testo integrale della lettera

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testo integrale della lettera
N’Djamena, 13 marzo 2016
Carissimi/e,
La festa di Pasqua che si avvicina ci offre ogni anno la possibilità di far memoria del Signore
morto e risorto e di ravvivare in noi, grazie al dono dello Spirito santo, la speranza della vita eterna.
Una speranza che non delude, come ci ricorda San Paolo, “perché l’amore di Dio è stato riversato
nei nostri cuori” (Rom 5,5). Un segno forte di questa speranza negli ultimi tempi è stato per me la
visita di tre amici italiani che hanno voluto condividere le loro competenze e le loro forze nel
servizio alla Chiesa di N’Djamena. Il primo, Simone, che è stato più a lungo di tutti, ha passato
quattro mesi fra noi. Membro della comunità di famiglie del Mulino nel Mugello, e insegnante di
elettrotecnica, Simone ci ha dato un grande aiuto per sistemare l’impianto elettrico della parrocchia,
ma il servizio più bello è stato quello del dopo-scuola. Nella corte della parrocchia, vicino alla
nostra biblioteca, ci sono degli hangar con delle lavagne, dove ogni giorno dalle 15,30 alle 18 si
ritrovano gli studenti del Liceo, soprattutto quelli che preparano l’esame di maturità, per fare i
compiti insieme e per esercitarsi in particolare nelle materie scientifiche. Si è formato un gruppo di
“fedelissimi” che si ritrova quasi ogni giorno sotto la preziosissima guida di Simone. Varie volte nel
pomeriggio passeggiando nella corte, mi sono soffermato per osservarli da lontano e ho provato una
grande gioia. Mi è sembrato di percepire un clima di grande fraternità che favoriva un metodo di
apprendimento molto efficace, fatto di lunghe discussioni animate, sullo stile delle scuole
talmudiche. I ragazzi si sono molto affezionati a Simone, al punto tale che qualche volta gli hanno
chiesto di ritrovarsi anche la domenica pomeriggio. Mi ha fatto pensare un po’ alla scuola di
Barbiana in cui non si faceva la ricreazione; solo che qui sono i giovani loro stessi a chiedere di non
fermarsi, tanta è la voglia di riscatto e, mi viene da dire, tanta è la maturità!
Il secondo amico è stato Antonio, un giovane operaio fac-totum, della provincia di Salerno, che
già da diversi anni si è messo a disposizione dei missionari italiani in Ciad per aiutare soprattutto
nei cantieri di costruzione. Antonio ci ha dato una bella mano per sistemare la cappella dei bambini
e per realizzare uno spazio coperto nella corte della canonica per accogliere gli ospiti, soprattutto
nei mesi più caldi. Simpaticissimo per il suo modo di esprimersi in dialetto franco-salernitano per il
suo gesticolare e per il suo look alla Bin Laden, ha portato in parrocchia una ventata di buon umore.
La sera, alla fine del lavoro, il suo passatempo preferito era di stare “a chiacchera” con il
proprietario della boutique davanti alla nostra casa. Seduto accanto a lui è diventato l’amico dei
bambini del quartiere che da inizio si divertivano a tirargli la barba e poi gli si sono affezionati
tantissimo al punto che quando veniva buio diventava sempre più difficile separarsi da lui. Tutto ciò
mi ha fatto pensare alle parole di Gesù quando ci invita a diventare come i bambini per entrare nel
Regno dei cieli, perché chi è come loro intuisce qualcosa del mistero di Dio che si fa piccolo e
umile per amore.
La terza persona che è arrivata da noi nel mese di febbraio è stato Carlo, un medico in pensione
della parrocchia dell’Immacolata. Carlo che è anche dentista, è venuto per verificare la possibilità di
mettere su uno studio dentistico all’interno del Centro sanitario della Suore di Nostra Signora degli
Apostoli, in un quartiere poco distante da noi. La difficoltà principale, per adesso, è quella di
trovare e trasportare una poltrona da dentista dall’Italia al Ciad. Ci sarebbe forse una possibilità
tramite un aereo dell’esercito francese che viaggia tra Parigi e N’Djamena, ma le pratiche
burocratiche sono lunghe. Speriamo, confidiamo nella Provvidenza. Il bisogno è grande e le persone
qui soffrono molto a causa dei problemi ai denti. Carlo ha approfittato del suo soggiorno in Ciad per
dare una mano nel dispensario delle Suore, in particolare per le consultazioni. Si è adattato alla
grande, soprattutto alla fine del suo soggiorno, quando è arrivato il gran caldo, con vero spirito
missionario.
In questi ultimi mesi ho letto e riletto l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Mi piaceva
condividere due interessanti riflessioni. La prima è quella che dice: “In alcuni circoli si sostiene che
l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui si
afferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e della miseria nel mondo si
risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. Non è una questione di teorie economiche,
che forse nessuno oggi osa difendere, bensì del loro insediamento nello sviluppo fattuale
dell’economia. Coloro che non lo affermano con le parole lo sostengono con i fatti, quando non
sembrano preoccuparsi per un giusto livello della produzione, una migliore distribuzione della
ricchezza, una cura responsabile dell’ambiente o i diritti delle generazioni future” (109). La
seconda: “Se Dio ha potuto creare l’universo dal nulla, può anche intervenire in questo mondo e
vincere ogni forma di male. Dunque, l’ingiustizia non è invincibile” (74). È bello e consolante
vedere tante persone che sanno “sospirare e piangere per gli abomini che si compiono nella città”
(Ez 9,4) e trovano la forza per lottare contro le ingiustizie attraverso dei semplici, ma grandi gesti di
coraggio. È il caso di una dottoressa della nostra parrocchia che lavora in un ospedale vicino alla
Grande Moschea in un quartiere musulmano. Alla fine del suo turno trova un bambino nato da
pochi giorni che la mamma ha abbandonato sulla panca davanti al suo studio. Dopo un momento di
esitazione e aver chiesto informazioni in giro, decide di prenderlo con sé. Nei giorni successivi fa la
denuncia alla polizia, ma finora nessuno è venuto a cercare il bambino. La dottoressa che ha già un
figlio e vive da sola, dopo una vicenda matrimoniale difficile, mi mostra orgogliosa quasi ogni
domenica le foto del bambino sul suo cellulare, un “piccolo Mosè” salvato dalle acque
dell’indifferenza.
Il 10 aprile ci saranno le elezioni presidenziali in Ciad. L’attuale presidente, in carica da quasi
trent’anni, ha deciso di ripresentarsi per l’ennesima volta. La sua candidatura è sostenuta anche
dalle potenze occidentali, impaurite dall’avanzare della setta Boko Haram, che vedono in lui un
baluardo per contenere gli estremisti. Inoltre, la caduta vertiginosa del prezzo del petrolio sta
mettendo a dura prova l’economia del paese. In città il dissenso è forte, soprattutto tra i giovani, ma
con la scusa del rischio degli attentati, il ministero degli interni ha proibito le manifestazioni e varie
volte è intervenuto per oscurare internet, in particolare i social – network e per bloccare gli sms. Le
persone devono dunque ingegnarsi per manifestare la loro indignazione e, ultimamente, due
iniziative hanno riscosso un gran successo. La prima è stata definita “journée ville morte” (la
giornata della città morta), in cui ognuno era invitato a restare a casa in una specie di sciopero
generale che ha paralizzato in particolare le attività commerciali. La seconda iniziativa è riuscita
ancora meglio. Si trattava ancora di restare a casa e di munirsi di un fischio per esprimere il
malcontento e la critica delle autorità in dei momenti precisi della giornata. Purtroppo la chiesa
locale varie volte ha accettato degli aiuti economici, anche consistenti, dall’attuale presidente e in
questo momento si trova in difficoltà a far sentire la sua voce profetica. Da quasi tre anni a
N’Djamena stiamo aspettando la nomina del nuovo Vescovo. Tra i fedeli la speranza è forte che il
nuovo pastore possa aiutarci a voltare la pagina e iniziare un nuovo trend. Posso dirvi che quei
fischi che ho udito alcuni giorni fa, mi sono entrati dentro al cuore e mi hanno fatto un po’ male
perché mi sono sembrati anche una protesta nei confronti della chiesa a causa di questo suo silenzio.
Ho avuto una sensazione simile a quella che possono provare dei giocatori alla fine della partita
quando sono fischiati dal loro pubblico. Ma subito, sul terreno stesso, è nata una voglia di riscatto,
sapendo che il Signore ama la sua chiesa peccatrice e santa al tempo stesso e che interviene per
purificarla.
Quei fischi mi hanno fatto pensare allora a una scena commovente di un bel film di S. Spielberg
di alcuni anni fa che si intitola Amistad. Il film racconta la storia vera di un gruppo di schiavi della
Sierra Leone che, dopo un ammutinamento, subiscono un processo al termine del quale ritrovano la
libertà. Durante il processo, gli schiavi nel tribunale cominciano a gridare in coro una frase: “Date
noi liberi!” e la ripetono tantissime volte costringendo il giudice a sospendere l’udienza. Mi
piacerebbe mandarvi insieme a questa lettera l’audio dei fischi dei giovani di N’Djamena, che è un
grido di libertà, simile a quello di tante persone umiliate in varie parti del mondo. Martin Luther
King diceva che “finché nel mondo c’è anche una sola persona oppressa, anch’io sono oppresso”.
Che la celebrazione della Pasqua ci aiuti a fare memoria viva della nostra liberazione e che la
grazia del Signore ci ispiri sapienza e coraggio per suscitare la libertà intorno a noi, attraverso
piccoli gesti concreti che difendano la dignità di ogni essere umano.
Buona Pasqua, con affetto! Gherardo
P.S. Grazie a tutti gli amici che ci hanno aiutato nelle opere parrocchiali. La nostra area di
preghiera è diventata veramente chic (come si dice qui). Tutto coperto per proteggerci dal sole e
dalle tempeste di sabbia, il nuovo spazio sacro favorisce molto il raccoglimento e la preghiera. Il
nostro ringraziamento più sincero è accompagnato dalle nostre preghiere per voi, soprattutto nelle
celebrazioni eucaristiche.