guareschi diede voce all`italiano mediocre

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guareschi diede voce all`italiano mediocre
Antonelli, E.
(+ le lettere di commento e una sua risposta)
UN PERSONAGGIO INVECCHIATO GIÀ DA GRAN TEMPO
GUARESCHI DIEDE VOCE ALL’ITALIANO MEDIOCRE
Era il beniamino di una collettività politico-sentimentale sorpassata, un’Italia cioè
intellettualmente pigra e depressa, politicamente reazionaria, dalla risata facile
di Edilio Antonelli,
da Il Nostro Tempo, Torino 28 luglio 1968.
Era un uomo finito. Ed è morto appartato, quando la sua stagione si era conclusa da tempo. Svaniti i suoi feroci disinganni, dissolta la sua rabbia di bastian contrario emiliano, scomparsi dall’iconografia cinematografica i
suoi eroi, don Camillo e Peppone, egli era tuttavia già nella storia del nostro Paese: e non nella storia dell’umorismo o in quella del giornalismo, ma nella storia civile italiana.
Giovanni Guareschi con i suoi umori politico-sentimentali non rimarrà mai un fatto isolato: come pochi altri
egli seppe legare le sue invenzioni ad un’Italia che noi non amiamo, ma non per questo meno vera e reale, l’Italia
intellettualmente pigra e depressa, politicamente reazionaria, dalla risata facile e dai gusti volgari. Fu quest’Italia,
purtroppo, il suo pubblico, e fu, ancora purtroppo, il serbatoio di voti dell’anticomunismo viscerale che cercò, tra
tante ragioni valide e serie, quelle più grossolane, incivili e meno impegnate.
Ma questa consonanza tra Guareschi e Il qualunquismo degli italiani va al di là della notazione di costume,
diventa elemento di indagine storica, testimonianza di un’epoca per fortuna ormai tutta consumata.
Il suo manifesto del prigioniero italiano in Russia, con la scritta «Mamma votagli contro anche per me», mobilitava
i fantasmi per una causa che doveva essere difesa con ben altri argomenti. Forse è proprio dalla sconfitta del 18
aprile che comincia l’avanzata incessante dei comunismo italiano. Quegli argomenti superficiali, epidermici, tutti
basati sul sentimento piuttosto che sul ragionamento, accreditarono un comunismo cattivo e una democrazia tutta
buona, una libertà dal segno unico, una giustizia mediocre che trovava la sua ragion d’essere nella paura.
Quando il dibattito politico si allargò, la gente cominciò a leggere di più e si accorse che non tutto il bene stava da una parte e non tutto il male dall’altra, sentì che le mancavano gli strumenti per un giudizio severo del comunismo; si trovò senza terreno sotto i piedi e non seppe più a cosa appigliarsi.
Quel discorso, fatto il 18 aprile, lo paghiamo anche adesso con gli incrementi di voti che il PCI consegue ad
ogni elezione.
A tutto ciò, si aggiungano i libri e i film su Peppone e don Camillo, che nulla o niente hanno a che fare con la
pretesa «repubblica conciliare». Sono due personaggi irreali, frutto di un odio antipolitico che Guareschi portava
nel sangue. Con Peppone e don Camillo e con quel Cristo saccente, che è un grossolano atto di irriverenza, Guareschi ha combattuto soprattutto la politica, i partiti, le differenze ideologiche al grido, tutto italiano e menefreghista di «Volemose bene»; ma non perché usiamo carità e spirito di comprensione, sebbene perché tutto è inutile,
siamo tutti uguali e vogliamo le medesime cose.
Era il suo modo di combattere le idee, i fermenti della società Italiana, l’antico vizio nostro di mettere
d’accordo Garibaldi e Vittorio Emanuele, Cavour e Mazzini; era un’ennesima riprova del timore per le novità,
della miopia sociale che Guareschi non seppe mai superare. Persino la sua battaglia per la monarchia era un anacronismo e quei milioni di schede bianche, che accompagnarono (in una famosa vignetta) l’esilio di Umberto II,
furono l’auto da fé di un sorpassato.
Eppure interpretò un’epoca, un sentimento, dette fiato ai nostri terrori. Fu in definitiva un corruttore; ma
«nel suo tempo» e alla sua maniera un testimone scomodo.
Da molto tempo non aveva più nulla da dire. Ed è, morto per la seconda volta in questi giorni.
Edilio Antonelli
QUARELLI, E.
MARCHI, M.
ANTONELLI, E.
LETTERE AL DIRETTORE
Un "cattivo" ricordo di Giovanni Guareschi?
da Il Nostro Tempo, Torino 4 agosto 1968
L’articolo di Edilio Antonelli sulla morte di Guareschi pubblicato nello scorso numero de Il nostro tempo, ha provocato
due «lettere al direttore», che pubblichiamo
Egregio sig. Direttore,
non condivido affatto l’odierno articolo su Guareschi; il quale ha avuto, se mai, il grave torto di essere geniale
ed è stato frainteso.
Peppone e Don Camillo, invece di esprimere «un odio antipolitico», sono umanissini e fondamentalmente cristiani (voglio dire, anche Peppone). Essi mostrano all’evidenza come ci si possa amare in tutta sincerità quasi nascondendolo a se stessi e stando sui fronti opposti della barricata. I comunisti della «bassa» sono descritti in maniera da farli apparire, tutto sommato, simpatici. Questo vale più di tanti presunti dialoghi.
Guareschi è stato insuperabile in questo. Ha fatto capire con un’immediatezza da artista come ci si possa combattere sul piano politico continuando a vedere l’uomo nell’avversario. È forse poco?
In quanto all’interpretazione da lui data al comunismo, non si trattava delle elaborazioni degl’intellettuali, ma
proprio del comunista medio, di colui che (secondo un’espressione maliziosa e, nello stesso tempo, indulgente) aveva «versato il cervello all’ammasso». Purtroppo i paesi d’oltre cortina hanno insegnato come si fa a lavare i cervelli dei resistenti che non li sottomettono spontaneamente. Sembra che queste cose ora si preferisca dimenticarle.
Mi è capitato di sentire i soliti comunisti che s’incontrano per la strada. Parlano a vanvera, senza idee definite.
Guareschi li ha definiti benissimo, da artista par suo.
Mi auguro che la storia gli renda giustizia,
Saluti cordiali.
Elena Quarelli
Caro Direttore,
poche righe per manifestarle il mio disappunto di lettore de Il nostro tempo per l’articolo di Edilio Antonelli su
Giovanni Guareschi. In questa occasione il suo giornale si è distinto, ma in faziosità oltreché in superficialità. Nessun organo di stampa ha superato in livore quanto ha scritto Antonelli. Il suo ricordo di Guareschi è falso, ma soprattutto cattivo, perché dell’uomo Guareschi non ha detto la verità: ha taciuto volutamente del suo comportamento in Germania, quando nei lager nazisti egli si comportò in modo da aiutare e confortare i compagni di
prigionia. Non ha ricordato il suo anticonformismo di sempre, una dote rara. E si potrebbe continuare...
L’accenno al manifesto dei caduti in Russia che mobilitava l’opinione pubblica a votare contro il partito comunista non fu, come sostiene l’estensore dell’articolo, un mezzo subdolo di propaganda ma un efficace strumento
per far sì che l’Italia del 1948 non diventasse una Repubblica Popolare come quella Cecoslovacca. Se allora Guareschi ed altri non fossero scesi in campo in difesa della democrazia oggi ci troveremmo a dover riabilitare le vittime
dello stalinismo. Ma il punto non è ancora questo. Se è vero che vi è un qualunquismo di «destra» (o, per lo meno
vi era un qualunquismo di destra, perché oggi la destra non esiste più: o per lo meno ve ne è una nuova che non
ha niente a che vedere con i personaggi ingenui e patetici dell’autore di Don Camillo e Peppone, ma si identifica
con i centri di potere di questa nostra democrazia affaristica e clientelare), lo scritto di Antonelli dimostra che vi è
un qualunquismo di «sinistra», saccente e settario, che sul piano della poca intelligenza può fare degna concorrenza dell’altro. Sono facce della stessa medaglia.
Giudicare Guareschi come un uomo politico non ha senso. Egli era uno scrittore, l’inventore del «mondo piccolo»: un mondo più fantastico che reale, dotato di un senso di autentica poesia e di grande umanità: alcuni del
suoi racconti, i migliori, ne sono la dimostrazione. Un mondo di paese, alla buona: la chiesa, la scuola, l’osteria, il
curato, il sindaco, il maresciallo dei carabinieri, la maestra. I simboli di un’Italia rurale in cui egli credeva e che
opponeva a quella ufficiale, dei «signori di Roma». E non c’è dubbio che in quella sua scelta, Guareschi fosse sincero. Sincero come lo sono i sentimentali e gli ingenui. Quel mondo - è vero - è finito ed è morto con la società dei
consumi e i1 neocapitalismo. Come erano morte le illusioni dl Guareschi. Nessuno le rimpiange.
Ma al posto di quel mondo semplice dai sentimenti non sofisticati che cosa si è sostituito? Un’Italia davvero
adulta e consapevole, come finge di credere Antonelli, il quale non fa che ripetere luoghi comuni quando sostiene
che «il dibattito politico si allargò e la gente cominciò a leggere di più» (un recente studio di Del Boca ha dimostra-
to che dal 1939 ad oggi la tiratura dei giornali è rimasta la stessa), o un’Italia soltanto pii scaltra, più furba e che
ha imparato una sorta di cinismo dai suoi uomini politici? La polemica contro Guareschi è una polemica di retroguardia, colpevole perché si rivolge contro un falso bersaglio. In definitiva, una prova di conformismo. «Destra» e
«sinistra» sono scatole vuote, etichette prive di senso, se non si riempiono con delle Idee e delle argomentazioni
serie; se le tesi non si dimostrano con dei ragionamenti e delle analisi storiche, invece che con tirate bassamente
polemiche. Non c’è niente di più squallido che un costume volgarmente di «destra» (intendendo per destra stupidità e settarismo) contrabbandato come atteggiamento di «sinistra», vale a dire di progresso e di modernità.
Ho perciò l’impressione che il vizio inguaribile della retorica e delle frasi fatte sia una malattia dura a morire.
Con o senza il povero Giovanni Guareschi...
Mario Marchi
(e. a.) In Italia è sempre pericoloso dir Male di Garibaldi. Quando poi si tratta di un Garibaldi morto è obbligatorio dirne
bene. È il solito malinteso pietismo italiano, che troppo spesso appanna il giudizio critico e cerca di accreditare virtù inesistenti.
Chi va in un cimitero troverà decine di epigrafi che ostentano l’inconsolabile dolore di vedove tradite, di mogli vessate, per mariti
integerrimi ed operosi che in vita passarono il loro tempo nelle osterie.
Ma conviene dire qualcosa di più, La signora Elena Quarelli cita la frase del «cervello all’ammasso», ma dimentica anche
che i comunisti, per Guareschi, sono sempre stati i «trinariciuti», qualcosa di subumano a mezza strada tra la scimmia e l’uomo.
Ebbene, di trinariciuti in Italia ce ne sono otto milioni. E crescono, signora Quarelli, crescono perché il loro campo è continuamente concimato da chi preferisca coni batterli con l’invettiva piuttosto che con la politica.
Il lettore Marchi, invece, difende il « mondo piccolo» di Giovanni Guareschi, fatte di «sentimenti non sofisticati » e nega che
l’Italia sia più adulta. È un’opinione rispettabile come tutte le opinioni. Ma non condivisa da noi. Guardi, il signor Marchi, i
nostri giovani. Sì, sono anche scesi in piazza, ma hanno qualcosa da dire, al contrario di quanto avveniva venti anni fa,
all’epoca in cui sotterrammo le bombe a scoppio ritardato che ci stanno scoppiando tra le mani. Quanto poi alla destra e alta sinistra che sarebbero scatole vuote, ci par di poter dire che si tratta di una tesi sostenuta da triti argomenti, non dimostrata con dei
ragionamenti e delle analisi storiche. In una parola, il lettore Marchi fa, nei miei confronti, ciò che io avrei fatto nei confronti di
Guareschi: del qualunquismo, quindi, ma senza segno, né di destra né di sinistra, peccato anche più grave di quello che mi si
rimprovera.
BONANNO, C.
ROSS, F.
LETTERE AL
DIRETTORE
I lettori difendono il ricordo di Guareschi
da Il Nostro Tempo, Torino 11agosto 1968
Altre due risposte all’articolo di Edilio Antonelli su Il nostro tempo
Signor Direttore,
Ho letto con un certo stupore e, lo confesso, con notevole irritazione l’articolo che Il nostro tempo » ha dedicato
a Guareschi in occasione della sua morte; vorrei perciò chiedere ospitalità per questa mia lettera sulle colonne del
Suo giornale, convinto di interpretare (mi si perdoni la presunzione) i sentimenti di un numeroso gruppo di lettori.
La critica radicale cui lo scrittore scomparso è stato fatto segno da parte di Edilio Antonelli mi è parsa, tutto
sommato, miope ed intollerante: se non è, infatti, possibile dimenticare i lati meno simpatici della personalità di
Guareschi, certe sue concezioni politiche ormai superate, le polemiche spesso inutili e talora urtanti cui egli a più
riprese diede vita, non ritengo neppure giusto condannar globalmente la sua opera scrittore e la sua figura uomo.
Antonelli ha usato parole grosse nei suoi confronti, facendolo assurgere a simbolo di un'Italia « intellettualmente pigra e depressa, politicamente reazionaria, dalla risata facile e dai gusti volgari» e definendolo in ultimo
un «corruttore». Penso che il povero Guareschi tutto si sarebbe aspettato di trovare nel suo necrologio, fuorché
questa accusa: proprio lui che concepì la vita come una battaglia da combattere contro la disonestà e l’ipocrisia.
Non di rado in questa sua piccola crociata si trovò di fronte soltanto dei mulini a vento, non di rado diede la
caccia a fantasmi o vagheggiò sogni irrealizzabili; ma seppe rimanere fedele a se stesso, passando tra entusiasmi e
delusioni, in un periodo in cui troppe persone cambiavano con straordinaria disinvoltura bandiera e fede pur di
ottenere dai nuovi potenti favori e protezione.
Fu opera di corruzione questa? A me sembra che un osservatore imparziale dovrebbe, se non altro, ammirare
la sua fierezza e l’impegno con cui egli seppe difendere la sua dignità di uomo, la sua indipendenza di giudizio; e
dovrebbe pure ammettere che, proprio per tali meriti, la sua testimonianza appare ancora attuale (e scomoda,
come giustamente nota Antonelli).
Non intendo dire con ciò che la sua azione politica sia stata un modello di coerenza: tutt’altro; ne era del resto
consapevole egli stesso, che amava definirsi «socialista, monarchico e cristiano», ma era prima di tutto un figlio
della sua terra emiliana e portava nel sangue l’amore per la polemica, l’intolleranza, forse anche l’insofferenza
verso il potere costituito: fu un «bastian contrario» per vocazione, ebbe dei guai con il fascismo, fu fatto prigioniero dai nazisti, iniziò nel dopoguerra una lotta senza quartiere contro i1 comunismo finendo per schierarsi anche contro la democrazia cristiana dopo averla per breve tempo appoggiata. Condusse purtroppo polemiche violente e di dubbio gusto, come quella contro il Presidente Einaudi, o ingiuste come quella contro De Gasperi, prestando fede, con una ingenuità sconcertante ma comprensibile in una natura come la sua, ad un carteggio di cui
venne poi dimostrata la falsità: al termine di tale vicenda ebbe però l’onestà di riconoscere, con la sincerità che
certo non gli mancava, il suo errore dolendosene pubblicamente.
Antonelli gli ha anche rimproverato di aver combattuto il comunismo con argomenti troppo superficiali concorrendo a provocare così, per reazione, un’adesione sempre più imponente dell’elettorato a tale ideologia a partire dal 1953; ad una affermazione così semplicistica è tuttavia facile ribattere che le cause veramente determinanti
di tale fenomeno sono assai più complesse e vanno ricercate altrove: nell’inevitabile logoramento che l’esercizio
del potere comporta per le delusioni che partiti al governo sono costretti a dare ai loro sostenitori, negli scandali
ricorrenti per quanto riguarda in particolare le elezioni del 1953, la famigerata legge sulla riforma del sistema elettorale adottata dalla coalizione della maggioranza malgrado le giustificatissime critiche cui aveva subito dato
luogo,
Sarebbe certo più aderente alla realtà ricordare che all’anticomunismo «viscerale» di Guareschi corrispondeva
nel campo avversario un atteggiamento ugualmente violento, radicale ed aggressivo nei confronti del partiti democratici e una decisa volontà di condurre la lotta senza esclusione di colpi. Né, d’altra parte, mi sembra logico
rimproverargli di avere mobilitato contro il fronte popolare i fantasmi dei nostri soldati morti in Russia, giudicati
argomento superficiale, epidermico, estranea ad una battaglia condotta su un puro piano politico e dimenticare al
tempo stesso che troppe volte considerazioni di natura essenzialmente religiosa, e quindi ancor meno pertinenti,
vennero poste sul tappeto da professionisti della politica per scopi esclusivamente elettorali senza suscitare proteste da parte cattolica.
E soprattutto stupisce che, dopo tali critiche, la «contestazione globale» operata da Antonelli investa anche le
storie di Don Camillo e Peppone, improntate ad una visione più sorridente e distesa dei rapporti umani: esse sarebbero l’espressione del menefreghismo di Guareschi, della sua avversione al partiti, del suo qualunquismo, in
una parola. Non comprendo come abbia potuto Antonelli non accorgersi che in questi brevi “acconti non va ricercato un contenuto politico né, tanto meno, un Impegno sociale: essi rappresentano soltanto un’evasione dalla realtà quotidiana, una rievocazione, fantastica ma venata di simpatia, di certi episodi di vita vissuta e delle tante figure pittoresche che la Bassa sa produrre.Da quanto ho detto è facile arguire che anch’io faccio parte del gruppo di lettori italiani e stranieri che ha saputo apprezzare i libri di Guareschi accettandone i limiti, senza rigettarli in blocco né ravvisare nella trovata di far
parlare il Crocifisso di Don Camillo un «grossolano atto di irriverenza»: appartengo, in altre parole, a quell’Italia
pigra, reazionaria, dalla risata facile e dai gusti volgari contro cui si appuntano le critiche di Antonelli. Non penso
tuttavia di dovermene vergognare, ricordando che in occasione del capodanno 1952 il Nunzio apostolico a Parigi
regalò al Presidente della Repubblica francese Auriol una copia de Il piccolo mondo di Don Camillo, con l’augurio di
riceverne - sono parole testuali - «distrazione e spirituale diletto». Poiché quel Nunzio si chiamava Angelo Roncalli
credo di potere affermare, con buona pace di Antonelli e senza ombra di dubbio, che la compagnia in cui mi trovo
è assai meno ottusa e reazionaria di quanto egli ama sostenere.
Carlo Bonanno
Specchio fedele dell’Italia mediocre
Signor direttore,
mi permetta di intervenire nella polemica pro o contro Guareschi. Ho letto anch’io l’articolo incriminato e mi
sono meravigliato. Da noi, vale sempre il motto: «Non vada oltre la tomba ira nemica» e così assistiamo a canonizzazioni e beatificazioni postume, che annebbiano le facoltà critiche dei lettori.
Ma non mi sono meravigliato per il contenuto dell'articolo di E. Antonelli: potrei condividerlo quasi sino in
fondo. Guareschi è stato lo specchio fedele, con conformista oltre il lecito, dell’Italia mediocre, capace di sostenere
anche il falso, ai accreditare l’immagine di un De Gasperi che chiama gli alleati a bombardare Roma. Si dirà: per
questo pagò. Pagò perché non sapeva essere modesto e ammettere di avere sbagliato.
Era uno scrittore? A me pare di no. I suoi libri fra dieci anni saranno soltanto la testimonianza di un momento italiano. Era un umorista? Nemmeno: la sua «verve» si risolveva sempre in sentimentalismo, in grossolane
allusioni. Un umorista deve graffiare. Guareschi mordeva. Era un polemista? Non si direbbe: l’invettiva non fa
[mancano le parole finali, N.d.R.]. Certo, è stato utile. Forse (anzi senza forse) fu un protagonista del 18 aprile.
Quella data sanzionò la sconfitta (temporanea) del PCI, ma pose anche le premesse per il difficile corso politico
degli anni cinquanta di cui paghiamo ancora le conseguenze. Perché l’ideale di Guareschi era la spaccatura verticale del Paese: tutti i « buoni » (dalla DC ai missini da una parte) e tutti i «cattivi» (dai comunisti ai repubblicani)
dall’altra, l’un contro l’altro armati.
Una ipotesi contro la quale De Gasperi lottò per tutta la vita.
Voglia gradire da un suo non più giovane lettore, i più’ cordiali saluti.
Franco Ross, Torino.
VILLA, M.
LETTERE AL
DIRETTORE
da Il Nostro Tempo, Torino ?? agosto 1968
«PAGÒ I SUOI ERRORI NON VOLLE COMPROMESSI»
Signor Direttore,
ho l’abbonamento da molti anni al « Nostro tempo », giornale che apprezzo per il suo stile, per le sue prese di
posizione non sempre conformiste, per l’attualità dei problemi che pone e discute con intelligenza, vivacità e rispetto della verità e notevoli articoli di fondo.
Anche se talvolta non aderisco completamente alle sue prese di posizione, non l’ho mai disturbata; me lo
permetto ora e spero che Lei voglia « una tantum » concedermi un po’ di spazio.
L’articolo di Edilio Antonelli mi ha, a dir poco, recato sorpresa. Da esso è evidente che egli non conobbe molto il Guareschi e lo giudica in superficie, dalla boutade.
Forse Giovanni Guareschi «diede voce all’italiano mediocre, ad un’Italia intellettualmente pigra, dalla risata
facile e dai gusti volgari...» ma fece anche altro che il signor Antonelli non vide o non volle vedere: diede voce alla
coscienza di molti, insegnò che cosa è la dignità e il coraggio morale. Non attese la morte dei suoi avversari per
esporre il suo pensiero su di loro, ma denunciò, criticò, li combatté quando erano ancora in vita e potevano replicare, difendersi e... offendere e pagò i suoi eventuali errori di persona senza scendere a compromessi.
Ma c’è di più! Anche la campagna che egli condusse nel 1948 e che portò al plebiscito contro il comunismo è
messa dall’articolista sotto processo: in definitiva gli addossa la responsabilità del. l’aumento dei voti comunisti nel
ventennio che ne è seguito.
Certo Guareschi è morto e non può, né forse vorrebbe rispondere. I responsabili di quell’aumento sono invece ben vivi e potrebbero in qualche modo reagire poiché occupano poltrone importanti...; meglio è non correre
rischi, intonando coraggiosamente l’«orazione funebre» su una tomba non ancora chiusa!
Lascio ad altri il commento sul manifesto del prigioniero italiano in Russia. Gli potrebbero rispondere le Madri dei Dispersi se molte di loro non fossero morte di dolore nell’attesa...
Che si alzassero le voci denigratorie dell’Unità e della Voce Repubblicana, nessuna meraviglia: Guareschi combatté sempre apertamente il comunismo ed era di fede monarchica ma che a quelle voci si unisse quella del Nostro
Tempo sorprende e addolora.
Milioni di persone l’apprezzarono, i suoi libri pieni dì umanità e di poesia per un lettore non troppo superficiale, sono stati tradotti in tutte le lingue: è proprio convinto il signor Antonelli che tutti, editori e lettori, siano o
fossero persone dalla risata facile e dai gusti volgari, compreso Papa Giovanni e il presidente Auriol al quale
l’allora Cardinale ne fece omaggio?
Con rispettosi ossequi,
M. Villa
Via Avigliana, 34 Torino
NUVOLONI, A.
ANCORA UNA LETTERA SULL’INVENTORE DI DON CAMILLO
EPITAFFIO TROPPO AGRO PER GUARESCHI
da Il Nostro Tempo, Torino 25 agosto 1968
Signor direttore,
Edilio Antonelli, nella settima pagina. de «il nostro tempo » datato 28 luglio 1968, si è divertito a dare il colpo di
grazia al defunto Giovannino Guareschi. Dell’Antonelli ho sempre fantasticato un’immagine di uomo pacato, se-
reno, benevolo. L’epitaffio, da lui scritto per il padre di Peppone e don Camillo, ha un sapore agro che fa storcere
la bocca.
Premesso che il sottoscritto non ha mai idolatrato il Guareschi come uomo, pur avendolo ammirato come
scrittore, mi domando se è buon costume letterario, giudicare uno scrittore non per i suoi libri, ma per i suoi atteggiamenti umani. Mi domando anche dove finirebbero Oscar Wilde, Victor Hugo, Balzac, George Sand e, per
restare in Italia, Dante Alighieri, Boccaccio, Ugo Foscolo e tantissimi altri.
L’epitaffio dell’Antonelli comincia con un quasi titolo di Papini: «Era un uomo finito». Che gli uomini sian condizionati dall’inesorabile tempo è risaputo fin dai tempi di Adamo ed Eva. Ed è anche normale che la fortuna letteraria o la fama di gente che scrive sia soggetta al mutevole umore dei lettori. Il Manzoni - ch’era Il Manzoni - si
rivolge, a ogni buon conto, allo striminzito gruppetto dei venticinque lettori. Quindi, se anche il Guareschi fosse
stato un uomo finito, niente di straordinario. Così va il mondo. Ma vuol avere l’Antonelli la cortesia di ricordare
che, a un certo punto, fu considerato «finito», per esempio, anche il Fogazzaro che oggi, tuttavia, torna alla ribalta? In letteratura, il fenomeno delle «scoperte» e delle «riscoperte» è così frequente da rasentare l’umorismo. E.
non solo in letteratura. Né vogliamo aprire una polemica sulle « code dl paglia », sulle conversioni, sulle resipiscenze.
Forse (dico forse), ieri l’Antonelli fece il tifo - come il sottoscritto - per Giovanni Papini, per Ardengo Soffici
per Guido Manacorda, per Piero Bargellini; e forse (dico sempre: forse), quando soffiò un certo vento, i libri di
quegli scrittori vennero buttati, se non sul fuoco, sul solaio a tener compagnia ai topi.
«Svaniti i suoi feroci disinganni, dissolta la sua rabbia di bastian contrario emiliano, ecc. ecc., egli era tuttavia
già nella storia del nostro Paese: e non nella storia dell’umorismo o in quella del giornalismo, ma nella storia civile
italiana». Dal che appare evidente la nullità di Guareschi umorista e giornalista, decretata, sic et simpliciter, dal Nostro Critico. Si ponga mente che di questo parere non era il buon Papa Giovanni il quale, pare, apprezzava
quell’umorismo.
Dice ancora l’Antonelli: «...con i suoi umori politico-sentimentali non rimarrà mai un fatto isolato: come pochi
altri egli seppe legare le sue invenzioni ad un’Italia che noi non amiamo, ma non per questo meno vera e reale
ecc. ecc. ».
Mi sbaglio oppure quei «come pochi altri» è un implicito riconoscimento di una qualche abilità del povero defunto?
Per Edilio Antonelli, comunque, questo povero uomo, quest’uomo finito può interessare una Italia «intellettualmente pigra e depressa, politicamente reazionaria, dalla risata facile e dai gusti volgari ».
I volgari epigrammi scambiati tra Ugo Foscolo e Vincenzo Monti (ma eran tutti e due vivi, naturalmente) sono fioretti.
Dopo di che si fa colpa a Giovannino Guareschi di aver alimentato, con le sue invenzioni, il serbatoio di voti
dell’anticomunismo viscerale. A parte la discutibilità dell’assunto, a quel tempo, in quel 1948, Edilio Antonelli non
pubblicò, a quanto mi risulta, nessuna dichiarazione di ostracismo. Era più difficile, lo riconosco, che scrivere la
stroncatura per un povero morto.
Cito ancora: «Il suo manifesto del prigioniero italiano in Russia, con la scritta “Mamma, votagli contro anche
per me ", mobilitava i fantasmi per una causa che doveva essere difesa con ben altri argomenti ».
Gli altri argomenti, forse, eran quelli dell’onorevole Togliatti che prometteva calci nel didietro dell’onorevole
Da Gasperi?
Ma tant’è: il letterato Edilio Antonelli vedi tutto con gli occhiali della politica e, invece di rimarcare virtù e difetti della prosa del Guareschi, preferisce ipotizzare che l’avanzata incessante (adopero sue parole) del comunismo
sia stata favorita dal voto del 18 aprile 1948. Può anche darsi; ma, dico io, cosa c’entra ‘sta storia con la critica
d’uno scrittore? A meno che... Voglio dire che, volendo strapazzare putacaso il Manzoni, se uno mette insieme un
intingolo di Giulia Beccaria più Carlo Imbonati più l’agorafobia più una noce di giansenismo più uno spicchio di
parola difettosa, può darsi che il risotto resti sullo stomaco.
Nessuno, credo, nega che, dopo un’epoca, succede una altra epoca; nessuno nega che la seconda epoca possa
essere, rispetto alla prima, più viva, più giusta, più distensiva: anche questo sta nella logica delle vicende umane,
cioè nella storia. Ma sa di cattiveria questo lordare un sepolcro con il male dei giorni passati. Almeno per un cristiano.
Definire, poi, «personaggi irreali » Peppone e don Camillo mi sembra un po’ azzardato, E ancor più azzardato questo che segue: «Con Peppone e don Camillo e con quel Cristo saccente, che è un grossolano atto di irriverenza, Guareschi ha combattuto soprattutto la politica, i partiti, le differenze ideologiche al grido tutto italiano e
menefreghista di “Volemose bene “, ecc. ecc. ».
A parte la saccenteria (che non vediamo affatto), a parte il grossolano atto di irriverenza (che non vediamo affatto), se le affermazioni dell’Antonelli fossero esatte, il Guareschi scrittore potrebbe trovare asilo presso i cenacoli
dei cattolici del dissenso e della contestazione globale e magari, domani, potrebbe venir citato con venerazione.
Ma una cosa qui voglio aggiungere, anche se non è conseguente al periodo precedente. Giovannino Guareschi, come scrittore, era pulito: sia nella sintassi e sia nel pensiero. Io ho letto un po’ di roba di Guareschi, credo la
più importante; e ho letto per due motivi, banali fin che si vuole, ma validi per me:
1°) erano pagine che non stancavano ed .erano allegre; 2°) non mi venivano sotto gli occhi le solite porcheriole (amate da molti scrittori di successo) e neppure le complicazioni pseudo-letterarie, pseudo-scientifiche, pseudofilosofiche, pseudo-psichiche oggi tanto di moda e che favoriscono i complessi e l’esasperazione.
Io sono uno strapaesano (e non pensi l’Antonelli a quelli del Frontespizio); strapaesano perché amo il mio paese, la gente semplice, il pan di meliga e i proverbi dei miei vecchi. Forse anche per questo Giovannino Guareschi
mi piaceva, come scrittore.
E chi immagina un Guareschi che combatte le idee e i fermenti della società Italiana? Chi, se non l’Antonelli,
appioppa al Guareschi il timore per le novità e il vizio della miopia sociale? E anche la faccenda della monarchia
va a riesumare l’Antonelli presso il cadavere del povero morto. Due morti! Signore, pietà.
Infine, forse, c’è una resipiscenza dell’articolista: «Eppure interpretò un’epoca, un sentimento...». No, mi sono sbagliato. C’è la botta finale: «dette fiato ai nostri terrori. Fu in definitiva un corruttore». (Povero Giovannino!).
Forse ancora una resipiscenza: «...ma - nel suo tempo - e alla sua maniera un testimone scomodo».(Be’, oggi, p. es., si
fa un gran parlare dello scomodo prete di Tricarico). Ma ancora una volta sono in errore: «Da motto tempo non aveva più nulla da dire. Ed è morto per la seconda volta...». Stiamo peccando di necrofilia?
Mi si può obiettare: L’Autore dell’articolo su il nostro tempo ha voluto “parlare del «personaggio». Guareschi,
nient’altro! Ed è proprio, questa, semmai, la irriverenza ed è proprio questa la «stroncatura» ingiusta. Perché il
povero Zvanì, lavorò, soffrì, lottò come scrittore; perché tale volle essere. E come scrittore va giudicato, criticato.
Non era deputato, non era senatore, non era fondatore di partito e neanche era segretario o esponente politico.
Su certe questioni, come giornalista, diceva la sua. Dopotutto, applicava la democrazia. Dopotutto, fruiva, come
ogni cittadino può fare, della libertà.
E se l’Antonelli voleva presentare a noi lettori il personaggio Guareschi, doveva, a mio giudizio, non trascurare e non affossare lo scrittore. Uno scrittore che sapeva, tra l’altro, farsi capire, farsi amare; uno scrittore che
conobbe successi clamorosi in Italia e all’estero; uno scrittore che poteva vantare migliaia è migliaia di lettori, non
tutti appartenenti a quel. la ipotizzata « collettività politico-sentimentale sorpassata, a quell’Italia intellettualmente
pigra e depressa, politicamente reazionaria, dalla risata facile».
È strano, però, il fatto che, in questo tempo di «cercate ciò che unisce», si vanno qua e là cercando i parafulmini. È strana anche la frantumazione che viene operata con certo metodo critico. La critica, mi pare, è analisi e
sintesi. Così, mi pare, anche il giudizio sui mortali. Qui, invece, nell’articolo dell’Antonelli, si vuoi far vedere una
sola faccia della medaglia e anche quella vien presentata dopo un fine lavorio di graffiature.
È una mia opinione: il giornalista, il critico, il letterato (che ha attinto e attinge ansia evangelica) deve essere
«buono» nel giudicare e molto pacato.
Perbacco! Alcuni del nostro campo han rovistato ogni zolla per vedere un po’ di cristianesimo nel Carducci
(tanto per fare un nome); abbiamo perdonato tante cose a Pasolini per accettare il suo Vangelo cinematografico.
Potremmo andare avanti a citare la nostra «comprensione». Perché sul povero Guareschi, invece, teniamo il pollice verso?
Antonio Nuvoloni
PASQUALINO, F.
UNA POLEMICA NON DEL TUTTO INUTILE
PER GIOVANNI GUARESCHI A DISPETTO DELLE SUE IDEE
da Il Nostro Tempo, Torino 1 settembre 1968
Dice il filosofo-scrittore Fortunato Pasqualino: «Credo che qualcosa abbiamo imparato da Guareschi, “a dispetto delle sue idee” (come Engels disse di Balzac): non molto ma quanto basta per assicurargli un posto di riguardo negli annali dell’educazione sentimentale del nostro Paese»
Caro Direttore,
c’è posto per una lettera ancora su Giovannino Guareschi? Ho presente la lettera di Antonio Nuvoloni, pubblicata su Il nostro tempo del 25 agosto. Mi pare clic il Nuvoloni, abbia qualche ragione in più di Edilio Antonelli,
che però sa meglio sfruttare la propria forza ideologica, più vicina ai segni dei tempi di quanto non fosse il goffo e
superatissimo torto politico di Guareschi e di taluni suoi ammiratori.
Il Nuvoloni è nel giusto quando dice che uno scrittore non va giudicato dalle idee sociali e politiche. Qualche volta lo scrittore deve anzi essere valutato, come diceva Engels, «a dispetto delle sue idee ». Engels portava
l’esempio di Balzac, che in quanto a idee politiche era peggio inguaiato del nostro buon Giovannino e tuttavia capace di una lezione d'arte da cui il pensatore comunista diceva di avere imparato «anche nelle particolarità economiche, più che non da tutti gli storici, gli economisti, gli statisti di professione messi insieme» del periodo in cui visse. Credo
che qualcosa abbiamo imparato da Guareschi «a dispetto delle sue idee»: non molto, ma quanto basti per assicurargli
un posto di riguardo negli annali dell’educazione sentimentale del nostro Paese.
Prima che Don Camillo e Peppone venissero alla luce, c’era stata una specie di storia non ufficiale degli Italiani che ebbe spesso a provocare le ire di Mussolini, specialmente in Occasione di un episodio che i! conformismo
ideologico ha impedito di portare a conoscenza del pubblico. Gli Ebrei del Nord Europa, informati dei mille modi
con cui la nostra gente sabotava i piani della persecuzione razziale avevano raggiunto a decine di migliaia i nostri
confini. Scoperto il loro tentativo di fuga, sarebbero dovuti essere consegnati ai nazisti.
Ecco però il comandante della guarnigione militare del posto recarsi dal rabbino e chiedere a lui e ai rappresentanti della comunità ebraica di adoperarsi perché sfuggissero ai tedeschi. Raccomandò evidentemente di non
far trapelare nulla e guardarsi soprattutto da «quell’imbecille del gerarca fascista» che avrebbe voluto consegnarli ai
camerati germanici. Poco dopo, l'«imbecille» in persona si presentava ai rabbino e raccomandava la stessa cosa nei
confronti di «quel cretino del colonnello», dicendosi disposto a chiudere occhi e orecchi pur di evitare ai camerati di
commettere la triste «fesseria» della deportazione. Gli Ebrei riuscirono a scamparla, e Mussolini allora lanciò la storica anche se non molto nota invettiva circa «queste stupide ubbie sentimentali» degli Italiani.
Se vogliamo, Don Camillo e Peppone appartengono alla storia di quelle «ubbie» che non di rado s’imposero
di sopra delle divise ideologiche, anche delle più nere e funeste; e anzi, come l’arte realistica di cui parlava Engels.
«a dispetto delle idee». Non so se davvero Giovanni XXIII apprezzasse l’umorismo di Giovannino Guareschi. V'è però sul grandissimo Papa un aneddoto che a suo tempo fu raccontato in termini che richiamavano. sia pure a ben
diverso livello, il rapporto tra Don Camillo e Peppone: l’incontro tra il nunzio apostolico Angelo Roncalli e Kruscev, in Francia. Il primo avrebbe detto al secondo: «Noi due abbiamo un’affinità: la pancia ».
Da parte la distanza esistente tra il rozzo parroco della Bassa e il Papa, v’era però un piccolo legame tra loro,
la persuasione che l’umanità, con le sue ragioni di amore, valesse più delle ideologie. Anche il Crocifisso parlante,
che nell’opera di Guareschi veniva a prendere il posto del grillo ammazzato dal «laico» Pinocchio, aveva una sua
giustificazione nell’ingenuità devozionale del nostro Paese, dove perfino filosofi del più acceso Rinascimento si davano alle devozioni dopo aver sentito qualche voce misteriosa.
Se le «stupide ubbie sentimentali » appartengono alla migliore storia del nostro Paese, le devozioni sono senza
dubbio la parte più forte della religiosità dell‘italiano. A questo proposito, il Diario di Giovanni XXIII è altamente
istruttivo. Giovanni XXIII era tutto devozioni. Ciò non gli impediva di sopravanzare i nostri tempi e anche il futuro del mondo in quanto ad audacia nel senso del dialogo e dell’amore. Direi che attingeva nell’umiltà delle sue
devozioni la forza che lo rendeva capace di superare le idee più avanzate.
Per tornare a Guareschi, si deve riconoscere che l’autore di Don Camillo scelse per sé l’abito ideologico più
scalcinato e stonante, il più meschino: non quello del prete dal buon fiuto progressista, né l’ideologia rivoluzionaria di Peppone, ma le ideucce e i sentimenti di una vecchia maestrina delle scuole elementari la quale aveva chiesto un melanconico tricolore con lo stemma sabaudo per la propria bara.
Giovanni Guareschi è morto come il più umile dei suoi personaggi, forse per dimostrare che anche sotto tu
gli stracci ideologici più goffi l’uomo può amare e sperare di salvarsi; così come può odiare, rendersi funesto e
dannarsi anche sotto l’abito ideologico dì più progredita fattura. Nel suo atto di fede in un amore superideologico
forse il buon Giovannino si sbagliava, se è vero che non solo i Don Camillo e i Peppone ma taluni che si dichiaravano suoi amici ne hanno lasciato andare la bara al cimitero con un codardo silenzio.
Le idee sociali e politiche di Guareschi erano morte o riempivano con la loro carcassa qualche sentiero sentimentale della reazione più antistorica; forse neppure lo scrittore in Guareschi avrà la forza di sopravvivere; ma il
suo atto di fede in una solidarietà umana di sopra delle ideologie, mi pare sia da considerare «in attivo», proprio
rispetto alla svolta storica avviata da Giovanni XXIII e dal Concilio.
Cordialmente
Fortunato Pasqualino
Bibliografia essenziale di Giovannino Guareschi
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