Istituto MEME: Soccorso e scena del crimine

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Istituto MEME: Soccorso e scena del crimine
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
SOCCORSO E SCENA DEL CRIMINE
Una complicata relazione
Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche
Relatore: Dr.ssa Roberta Frison
Tesista Specializzando: Stefano Rolando
Anno di corso: Primo
Modena: 6 settembre 2014
Anno Accademico: 2013 - 2014
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Stefano Rolando - SST in Scienze Criminologiche (primo anno) A.A. 2013 - 2014
Indice dei Contenuti
Introduzione ........................................................................................................ 3
1. Il sopralluogo tecnico-giudiziario sulla scena del crimine ………..……… 4
1.1. La ricerca delle tracce ………………………………...…….......... 7
1.2. Gli strumenti di indagine …………………………......……..…… 9
1.3. L’ordinamento processuale penale ………………...……………. 15
2. I soccorritori sulla scena del crimine …………………………..………… 21
2.1. Elementi di medicina legale e protocolli operativi sanitari ...…...… 23
2.1.1.Traumatologia …………………………..………...………. 24
2.1.1.1. Lesioni da corpo contundente ………….....…….. 24
2.1.1.2. Lesioni da arma bianca ……………..……...…… 28
2.1.1.3. lesioni da arma da fuoco ………………………... 33
2.1.1.4. lesioni di tipo complesso:
l’investimento e l’incidente stradale …............…. 37
2.1.2. Asfissiologia …………...………………………...……….. 38
2.1.3. Conclusioni ……………..………….………...……...…… 41
3. Lo stress nel personale di soccorso ………………………...…………...… 43
3.1. Le reazioni patologiche alle situazioni di stress traumatico …..…... 44
3.1.1. Disturbo post-traumatico da stress (PTSD) ……….......…. 45
3.1.2. Disturbo acuto da stress (DAS) …………………………... 46
3.1.3. Disturbi dell’Adattamento ……………….……….……… 47
3.1.4. Altri disturbi …….……………...…………..…………….. 48
3.2. Sindrome del burn-out ………………….………….………...……. 48
3.3. Conclusioni …………………………………..……….……...……. 50
Conclusioni ………………………………………………………...……….… 53
Bibliografia …………………………………………...……….…………….... 54
Sitografia …………………………………..………….……………………… 56
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INTRODUZIONE
La scena del crimine è il fulcro di ogni indagine, è il “luogo” nel quale sono
rinchiuse tutte le domande e le risposte per la risoluzione di un evento criminoso.
Nel corso dei secoli si è compresa l’importanza di questa affermazione,
sviluppando metodi sempre più efficienti ed efficaci per rispondere alle domande
che la scena pone, studiando parallelamente nuove tecnologie che potessero
aiutare a “leggere” gli elementi oggettivi riscontrati.
Un tassello di discontinuità nella meticolosità del lavoro effettuato, oltre
l’impianto normativo penale anacronistico, è costituito dal mancato protocollo di
intervento congiunto con altri operatori presenti sulla scena del crimine: i
soccorsi sanitari.
Pensando alla scena del crimine, si pensa al delitto (inteso come omicidio e non
nella sua connotazione giuridica), e al personale in tuta bianca che effettua i
rilievi del caso intorno al cadavere; dobbiamo però considerare che non sempre
un crimine si conclude con l’assassinio, e che ci potranno essere persone, rimaste
coinvolte nel reato, che hanno bisogno di soccorso sanitario appropriato.
Si instaura dunque una situazione complessa, poiché il lavoro del sanitario, molto
spesso, mette in seria difficoltà il lavoro dell’investigatore, scuotendo i delicati
equilibri e distruggendo le effimere tracce presenti sul luogo di un reato.
Serve dunque capirsi l’un l’altro per poter dialogare correttamente all’interno di
una scena del crimine al fine di preservare le tracce (che divenute indizi e prove)
serviranno a assicurare il reo alla giustizia, e al contempo permettere ai
soccorritori di prestare assistenza a chi ancora ne avrà bisogno.
Analizzeremo dunque la scena del crimine, attraverso l’impianto normativo e le
teorie che la colorano di significato, passando attraverso il lavoro del sanitario
sulla scena, concludendo con l’impatto emotivo di chi lavora a stretto contatto
con la brutalità della società.
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1. IL SOPRALLUOGO TECNICO-GIUDIZIARIO
SULLA SCENA DEL CRIMINE1
“La scena del crimine è lo spazio fisico territoriale, concettuale e virtuale nel
quale si è svolto il crimine. L’insieme delle zone, dei luoghi e dei percorsi nei
quali si è compiuto l’evento criminoso con collegamento diretto alla vittima, al
bene aggredito, alla combinazione criminale che ha ideato, pianificato ed agito il
progetto criminoso”.2
• Lo spazio fisico territoriale contiene e coinvolge spazi, luoghi geografici e
topografici ben precisi, i luoghi del crimine, le aree del crimine, i percorsi del
crimine, i tragitti.
• Lo spazio concettuale è il risultato di un processo di astrazione con conseguente
rappresentazione e categorizzazione logica di convenzioni, di eventi, di
comportamenti, di relazioni e dei contatti tra i vari personaggi della vicenda.
• Lo spazio virtuale è il tipo ipotetico e ideativo, con luoghi e zone utili a
costruzioni e simulazioni.
La scena del crimine contiene, nasconde, porta e propone tracce e informazioni
che devono essere percepite, recepite, lette, decriptate, interpretate, elaborate e
organizzate.
Queste tracce e informazioni possono essere fisiche, chimiche, biologiche,
logiche, concettuali, comportamentali ed euristiche.
Va da sé che la scena del crimine – il luogo in cui è stato commesso un reato – è
di fondamentale importanza. E’ da lì che si parte con le indagini ed è lì che, salvo
qualche eccezione, si nascondono i dettagli più importanti per scoprire l’autore
del reato.
1
2
Ceccaroli Geo, Primo dirigente della Polizia di Stato t.SFP, in Soccorso e Scena del crimine:
problematiche e strategie operative, Athena editore, 2013.
Concas Alessandra: Le indagini sulla scena del crimine, definizione e disciplina del codice di
procedura penale, 2013.
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Con scena del crimine, però, si tende ad indicare una zona, più o meno vasta, che
può essere divisa in due parti: la scena del crimine primaria, ossia dove è
avvenuto il reato e la scena del crimine secondaria, dove è possibile che la
vittima o l’autore abbiano agito prima del reato.
"Ai simboli è da richiedere che essi si prestino alla ricerca; ciò succede
principalmente quando essi esprimono in modo conciso e quasi dipingono
l'intima natura della cosa, perché essi allora risparmiano mirabilmente lo sforzo
del pensiero".3
Il sopralluogo propriamente detto è classicamente indicato come un insieme di
procedure tese a cristallizzare lo scenario di un fatto-reato, descriverne l'ambiente
e costituire quello che il noto medico legale del ‘900 Ottolenghi definiva: "il
ritratto parlato… [che] rappresenta il documento più importante di tutto
l'incartamento processuale, la base di qualsiasi altra indagine di polizia
giudiziaria per l'accertamento dei reati e la ricerca dei rei".
Tuttavia nel concetto di sopralluogo rientrano un nugolo di attività non solo
descrittive ma anche e soprattutto di ricerca, di esaltazione e di raccolta di tutti
quegli elementi potenzialmente probanti individualizzati successivamente dai
laboratori forensi.
Una volta identificate, le fonti di prova dovranno essere, quindi, "ricollocate
spazialmente e temporalmente" all'interno dello scenario per addivenire alla
ricostruzione della più probabile dinamica dell'evento. Tuttavia, se la capacità
d'indagine di laboratorio ha fatto impressionanti progressi, grazie all'evoluzione
delle metodiche e delle strumentazioni in grado di penetrare nel mondo
dell'infinitamente piccolo - vedasi la genetica forense - non si può dire altrettanto
per le procedure e per gli equipaggiamenti dedicati all'analisi della scena del
crimine.
Solo di recente, anche in virtù della peculiarità di molti crimini, si è assistito ad
una rinnovata attenzione sul tema.
Pubblicazioni scientifiche dedicate e le fonti aperte illustrano l'ampia diffusione
3
Leibnitz. 1704.
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di procedure o anche semplici suggerimenti per il corretto approccio alla scena di
un delitto, distinguendo il primo intervento da parte del personale non
qualificato, tipico di una pattuglia di polizia, da quello condotto da nuclei
specializzati. Barry Fisher4, nel suo celebre trattato, individuò delle Golden Rules
del primo approccio, le cosiddette Crime Scene Do and Dont’s (lett. Quello che
c’è da fare e da non fare sulla scena del crimine) ossia guide snelle e di facile
comprensione da seguire durante le concitate fasi di arrivo sulla scena di un
crimine da parte di personale generico, per evitare errori grossolani e ridurre il
rischio di contaminazione.
Riguardo alla sistematica del sopralluogo, la letteratura classica offre un'ampia
gamma di teorie passando dalle five W tipiche dell'investigatore, all'approccio
analitico obiettivo di Ottolenghi5 , all'esame critico di Margot6 , al metodo della
"scansione" di Pannain7.
Il metodo sicuramente più interessante ed innovativo è quello che vede applicata
la logica "abduttiva" di peirciana memoria8, al processo di analisi di uno scenario
complesso, in quanto unica in grado di formulare nuove ed aggiornate ipotesi di
lavoro.
Questo modello d’investigazione classica doyliana, è completato dal severo
vaglio critico e dalla verifica continua delle iniziali ipotesi temporanee, attraverso
la ricerca simultanea di elementi volti sia a conferma che a smentita
(“falsificazione9”), nonché il costante esame delle informazioni che nascono alla
luce del ritrovamento delle nuove fonti di prova.
4
Tecniques of Crime Scene Investigation di Barry Fisher, CRC ed. 2003.
Interpretazione e valutazione singola di ogni dato raccolto rispetto le varie ipotesi
diagnostiche; comparazione fra il significato e il valore dei diversi dati di fatto raccolti;
considerazioni comparative delle varie ipotesi possibili, secondo il significato dei diversi dati
di fatto fra di loro concordanti; conclusioni sulla specie di reato.
6
Fissazione dello stato dei luoghi. Ricerca e prelievo delle tracce. Formulazioni delle ipotesi.
Ricerca di altri indizi. Prelievo di materiali di comparazione. Critica del ragionamento.
Esami ed analisi di laboratorio. Verifica e validità degli elementi di prova.
7
Raccolta indiscriminata di dati. Studio (analisi e sintesi) di tutti gli elementi. Valutazione dei
dati e varie ipotesi di soluzioni. Assemblaggio scientifico e circostanziale dei dati.
8
Charles Sanders Peirce (1839-1914) matematico, filosofo e semiologo statunitense.
9
Karl Popper, Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica [1969], Il
Mulino, Bologna, 1972.
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In virtù della mutevolezza degli scenari, quindi, accanto al classico concetto tanto
caro al mondo anglosassone di walk through, inteso come insieme di operazioni
aventi carattere valutativo prodromiche e preparatorie alla ricerca delle tracce, si
dovrà affiancare quello di learning through, inteso come apprendimento
progressivo dalla scena e adeguamento dello strumento operativo alla situazione.
A differenza del giudizio percettivo, l'inferenza abduttiva è basata su una
profonda analisi logica dei segni.
Si dovrebbe correttamente parlare, difatti, di semeiotica del sopralluogo, come
osservazione ed analisi di un fenomeno, formulazione abduttiva di ipotesi e
ricerca successiva degli elementi in grado di completare l'inferenza. Quindi il
sopralluogo è da intendersi non come la semplice osservazione e descrizione di
uno scenario, ma piuttosto come l'interpretazione della realtà osservata attraverso
l'esame prospettico delle prove.
Il processo di contestualizzazione delle tracce ai fatti, pertanto, non solo conduce
alla ricostruzione criminodinamica dei fatti, ma snellisce anche il numero di
reperti acquisibili, consentendo esclusivamente l'introduzione di prove qualificate
all'interno dei laboratori di prova.
1.1. La ricerca delle tracce
"C'è sempre sulla scena di un delitto recente qualche cosa che rimaneva ad
aleggiare nell'aria, un segno invisibile che non è possibile rilevare con la polvere
per le impronte o con il luminol o con qualsiasi altro mezzo a disposizione degli
investigatori o degli esperti della scientifica. È come se il senso narcisistico della
morte non fosse mai pienamente appagato e lasciasse dietro di sé una scia per
strappare un ultimo implacabile applauso”.10
Gli investigatori cercano di dare una risposta a tutti quegli interrogativi che una
10
G. Faletti 2004, Niente di vero tranne gli occhi.
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scena del crimine propone, attraverso quello che gli americani chiamano le
cinque W e un H, ovvero: “who”, “when”, “where”, “Why”, “what” e “how”.
• Where e What, dove e cosa è successo, una risposta è possibile arrivando sul
luogo del delitto, documentando ogni cosa con apparecchi da ripresa sempre più
sofisticati, raccogliendo tutte le informazioni e le tracce lasciate dal reo.
• Who, chi. Per prima cosa occorre conoscere l’identità della vittima, perché da
qui scatteranno le indagini che porteranno a scoprire “chi” ha commesso il fatto.
• When, quando. Se non ci sono testimoni diretti, allora sarà la vittima o il suo
cadavere ad essere interrogato.
• How, come. Il modo in cui la vittima è morta, i mezzi che l’assassino ha
impiegato.
• Why, perché. Si uccide per passione, per denaro, per vendetta. Qualche volta
per un banale litigio. Ma un motivo c’è sempre, e quando il perché lascia una
normalità anche drammatica e s’insinua nelle pieghe della perversione, ecco che
tocca agli psichiatri forensi, gli investigatori della follia omicida.11
Ne consegue la necessità pratica di essere in grado di rispondere logicamente a
questi quesiti, anche quando risposta non si trova, poiché il risultato negativo di
un accertamento, l'assenza di tracce, è di per sé una traccia.
Pertanto il giudizio predittivo scaturente dalla logica causa-effetto, consente di
comprendere il mancato ritrovamento di un oggetto come codice interpretativo ad
alto valore probante.
"Whenever you have excluded the impossibility, whatever remains, however
improbable, must be the truth".12
Pertanto se il sopralluogo come insieme di criteri logici rappresenta la fase
strategica per l'analisi della scena del crimine, la ricerca delle tracce, unitamente
ai rilievi fotografici, descrittivi e planimetrici, indicati nel complesso come
"rilievi tecnici" ne costituiscono il momento tattico.
11
Lucarelli Carlo e Picozzi Massimo, Scena del crimine, I edizione, Mondadori Editore,
Milano, 2005, pp. 5-6.
12
Sir A. Conan Doyle, The sign of four, 1890.
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Il punto di partenza è sempre il Principio di Locard secondo cui due corpi che
entrano in contatto scambiano reciprocamente del materiale sotto forme diverse.
Parallelamente lo stesso principio sostiene scientificamente la possibilità di
contaminazioni e di alterazioni da parte di chiunque altro, investigatori compresi,
entri in contatto con la scena.
Appare determinante, quindi, come regola basilare che sulla scena ci si debba
muovere sempre con criterio e sistematicità per evitare alterazioni o cambiamenti
dello stato dei luoghi fuorviante per l'interpretazione dei fatti e per evitare di
tralasciare importanti operazioni.
Durante le fasi di ricerca delle prove gli esperti invece procederanno ancor più
con rigore per evitare di tralasciare elementi importanti.
Esistono diversi pattern o metodi di ricerca delle tracce: a strisce, a spirale, a
griglia, a zone, a raggiera e point to point: ognuno presenta dei vantaggi e degli
svantaggi e la scelta dipende essenzialmente dall'ambiente (interno/esterno), dalle
dimensioni, dalla complessità, dalla dispersione delle tracce, dalla presenza di
ostacoli e dalle condizioni d’illuminazione.
Uno degli scopi del sopralluogo tecnico è quello di ricercare ed assicurare gli
indizi materiali quali elementi oggettivi di verifica delle testimonianze e delle
varie ipotesi investigative che emergono in una indagine classica di polizia.
1.2. Gli strumenti di indagine13
Accanto alla sistematica del sopralluogo vi è quell'insieme di procedure tecniche
e metodiche scientifiche tese all’esaltazione di una traccia latente e alla sua
fissazione nel contesto spaziale. Nel settore della ricerca per esempio le tecniche
elettive sono quelle ottiche che prevedono l'impiego di sorgenti di luce come le
alternate light source o laser source e le camere iperspettrali, le quali grazie
13
www.carabinieri.it/Internet/Editoria/Rassegna+Arma/2010/1/Studi/03_Saravo
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all'interazione non distruttiva tra l'onda elettromagnetica e la materia, espandono
il potere di osservazione dell'operatore consentendo l'individuazione della traccia,
prodromicamente a qualsiasi scelta di esaltazione chimico-fisica. Altresì le stesse
agevolano l'individuazione delle tracce di calzature, reperto fondamentale nella
fase di sviluppo del sopralluogo, in quanto costituiscono un elemento di riscontro
diretto in merito al numero di autori, ai movimenti effettuati, all'intenzionalità o
casualità degli spostamenti, nonché coadiuvano abduttivamente l'operatore nella
ricerca delle altre fonti di prova.
Polveri dattiloscopiche, cianoacrilato, luminol e reattivi simili consentono,
invece, l’individuazione e l'estrapolazione dal substrato delle tracce papillari ed
ematiche latenti, mentre kit diagnostici immunocromatografici offrono oggi la
possibilità di valutazioni sul posto di tracce chimiche (stupefacenti, esplosivi,
ecc.) ovvero permettono la determinazione campale della natura e/o della specie
tassonomica di una macchia biologica prima del successivo repertamento.
Una grande innovazione introdotta di recente fa invece riferimento alla
strumentazione dedicata alla "fissazione dei luoghi".
Le tecniche video fotografiche consentono la cristallizzazione degli ambienti e
delle relative tracce che, abbinate al rilievo planimetrico, forniscono il prezioso
strumento di analisi spaziale degli ambienti e degli oggetti in essi presenti,
fondamentale sia per le valutazioni interpretative da parte degli operatori sia per
l'esaustiva documentazione ai fini dibattimentali.
Nell'ultimo decennio la tecnologia ha fatto progressi decisamente interessanti
immettendo sul mercato apparati sofisticati dedicati alla ripresa degli spazi e,
grazie a tecniche fotogrammetriche, anche di misurarli.
La fotogrammetria permette di elaborare le immagini digitali e attraverso
algoritmi specifici consente di misurare le distanze con elevati margini di
accuratezza.
Il vantaggio apportato da una misurazione fatta con strumenti digitali rispetto ad
una realizzata con apparati analogici è in primo luogo paradigmatico e non
solamente quantitativo.
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L'atto della misurazione analogica in una scena richiede la presenza umana al
fine di determinare costantemente le misure ritenute necessarie, mentre l'omologa
operazione digitale presuppone un ampliamento delle possibilità.
Difatti l'operazione può essere scomposta in due distinte fasi: raccolta delle
informazioni (fase di input) e processamento dei dati raccolti (fase di
elaborazione).
Il paradigma digitale permette quindi di raccogliere tutti i dati indipendentemente
dalle scelte iniziali dell'operatore, il quale in fase di processamento sceglierà ciò
che riterrà determinante per le sue finalità, ma il dato generale, da intendersi
come fonte di prova, sarà comunque registrato e valutato alla bisogna.
Queste misurazioni potranno poi essere elaborate in una seconda fase, attingendo
semplicemente all'archivio digitale (contenente tutte le misurazioni possibili) e
scegliendo i dati che si vogliono elaborare ai fini di un’ulteriore analisi
scientifica.
Nella fase di ricollocamento spaziale e temporale delle fonti di prova, gli
strumenti digitali permettono anche di simulare e vagliare le differenti ipotesi.
Peraltro tecnologie ancor più avanzate, ma oggi sempre più diffuse, di realtà
virtuale e Augmented Reality14
permettono di valutare immersivamente la
ricostruzione avendo una corrispondenza oggettiva con la scena originale.
Le riprese effettuate mediante sistema spheron catturano in grafica raster un
ambiente ad alta risoluzione (ca 5.300 x 10.600 pixel).
Il risultato è una bolla di informazioni digitali a 360° gestibili ai limiti della
risoluzione e di massima anche misurabile grazie a tecniche stereo
fotogrammetriche.
In virtù di un software dedicato la realtà sferica ripresa potrà essere scomposta in
8 fotogrammi e unitamente alla descrizione degli elementi in essa presente,
Con Augmented reality (realtà aumentata), già utilizzata in campo militare, s’intende una
sovrapposizione della realtà percepita con una realtà virtuale ottenuta attraverso la
conversione delle misurazioni in punti tridimensionali.
La simulazione della scena viene "aumentata" da oggetti virtuali che forniscono informazioni
supplementari della scena reale.
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andare a costituire una fonte determinante per il rilievo descrittivo.
A differenza della fotocamera sferica, la scansione laser 3D è una tecnologia
solitamente impiegata in applicazioni ingegneristiche. La più comune è quella
definita as built, come acquisizione della realtà fisico-spaziale nella sua
configurazione attuale, con la conservazione, quindi, delle caratteristiche
morfologiche dell'oggetto ripreso e del suo immediato contesto spaziale nel
periodo temporale di prelievo. Una scansione pertanto è la ripresa punto per
punto della realtà; maggiore sarà la densità dei punti misurati, più fedele sarà la
riproduzione dello scenario. Le caratteristiche tecniche del dato fornito hanno
creato nuove opportunità operative per le discipline del rilievo, definibile per tale
ragione con il titolo di "Rilievo ad Alta Risoluzione" (High Definition Survey HDS).
La nuvola di punti, composta di tutti i punti individuati durante la raccolta di dati
dal laser scanner, rappresenta, infatti, una nuova realtà oggettiva certa, punto di
partenza alla determinazione quantitativa della materia. La "nuvola di punti" può
essere considerata quale nuovo oggetto/ambiente CAD: un'entità composta di una
collezione di coordinate (x, y, z), in grado di descrivere un oggetto/scena fisica,
catturate da uno strumento di raccolta-dati.
Nel suo stato originale, il sistema di coordinate della nuvola di punti è definito
dalla posizione/orientamento dello strumento di acquisizione.
Il sistema laser è in grado di misurare la distanza tra l'origine dello strumento e la
superficie colpita e dal controllo degli angoli orizzontale e verticale della
traiettoria rispetto al sistema di riferimento e grazie a formule puramente
topografiche restituisce il valore della coordinata nelle tre dimensioni.
Sono disponibili commercialmente sistemi in grado di catturare fino a 500.000
punti al secondo con un errore al di sotto del mm nell'ambito di distanza intorno i
10 m. Il risultato sarà uno spazio d’informazioni perfettamente misurabile entro il
quale l'operatore potrà liberamente muoversi, effettuare misurazioni, determinare
angoli di impatto di macchie di sangue e proiettili, per la successiva elaborazione
e ricostruzione di una dinamica. I dati saranno esportabili in un mondo CAD con
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la possibilità di realizzare un rilievo planimetrico completo, sezioni, spaccati
assonometrici, animazioni e realtà virtuali.
Le operazioni tecnico-scientifiche rappresentano attualmente uno strumento
investigativo irrinunciabile, fornendo, "effetto CSI”15 a parte, un enorme e
costante contributo all'indagine classica, consentendo di oggettivizzare le fonti di
prova con forte tenuta dibattimentale.
Le banche dati delle Forze di Polizia, come quella del DNA16 di recente
istituzione, costituiscono un potenziale devastante nella lotta al crimine, offrendo
la possibilità di confrontare dati tra di loro anche temporalmente distanti. Ma le
tracce vanno ricercate! Il collo di bottiglia è, difatti, attualmente rappresentato dal
sopralluogo, punto di partenza di tutte le scienze forensi ma anche il relativo
limite, in quanto la prova scientifica si forma sul campo.
La fragilità, la labilità, la latenza e la corruttibilità delle tracce impone una
elevata qualificazione del personale chiamato ad operare nel settore, dai sanitari
del 118 al medico legale, dalla pattuglia di polizia alle unità di esperti. Qualsiasi
errore in questa fase sarà pagato senza possibilità di appello dall'intera indagine.
Inoltre la complessità dei reati, anche per un’accresciuta consapevolezza da parte
della popolazione criminale delle tecniche investigative, impone l'introduzione di
metodiche ed equipaggiamenti all'avanguardia e sempre più sofisticati.
Strumentazioni tecnologicamente avanzate, da utilizzare specie nei casi più
articolati, come georadar, termo-camere, spettroscopi portatili, laser scanner,
richiedono l'impiego di specialisti, analogamente ma distinti da quelli di un
laboratorio di prova.
La differenziazione di mansioni e di qualifiche trova conforto anche nella
gestione della qualità di ogni singolo comparto, dal momento che un esperto di
laboratorio ha una visione analitica specialistica e dedicata al proprio settore
indipendente e distaccato dalla realtà investigativa.
15
The 'CSI Effect': Does It Really Exist? by Honorable Donald E. Shelton. NIJ Journal/Issue,
No. 259, (2008).
16
L. 30 giugno 2009, n. 85, 33 articoli di cui 19 per il DNA pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
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Un esperto della scena del crimine, di contro, è da ritenersi uno "specialista della
polivalenza" con una formazione altrettanto rigorosa, ma maggiormente olistica.
Il personal judgment richiesto dallo standard 17020, è proprio l'elemento che
distingue i due mondi. Da qui la necessità di addestrare adeguatamente il
personale sia sotto l'aspetto informativo, per evitare/ridurre la dispersione delle
tracce e/o la contaminazione delle stesse durante le prime fasi d'intervento, sia
sotto l'aspetto formativo, attraverso la realizzazione di un percorso altamente
qualificante non nozionistico con periodici aggiornamenti e costante valutazione
dell'idoneità del personale impiegato nel sopralluogo.
Tra gli specialisti del sopralluogo, attentamente selezionati ex ante, ovviamente
ci saranno dei livelli di qualificazione (analogamente a quanto accade per altri
Paesi Europei) e di esperienza, differenti per gli approcci a scenari di routine e
per i casi maggiormente complessi, anche perché sovente la strumentazione
analitica più sofisticata richiede una più elevata preparazione accademica di base,
nonché per gli elevati costi che non ne consentono la capillare diffusione. Ciò
appare ancor più preponderante nel settore del Crime Scene Management,
laddove la capacità gestionale abbinata all'esperienza ed alla solida preparazione
tecnico-scientifica costituisce l'arma vincente in casi di reati a carattere seriale,
articolati e/o equivoci.
Le procedure più volte menzionate avrebbero anche lo scopo di consentire una
maggiore cooperazione non solo tra medico legale e specialisti del sopralluogo,
ma anche e soprattutto tra questi e gli investigatori classici, che costituiscono la
vera base dell'indagine: ciò che si rileva sulla scena va riscontrato sul campo e
viceversa!
Pertanto, l'investimento del futuro è sicuramente negli istituti di formazione in
grado di realizzare e disseminare una vera dottrina sulla formazione della prova
scientifica a partire dal sopralluogo, basata sui concetti di qualità e scientificità.
In tal modo si potranno realizzare unità specializzate nell'analisi della scena del
crimine adeguatamente addestrate, in grado di operare sinergicamente con le
varie componenti investigative anche alla luce delle moderne tecnologie, e che,
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in ultima analisi, possano costituire i determinati interlocutori, expert witness, in
fase dibattimentale alla stessa stregua di un perito di una specifica disciplina.
1.3. L’ordinamento processuale penale
Nell’attuale ordinamento processuale penale, che colloca nel dibattimento la sede
privilegiata di formazione della prova, l’individuazione di dati in grado di
integrare o costruire di per se prove di reato e la loro acquisizione attraverso
procedure scientifiche – dotate, quindi, di oggettività e imparzialità – devono
essere realizzate con assoluta cura.
Le prove basate su elementi oggettivi, infatti, a differenza delle dichiarazioni rese
dai testi (fondate sull’evanescente supporto della memoria) e dagli indagati sono
in grado di reggere il confronto in contraddittorio tra le parti in ogni grado e stato
del giudizio.
Emerge chiaramente, allora, che il fulcro dell’attività d’indagine sia
rappresentato da quell’attività tesa ad assicurare le fonti di prova del reato, allo
scopo di far luce sulla dinamica dello stesso ed individuarne gli autori.
Le disposizioni delle quali si avvale il codice di procedura penale per la
descrizione delle attività investigative da compiere sul luogo dove è stato
commesso il delitto, si individuano negli artt. 348, 354, 359, 360 e 244 del
Codice di procedura penale.
In tale contesto, la fissazione dello stato dei luoghi, la ricerca, la rilevazione e
l’acquisizione di tracce e cose pertinenti al reato, vengono conseguite dagli
organi investigativi secondo le previsioni degli articoli 348 e 354 c.p.p. In
particolare, mentre il secondo comma dell’articolo 348 e il primo comma
dell’articolo 354 contengono disposizioni che obbligano, in via generale, la
polizia giudiziaria a ricercare e conservare le tracce e le cose pertinenti al reato
nonché ad attuare le misure idonee affinché lo stato dei luoghi e delle cose non
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venga mutato prima che il pubblico ministero assuma la direzione delle indagini,
il secondo comma dell’articolo 354 abilita gli ufficiali di polizia giudiziaria – se
vi è pericolo di alterazione, dispersione, o modificazione degli elementi di prova,
e il Pubblico Ministero non può intervenire tempestivamente – ad effettuare “i
necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose” nonché sulle
persone.
Successivamente alla modifica apportata dalla L. 26 marzo 2001, n. 128, comma
3 della norma risolve definitivamente la questione relativa alla possibilità per la
polizia giudiziaria di svolgere indagini di propria iniziativa dopo che sia sceso in
campo il pubblico ministero, in presenza di elementi emersi in un periodo
successivo, anche per assicurare le fonti di prova.
Il comma 1 dell'art. 354 del codice di procedura penale, attribuisce agli ufficiali e
agli agenti di polizia giudiziaria il potere di compiere "attività generica di
conservazione" per “curare che le tracce e le cose pertinenti al reato siano
conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima
dell'intervento del Pubblico Ministero”.
Gli ultimi due commi della norma regolano un'attività positiva d’ingerenza,
attribuita, nei casi di particolare necessità ed urgenza, anche agli agenti di polizia
giudiziaria dall'art. 113 disp.att. del codice di procedura penale, che succede a
quella ispettiva e si sostanzia in accertamenti e rilievi sia (al comma 2) sullo stato
dei luoghi e delle cose, nel caso vi sia il pericolo che queste, nonché le tracce del
reato, si “alterino, si disperdano o comunque si modifichino e il Pubblico
Ministero non può intervenire tempestivamente”, sia (al comma 3 ed in presenza
degli stessi presupposti) sulle persone salvo a trasformare l’azione in
un'ispezione di tipo personale.
Anche in questo caso, la novella del 2001 ha ampliato l'autonomia ispettiva della
polizia giudiziaria, legando il requisito dell'urgenza anche alla mancata
assunzione della direzione delle indagini da parte del Pubblico Ministero.
Si tratta sempre di attività irripetibili e detentrici di una forte carica probatoria, da
essere inserite direttamente nel fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 431,
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comma 1, lett. b, del codice di procedura penale, ed essere lette in dibattimento
(ex art. 511 c.p.p.).
Il sistema ha controbilanciato questo dominio probatorio con un articolato di
cautele del quale è titolare l'imputato.
L’art. 357, comma 2, lett. e, del codice di procedura penale, contempla l'obbligo
di documentazione con specifico verbale delle azioni svolte, l'art. 356 del codice
di procedura penale, consente al difensore di assistere agli accertamenti, senza
diritto di essere preventivamente avvisato, nonostante di questa facoltà la polizia
giudiziaria abbia il dovere di dare notizia all'indagato se presente (ex art. 114
disp.att. c.p.p.), l'art. 366 del codice di procedura penale, conferisce alla polizia
giudiziaria l'onere di depositare gli atti nella segreteria del Pubblico Ministero
entro il terzo giorno successivo al loro compimento con facoltà per i difensori di
esaminarli ed estrarne copia nei cinque giorni successivi.
In relazione ai poteri tecnico-investigativi del pubblico ministero sulla scena del
crimine, l'art. 359 del codice di procedura penale, prevede la nomina di
consulenti se si tratti di procedere ad “accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi
o fotografici e ad ogni altra azione tecnica per la quale sono necessarie specifiche
competenze”.
In riferimento agli accertamenti aventi il connotato dell'irripetibilità la disciplina
offre maggiori garanzie partecipative che, ai sensi dell'art. 360 del codice di
procedura penale, contemplano il diritto alla presenza del difensore e dei
consulenti di parte e il diritto di promuovere riserva di incidente probatorio in
luogo dell'accertamento irripetibile secondo il rito dell'art. 400 del codice di
procedura penale.
L'ultima disposizione interessata dall’argomento trattato (che, secondo uno
schema sistematico più logico, avrebbe dovuto essere collocata tra le norme che
regolano le attività d'indagine del pubblico ministero) è quella dell'art. 244 del
codice di procedura penale.
Attraverso l'istituto dell'ispezione, si riconosce un generico potere accertativo in
capo al Pubblico Ministero anche quando le tracce del reato siano scomparse,
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siano state cancellate o sia necessario verificare quelle precedenti tenendo anche
conto del modo, tempo e causa di eventuali modificazioni.
Al comma 2 della norma, si parla di un esame successivo (tardivo od ulteriore)
del luogo nel quale è stato commesso il delitto.
Individuate le norme, è facile comprenderne la ratio.
Si è al cospetto di un distinguo netto tra i due tipi di investigazione.
Quella del Pubblico Ministero, di valore alto, fatta di atti che hanno carattere
valutativo, ai quali attribuire il termine "accertamento tecnico", costruito come
equivalente del concetto di perizia.
Quella della polizia giudiziaria, di minore spessore, limitata nel tempo e nello
spazio ed avente valenza più materiale che concettuale.
Il legislatore ha scelto di allungare i tempi di azione della polizia giudiziaria,
attribuendole maggiori spazi investigativi sulla scena del crimine.
Il lavorio riformatore, però, è stato svolto a metà perché è rimasta immutata
l'impostazione giuridica e soprattutto ideologica di fondo.
Si è continuato ad attribuire alla polizia giudiziaria esclusivamente poteri tecnici
di rilevazione lasciando i compiti valutativi ai consulenti del pubblico ministero.
I primi continuano ad essere considerati semplici agenti classificatori, i secondi,
menti assertive dell'indagine.
Le norme tradiscono un attaccamento del legislatore a schemi investigativi datati,
invecchiando l’assetto normativo quando le scoperte della modernità si offrono in
maniera non più camuffabile allo scibile giudiziario e le competenze
specialistiche si concentrano in quelle stesse forze dell'ordine nelle quali il
legislatore aveva concesso ridotti spazi di autonomia di azione.
Ogni scena del crimine, inteso come luogo in cui è stato commesso un crimine o
luogo in qualche modo ad esso riconducibile, è unica; risulta dunque
fondamentale l’attività di fissazione del quadro materiale nel quale si è svolta
l’azione.
Può affermarsi, senza timore di smentita, che non esistono scene del crimine
identiche e che il solo elemento ricorrente tra loro è proprio la loro diversità.
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Partendo da questo assunto, si comprende come gli sforzi per individuare delle
classificazioni delle possibili eventualità di sopralluogo finiscano per risultare
meri esercizi accademici.
Nella realtà nessuna classificazione riesce ad essere sufficientemente generica da
poter essere applicata a tutte le possibili variabili del comportamento criminale e
quindi nessuna della classificazioni (o forse tutte) potranno essere riferite al
singolo episodio in analisi.
E allora, per poter in qualche modo agevolare l’opera di chi deve “cristallizzare”
la scena del crimine con lo scopo di ricercarvi tracce necessarie a ricostruire il
comportamento criminale di chi ha commesso il delitto, è indispensabile
prevedere dei rigorosi protocolli operativi. Protocolli che possono apparire vuoti
di significato e forse non hanno un valore assoluto ma rappresentano lo standard
minimo per un approccio corretto alla scena del crimine.
I protocolli operativi (che devono essere elementari ed adattabili alla complessità
di qualsiasi evento) prevedono: quali operazioni sia indispensabile condurre,
come vadano eseguite, con quale ordine e quali attività, invece, non debbano
essere realizzate.
In quest’ottica la check-list delle attività da condurre rappresenta per gli operatori
la garanzia di non omettere alcuna delle attività indispensabili, di realizzarle
secondo una sequenza prestabilita, senza incorrere in errori od omissioni
derivanti dalle pressioni obbiettive e psicologiche a cui sono sottoposti.
La repertazione, in sede di sopralluogo tecnico, di eventuali oggetti presunti fonte
di prova, va curata nei minimi dettagli; un intervento tecnico eseguito
superficialmente può comprometter l’intera indagine giudiziaria. Le precauzioni
da prendere sono diverse a seconda del tipo di materiale da repertare che deve,
comunque, essere oggetto di una preventiva valutazione circa la sua utilizzabilità
per ulteriori accertamenti di laboratorio.
In particolare andranno ricercate alcune categorie ben distinte di materialità:
• Gli oggetti che possono aver interagito con la vittima o l’autore.
• Gli oggetti che possono essere serviti per commetter il delitto.
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• Gli
oggetti
che
appaiono
palesemente
estranei
alla
situazione
(decontestualizzati).
Poiché, per loro stessa natura, numerose tracce possono risultare evanescenti,
particolarmente fragili o comunque microscopiche è indispensabile che gli
operatori di primo intervento adottino tutte le misure idonee alla salvaguardia
delle prove, impedendo ogni modifica dello stato dei luoghi. Il semplice
spostamento di un oggetto può compromettere l’esito felice di un’indagine,
comportando un’interpretazione distorta degli avvenimenti.
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2. SOCCORRITORI SULLA SCENA DEL CRIMINE
Quando si parla di scena del crimine si pensa subito all’omicidio. In realtà gli
scenari che possono coinvolgere i sanitari sono molto più ampi e talvolta anche
più complessi. Le principali scene del crimine che interessano gli operatori che
prestano assistenza sanitaria sono: omicidio, violenza fisica, sessuale e su minori,
incidenti stradali, infortuni sul lavoro, intossicazioni, suicidi.
Gli equipaggi sanitari del 118 sono in genere i primi, o quasi, ad arrivare su una
scena del crimine per effettuare gli accertamenti sanitari e prestare l’assistenza
del caso, in genere sulla parte offesa. Non sempre è facile capire se ci si trova
davanti a un evento criminoso, difficile anche definire con estrema precisione
quali possono essere i fattori determinanti che possano far pensare ad un evento
del genere.
In una scena del crimine ci sono due fasi ben separate che si riscontrano: la fase
dell’emergenza e la fase delle indagini. Sono tantissimi gli enti che a vario titolo
intervengono, con tempistiche differenti, sulla scena del crimine (118, forze
dell’ordine, vigili del fuoco, magistratura, medico legale, avvocati, ecc.), ed è
molto difficile, se manca un coordinamento tra gli enti, poter “cristallizzare” la
scena del crimine. Non lasciare delle tracce è impossibile, ma è possibile invece
cercare di contaminare di meno, anche se spesso inutilmente, la scena.
La capacità di conservare inalterata la scena del crimine non è appannaggio
esclusivo degli operatori dei reparti scientifici, ma riguarda anche il personale
sanitario. In questi casi bisogna mantenere sempre le proprie competenze,
cercando di avere una visione a 360° della scena, mantenendo una
concentrazione ed un’attenzione maggiore.
Le forze dell’ordine e il sistema di soccorso sanitario spesso rispondono alle
stesse emergenze, ovviamente con compiti diversi. Mentre il sistema di soccorso
ha lo scopo di stabilizzare clinicamente e di trasportare i pazienti all’ospedale, le
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forze di polizia hanno il compito di proteggere i cittadini e di risolvere i crimini.
Spesso questo tipo di azioni avvengono in tempi diversi le une dalle altre ma può
capitare di doverle gestire contemporaneamente. Queste diversità di obbiettivi
può spesso portare in conflitto i componenti delle due forze di soccorso. La
chiave per una migliore collaborazione è la conoscenza, la comunicazione e, ove
possibile, la condivisione di procedure comuni. Il sanitario che lavora nel
soccorso preospedaliero deve essere a conoscenza della natura e del significato
delle prove fisiche sulla scena di un crimine e di cercare di mantenerle intatte
senza contaminarle, tenendo in considerazione lo scopo primario del proprio
lavoro che è quello di salvare la vita al paziente. Ovviamente, se possibile, è
necessario venire incontro anche alle richieste della polizia cercando di trovare
un terreno comune alle esigenze di tutti.
Evitare di contaminare le tracce sul campo aiuterà successivamente le forze di
polizia a catturare il criminale prima che possa eventualmente ripetere il crimine.
“Quando due oggetti entrano in contatto, ognuno lascia sull’altro qualcosa di sé;
quindi un individuo che commette un crimine lascia qualcosa di sé sulla scena
del crimine e, parallelamente, qualcosa del luogo del delitto rimane sul reo”.17
Quindi, ogni volta che qualcuno entra in una scena del crimine diventa parte di
essa e la propria presenta, oltre che le proprie azioni, andranno in qualche modo a
mutarla. Non solo per quanto riguarda il reo, ma anche per i sanitari e le forze di
polizia che intervengono.
Diventa così importante cercare di lavorare in modo da non “disturbare“ la scena
senza però ovviamente rinunciare alle manovre salvavita e all’assistenza sanitaria
d’urgenza.
È ovviamente impossibile addestrare il personale di soccorso a valutare le tracce
sulla scena di del crimine né sarebbe sua competenza farlo, ma può essere utile,
anche se non di diretta pertinenza assistenziale sanitaria, conoscere il tipo di
traccia che può essere incontrata. È altresì plausibile che la conoscenza di ciò che
17
“Principio di Locard”, formulato nel 1910 dal criminologo francese Edmond Locard, il
pioniere delle scienze forensi, noto anche come lo Sherlok Holmes di Francia.
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può essere utile al fine della ricostruzione dell’evento permette, durante l’attività
propria esplicata da parte del personale 118 e per quanto sia ciò possibile, di
alterare il meno possibile la scena durante le manovre di assistenza e di avere
comportamenti adatti alla situazione.
Tutto questo ha lo scopo di rendere migliore la gestone di ciò che avverrà in
seguito durante le eventuali indagini da parte dell’autorità giudiziaria.
2.1. Elementi di medicina legale e protocolli operativi sanitari
“La medicina legale è la disciplina che studia gli eventi biologici da cui deriva un
effetto giuridico. Dottrinalmente questa disciplina è distinta in: medicina
giuridica, ovvero il ramo della medicina legale che affronta i problemi biologici
con finalità interpretative e propositive in ordine al diritto oggettivo, e medicina
forense, ramo della medicina legale strettamente operativo per la risoluzione
delle problematiche giudiziarie18”.
Per quanto riguarda l’attività medico legale, è di peculiare importanza il
riconoscimento di una lesione in relazione alla causa; deve essere stabilito se essa
è stata prodotta ante mortem o post mortem, nel caso di un cadavere, o la
modalità di produzione della stessa in caso di persona in vita.
È buona norma che il personale di soccorso sanitario si abitui ad applicare, in
tutti i casi sospetti o certi di scena del crimine, tutta una serie di accorgimenti per
cercare di inquinare la scena il meno possibile (in presenza di cadavere) o non
aggravare o modificare lo stato delle cose, rendendo impossibile il
riconoscimento, da parte di un sanitario, dell’evento criminoso.
18
Puccini C., Istituzioni di Medicina Legale. Casa editrice ambrosiana. Milano, 1999.
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2.1.1. Traumatologia
“La traumatologia studia gli effetti lesivi prodotti dalle azioni di natura
traumatica sul vivente e sul cadavere.
Per trauma si intende l’azione di un agente fisico capace di determinare un danno
all’integrità somato-psichica della persona; la lesione traumatica rappresenta,
pertanto, l’alterazione dello stato anatomico e funzionale dell’organismo prodotto
dal trauma”.19
2.1.1.1. Lesioni da corpo contundente
L’azione contusiva è quella propria dei corpi aventi una larga superficie piana o
convessa, provvisti di lati arrotondati o smussi e comunque privi di spigoli
pungenti o taglienti.
Questa azione si esercita quando l’individuo urta contro un ostacolo resistete di
forma ottusa o quando egli viene colpito da un corpo contundente. Tra essi
rientrano:
a)
Mezzi naturali di offesa e difesa dell’uomo o degli animali, come denti,
unghie, mani piedi.
b)
Oggetti allo stato naturale come pietre o bastoni.
c)
Strumenti da lavoro come martelli, chiavi, sbarre metalliche.
d)
Armi di offesa e difesa come sfollagente, tirapugni, mazze, ecc.
Tutti questi corpi, in ragione della forza meccanica posseduta, esercitano
un’azione lesiva che si manifesta con meccanismi diversi, rappresentati da
compressione, flessione, trazione e torsione, cui possono aggiungersi azioni
19
Ibidem,
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biologiche complesse, dovute a violente contrazioni muscolari, aumento della
pressione delle cavità dell’organismo, spostamento e rimbalzo di organi,
vibrazione molecolare dei tessuti, ecc.
L’azione contusiva si concretizza, comunque, attraverso tre principali
meccanismi:
1.
Lo sfregamento, dovuto a un effetto tangenziale con esportazione dei
tessuti superficiali.
2.
La compressione-percussione, che provoca lo schiacciamento dei tessuti.
3.
La trazione, che causa lo strappamento o la lacerazione delle parti molli
superficiali.
Tali meccanismi possono agire isolatamente oppure combinarsi tra loro
determinando effetti lesivi molto complessi, da cui derivano molteplici tipi di
lesioni contusive.
L’azione contusiva può produrre: escoriazioni, abrasioni, ecchimosi, ferite lacerocontuse, nella sua forma più lieve, oppure lacerazione dei tessuti molli, fratture e
scoppio d’organi nella forma più profonda.
L’interesse investigativo è prettamente per le prime tre categorie, essendo
portatrici di elementi che possono essere immediatamente visibili e per le quali
non serve una successiva indagine medica.
Escoriazioni
L’escoriazione consiste nell’asportazione o distruzione dello strato più
superficiale della cute (l’epidermide) e, per analogia, dell’epitelio delle mucose
(labbra, cavità orale, vulva), con messa a nudo del derma sottostante.
Un’escoriazione può avere grande importanza medico-legale, quale traccia
significativa di un’azione delittuosa. Ad esempio quelle presenti sul collo in caso
di strozzamento, alle cosce e alle natiche in caso di violenza sessuale, in
determinate sedi in caso di investimento. Più in generale, possono essere la
documentazione di una colluttazione avvenuta (in riferimento anche all’omicidio
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preterintenzionale, ex. Art 584 C.p.).
Le escoriazioni possono essere figurate, ovvero riprodurre sulla cute il mezzo che
le ha prodotte, (come ad es. il battistrada dei pneumatici, la forma a nastro
dell’azione di una frusta, o quella quadrata di un martello), pertanto prima di
applicare la procedura sanitaria su un paziente, assicurarsi che non siano
propedeutiche alla risoluzione delle controversie penali.
Abrasioni
Sono rappresentate dall’asportazione dell’epidermide e degli strati più
superficiali del derma per l’azione tangenziale dei una lama. Spesso lasciano un
lembetto di cute libera che consente di individuare la direzione con cui la lama ha
attinto la cute. Si coprono con una sottile crosta ematica e guariscono sotto crosta
in breve tempo senza lasciare alcuna cicatrice. In questo caso il protocollo
sanitario non interferisce con l’azione investigativa, poiché essendo di lieve
entità l’abrasione può essere visionata successivamente.
Ecchimosi cutanee
Se l’azione traumatizzante interessa gli strati profondi della cute o quelli
sottostanti, senza la lesione degli strati superficiali, si formano le ecchimosi. La
lesione dei vasi lascai fuoriuscire sangue che, non potendo riversarsi all’esterno,
infiltra i tessuti a cute integra.
Lo stravaso del sangue avviene nel derma o nel sottocutaneo ed appare
all’esterno con la tipica colorazione bluastra propria della lividura.
I meccanismi di formazione dell’ecchimosi sono tre:
1.
la compressione, che schiaccia i vasi provocandone la rottura;
2.
la trazione, che provoca la lacerazione dei vasi;
3.
la decompressione, con fuoriuscita di sangue.
Le ecchimosi possono essere di varia origine: meccanica, dinamica, spontanea.
L’aspetto delle ecchimosi varia secondo la sede e l’entità dello stravaso ematico.
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Si hanno ecchimosi puntiformi di origine capillare (petecchie), tumefazioni
(ecchimomi), focolai emorragici (ematomi), piccole emorragie puntiformi
ravvicinate (sugellazioni).
Il danno da lesioni ecchimotiche è generalmente modesto, ridotto al dolore e a
qualche disturbo funzionale. Solo gli ematomi voluminosi situati nelle masse
muscolari possono limitare i movimenti di un arto.
Come per le escoriazioni, assumono grande importanza le ecchimosi figurate, che
permettono l’identificazione del mezzo lesivo: le vibici hanno forma allungata e
sono prodotte da colpi di verga, scudiscio, frusta; le ecchimosi digitali sono di
forma ovale e sono dovute dalla compressione dei polpastrelli delle dita per
manovre di afferramento (tipicamente osservabili sul collo nello strozzamento,
sulle cosce nei reati sessuali, sui polsi ed avambracci nell’immobilizzazione
violenta, ecc.).
Comportamento dei soccorritori
Nel caso di lesioni chiuse o contusioni, come quelle sopracitate, il personale del
118 che interviene sulla scena mette in atto una serie di procedure per ridurre il
“rischio evolutivo”20 correlato all’evento traumatico.
Per prima cosa vanno spostati o rimossi gli indumenti sovrastanti il trauma, per
poter valutare la sede e l’estensione della contusione (come detto, potrebbero
essere associate lesioni agli organi interni, con conseguente emorragia interna). I
vestiti eventualmente rimossi vanno posti in un sacchetto che dovrà seguire il
paziente in caso di trasporto in ospedale.
Nonostante la “banalità” di alcuni di questi eventi traumatici, non bisogna
minimizzare l’importanza delle informazioni che gli stessi possono dare. Come
detto esistono lesioni figurative e, nel caso si palesi o si sospetti un reato, prima
di proseguire con la procedura, che prevede l’immobilizzazione della contusione
(soprattutto se si sospetta una frattura) e l’applicazione di ghiaccio con bendaggio
20
Un rischio evolutivo è un qualsiasi fattore (presente o evolvente nel tempo) che possa
costituire un potenziale pericolo per il volontario del soccorso e della persona da soccorrere.
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della stessa, si consiglia la documentazione fotografica di quanto impresso sulla
cute.
2.1.1.2. Lesioni da arma bianca
Per arma bianca si intende qualsiasi strumento (eccetto le armi da sparo) la cui
destinazione naturale è l’offesa alla persona o sia comunque atto ad offendere e
di cui la legge vieti il porto.
Si tratta di una accezione molto ampia che comprensiva anche di mezzi non
specificamente costruiti per offendere, come alcuni utensili domestici fili
metallici, lamiere.
Le armi bianche agiscono attraverso meccanismi, singoli o variamente associati,
di pressione o strisciamento. Si producono pertanto lesioni dall’aspetto differente
(da punta, da taglio, da punta e taglio) a seconda che lo strumento feritore agisca
mediante un’estremità acuminata, il filo di una superficie tagliente, o entrambi i
meccanismi combinati tra loro, come si verifica nel caso nei coltelli appuntiti.
Si parla di lesioni da fendente in caso di ferite da taglio prodotte da lame
particolarmente pesanti, in grado di produrre, oltre alla recisione dei tessuti,
anche effetti di tipo contusivo.
Ferite da taglio
Le lesioni da taglio sono soluzioni di continuo della cute e dei tessuti molli,
prodotta da mezzi taglienti. Questi sono costituiti da strumenti provvisti di lama
dotata di almeno un margine tagliente.
Si distinguono taglienti tipici, ossia quelli naturalmente destinati a tale uso (rasoi,
bisturi, coltelli e lamette da barba) e taglienti atipici, che pur non essendo
concepiti per l’azione tagliente, posseggono una analoga capacità lesiva
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(frammenti di vetro, lamiere metalliche, schegge di coccio, fili metallici sottili e
tesi); tra i mezzi taglienti impropri vanno inoltre ricordati i coltelli dotati di
margine seghettato, le seghe e le motoseghe.
L’azione tagliente, che è la proprietà di questi strumenti di produrre una recisione
netta e completa dei tessuti su di uno steso piano, si ottiene imprimendo allo
strumento una duplice forza.
Con la pressione, si fa affondare la lama nei tessuti e con lo scorrimento, si fa
progredire il taglio lungo la direzione dell’affilatura.
Le ferite da taglio hanno aspetti comuni che ne permettono il riconoscimento e
sono: l’estensione in superficie, la regolarità dei margini, gli angoli acuti e la
presenza di “codette”. Esse sono prolungamenti superficiali del taglio, situati agli
angoli della ferita, dove la lama penetra o esce. Se la superficie cutanea colpita è
piana, si possono formare due codette, quella di uscita, che è lunga e sottile,
mentre quella di entrata è breve e tozza perché il tagliente entra premendo ed
esce scorrendo. Se la superficie è incurvata, come il collo o un braccio, le codette
mancano oppure sono invertite, cioè quella di entrata è lunga e quella di uscita
manca o è breve.
Esse permettono di riconoscere la direzionalità del taglio e la natura della ferita.
Le ferite da taglio possono essere dovute ad omicidio, suicidio, infortunio sul
lavoro, oppure accidentali o chirurgiche. Alcune di queste meritano una speciale
menzione per il loro significato medico legale.
• Le ferite da difesa sono indicative di omicidio e si producono nella vittima
durante i tentativi di resistenza all’aggressione. In questo caso le ferite da taglio
sono situate nel palmo delle mani, dovute all’afferramento della lama per cercare
di strappare l’arma all’aggressore e sono in genere ferite a lembo, piuttosto
profonde. Sul dorso delle mani e sugli avambracci è possibile rilevare ferite da
difesa passiva dovute al tentativo della vittima di proteggere le sue parti vitali.
• Le ferite da schivamento si formano invece sul dorso e sulle spalle e sono
dovute al tentativo della vittima di deviare i colpi.
• Le ferite da svenamento sono indicative del suicidio e si rilevano in zone
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autoaggredibili quali i polsi, i piedi ed i gomiti. Sono spesso multiple, ravvicinate
e talvolta di profondità differente.
• Le ferite da scannamento o sgozzamento si osservano nella regione cervicale e
sono inferte mediante rasoi, lame di coltello e cesoie. Esse risultano rapidamente
mortali quando si verifica la sezione della carotide. Lo scannamento si osserva
sia come eventualità omicidiaria che suicidiaria; nel primo caso si avranno ferite
al collo, in distretti corporei difficilmente autoaggredibili e di difesa.
• Le ferite da sventramento sono prodotte dal filo di un rasoio o di una lama
ricurva (sciabola); altre tipiche ferite da taglio hanno carattere rituale come la
circoncisione o l’infibulazione.
Ferite da punta e taglio
Le ferite da punta e taglio sono soluzioni di continuo della cute e dei tessuti
sottostanti prodotte da strumenti provvisti di azione pungente e tagliente.
Strumenti tipici da punta e taglio sono i coltelli, i pugnali e le spade; mezzi atipici
sono le schegge di vetro e le lamine metalliche appuntite; strumenti da punta e
taglio impropri sono i trincetti da calzolaio, gli scalpelli e le forbici.
Il meccanismo lesivo si attua attraverso la contemporanea azione penetrante della
punta e recedente del filo tagliente.
Le codette sono presenti quando la lama viene infissa ed estratta con direzione
inclinata, in modo che essa continui a scorrere sulla cute.
Talora invece della codetta si osserva un’incisura di uscita, situata lateralmente a
quello degli angoli che corrisponde al margine tagliente, prodotta dal movimento
di rotazione della mano con cui viene estratto il coltello che in questo modo
determina la piccola incisione supplementare.
Per quanto riguarda le lesioni da punta e taglio, bisogna considerare la diagnosi
differenziale tra l’omicidio ed il suicidio, poiché può risultare utile, per chi
interviene sulla scena, sapere cosa riferire a chi dovrà lavorare nella fase
investigativa. Le differenze tra suicidio e omicidio sono nella sede ed il numero
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delle ferite.
Occorre precisare che il numero delle ferite da punta e da taglio non è di per sé
dimostrativo poiché si osservano sia suicidi sia omicidi con un gran numero di
colpi.
La sede risulta invece caratteristica perché il suicida tende a colpire ed a
circoscrivere i colpi alla regione cardiaca, al collo e all’addome. Nell’omicidio
invece i colpi hanno distribuzione disordinata perché vanno a cadere laddove
l’aggressore riesce a colpire nella concitazione degli eventi. Nell’omicidio sono
frequenti ferite, dette da difesa, agli arti superiori protesi dalla vittima nel
tentativo di difendersi. Le ferite da difesa sono di tre tipi:
• Le ferite da difesa attiva, situate nel palmo delle mani, sono dovute
all’afferramento della lama da parte della vittima nel tentativo di strappare l’arma
all’aggressore; di solito hanno la forma a lembo e sono profonde talora fino al
piano osseo.
• Le ferite da difesa passiva sono situate nel dorso della mano, sugli avambracci e
sulle braccia, coi quali la vittima si è fatta scudo per ripararsi dai colpi; sono
prodotte anche da strumenti da punta e taglio.
• Le ferite da schivamento si formano sulle spalle o al dorso dove i movimenti di
difesa della vittima hanno deviato i colpi.
Lesioni da fendente
Le ferite da fendente sono prodotte da strumenti taglienti dotati di una lama
pesante agenti mediante un meccanismo combinato di tipo recidente e
contundente.
I fendenti “da fendere” = spaccare trasversalmente, sono costituiti da una grossa
lama robusta, provvista di uno spigolo affilato come le scuri, le mannaie, le
sciabole, le roncole, le accette, le spade e i grossi coltelli.
L’azione fendente si esercita in un duplice modo, cioè col meccanismo tagliente
dello spigolo affilato e con quello contundente della massa d’urto dello
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strumento, azionato dalla forza del braccio.
Scannamento
Consiste in un taglio profondo in corrispondenza del collo con recisione delle vie
respiratorie, dei vasi sanguigni, dei nervi, talora dell’esofago fino ad intaccare il
piano scheletrico; è frequentemente eseguito con rasoi o coltelli. Lo scannamento
è ugualmente comune nell’omicidio e nel suicidio.
La diagnosi differenziale, talora assai difficile in base a caratteri delle ferite, si
avvale anche dei dati circostanziali assumibili in sede di sopralluogo.
La sede delle lesioni è scelta con cura dal suicida, magari di fronte allo specchio,
per cui le lesioni sono regolarmente disposte nella regione mediana, oppure
laterale (in sede opposta alla mano armata), in basso e medialmente per poi
risalire verso l’angolo della mandibola controlaterale; nell’omicidio le ferite sono
disposte casualmente, talvolta in punti irraggiungibili da parte della vittima.
La profondità può essere importante quando, in presenza di numerose ferite,
accanto a quelle profonde, se ne repertino altre superficiali e parallele (c.d. “ferite
di prova”), tipiche del suicidio. Nell’omicidio, invece, i colpi sono tutti vibrati
con grande violenza, derivandone ferite sempre profonde.
La direzione si determina in base all’osservazione delle codette, tenendo presente
che essendo il collo a superficie curva si realizza la loro cosiddetta inversione
(più sottile quella di entrata, più tozza quella d’uscita). È un parametro utilizzato
per valutare la conformità con azione agita da soggetto destrimane o mancino.
Comportamento dei soccorritori
In presenza di ferite da arma bianca, la priorità per il personale di soccorso è
quella di bloccare l’emorragia per evitare che la persona possa morire per
dissanguamento. Pertanto la ferita viene accuratamente lavata, disinfettata e
coperta con garze sterili, prima del trasporto in ospedale. Nel caso di ferite da
arma bianca senza corpo estraneo ritenuto, non è di immediato interesse medico-
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legale il reperimento di documentazione, poiché la ferita sarà visibile e
disponibile anche successivamente al trasporto.
Maggior attenzione deve essere posta dal personale sanitario quando il corpo
estraneo rimane conficcato all’interno della vittima.
L’oggetto ritenuto non va mai rimosso dalla propria sede. Una tale procedura
potrebbe causare una grave emorragia, oltre a causare un’ulteriore lesione ai
nervi, ai muscoli o ad altri tessuti. L’oggetto va immobilizzato all’interno della
propria sede, stabilizzato e tenuto immobile durante il trasporto.
I vestiti tolti dal personale vanno tenuti a disposizione dell’autorità giudiziaria,
poiché la posizione del taglio nell’indumento rispetto alla ferita prodotta nella
persona può aiutare, insieme alla morfologia della lacerazione, alla ricostruzione
dell’evento delittuoso. È buona norma da parte del personale, quindi, nel caso si
dovesse lacerare il tessuto, non tagliare l’indumento in prossimità del colpo
inferto dal reo, quanto piuttosto qualche centimetro a monte rispetto ad essa, per
preservare integra la sezione sulla quale è presente l’indizio.
2.1.1.3. Lesioni da arma da fuoco
Il concetto di arma da fuoco è definito dalla la legge 18 aprile 1975, n. 110,
recante “Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi,
delle munizioni e degli esplosivi”. distingue due fondamentali categorie: le armi
da guerra e le armi comuni da sparo. In termini generali può valere la definizione
secondo la quale le armi da fuoco sono da considerare quei congegni meccanici
capaci di lanciare a distanza masse più o meno pesanti (definite proiettili)
utilizzando l’energia sviluppata dall’espansione dei gas generati dalla
combustione di miscugli esplosivi (polveri da sparo). Esse rappresentano la
classe principale delle armi da sparo, che comprendono anche gli ordigni costruiti
per il lancio a distanza di proiettili impiegando l’azione propulsiva dell’aria
compressa, di una molla o di altro meccanismo di spinta.
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Delle varie armi da fuoco verranno trattate solo quelle portatili, così dette perché
la dimensione ed il peso ne consentono il porto e l’impiego con spalla o con
mano da parte di una sola persona.
Le armi da fuoco portatili si classificano in: armi a canna lunga (fucili da caccia,
mitragliatrici e carabine) e armi a canna corta (pistole e rivoltelle); sia le prime
che le seconde possono avere canna liscia o rigata.
Secondo il funzionamento si hanno le armi semiautomatiche, cioè a tiro
intermittente, quando la pressione sul grilletto provoca l’esplosione di un solo
colpo, e le armi automatiche, cioè a tiro continuo, quando la stessa pressione
provoca l’esplosione a raffica dell’intero caricatore.
L’azione lesiva delle armi da fuoco è dovuta principalmente al proiettile.
L’azione vulnerante di un proiettile unico che colpisce una regione corporea
produce lesioni esterne nel punto di impatto e, come generalmente avviene,
anche lesioni interne a carico dei vari organi e tessuti.
Si possono riscontrare i seguenti tipi di lesione: contusioni semplici, ferite
penetranti o perforanti, ferite da scoppio e lesioni da proiettili secondari.
• contusioni: il proiettile, quando ha perduto ogni potere di penetrazione,
(cosiddette palle morte) perché sparato molto lontano o da un’arma difettosa, si
limita ad urtare e tendere la cute senza perforarla. Si formano ecchimosi semplici
o escoriate, il cui aspetto varia a seconda che il proiettile colpisca la cute con
direzione perpendicolare od obliqua, di punta, di piatto o di striscio. La presenza
di ecchimosi superficiali non esclude tuttavia il concomitare di lesioni profonde
quando l’energia del proiettile si trasmette ai tessuti sottostanti, ad esempio ai
piani ossei superficiali determinando fratture craniche, agli organi addominali
(fegato e milza) o agli organi toracici.
• ferite penetranti: sono le soluzioni di continuo causate dai proiettili che hanno
la forza viva necessaria per perforare la pelle e penetrare nel corpo. Si formano le
ferite a fondo cieco, costituite da un foro di entrata e da un tramite incompleto,
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con ritenzione del proietto; le ferite trapassanti o perforanti che presentano un
foro di ingresso, un tramite completo ed un foro di uscita del proiettile; le ferite a
semicanale, dovute a proiettili che urtano di striscio una superficie curva, ad
esempio un braccio, e scavano nei tegumenti una specie di doccia; le ferite
contornanti, cosiddette dalla conformazione del tramite che assume un decorso
curvilineo quando il proietto percorre la superficie ricurva del cranio o della
parete toracica; le ferite a setole formate da un tramite superficiale scavato nel
tessuto cutaneo che collega i fori di entrata e di uscita.
• lesioni da scoppio: sono così dette perché non si limitano alla semplice
perforazione del bersaglio, ma ne provocano la di lacerazione come se l’organo
fosse scoppiato, frantumandosi. Tali lesioni, si osservano con frequenza negli
organi cavi in stato di replezione, ad esempio lo stomaco e l’intestino in fase
digestiva, l’utero gravido, il cuore in diastole, la vescica piena di urina. Per aversi
gli effetti di scoppio occorre che il proiettile sia all’inizio della traiettoria o
attraversi il corpo con elevatissima velocità trasmettendo il proprio moto alle
particelle dei tessuti, che in tal modo vengono spostate e disgregate.
• lesioni da proiettili secondari: sono rappresentate da escoriazioni, ecchimosi o
ferite di vario aspetto, situate intorno o in prossimità del foro di ingresso, che
sono prodotte da frammenti metallici del proiettile o di armi difettose, da schegge
e da corpi estranei diversi, animati da una certa forza viva e si comportano come
proiettili.
Caratteri del foro d’entrata
I caratteri del foro di entrata variano con la distanza dalla quale è stato esploso il
colpo.
Infatti, se il colpo proviene da lontano, le lesioni sono dovute soltanto all’azione
meccanica del proiettile; nel caso in cui invece il colpo è esploso in vicinanza
l’effetto della lesione cambia, perché si aggiungono gli effetti dei prodotti solidi e
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gassosi sviluppati dalla combustione della polvere nonché l’azione diretta
esercitata dall’arma tenuta a contatto con il bersaglio.
Comportamento dei soccorritori
Come per le ferite d’arma bianca, la ferita d’arma da fuoco non letale viene
trattata per il massiccio sanguinamento del/i foro/i d’entrata e di uscita.
Le armi da fuoco sono oggetti costruiti per recare offesa, nei cui confronti però
non bisogna mai rapportarsi con uno stato d’animo ansioso o peggio di paura.
Per quanto riguarda la presenza di armi da fuoco su una scena di un crimine,
queste devono sempre essere considerate cariche dal personale che interviene;
pertanto non vanno scaricate o disarmate ne tanto meno manipolate, e si devono
maneggiare il meno possibile, sia per salvaguardare il personale da possibili spari
accidentali, sia per salvaguardare le indagini tecniche da effettuare sull’arma
(tampon Kit, impronte, sangue). Se è proprio necessario spostare un’arma da
fuoco per poter effettuare delle manovre sanitarie sul paziente, essa va tenuta
semplicemente per la parte zigrinata del calcio, senza
infilare oggetti nella
canna.
Oltre all’arma nell’avvicinarsi a una scena dove si trova coinvolta un’arma da
fuoco, si deve porre massima attenzione al/i bossolo/i espulsi dall’arma, i quali
rimangono ovviamente sulla scena. Evitare dunque di avvicinarsi calciando gli
oggetti presenti sulla scena, o spostando sconsideratamente l’arredo potrebbe
essere d’aiuto nel rinvenimento del bossolo dell’arma usata per il
ferimento/omicidio. Il cane che si abbatte sul fondello del bossolo lascia un
segno unico, diverso da arma a arma, come un’impronta digitale, grazie alla
quale viene identificata con esattezza l’arma che ha fatto fuoco.
Come per il ferimento da arma bianca, anche per le armi da fuoco vanno
salvaguardati gli abiti della vittima, che dovranno essere accuratamente separati
da altri materiali, sigillati dentro una busta e consegnati alle autorità per i
successivi esami di laboratorio.
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2.1.1.4. lesioni di tipo complesso: l’investimento e l’incidente
stradale
Per investimento si intende il complesso delle violenze contusive direttamente o
indirettamente esercitate su una persona da un veicolo in moto. I quesiti medicolegali sono: causa della morte e ricostruzione delle circostanze in cui si è svolto il
fatto, cosi da fornire al magistrato elementi discriminativi sulle varie
responsabilità.
Nell’investimento le lesioni del pedone sono molteplici, interessando i tegumenti,
lo scheletro, gli organi interni e possono localizzarsi con prevalenza alla testa, al
tronco o agli arti. La ritenzione delle ferite o sugli indumenti di residui di vernice
della carrozzeria facilita l’identificazione del veicolo.
Nell’incidente stradale la lesione è dovuta alla rapida ed improvvisa
decelerazione del corpo che va ad urtare contro strutture interne del veicolo.
Le indagini di sopralluogo su scene del crimine dove sono coinvolti automezzi, si
ripromettono di ricostruire la dinamica del sinistro stradale e le circostanze in cui
è avvenuto.
Sono basate su:
a)
Esame del/i veicolo/i: ricerca dei danni dovuti all’impatto con l’investito,
con altri mezzi od ostacoli, materiali biologici, brandelli di indumenti.
b)
Esame delle condizioni ambientali: descrizione della strada, ricerca della
frenata, misurazioni in lunghezza e direzione per evidenziare tentativi di
schivamento, ricerca di tracce biologiche, brandelli di indumenti e parti di
veicoli.
c)
Esame del/i cadavere/i: posizione ed atteggiamento al suolo o nei veicoli,
condizioni degli indumenti, ricerca sul corpo e sugli indumenti di tracce
biologiche o minerali aspecifiche ovvero da urto o arrotamento, descrizione
preliminare delle lesioni visibili.
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L’investimento e l’incidente stradale, in genere, sono gli scenari tra i più difficili
da analizzare, poiché la fase iniziale di soccorso svolta da operatori del 118 e dai
Vigili del Fuoco modifica integralmente quella che era la scena originaria
dell’evento.
Molte volte per raggiungere materialmente una vittima di un incidente stradale, o
una persona investita, i Vigili del Fuoco devono letteralmente scoperchiare il
veicolo danneggiato, producendo parti di lamiera che vanno ad intaccare
l’integrità dello scenario. A loro volta i soccorritori si aprono una via,
successivamente all’intervento dei VVFF, attraverso i detriti e le lamiere,
spostando ulteriormente quello che già era stato alterato.
Come si diceva all’inizio, l’indagine e il soccorso sono due ambiti
diametralmente opposti, per i quali non può essere richiesta formazione specifica
di tutti gli “addetti ai lavori”. Nel caso di incidente stradale o investimento,
casistiche per le quali è impossibile non distruggere almeno in parte la scena del
crimine, dovrebbe essere messa in dotazione ai mezzi presenti sul territorio una
telecamera indossabile21. Un simile mezzo, posto sul cruscotto dei mezzi di
soccorso o addirittura indossato dal personale di soccorso (ricordiamo che una
telecamera indossabile non è più grande di un pacchetto di sigarette),
consentirebbe la registrazione di tutte le fasi d’intervento, ricostruendo a
posteriori tutto quanto modificato e spostato durante le manovre di soccorso.
2.1.2. Asfissiologia
L’asfissiologia studia l’insufficienza respiratoria acuta causata dall’arresto della
ventilazione polmonare in seguito ad azioni meccaniche (per azione fisica di
natura ostruttiva o compressiva) e violente (ovvero esterne e con azione rapida)
che agiscono direttamente sull’apparato respiratorio.
21
http://security.panasonic.com/pss/security/it/products/ind/TW310/index.html
___________________________________________________________________
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Presenza di mezzi offensivi o contenitivi.
L’asfissiologia
comprende:
strangolamento,
strozzamento,
soffocamento,
annegamento e impiccamento.
Per
quanto
possano
essere
sintomatiche
di
situazioni
delittuose,
lo
strangolamento, lo strozzamento e il soffocamento, se non messi in atto con
mezzi offensivi particolari, non rappresentano una discontinuità tra il lavoro del
soccorritore e quello degli investigatori. Nel caso vi sia la presenza di particolari
mezzi offensivi o contenitivi come corde, lacci, bavagli, nastro adesivo, cappi,
ecc., se è necessario rimuoverli, tagliarli o in qualche modo alterare la loro
condizione iniziale, si devono mantenere i nodi il più possibile integri, perché
l’esistenza di una classificazione dei nodi in base ai punti di incrocio ed il modo
in cui essi sono stati fatti possono dare delle indicazioni sull’autore del reato.
Discorso analogo è rappresentato dall’annegamento, per il quale le manovre
sanitarie si limitano alla rianimazione cardio-polmonare.
La categoria asfittica d’interesse medico-legale che rappresenta una problematica
operativa tra investigazione e soccorso, è l’impiccamento.
Nell’impiccamento l’occlusione delle vie aeree è determinata dalla compressione
del collo esercitata da un laccio posto in tensione dal peso della vittima o di parte
di esso.
L’omicidio per impiccamento è evenienza eccezionale, la vittima deve essere
posta in condizione di non opporre resistenza ed in genere sono rilevabili delle
lesioni estranee al meccanismo dell’impiccamento. Importante è verificare,
durante il sopralluogo, se la lunghezza del laccio è tale da permettere
un’autosospensione in riferimento anche all’altezza della vittima, inoltre se
superfici prossime al cadavere possono aver provocato lesioni per effetto di
oscillazioni o convulsioni asfittiche.
Il suicidio è l’evenienza più ricorrente. I reperti anatomo-patologici possono
avere importanza soprattutto per il riscontro di altri tentativi di autosoppressione, mentre sono essenziali i dati desumibili dal sopralluogo.
Esiste una forma accidentale, soprattutto legata a giochi pericolosi (di bambini),
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ad esercizi di acrobati o a pratiche erotiche.
Al fine di depistare le indagini, infine, può essere messa in atto la c.d.
“sospensione del cadavere”. Questo intervento è realizzato per simulare un
suicidio. La diagnosi differenziale si basa sul reperimento di lesioni vitali in
corrispondenza del solco e dei tessuti profondi, quali ecchimosi ed emorragie,
sulla disposizione delle ipostasi22, qualora la sospensione sia stata attuata dopo
alcune ore dalla morte.
Pertanto, nelle scene del crimine con la presenza di impiccati, se il paziente
presenta dei segni di vita, bisogna:
1.
Fotografare il corpo per “congelare” la scena (se questo non ritarda le
manovre di soccorso).
2.
Tagliare la corda a circa 50 cm dal nodo.
3.
Allentare il nodo senza scioglierlo.
4.
Togliere la corda dal collo.
5.
Iniziare le manovre sanitarie rispettando i protocolli locali.
6.
Avvisare la CO del 118 e far attivare anche le Forze dell’Ordine.
Se il paziente, invece, non ha dei segni vitali bisogna:
1.
Fare una foto per “congelare” la scena.
2.
Avvisare la CO del 118 per l’attivazione delle Forze dell’Ordine.
3.
Isolare la scena e non far avvicinare nessuno.
Ovviamente, qualsiasi modifica della condizione iniziale va segnalato ai reparti
scientifici che intervengono.
22
Nell’impiccato si formano “a guanto” sulle mani e “a calzino” sui piedi, mentre nella vittima
deceduta per altra causa, si formano nelle zone declivi rispetto alla posizione del corpo
(prona o supina).
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2.1.3. Conclusioni
Durante le manovre assistenziali, quindi, a prescindere dalla situazione che si
presenta all’arrivo dei soccorsi, è necessario porre attenzione a determinati
accorgimenti.
• Evitare di mescolare fra loro diversi campioni di sangue, altri liquidi o reperti.
Al fine di non intaccare l’attendibilità delle prove in sede giudiziaria, ogni
campione, reperto o traccia biologica deve essere isolata, sigillata e trasmessa
secondo la corretta catena di custodia.23
• Il semplice accesso venoso può causare oltre ai segni di venipuntura sul
paziente, anche una serie di tracce di sangue non inerenti al crimine. Se possibile
l’accesso venoso andrebbe predisposto evitando le mani, specialmente in caso ci
sia stata una colluttazione o l’uso di armi da fuoco, in quanto i residui organici e
inorganici (pelle, peli, residui di sostanze chimiche) che possono essere trovati
sulle mani potrebbero venire deteriorati da questa manovra, da un’eccessiva
manipolazione o semplicemente alterati se non addirittura eliminati per l’utilizzo
di soluzioni disinfettanti. Pertanto le mani del paziente devono essere protette
con delle buste di plastica, vista la fondamentale importanza delle mani della
vittima, essendo queste le prime armi “naturali“ usate sia per l’attacco che per la
difesa, e portatrici privilegiate di tracce, come ad esempio: ferite, polvere da
sparo, sangue, materiale biologico dell’aggressore sotto le unghie, oggetti
trattenuti dalla vittima.
• Se il personale sanitario è presente sul luogo del reato prima dell’arrivo della
Polizia, bisogna cercare di capire se qualcuno ha effettuato degli spostamenti, per
qualsiasi ragione, del cadavere (o del paziente) o di altri oggetti.
• Altra cosa su cui porre attenzione è quella di evitare di calpestare, nel limite del
23
Il termine catena di custodia (in inglese chain of custody) si riferisce alla documentazione
cronologica o alla traccia cartacea che mostra il sequestro, la custodia, il controllo, il
trasferimento, l'analisi, e la disposizione di elementi di prova, fisica o elettronica.
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possibile, i vari residui presenti a terra per non rischiare di contaminare
l’elemento e per non lasciare in giro impronte delle proprie calzature.
Nell’impossibilità di lasciare impronte sulla scena, un soccorritore è tenuto ad
indicare agli investigatori il tipo di calzatura indossata, per escludere le impronte
del personale da quelle lasciate eventualmente dall’aggressore (cambiarsi le
scarpe alla fine del servizio consente agli investigatori di poter disporre
immediatamente delle stesse in caso di comparazione con impronte rinvenute
sulla scena).
• In ultima analisi, nei casi di ritrovamento di cadaveri con evidenti segni
tanatologici, fotografare il corpo prima di effettuare qualsiasi spostamento dello
stesso. Questo è dovuto al fatto che nelle prime ore dopo la morte, lo
spostamento del cadavere provoca lo spostamento delle ipostasi.24
La “lettura” delle ipostasi da parte dell’autorità medico-legale, consente di capire
il lasso di tempo nel quale la persona è deceduta e la posizione originale in cui si
trovava al momento del decesso.
24
Nelle prime 4-6 ore dopo la morte, lo spostamento del cadavere determina la forte
attenuazione o la scomparsa dalla sede dove si erano inizialmente formate e la loro graduale
comparsa nelle nuove sedi declivi. Tra 6 e 12 ore, spostando il cadavere le ipostasi primitive
impallidiscono, ma non scompaiono del tutto, mentre le nuove che si formano nelle zone
declivi sono tenui. Dopo 12-15 ore dalla morte le ipostasi non si modificano con lo
spostamento del cadavere: restano fisse nella posizione originaria.
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3. LO STRESS NEL PERSONALE DI SOCCORSO25
Sebbene solitamente l’operatore in emergenza sviluppi una soglia di tolleranza
abbastanza elevata nei confronti di situazioni che, occasionalmente o
cronicamente, possono mettere a repentaglio il suo equilibrio psicologico,
nondimeno il rischio di essere seriamente coinvolto nelle esperienze traumatiche
delle persone soccorse deve essere tenuto in seria considerazione.
La scena di un crimine è un contesto complesso che suscita emozioni molto
intense sulle persone che vi intervengono, in quanto propone uno scenario
caratterizzato dalla presenza di elementi che inevitabilmente evocano il tema
della violenza, del rapporto vittima-carnefice e l’idea del Male (inteso come male
fisico, morale e ontologico).
“Spesso chi interviene sulla scena del crimine sente su di sé il male fisico ma
anche e soprattutto il male morale: è dolore della donna stuprata che potrebbe
essere mia moglie, mia figlia, mia sorella; è il dolore del bambino abusato che
avrei potuto essere io, che potrebbe essere il figlio che desidero o che mi sta
aspettando a casa; è il dolore dell’uomo straziato che potrebbe essere un marito,
un padre, un figlio come me; è il dolore del vecchio ucciso dall’incuria e
dall’indifferenza, solo come potrei diventare un giorno anche io. È anche il mio
dolore.
Spesso chi interviene sulla scena del crimine si sente colpito dallo schiaffo
umiliante dell’essere umano che non si è compiuto, che non è cresciuto, che non
è diventato, ma che ha fatto, che ha potuto fare… male.”26
La scena del crimine, proprio per la sua intrinseca presenza del Male in tutte le
sue accezioni, desta più che mai emozioni intense e angosciose, capaci di turbare
l’equilibrio psicofisico di chi interviene.
25
Marco Pellacani in: Soccorso e scena del crimine: problematiche e strategie operative.
Athena, 2013.
26
Ibidem.
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Lavorare in condizioni di emergenza, operando sulla scena del crimine con il
compito di soccorrere o venendo a contatto con i racconti e con le sofferenze
delle vittime, presenta grosse difficoltà e richiede la mobilitazione di notevoli
risorse sul piano fisico e su quello psichico.
In questo senso l’intervento su una scena del crimine può essere considerato un
evento critico, potenzialmente traumatico, in grado di indurre disagi psicologici
su chi vi presta servizio.
3.1. Le reazioni patologiche alle situazioni di stress
traumatico
Le situazioni di particolare rischio per i soccorritori sono legate a fattori di
rischio oggettivi, soggettivi e rischi legati all’organizzazione.
Rischio oggettivo:
• Eventi che comportano gravi danni per neonati e bambini.
• Eventi che coinvolgono molte persone (dall’incidente stradale al terremoto).
• Eventi che causano lesioni gravi, mutilazioni e deformazioni del corpo delle
vittime.
• Eventi che causano la morte dei colleghi.
• Il fallimento di una missione di soccorso comportante la morte di una o più
persone.
• La necessità di compiere scelte difficili e/o inadeguate al proprio ruolo
operativo.
• La necessità di prendere decisioni importanti in tempi rapidissimi.
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Rischio soggettivo:
• Tendenza eccessiva del soccorritore ad identificarsi con la vittima.
• Bisogno marcato del soccorritore di tenersi a distanza dalle vittime.
• Presenza di significative problematiche psicologiche del soccorritore e/o la
presenza di traumi pregressi inelaborati.
• Mancanza di idonee strategie per fronteggiare lo stress e/o la mancanza di
adeguate capacità di valutare la propria tolleranza allo stress.
• Scarsa conoscenza della normale risposta fisiologica e psicologica delle persone
di fronte allo stress.
• Lesioni personali.
Rischio legato all’organizzazione:
• Ritmi di lavoro eccessivi.
• Inadeguatezze logistiche degli ambienti destinati ai soccorritori.
• Carenze nei processi di comunicazione.
• Conflitti interni all’organizzazione e tra i soccorritori.
• Carenze nei processi di selezione e formazione degli operatori.
• Mancanza di programmi di supporto psicologico dei soccorritori.
I disturbi post-traumatici del personale coinvolto in situazioni di emergenza
presentano, ovviamente, sovrapposizioni con gli stessi disturbi presenti nella
popolazione generale, ma anche alcune specificità degne di particolare
attenzione.
3.1.1.
Disturbo post-traumatico da stress (PTSD)
Il PTSD è caratterizzato dalla compresenza, per almeno un mese, di sintomi
intrusivi, di evitamento e/o ottundimento e di iperattivazione in seguito
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all’esposizione ad eventi traumatici di particolare gravità.
Secondo il DSM27, gli eventi che possono essere definiti “traumatici” sono:
• Eventi accaduti direttamente alla persona.
• Eventi accaduti in qualità di testimoni: l’osservare il ferimento grave o la morte
innaturale di un’altra persona dovuti ad assalto violento, incidente, guerra o
disastro, o il trovarsi di fronte inaspettatamente a un cadavere o a parti di un
corpo.
• Eventi di cui si è venuti a conoscenza (relativamente a parenti ed amici).
La probabilità di sviluppare questo disturbo può aumentare proporzionalmente
all’intensità dell’evento traumatico e con la prossimità fisica al fattore stressante.
3.1.2.
Disturbo acuto da stress (DAS)
Il DAS può essere visto come una categoria preliminare al PTSD, poiché il tipo
di situazioni traumatiche che ne possono determinare l’insorgenza sono le stesse.
Sono ugualmente presenti tre categorie sintomatologiche che contraddistinguono
il disturbo post traumatico e cioè pensieri intrusivi o flashback, l’evitamento e
l’iperattivazione fisiologica. L’elemento che consente di operare una distinzione
tra i due disturbi è la durata della sintomatologia e la presenza nel DAS di
sintomi dissociativi; difatti nel DAS i sintomi si sviluppano in maniera acuta dai
2 giorni alle 4 settimane, nel caso persistano oltre si entra nella categoria del
PTSD. Il rischio di Disturbo Acuto da Stress è più elevato a seconda della gravità
oggettiva dell’evento, della sua durata, del grado di coinvolgimento del soggetto
e della sua predisposizione; maggiore è la vicinanza fisica o il coinvolgimento
diretto del soggetto verso la sorgente del trauma, maggiore è la probabilità che lo
27
Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, noto anche con la sigla DSM
derivante dall'originario titolo dell'edizione statunitense “Diagnostic and Statistical Manual
of Mental Disorders”, è uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici
più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo, sia nella pratica clinica che
nell'ambito della ricerca.
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stesso sviluppi il DAS.
Il PTSD e il DAS sono tipicamente associati ad esperienze particolarmente
traumatiche, anche croniche, nel personale di intervento in situazioni di soccorso
e di emergenza, ma non sono probabilmente i disturbi post-traumatici
maggiormente frequenti in questo tipo di popolazione.
3.1.3.
Disturbi dell’Adattamento
I Disturbi dell’Adattamento appaiono essere come maggiormente frequenti.
Sebbene meno gravi sul piano sintomatologico, in realtà sono molto insidiosi
perché possono essere più facilmente nascosti e camuffati, e magari non essere
pienamente compresi anche dagli operatori stessi, portandoli a trascurare il
disagio e quindi ad aggravare i problemi in essere. La caratteristica fondamentale
dei DA è lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali successivi
all’esposizione ad uno o più eventi stressanti (anche traumatici) chiaramente
identificabili.
Tali sintomi devono svilupparsi entro tre mesi dall’esposizione all’evento o agli
eventi stressanti e devono risolversi entro sei mesi dalla cessazione del fattore
stressante o delle sue conseguenze.
I sintomi principali possono essere problemi d’ansia, depressione, impulsività,
ritiro sociale, lamentele fisiche e, in generale, tutti i sintomi del PTSD e del DAS
ma non tali per intensità, durata o numero da soddisfare una diagnosi di Disturbo
post-traumatico da stress o di disturbo acuto da stress.
In realtà sarebbe forse più opportuno concettualizzare alcuni Disturbi
dell’Adattamento come PTSD sottosoglia o in remissione parziale, considerando
il fatto che in un operatore dell’emergenza può essere insorto un PTSD o un DAS
che è solo parzialmente superato, ma magari cronicizzato, oppure che un tale
problema non soddisfa pienamente quanto richiesto dal DSM, problema
importante per porre una diagnosi, ma che non riguarda l’aspetto della sofferenza
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soggettiva della persona coinvolta.
3.1.4.
Altri disturbi
Devono essere segnalati, per completezza espositiva, tutta una serie di sintomi e
problematiche che difficilmente possono essere indicati con una diagnosi che li
rappresenti esaustivamente, ma che nondimeno si rilevano problematiche con la
maggior frequenza tra gli operatori dell’emergenza, siano essi professionisti o
volontari:
• Livelli di iperattivazione costante, con irritabilità, aggressività, difficoltà a
rilassarsi, tensioni con familiari ed amici, insonnia, o poco sonno riposante.
• Disturbi gastrointestinali
• Stanchezza cronica o apatia.
• Sensi di colpa ingiustificati.
• Calo di appetito e iperfagia.
• Calo della libido e disturbi sessuali.
• Cinismo e senso di inutilità del proprio lavoro o della propria vita.
• Abuso di sostanze.
• Sentimenti di estraneità dalla vita “normale” e sensazione che l’unica
dimensione all’interno della quale ci si sente adeguati sia quella dell’emergenza,
eventualmente unita alla volontà di eroismo a tutti i costi.
3.2. Sindrome del Burn-Out
I soccorritori possono sviluppare, inoltre, la Sindrome del Burn-Out, una
situazione di stress lavorativo tipica delle “professioni di aiuto” in cui la
relazione con l’utente è centrale.
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La dinamica del Burn-Out discende dall’incontro tra aspettative del
professionista (spesso irrealistiche) e le richieste del cliente.
È una sindrome connotata da una serie di sintomi psico-fisici e di atteggiamenti
verso il lavoro, che si definisce come la fase finale di un processo difensivoreattivo verso condizioni di lavoro vissute come insoddisfacenti.
Gli operatori che lavorano in questi ambiti (medici, infermieri, insegnanti,
psicologi, soccorritori) oltre ad usare le proprie competenze tecniche, usano le
loro abilità sociali per soddisfare i bisogni degli utenti che spesso non esprimono
gratitudine né apprezzamento.
La Sindrome del Burn-Out può essere considerata una risposta ad uno stress
emozionale cronico che si connota per tre particolari componenti:
1.
Esaurimento emotivo.
2.
Ridotta produttività nel lavoro.
3.
Deterioramento della relazione con l’utente.
Il Burn-Out si sviluppa attraverso diverse fasi:
Entusiasmo: motivazioni che spingono un individuo a scegliere una professione
(sentimento di onnipotenza).
Stagnazione: si rileva che i risultati dell’impegno profuso sono spesso incerti ed
aleatori (sentimento di carriera bloccata).
Frustrazione:
pressante
senso
di
impotenza
in
relazione
all’utente,
all’organizzazione, alla comunità (caduta del sentimento di onnipotenza e
constatazione della parzialità del proprio intervento). Il lavoro viene vissuto
come frustrante: perdita della dimensione progettuale con conseguente
disinvestimento.
Apatia: chiusura totale in se stessi, sentimenti di noia, nausea e blocco del
desiderio di aiutare gli altri.
La persona in Burn-Out non modifica le condizioni che producono stress, ma
cerca di combattere questi effetti perseguendo con sempre maggiore impegno le
proprie mete.
Una caratteristica peculiare delle prime fasi del Burn-Out è la tendenza al
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diniego28 (della fatica, dello stress, delle situazioni critiche in generale).
3.3. CONCLUSIONI
Lo stress è una tensione interiore che si origina quando dobbiamo adattarci alle
pressioni che agiscono su di noi. D’altra parte la vita è piena di eventi e
situazioni che mettono a dura prova la nostra capacità di adattamento.
Per questo è importante riuscire a gestire le pressioni a cui siamo sottoposti prima
che il loro peso diventi eccessivo, alterando così il nostro equilibrio interiore e il
nostro funzionamento. Questo è un punto importante: ognuno di noi ha un suo
proprio equilibrio e questo si riflette nel comportamento quotidiano. Se questo
equilibrio si rompe ci si ritroverà a manifestare un disagio che può arrivare fino
al sintomo psichiatrico.
L’equilibrio è continuamente dipendente dagli eventi esterni con i quali ci
dobbiamo confrontare e dalla nostra capacità di gestire quello che gli eventi
esterni determinano nel nostro mondo interno cognitivo ed emozionale.
È importante sottolineare che ognuno di noi ha un suo punto di rottura, ovvero
che rispetto a quello che succede intorno a noi e dentro di noi, chiunque può
andare incontro a un disagio insopportabile.
Se le emozioni risultano esagerate rispetto alla situazione in cui si verificano, se
persistono per un tempo prolungato impedendo alla persona di concentrarsi in
altre attività o minando le relazioni interpersonali, allora il funzionamento
normale dell’individuo si interrompe. È quello che succede quando c’è il trauma
psichico: l’evento esterno penetra la psiche senza che questa riesca ad opporre
resistenza o contenere la valenza psichica dell’evento. Quando usiamo il termine
“contenere” non lo facciamo per caso. Se pensiamo a quello che accade in un
28
Il diniego è un processo che si sviluppa dal desiderio di cancellare un pensiero o una
sensazione relativi all’eccessivo sfruttamento delle proprie risorse fisiche, mentali o emotive.
Scopo ultimo del diniego: consentire di perseverarsi in situazioni critiche.
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evento critico in termini emozionali possiamo pensare all’immagine di una
ondata emotiva che si muove velocemente verso la o le persone interessate
dall’evento. Queste possono accogliere questa onda emozionale o venirne
sommersi. Possiamo pensare alla mente umana come ad un contenitore e all’onda
emozionale come ad un contenuto che deve essere accolto e trattenuto.
Il modello contenitore-contenuto29, può essere applicato nelle relazioni di aiuto
del soccorritore, nelle quali la possibilità di comunicare il disagio e quindi la
possibilità di “sostenere”, passa attraverso la capacità del contenitore/soccorritore
di darsi carico, di condividere, di prendere dentro di sé, il disagio della vittima.
Questo disagio è il contenuto, costituito dalle emozioni del traumatizzato. Queste
emozioni vengono “trasformate” dal contenitore-soccorritore e rimandate alla
vittima del trauma in forma più elaborata e quindi più sopportabile.
Nella realtà del soccorritore, contenere ed essere contenuto sono entrambe
esigenze imperative, perché il soccorritore è contemporaneamente soccorritore e
vittima. In questo senso co-costruire una nuova storia dell’evento stressante che
narri sia delle vittime soccorse, sia dei soccorritori, e che narri il personaggio del
soccorritore in tutte le sue sfaccettature, non solo si “salvatore” ma anche di
“uomo” colpito dal Male dell’altro, diventa la strada privilegiata per prevenire
ciò che va oltre alla “normale” sofferenza umana.
Quando, infatti, gli eventi stressanti a cui è sottoposto l’operatore dell’emergenza
spezzano l’equilibrio che aveva precedentemente raggiunto, può essere
fondamentale offrire uno spazio strutturato in cui sia possibile rinarrare la sua
storia personale e professionale, alla ricerca di nuovi significati che costruiscano
un nuovo equilibrio.
Alla luce dei fattori di rischio precedentemente accennati, nel tempo si sono
messe in atto una serie di misure preventive e terapeutiche al fine di minimizzare
il rischio dello sviluppo di condizioni patologiche negli operatori dell’emergenza
o per intervenire su una condizione patologica già in atto.
Tra le più comuni vale la pena citare le strategie di defusing e debriefing per gli
29
Bion, W.R. (1963), Elements of Psycho-Analysis. Heinemann, London.
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eventi critici. Questi interventi sono rivolti con regolarità agli operatori al fine di
consentire un’adeguata condivisione tra colleghi delle tensioni emotive connesse
al proprio operato. Si tratta di specifici gruppi di discussione strutturati e
coordinati da un esperto nella gestione degli eventi critici che contribuiscono a
ridurre l’impatto emotivo delle esperienze con le quali ci si è confrontati.
Interventi di questo tipo sono stati utilizzati, ad esempio, con il personale di
soccorso coinvolto in occasione dell’attentato alle Torri Gemelle di New York.
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CONCLUSIONI
I soccorritori e i sanitari, cosi come i vigili del fuoco e le forze di polizia, sono
esseri umani che mettono a disposizione della collettività la loro esperienza e la
loro formazione; alcune di queste figure, molto spesso, lo fanno a titolo
volontaristico.
L’impatto emotivo su interventi così duri dal punto di vista emozionale, porta
anche i più preparati a crollare sotto il peso di certi avvenimenti. Non si può dare
colpe a persone che al massimo delle loro capacità si prodigano per aiutare delle
persone e salvare delle vite.
Tuttavia, per poter dar giustizia alle vittime di reati, bisogna soggiacere a delle
regole ferree poiché, come abbiamo visto, l’impianto penale non ammette errori
da parte degli investigatori.
Chi interviene sulla scena deve essere consapevole dell’impatto che la sua
presenza avrà sull’evolversi degli eventi poiché il minimo passo falso, o la prima
sottovalutazione di determinati elementi, consentirà ad autori di crimini di farla
franca.
Non essendo tecnici, i soccorritori non sono tenuti a conoscere tutti gli aspetti
dell’indagine, ma gli accorgimenti da tener presente sono, come abbiamo visto,
pochi e di semplice ricordo.
Una foto scattata o un passo fatto lontano da una macchia di sangue potrebbero
aiutare a fare giustizia.
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