guareschi e la democrazia cristiana

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guareschi e la democrazia cristiana
Gnocchi, A.
GUARESCHI E LA DEMOCRAZIA CRISTIANA
di Alessandro Gnocchi,
da Un «Candido» nell’Italia provvisoria,
Atti del Convegno scientifico svoltosi a Milano l’11-12 dicembre 1998 a cura di Giuseppe Parlato,
organizzato dalla Fondazione Ugo Spirito con la collaborazione del Club dei Ventitré e dell’Assessorato alla
Cultura e Trasparenza della Regione Lombardia
Quello che m’interessa mettere a fuoco è come Guareschi interpretava i concetti di democrazia e di cristiano.
Chiarito questo, si capiranno meglio i suoi rapporti con la DC.
Guareschi fu un realista, che è una delle caratteristiche tipiche del cristiano e soprattutto del cattolico
impegnato in politica e che legge la politica. E direi che però il modo migliore per definirlo, anche da questo
punto di vista, è proprio il titolo di questo Convegno, è «Un Candido nell’Italia provvisoria».
C’è una vignetta del 27 aprile del ‘46, in «Candido», dove si vedono due omini, che salgono con una
mongolfiera e guardano il mondo dall’alto; si vede il nostro emisfero e si vede un’Europa con due Italie: il titolo
della vignetta è «Erano due dunque!» e uno dei due amici dice all’altro «Ecco allora come si spiega il fenomeno dei
45 milioni di fascisti e i 45 milioni di antifascisti!». Guareschi non si faceva nessuna illusione. Sapeva che l’animo
umano è fatto così, è fatto di bene e di male, di buono e di cattivo, di bello e di brutto, di anima e di corpo. E
questo è l’insegnamento tipico del cattolicesimo, l’insegnamento che lo scrittore emiliano affinò soprattutto nel
campo di concentramento.
Tornato in Italia, dopo la prigionia, si rese conto che la nuova classe politica andava un po’ a tentoni,
perpetuando gli stessi mali della classe politica fascista. In Italia provvisoria, che è un bellissimo libro del ‘47, un
collage fatto di racconti, di riflessioni, Guareschi punta il dito sul male dei mali, che è la retorica dell’antiretorica.
Dice: «Non so se con queste mie chiacchiere riesco semplicemente ad annoiarvi. L’intento è, a parer mio,
onesto. Cercare cioè di dimostrare, toccando ogni campo, che uno dei mali maggiori che affliggono questa nostra,
o meglio, questa quasi nostra terra, è il male della retorica, la retorica che ama i luoghi comuni e le frasi fatte, la
retorica aggravata dalla retorica dell’antiretorica. Gli italiani sono estremisti, o dormono avvolti nella bandiera
nazionale oppure la pestano sotto i piedi, o Roma caput mundi o Roma caput».
Più avanti dice ancora:
Il laboriosissimo popolo italiano è, ohimè, affetto da una pesante pigrizia mentale, non vuole pensare,
preferisce trovare tutto pensato. Alzarsi la mattina e leggere sul giornale quello che la direzione centrale ha pensato per lui. Liberiamoci da quella parte peggiore di noi stessi che è in agguato dentro ciascuno di noi e aspetta
una squilla, un inno, uno sventolar di bandiera, per levarsi la giacca, rimboccarsi le maniche e fare la nuova storia
dell’Italia. Qualunque colore abbia questa camicia, e Garibaldi a parte, sarebbe opportuno smettere di fare la
storia in maniche di camicia, facciamola in giacchetta, una volta tanto, magari in redingote.
«Liberiamoci della parte peggiore di noi stessi, guardiamoci allo specchio e ridiamo della nostra tracotanza, del
nostro barocco messicanismo e della nostra retorica. Guardiamoci allo specchio dell’umorismo, così come posso
fare io cittadino niente, che quando mi specchio e vedo sul mio viso un truce cipiglio, scuoto il capo sorridendo e
dico “Giovannino quanto sei fesso!”».
Affrontare il dopoguerra con questa lucidità di analisi, direi abbastanza rara, gli creò qualche problema. Perché
questo «Candido nell’Italia provvisoria», un bel momento si dovette mettere in giro, si dovette mettere per strada
e fare un po’ la conta dei politici che si trovava attorno, fare un po’ la conta di coloro che quest’Italia dicevano di
volerla rifare. E si accorse, ben presto, che il problema fondamentale, il nemico fondamentale, era il tentativo delle
forze politiche di presentarsi come pure. Ognuno si presentava come immacolato, voleva presentarsi come
qualcosa di diverso dagli altri. Ecco, questa tentazione della purezza, è assolutamente anticristiana, è
assolutamente anticattolica, è tipica del manicheismo, è tipica del catarismo. È questo tentativo di dividere il
mondo in due, di dividere l’uomo in due e farli andare poi separati, in questo modo si creano dei mostri.
Guareschi sapeva benissimo che per fare non solo politica, ma per vivere con gli altri, è necessario invece
rifuggire il tentativo di essere puri, la tentazione della purezza, bisogna sapere di non essere puri.
Tra il puro e l’impuro, come Jean Guitton nel suo Il puro e l’impuro, Guareschi scelse l’impuro. Sapeva di essere
anima e corpo, sapeva di essere qualcosa che non è di provata e di specchiata immacolata bellezza, sapeva di
essere un uomo, e sapeva come insegna il Vangelo, che al cristiano, l’uomo di tutti i giorni, all’uomo della strada,
non è dato di dover separare la zizzania dal grano buono. Per fare quello ci penserà il Padre Eterno.
Invece deve faticare, deve ragionare, deve creare concetti, deve stare insieme con gli altri, deve stare insieme
con il proprio Dio, se crede, e allora mano a mano cercherà di purificarsi, senza mai arrivare fino in fondo.
Proprio da questo punto di vista è possibile, secondo Guareschi, creare un clima politico nel quale trovare
qualcosa da costruire.
C’è un bellissimo articolo che si intitola Lettera a un disgustato, che è uscito nel dicembre del 1946, su «Candido»,
dove Guareschi dice appunto queste cose:
Comunismo e qualunquismo sono da porre sullo stesso piano, due squadrismi alle prese, due dittature che
tentano di affermarsi, ma fortunatamente in mezzo è rimasta la folla degli incerti, e di quegli incerti, nel vero
senso della parola, sono rimasti coloro la cui crisi politica e spirituale è tutt’altro da condannarsi. Perché sono in
crisi? Perché non hanno trovato ancora la loro strada? Appunto perché si sono rifiutati, caduto il fascismo, di
infilare la più facile, quella dell’assoggettamento al nuovo padrone, dell’asservimento a nuove direttive, della
rinuncia a pensare con la propria testa e ad assumersi tutti i pesi e tutte le responsabilità della propria dignità di
uomini. È degradante non leggere che il giornale del proprio partito, non credere che a quello che esso dice,
Inneggiare a Togliatti per il ritorno dei prigionieri di propaganda, stimare Tito dopo aver ucciso Mussolini,
stimare Nenni anche dopo la sua confessione di incapacità giuridica, prendere sul serio la fede cattolica di
Giannini, dopo la scorpacciata di sacramenti che costui ha fatto all’età di 54 anni per mettersi in regola col
Vaticano. È degradante ma comodo. Domani, se le cose vanno male, si impiccano o si allontanano i capi e la massa
rimane pura, senza peccato.
Questa purezza di massa era veramente il dramma che si andava profilando in Italia, ed è in questo quadro,
quindi, che può essere letto il rapporto di Guareschi con la Democrazia Cristiana. In questo quadro Guareschi
incontra, più che la Democrazia Cristiana, il suo capo, cioè De Gasperi.
La storia è abbastanza complessa, se vogliamo anche travagliata, con un finale drammatico, ma inizia direi nel
modo migliore possibile, almeno per quanto poteva aspettarsi Guareschi.
Guareschi non fu mai democristiano, ma pensò che De Gasperi fosse veramente lo statista di cui l’Italia aveva
bisogno. Quindi lo sostenne durante la campagna elettorale del ‘48. Adesso non stiamo a ricordare i momenti più
eclatanti, ma Guareschi fu riconosciuto come uno degli artefici della vittoria della Democrazia Cristiana in quelle
elezioni, contro il Fronte Popolare. Ricordo solamente due momenti, due vignette che poi divennero anche due
manifesti molto famosi. Uno era quello con l’elettore potenziale comunista, al momento di votare con la scritta
«Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no»; poi c’era l’altro, che divenne ancora più famoso e fece
ancora più parlare, e fu quello in cui si vedeva lo scheletro di un soldato dell’armata italiana in Russia che dice alla
mamma, «Mamma votagli contro anche per me».
Comunque questo per dire che Guareschi fu veramente uno degli assi portanti della vittoria della Democrazia
Cristiana e personale, direi, di De Gasperi in questa situazione.
Però, dopo le elezioni, subito nel 1948, disse che De Gasperi aveva vinto non solo con i voti dei democristiani,
ma con i voti di una grossa fetta di italiani che avevano rinunciato a votare il proprio partito per fare fronte al
comunismo. E c’è una vignetta famosa di questo periodo, in cui si vede De Gasperi che entra in Parlamento per la
prima seduta, e l’Italia gli disse: «Signor Presidente, per favore, il distintivo in guardaroba». Ecco, questa semplice
vignetta, che non era niente di straordinario, ma anzi, era quanto di più civile un uomo come Guareschi, uno
scrittore come Guareschi, un giornalista come Guareschi, potesse fare. Qui entriamo nei rapporti fra Guareschi e
la DC, che sono un po’ diversi rispetto a quelli tra Guareschi e De Gasperi.
Molti democristiani, filodegasperiani, e forse, ultradegasperiani, non la presero bene, e ci fu una serie di
attacchi, veramente sconclusionati. La situazione andò veramente scollandosi e crollò nel momento in cui il
Governo Pella, a guida democristiana, cadde nel 1953, non per una crisi parlamentare, ma cadde per una crisi
scoppiata all’interno della Democrazia Cristiana.
De Gasperi non riuscì a controllare più il partito, e fu costretto a far cadere il Governo Pella che era inviso la
maggior parte dei suoi. A quel punto Guareschi capì che De Gasperi ormai non era più il capo del governo, non
più neanche il capo di un partito, ma era semplicemente un capo corrente. Ritenne di essere stato tradito, non solo lui, ma la gran parte degli italiani che avevano creduto nel politico trentino, e quel poco che mancava ancora
agli attacchi numerosi che lui aveva già portato a De Gasperi, divenne veramente eccezionale.
La cosa che mi interessa, e che mi preme far vedere, è che in quel periodo, uno dei personaggi legati alla
Democrazia Cristiana, che la vedeva esattamente come Guareschi, ma non aveva molta voce in capitolo, era Don
Sturzo.
In Don Sturzo c’è una serie di riflessioni, una serie di articoli, che mettono sotto accusa il modo clientelare,
correntistico di reggere le sorti del partito da parte di De Gasperi. Ma, soprattutto Guareschi pensava che De
Gasperi fosse mal consigliato da Scelba.
Scelba fu colui che volle la famosa cosiddetta «legge truffa», ed era quella legge secondo la quale una coalizione
di partiti, avendo la maggioranza assoluta alle elezioni, avrebbero poi avuto un premio di maggioranza, in modo
tale da poter governare con più tranquillità. Ecco, Guareschi invece pensava che il blocco che dovesse
contrapporsi al Fronte Popolare, non dovesse essere un blocco democristiano, che andava a diventare un blocco
ideologico, che a lui faceva una paura tremenda, come facevano una paura tremenda il blocco ideologico fascista e
il blocco ideologico comunista, ma un blocco, lui chiamava, delle forze sane della Nazione, nella quale dovevano
fare parte i democristiani, ma poi anche tutta la gran parte di cristiani che militavano in altri partiti.
E questo non gli fu assolutamente perdonato, ma lui si batté veramente in modo straordinario contro questa
situazione. Nel ‘53 la coalizione centrista, guidata dalla Democrazia Cristiana, che lui non aveva più sostenuto in
campagna elettorale, vinse ma non raggiunse la maggioranza assoluta, quindi non ebbe il premio di maggioranza.
Allora Guareschi titolò su «Candido» La mafia è sconfitta, la Democrazia continua.
Ma questo modo di fare politica della Democrazia Cristiana era venato di clericalismo, e il clericalismo è una di
quelle malebestie che Guareschi ha combattuto in tutta la sua vita. Il clericalismo, il tutorato del clero sulla società
italiana, non gli era mai piaciuto. Non gli era mai piaciuto e lui lo combatté sempre, anche perché tutto questo
andava poi a discapito del clero stesso, andava a discapito della Chiesa, andava a discapito della cristianità, perché
a Guareschi, tutto sommato, stava molto a cuore non tanto le sorti della Democrazia Cristiana, quanto le sorti della
civiltà cristiana, che è qualcosa di completamente diverso.
E c’è un passo di questo articolo: La mafia è sconfitta, la Democrazia continua, che lo dice in modo molto chiaro:
«Se dei ministri o dei sottosegretari sbagliano, è presto fatto, si mandano a spasso e al loro posto se ne mettono
degli altri! I ministri e i governanti passano, ma la Chiesa resta sempre tale e quale. E per spiegare il mio concetto,
io non trovo di meglio che riferire una frase che ho sentito oggi per la strada: i democristiani hanno vinto, i preti
hanno perso, e se non andiamo errati l’anno scorso il Papa, parlando agli uomini di nazione cattolica, venuto a
trattare dell’unione dei cattolici, disse che non deve però essere presa come unicità; questo distruggerebbe la
varietà delle forze, varietà che non ha soltanto un valore estetico, ma reca altresì vantaggi strategici di primissimo
ordine». Questo acutamente nota Giovanni Durando su «Voce e Giustizia»: «Vuoi dire che i cattolici devono essere
uniti nella difesa della religione, ma possono militare in partiti diversi, in relazione alle questioni opinabili della
politica».
Ed era esattamente quello che sosteneva Guareschi da anni. Ma tutto questo pervadere, questo aggravarsi del
clericalismo, questo estendersi del controllo della partitocrazia e anche della Democrazia Cristiana sulla società, a
Guareschi non piaceva anche perché
ormai aveva mostrato la corda e aveva dato i segni di quello che poi sarebbe diventato.
Addirittura nel suo aspetto, direi, quasi profetico di uomo di fede, proprio vedendo come la politica tendesse a
fagocitare le cose della religione, e quindi sperando che la gerarchia cattolica ponesse fine a questo modo di fare
politica, nel 1954, a un amico svizzero, parlando della politica italiana, disse: «Ci vorrebbe un Papa polacco che
sputasse sui muri». Quindi questo più di vent’anni prima di quello che poi sarebbe successo.
Quindi aveva visto veramente giusto e aveva capito che ormai il mondo cattolico, la cultura cattolica e quindi
anche la politica cattolica, erano in mano a una minoranza intellettuale, la sinistra progressista della Democrazia
Cristiana.
Questo modo di fare politica, questo modo di fare cultura della sinistra progressista cattolica è una forma di
clericalismo. E che cosa fece sostanzialmente sia dal punto di vista teorico, sia dal punto di vista pratico? Avendo di
mira l’ideale della società perfetta, ma sapendolo irrealizzabile, i suoi esponenti all’interno del mondo politico, con
il proprio sogno coltivarono in privato tutto quanto riguardava la perfezione della fede: per tutto il resto della
politica e della vita morale, pensarono che si potesse fare sostanzialmente quello che si voleva.
Così si giustificano tutti gli intrallazzi, si giustificano tutte le bustarelle, si giustificano tutti i tradimenti. E questo
Guareschi, veramente non lo sopportò e il suo distacco drammatico, doloroso, da De Gasperi viene da questo. De
Gasperi non può essere certo accusato di progressismo da questo punto di vista, ma il suo modo di fare politica,
secondo Guareschi, andava proprio su questi binari. E quando Guareschi tirò fuori la questione delle due lettere,
in una delle quali si chiedeva il bombardamento della periferia di Roma, e un’altra scritta da un capo partigiano,
in cui si diceva che quei bombardamenti ci sarebbero stati, Guareschi non voleva tanto dire «guardate come fu
immorale De Gasperi che chiese quei bombardamenti», voleva dire «state attenti, perché De Gasperi, per un suo
gioco politico, ha utilizzato carta intestata della Segreteria di Stato del Vaticano, mentre era rifugiato nel 1944, per
accreditarsi agli occhi degli americani, come il capo delle forze cattoliche. Quindi attenzione a quest’uomo che usa
dei machiavellismi che non sono da cristiano impegnato in politica, ma sono da cristiano che ha ritirato la sua
coscienza dalla politica, e la lascia fuori». Questa era la visione di Guareschi.
Guareschi si pose fin dagli inizi il problema della democrazia, non solo della Democrazia Cristiana. Il problema
della democrazia era, secondo Guareschi, era questo, che spesso gli ideali della democrazia vengono identificati
con gli ideali del cristianesimo. Ed è un’operazione culturale abbastanza facile, se vogliamo, se si rimane in
superficie, perché quando si parla di uguaglianza, è molto facile dire, anche il Cristianesimo vuole le stesse cose
della democrazia, sennonché per il Cristianesimo si parla di uguaglianza degli uomini davanti a Dio, per la
democrazia si parla di un’altra cosa.
Non è che Guareschi fosse antidemocratico, Guareschi da cristiano realista, da cattolico realista quale era,
riteneva che qualsiasi forma di governo può andar bene in un determinato momento storico, e anche la
democrazia può andar bene se è comunque fondata su dei valori, e questo se ci facciamo caso, è l’insegnamento di
Giovanni Paolo TI, in molte delle sue Encicliche.
La politica, secondo Guareschi, è un male necessario, niente di più. E questa è una sana lezione di realismo
cristiano. Ecco, però deve arrivare solo fino a dove è il suo compito, poi deve ritrarsi, deve lasciare il compito al
singolo, alle persone.
C’è un bellissimo racconto della saga di Mondo Piccolo, che si intitola L’esperimento: un bel momento Don Camillo
si trova davanti al Cristo, perché come gli capita con una certa frequenza, non capisce molto di quello che sta
succedendo. Ci sono tumulti in piazza, la gente butta il cervello all’ammasso del partito, come Guareschi amava
dire, e Don Camillo va a sfogarsi con il Cristo dell’altare maggiore e gli chiede che cosa bisogna fare, che cosa sta
succedendo.
E Cristo risponde, e parlando proprio della politica che va ad invadere le coscienze:
La falsa giustizia umana condanna il delitto del singolo e ammette il delitto di massa, il delitto di popolo, il
delitto della folla. Questa falsa giustizia che punisce il furto del singolo e giustifica le guerre, che sono rapina di
massa. Dio ha detto non uccidere, Dio ha detto non rubare, e lo dice ogni creatura umana, Dio fissa soltanto dei
doveri per ogni uomo, e non esistono i diritti delle classi o dei popoli, ma esistono soltanto dei doveri per ognuno
degli individui che compongono le classi e i popoli. Non esistono morali individuali e una morale per le masse, in
cielo non esistono sconti per le comitive, tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, ma ognuno di essi è distinto
dall’altro. Non è la rotellina di un meccanismo composto di centomila ingranaggi, ma un completo meccanismo.
Don Camillo, ricordati, ognuno nasce per conto suo e ognuno muore per conto suo, anche se muore insieme ad
altri centomila uomini.
Credo che di fronte a una razionalità come questa, a una chiarezza teologica e morale come questa ci sia poco
da aggiungere.
Bibliografia essenziale di Giovannino Guareschi - Archivio Guareschi - «Club dei Ventitré»
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