Irene Panozzo, Lettera 22 Situazione spinosa quella che Parigi ha

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Irene Panozzo, Lettera 22 Situazione spinosa quella che Parigi ha
CIAD, LA DIFFICILE SCELTA DI PARIGI
La presa di N'djamena da parte dei ribelli ha messo la Francia di fronte a una difficile scelta:
intervenire a sostegno del regime, come già fatto nell'aprile 2006, o lasciare gli eventi fare il
loro corso?
Irene Panozzo, Lettera 22
Situazione spinosa quella che Parigi ha vissuto ieri. Mentre i ribelli ciadiani riuniti sotto il Comando militare
unificato entravano a N’djamena e in circa tre ore ne prendevano il controllo, mettendo in serissimo rischio il
regime del presidente Idriss Déby Itno, la Francia doveva decidere cosa fare: dare ordine ai più di mille
militari francesi di stanza in Ciad di intervenire per difendere il regime oppure rimanere a guardare,
utilizzando l’esercito e i suoi mezzi per evacuare i cittadini francesi ma evitando di prendere parte allo
scontro con i ribelli? Una scelta difficile, in cui la seconda opzione sembra aver avuto la meglio. Secondo
fonti di stampa l’esercito francese avrebbe fornito al governo ciadiano notizie di intelligence, ma di fatto
lasciando che gli eventi facessero il loro corso.
Ed è questa forse la vera novità. Il regime di Idriss Déby, al potere a N’djamena dal 1990, dava chiari segni
di vecchiaia e di cedimento già da molto tempo. Ma la scelta di non intervenire in sua difesa non è stata
dettata solo dalla decisione di risparmiare al paese questo ulteriore “accanimento terapeutico”. In fondo due
anni fa, nell’aprile 2006, quando a una settimana dalle elezioni presidenziali i ribelli erano già entrati nella
capitale, Parigi non aveva esitato a seguire la migliore tradizione della Françafrique utilizzando i suoi Mirage
F1 per lanciare bombe sui ribelli.
Rispetto al 2006 però qualcosa è cambiato. Non tanto in Ciad, dove Déby è rimasto al potere senza
cambiare nulla nel suo regime e la ribellione, basata soprattutto nell’est del paese, al confine con il Sudan,
ha continuato a operare. Le cose sono cambiate in Francia e, di riflesso, in Europa. L’estate scorsa a Parigi
è cambiato il presidente della repubblica. Non appena arrivato all’Eliseo, Sarkozy ha subito preso
un’iniziativa apparentemente in controtendenza rispetto alla politica africana dei suoi predecessori. Per
bocca del ministro degli esteri Kouchner, infatti, la nuova amministrazione francese ha proposto lo scorso
giugno di inviare nell’est del Ciad e nel nord-est della Repubblica Centrafricana una missione di pace
europea, a pattugliare i confini con il Darfur sudanese e a garantire la sicurezza dei campi profughi nati negli
ultimi anni a ridosso della frontiera. Un modo di intervenire, stando alle intenzioni dichiarate da Sarkozy e dai
suoi, in ambito multilaterale e badando innanzitutto alla tutela dei diritti umani, invece che agendo in base ad
accordi di difesa bilaterali a sostegno di governo in molti casi impresentabili.
La proposta francese è piaciuta a Bruxelles e ai governi degli Stati membri, come è riuscita gradita al
Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. È così nata l’Eufor Ciad-Rca: 3700 uomini, di cui tra i 2000 e i 2100
francesi e il resto forniti da Irlanda, Italia, Polonia, Austria e via elencando. Una missione di dodici mesi che,
dopo vari rinvii dovuti alle difficili condizioni politiche dell’est del Ciad, ha ottenuto la luce verde lo scorso 28
gennaio. Tra giovedì sera e venerdì mattina i primi tre aerei con militari irlandesi e austriaci sarebbero dovuti
atterrare a N’djamena. Invece non sono mai partiti, perché i ribelli sono stati più veloci. E in pochi giorni
hanno attraversato i circa 700 km che ci sono tra la capitale e la regione orientale entrando ieri a N’djamena.
Una tempistica molto accorta, che ha costretto l’Europa a ritardare l’invio dei soldati e che ha messo la
Francia di fronte a una scelta difficile. Perché Parigi non solo ha proposto, voluto e, fornendo uomini e
mezzi, ha garantito la fattibilità dell’Eufor, una forza che si vorrebbe neutrale. Ma dal 1986 è presente in Ciad
con l’operazione “Epervier” (sparviero), nata per difendere il regime di Hissène Habré dalla mire
espansionistiche della Libia e poi rimasta in vigore per aiutare, all’occorrenza anche intervenendo
direttamente, Idriss Déby. Una forza quindi tutt’altro che neutrale, composta da mille uomini e da
un’importante forza aerea che comprende squadriglie di Mirage F1, aerei ed elicotteri da trasporto,
approvvigionamento e ricognizione.
La rapida avanzata dei ribelli ciadiani a messo a nudo la contraddizione. L’esercito regolare, da molto tempo
ormai sfilacciato e allo sbando, avrebbe potuto opporre resistenza solo con il sostegno, concreto, della
Francia. Ma se Parigi avesse optato per questa soluzione, si sarebbe schierata una volta di più, e
indiscutibilmente, dalla parte di Dèby e contro i ribelli. Le cui basi sono in quella stessa regione orientale in
cui l’Eufor, composta in prevalenza da militari francesi che indossano la stessa divisa dei loro commilitoni
dell’“Epervier”, dovrebbe operare. E i ribelli hanno già annunciato più volte che considereranno come “forza
nemica” qualsiasi forza straniera che prenderà le parti del governo. Anche se presente in Ciad in virtù di
un’operazione di peacekeeping. (3 Febbraio 2008)