Guareschi faceva la morale, ma con un intento «Candido»

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Guareschi faceva la morale, ma con un intento «Candido»
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LA PROVINCIA
CULTURA
DOMENICA 6 FEBBRAIO 2011
di Paolo Gulisano
Millenovecentosessantuno: un’Italia in
pieno boom economico, che scopre lavatrici, televisori utilitarie e vacanze al mare festeggia un po’ distrattamente, e per fortuna
senza troppa retorica, il Centenario dell’Unità. D’altronde, in quel momento, gli italiani si dividono principalmente tra filo-sovietici e filo-americani, e mentre il mondo vive le tensioni della Guerra Fredda, gli eroi a
cui guardare non sono certo Garibaldi e Cavour, ma John Kennedy o, dall’altra parte,
Nikita Kruscev e Fidel Castro, e per le anime
belle dei cattolici il "Papa buono", Giovanni
XXIII. Mentre nel Paese si avvertono ancora
gli echi della grande favola delle Olimpiadi
romane dell’anno prima e l’ipotesi del centro-sinistra al governo prende sempre più piede, in un clima dunque di ricreazione generale viene chiusa la bocca ad una delle voci
più importanti del giornalismo, ad un uomo
libero, alla vera e propria coscienza critica
del Paese: Giovannino Guareschi. Proprio in
quel fatidico 1961, cinquant’anni fa, chiuse
forzatamente i battenti il Candido, il settimanale che Guareschi aveva fondato non appena rientrato in Italia dai campi di prigionia
nazisti.
Mentre ferveva la ricostruzione materiale,
Guareschi mise mano con lena a quella morale: occorreva somministrare agli italiani gli
antidoti adeguati contro i veleni che li intossicavano, dall’odio ideologico alla brama di
guadagno ad ogni costo e con ogni mezzo;
dall’abbandono dei punti di riferimento morali di sempre al riversamento del cervello all’ammasso, che fu un concetto che non smise mai di sottolineare, profeta inascoltato, visto che gli italiani hanno continuato a farlo,
prima seguendo la parola d’ordine della politica, più tardi quella della pubblicità e delle sirene del consumismo.
Candido, che fu anche palestra di artisti, di
talenti della penna, e che vide nascere sulle
sue colonne l’epopea di Mondo Piccolo, di
don Camillo e Peppone, fu sempre una pubblicazione assolutamente libera e indipendente, fatta a immagine e somiglianza di chi
la realizzava, sempre in prima linea nella tempestiva segnalazione e denuncia di ogni soperchieria che inquinasse la vita civile, sociale, economica e politica italiana.
Candido era un foglio donchisciottesco, ma
per altri versi era capace di guardare in profondità e con attenzione nella realtà. Guareschi
conosceva molto bene l’Italia e gli italiani:
amava questo Paese di un amore mai pienamente corrisposto.
Guareschi conosceva bene miseria e nobiltà
di questa terra, e la descrisse come pochi altri sono riusciti, visto che il compito non è
certo facile. Strana terra l’Italia. Persino dal
punto di vista geografico, questa penisola è
decisamente originale, con la sua strana forma. A ciò si aggiunge una strana storia, dove
si mescolano a forti dosi grandezza e splendori, meschinità e bassezze. Vivace al limite della turbolenza, sembra avere nelle sue
corde più profonde le caratteristiche del genio e della sregolatezza. Ciò che è peggio, tuttavia, è che sembra possedere nel proprio Dna
anche un’innata predisposizione al conflitto, e in particolare alla guerra civile. Dagli
Orazi e Curiazi ai Guelfi e Ghibellini fino ai
garibaldini e ancora più di recente alle varie partigianerie e ai diversi particolarismi,
questo non è un paese tranquillo è viverci
non è consigliabile a chi non ha coronarie for-
l’autore
Paolo Gulisano, 51 anni, lecchese, medico e
scrittore,collaboratore delle pagine culturali de «La Provincia» è considerato il massimo esperto in Italia di Tolkien. Ha dedicato
quattro libri all’autore de «Il signore degli
anelli». Si è anche occupato di C. S. Lewis,
collega di Tolkien a Oxford e autore delle «Cronache di Narnia».È inoltre studioso della cultura celtica ed anglosassone e ha curato la
biografia dello scrittore vittoriano George
Mac-Donald a suo tempo ispiratore dei maggiori autori fantasy del ’900.Tra i suoi saggi
recenti,segnaliamo quelli sul beato Newman
e sul mito di Peter Pan.
MONDO PICCOLO
Giovanni Guareschi con moglie e figli. A destra: la testata del suo celebre foglio; al centro: vignetta del «Candido».
Guareschi faceva la morale,
ma con un intento «Candido»
Con le storie di don Camillo e Peppone si sforzò di elevare la coscienza del Paese
È l’interpretazione del saggista Gulisano, a 50 anni dalla chiusura del giornale
ti. Un Paese così non è facile da raccontare,
anche se proprio a motivo della sua drammaticità può fornire ispirazione per fare della narrativa molto interessante. Questo strano paese è stato raccontato certamente, oltre
che analizzato, nei suoi fatti, nei suoi personaggi. Ma chi ne ha colto l’anima, chi
ha fatto in modo di trasformare uomini
comuni in figure paradigmatiche, chi ha
coniugato epica e fiaba, fu proprio Giovannino Guareschi.
«La storia - scrisse - non la fanno gli uomini: gli uomini subiscono la storia come subiscono la geografia. E la storia,
del resto, è in funzione della geografia.
Gli uomini cercano di correggere la geografia bucando le montagne e deviando i fiumi e, così facendo, si illudono
di dare un corso diverso alla storia, ma
non modificano un bel niente, perché
un giorno, tutto andrà a catafascio. E
le acque ingoieranno i ponti, e romperanno le dighe, e riempiranno le miniere;
crolleranno le case e i palazzi e le catapecchie, e l’erba crescerà sulle macerie e tutto ritornerà terra. E i superstiti dovranno lottare
a colpi di sasso con le bestie, e ricomincerà
la storia. La solita storia».
Guareschi impegnò tutto il suo talento e la
sua vita al servizio delle coscienze, e del vero bene comune, con un realismo appassionato, consapevole di tutte le imperfezioni
umane, senza moralismi né utopismi
pericolosi. Il Mondo Piccolo di Guareschi non è un universo perfetto: anche
lì vi sono il male, la cattiveria, il dolore. Eppure è un mondo nel quale tutti
vorremmo vivere. Tutti ci siamo detti
almeno una volta: «Come sarebbe bello il mondo, se fosse così». Ma Mondo
Piccolo non è così per un artificio letterario. È così, perché i suoi abitanti compiono ogni giorno ciò che possiamo fare
anche noi abitanti del Mondo grande, se
solo avessimo fede: accolgono la Grazia,
e la loro vita si trasfigura. L’uomo d’oggi,
dice Guareschi, è infelice, perché ha espulso Cristo dalla sua vita. E non v’è altra medicina che la fede. Bisogna salvare la fede,
come il contadino salva il seme durante l’alluvione.
Guareschi era un uomo libero, un uomo vi-
vo, forse troppo per i gusti del potere. Così
nel 1961 i potentati Dc esercitarono una pressione decisa sull’Editore di Candido perché
quella voce scomoda venisse messa a tacere.
Guareschi si congedò dai lettori con parole
tristi e ironiche, con un’editoriale intitolato
«Il congedo dell’ometto», dove scriveva: «Dice Giovannino che vi lascia un’eccellente situazione: miracolo economico, miracolo governativo e via discorrendo. Se ne va, quindi, tranquillo perché meglio di così non potrebbe andare. E anche peggio di così non potrebbe andare. La democrazia ha raggiunto
l’"optimum" nei due sensi opposti (positivo
e negativo) e, non potendo andare né più in
alto né più in basso, le conviene fermarsi.
Quindi, dice sempre il Giovannino, statevene tranquilli: se la sua presenza non poteva
migliorare di un milionesimo di millimetro
le cose, la sua assenza non potrà peggiorarle di un miliardesimo di milionesimo di millimetro, Vi saluto anche io e, se non potremo
più tenerci visti, cerchiamo di tenerci pensati». Era il congedo di uno che passava per
umorista, e che paradossalmente era in realtà
uno degli italiani più seri e veri mai esistiti.
[Dibattiti letterari]
Come vendere un milione di copie? D’Orrico fa il "furbo" e vince
Il libro
del giornalista
Antonio
D’Orrico è
pubblicato da
Mondadori (303
pagine, 19 euro)
«Come vendere un milione di copie e vivere felici»
è un libro furbo. Ma onesto. È furbo perché nessuno aspirante scrittore rinuncerebbe a un manuale che trasformi
il suo sogno nel cassetto in un best seller. È onesto perché il titolo parla di un corso per "vendere" non per "scrivere" un libro da un milione di copie. E la differenza non
è affatto sottile. Per vendere un milione di copie serve,
prima di tutto, un titolo capace di abbindolare un milione di persone e una copertina in grado di catalizzarne
almeno dieci. «Come vendere un milione di copie e vivere felici», di Antonio d’Orrico - ha l’una e l’altra cosa.
Un grande titolo che potrebbe vendere miliardi di copie in qualunque parte del mondo e una copertina altrettanto universale. Un bassotto della banda bassotti,
un ladro di quelli che però non fanno male a nessuno e
falliscono quasi sempre. Prima ancora di insegnare la
sua regola numero uno (rubare i segreti a chi ha già scritto un best seller) il critico del «Corriere della sera» che
decreta il successo di un libro con le sue recensioni su
«Sette» ne ha già date due: titolo e copertina azzeccati.
Seguono altri consigli: «essere pronti a uccidere la propria madre», non avere senso del pudore, mai scrivere
di se stessi, quando non si sa come andare avanti far trovare una persona morta in una stanza, scegliere il nome
del protagonista tra quelli già famosi e non aver paura
di scrivere parolacce. Chi riuscirà a fare tutte queste cose, forse venderà anche un milione di copie del suo libro.
Poi, però, bisogna anche capire come si fa a scrivere un
libro da un milione di copie, ovvero un libro che spinga
chi lo ha appena letto ad invitare altre persone a comperarlo. E questo passaggio è più difficile. Perché si può
comperare «La restauratrice di matrimoni» spinti dal titolo, dalla copertina e dal riassunto, ma giunti alla seconda pagina lo si restituirebbe volentieri a Spearling
& Kupfer con grandi complimenti per la confezione. Ci
sono altri libri, invece, come «Acciaio», che hanno tito-
li gelidi e copertine spoglie, ma scalano le classifiche con
la forza del passaparola tanto sono belli. Ce ne sono altri, come «L’Ultima riga delle favole», di Massimo Gramellini che vendono l’illusione di un bis di successi precedenti e fanno leva sul fatto che tutti hanno vissuto una
delusione d’amore. Per vendere, vendono, ma la cura alla terme dell’anima non ha lo stesso potere della raccolta di lettere della «Posta del cuore». Ora, d’Orrico è come Oprah Winfrey. Se scrive che un libro sarà un successo milioni di persone lo compreranno. I suoi articoli su
«Sette» - a giudizio di chi scrive - valgono ognuno i soldi del «Corriere». Ogni articolo è un piccolo riuscitissimo romanzo. Ma sfortunatamente non basterà leggere il
suo manuale per scrivere un libro da un milione di copie.
Anna Savini
SUL SITO INTERNET
www.laprovinciadicomo.it
Ascolta la conversazione con Antonio D’Orrico.