetta Callegari)
di Saverio Vertone
Nuova corrente di pensiero sul Medio Oriente
Geminello Alvi ha inaugurato il “cretinismo”
S
ul Corriere della Sera di
ieri Geminello Alvi cita
un’interessante interpretazione della politica estera italiana, concepita, per così dire,
ante rem, da un professore
americano, un certo Carroll
Quigley, già maestro di Bill
Clinton.
Anticipando la teoria dello
scontro di civiltà, questo Quigley sostiene che Italia e Spagna sono Paesi inquinati dall’arabismo, in seguito alle deportazioni di schiavi effettuate
dai romani e alle successive
invasioni islamiche.
Concordando con Julius Evola
(ma guardandosi bene dal citarlo) Geminello aggiunge due
deduzioni interessanti. La prima è che i vizi del nostro
Meridione, compresa la mafia,
sono un’eredità araba. La seconda è che lo scandalo di
Massimo D’Alema fotografato
a braccetto di un parlamentare libanese («ma come è possibile!», esclama), deriva dallo
stesso lascito.
Probabilmente Quigley non ha
detto ad Alvi che la Sicilia
araba fu nel Medioevo un luminoso esempio di civiltà. E
neppure che gli storici più seri
attribuiscono l’origine della
mafia alle tendenze anarchiche dei baroni normanni, decisi a difendersi dallo Stato centrale con una feudale polizia
privata (i baroni normanni tentarono la stessa operazione
anche in Inghilterra, ma il re
Enrico III li stroncò).
A Geminello, però, interessano soprattutto le facce. E infatti scrive: «Davanti al viso arabico di D’Alema», o di Parisi, il
professor Quigley «non si ricrederebbe».
Io non ho visto la faccia di
Quigley e anche senza conoscere quella di Alvi azzardo
un’ipotesi. Nelle posizioni sul
Medio Oriente, tra buonismo e
cattivismo, sta insinuandosi
una terza corrente, un terzo
-ismo: il cretinismo.