Fianga, 16 novembre `15 Carissimi Amici, è da tre giorni che non
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Fianga, 16 novembre `15 Carissimi Amici, è da tre giorni che non
Fianga, 16 novembre ‘15 Carissimi Amici, è da tre giorni che non riesco a pensare ad altro che a quello che è successo a Parigi venerdì sera. In un primo momento avevo pensato di scrivere una lettera più “soft” dopo quella del mese di ottobre, una lettera ordinaria, sulle solite cose della missione e del Ciad. Dopo gli attentati di Parigi, mi ero detto che non ne valeva la pena. Alla radio, molte persone invitano a non rinunciare a una vita normale, a non lasciarsi vincere dalla paura e dallo scoraggiamento per non fare il gioco dei terroristi… Eccomi qua allora, per cercare di riprendere il filo di una “vita normale”. Inizio comunque parlando di terrorismo. A giugno di quest’anno ho vissuto un momento molto, molto duro: in un attentato a N’Djamena, perpetrato da Boko Haram, è morto un giovane di Fianga che conoscevo bene. Conoscevo lui e la sua famiglia, lo avevo aiutato con dei piccoli aiuti per iscriversi a scuola. Era un buon ragazzo, amante del calcio, semplice, con progetti chiari per quanto riguarda il suo futuro familiare. Avevo lasciato la scuola per cercare un lavoro (entrare nella Polizia) e potersi sposare. Tutto è finito il 15 giugno mattina quando un kamikaze si è fatto esplodere nel cortile della scuola di Polizia: 38 morti tra cui Djonmon Emmanuel, questo era il suo nome. Per me è stato un grande shock: una cosa è sentire che c’è stato un attentato da qualche parte, che ci sono stati un certo numero di morti, altra cosa è conoscere una delle vittime, la loro famiglia, i suoi amici, i suoi progetti. Realtà estranee e, purtroppo, diventate “normali”, d’un tratto ti cadono addosso come una diga che crolla. Parigi è la città dove abita mia sorella con le sue tre figlie e suo marito. Per mesi, mia nipote ha lavorato nella zona dove ci sono stati gli attentati. Non lontano da Place de la République abita un mio amico con la sua giovane sposa e con una bambina di un anno e qualche mese. In settembre lo avevo compagnato a casa, passando prima con lui e la moglie all’asilo nido a prendere la figlia. Parigi è una città che amo e, ogni volta che rientro in Italia, vi passo qualche giorno per trovare familiari e amici, per visitare musei, per acquistare libri. La familiarità con queste care persone e la “vicinanza” a questi luoghi fanno sì che gli echi degli spari, la paura e lo smarrimento di quei momenti lambiscono, anzi invadono il mio cuore e la mia mente. È quello che provo ogni volta che sento parlare di attentati e violenze in luoghi che ho frequentato o dove sono stato per turismo o per altre ragioni: la Siria, la Palestina, i mercati di N’Djamena e di Maroua, il lago Ciad… • Così va il Ciad! Qualche settimana fa hanno arrestato Saleh Deby Itno, fratello minore di Sua Eccellenza Idriss Deby Itno, “Presidente della Repubblica, Capo dello Stato”. Da tre anni era a capo delle Dogane del Ciad e da tre anni non versava un centesimo nelle casse dello Stato. Essendo il Ciad un paese poverissimo di industrie, tutto quello che si consuma, è importato da fuori e quindi tassato dalle dogane. Milioni e milioni di euro rubati! Finalmente il Presidente e la magistratura se ne sono accorti, adesso che il petrolio, unica risorsa del Paese, vale molto poco, e mancano i soldi per pagare i dipendenti pubblici. La presenza nel clan del Presidente (un fratello è ministro delle telecomunicazioni, una sorella è sindaco della capitale, un figlio è direttore del cementificio… la lista è molto lunga) negli affari (soprattutto economici) dello Stato è sinonimo di corruzione e ruberie su grande scala. • L’anno prossimo, 2016, ci saranno le elezioni presidenziali (e forse politiche – il parlamento è già scaduto da due anni!). Non essendoci un servizio di “Stato Civile” (anagrafe), ad ogni elezione bisogna fare un censimento degli elettori. L’operazione è iniziata il 26 ottobre e durerà 45 giorni. Piccolo problema: molti agenti di questo censimento elettorale sono insegnanti. Conseguenza: la scuola è a metà paralizzata perché molti insegnanti sono occupati altrove. Gli insegnanti – alcuni guadagnano bene, altri pochissimo – vanno là dove ci sono soldi da guadagnare. È come se a molti di loro non interessi molto la formazione dei ragazzi e giovani a loro affidati. Tutto questo naturalmente con la benedizione delle Autorità! • A fine ottobre c’è stato il Forum India-Africa a New Delhi. L’intervento a quest’Assemblea di Sua Eccellenza Idriss Deby Itno, “Presidente della Repubblica, Capo dello Stato” è stato molto chiaro: il Ciad è un paese che è in guerra contro la povertà e contro lo Stato Islamico. È un Paese povero e non ha i mezzi economici per portare avanti le due guerre. Per il momento ha scelto (lui) di lottare contro lo Stato Islamico (e quindi di non lottare contro la povertà). Il problema è serio e complicato. Se non si lotta contro lo Stato Islamico si muore o si diventa schiavi di una follia religiosa assurda e inumana, d’altra parte se non si lotta contro la povertà si continua a creare le condizioni perché lo Stato Islamico possa crescere e svilupparsi. Il Presidente chiede soldi: li troverà? Fino ad oggi, sembrano essere più generosi i benefattori dello Stato Islamico… Anche la nostra Chiesa di Pala si sta interrogando sulla pastorale familiare. Con i due Sinodi dei vescovi celebrati a Roma non può non essere “il” tema della Chiesa oggi. Che cosa facciamo? Che cosa possiamo e dobbiamo fare perché la famiglia risponda la sua vocazione, perché sia effettivamente la cellula vivente del tessuto sociale ed ecclesiale? Spesso si sente dire e si pensa che in Africa la famiglia ancora “tenga”. Non ne sono così convinto, non mi sembra di vederlo attorno a me. Per carità! niente a che vedere con i matrimoni gay o l’ideologia “gender” che ci sono in Occidente… Provo a elencare qualche difficoltà. • • • • Il primo problema riguarda la celebrazione stessa del matrimonio. Oggi il matrimonio “secondo la tradizione” è sempre meno “rispettato”: i principi basilari (l’unione tra due famiglie), le tappe, la “sacralità espressa dai segni” sono sempre meno osservati e privi di senso. La celebrazione cristiana del matrimonio resta una cosa rara (un po’ più numerose le “regolarizzazioni” cioè la celebrazione del matrimonio da parte di una coppia che vive insieme già da tanto tempo e con un nutrito numero di figli). Le ragioni di questa situazione sono molteplici e non sto qui a elencarle. La gente fa la sua famiglia, quasi come un bisogno naturale, ma non riesce a “contestualizzare” questa realtà importantissima dentro un quadro culturale e spirituale più grande. Un altro problema molto grande sono le conseguenze della realtà economica sulla vita familiare. Molte famiglie qui sono “divise” (i membri vivono lontani gli uni dagli altri) per ragioni lavorative o formative. Tanti uomini emigrano a N’Djamena (capitale) o nelle grandi città del sud Camerun per cercare lavoro e lasciano a casa moglie e figli, senza vederli per lunghi periodi. Così tanti giovani, a partire dalle scuole superiori, vivono lontani dalle loro famiglie per poter avanzare negli studi. Nelle grandi città, che conosco poco, sempre per ragioni economiche, una famiglia “normale” difficilmente riesce ad avere spazi e intimità sufficienti per un insieme di relazioni domestiche normali… Un altro problema è una certa “disinvoltura” (o disordine) nella vita sessuale. Tante ragazze restano incinte prima di una relazione stabile. C’è una crescente e ricorrente pratica (clandestina e quindi molto rischiosa per la vita) all’aborto. La diffusione della prostituzione per ragioni economiche. La frequenza degli adulteri. La propagazione delle malattie sessualmente trasmissibili (aids in primis, malattia che sembra sempre più curabile anche se non guaribile)… Altro problema non risolto in Africa che tocca la realtà familiare è lo statuto sociale della donna. Culturalmente è sempre percepita nella sua “minorità”. Questo diventa evidente nella scolarizzazione delle ragazze, nella presenza della donna nel “sociale” (dall’inserimento lavorativo, ai posti di responsabilità economica e politica), nell’inferiorità nei “codici civili” (la possibilità di possedere, l’eredità, i diritti nei confronti dei figli…). Vi lascio immaginare cosa questo incide concretamente nella relazione di coppia (marito e moglie), nell’educazione dei figli e con l’insieme della famiglia. La lista dei problemi potrebbe essere ancora lunga. Mi fermo qua per non darvi un quadro negativo, troppo problematico della situazione. Per par condicio, dovrei fare una lista delle cose buone che nella “famiglia africana” funzionano. Non lo prometto, perché credo che non lo farò… Carissimi amici, speriamo in tempi migliori! un abbraccio a tutti, d. Giulio