il santo graal a bolzano. per «sacramentalizzare l

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il santo graal a bolzano. per «sacramentalizzare l
IL SANTO GRAAL A BOLZANO. PER «SACRAMENTALIZZARE
L'IMMAGINAZIONE», COME DICEVA BENE CHESTERTON
di Pier Paolo Mendogni
Re Artù è arrivato a Castel Roncolo, vicino a Bolzano, dalla Britannia
alla fine del XIV secolo portatovi dai fratelli Franz e NiklausVintler, ricchi
mercanti bolzanini, finanziatori del Conte del Tirolo Leopoldo III d’Austria, i
quali volevano mostrare la loro nobiltà facendo illustrare il maniero con le
gesta dei cavalieri legati al ciclo arturiano, diffusissimo grazie ai libri di vari
autori e soprattutto di Chrétien de Troyes. Così nelle stanze venivano
raccontate visivamente le leggende di Garello di Vallefiorita, di Tristano e
Isotta, di Vigalois ancor oggi visibili insieme ad altre scene che illustrano la
vita nobiliare fatta di danze, tornei cavallereschi, giochi, caccia, pesca: un
complesso di affreschi profani straordinari, tra i più importanti del
Medioevo.
E quest’anno si è voluto celebrare il leggendario sovrano con la mostra
«Artù a Castel Roncolo» (aperta fino al 2 novembre) che inizia già sulla
facciata della Casa d’Estate, dove sulla balconata tra le triadi di eroi laici,
biblici e cristiani dell’antichità troviamo anche Re Artù insieme a Carlo Magno e Goffredo di Buglione.
I «Nove Prodi» - una lista fissata dal poeta Jacques de Longuyon nel romanzo «Lesvoeux du Paon» (1312) – si trovano rappresentati in castelli
italiani e tedeschi e anche negli arazzi; sono figure esemplari che incarnano le virtù del perfetto cavaliere: quei cavalieri le cui gesta vengono
cantate nella letteratura e che sono considerati figure storiche. Con questi soggetti i Vintler lanciano un messaggio non solo culturale ma anche
politico: quello della lealtà cavalleresca al loro signore.
Secondo la leggenda, Re Artù ha vissuto in Gran Bretagna tra il quinto e sesto secolo e si è valorosamente battuto contro gli Angli e i Sassoni
per difendere la libertà delle popolazioni di stirpe celtica. In questa lotta era aiutato da valorosi cavalieri (i Cavalieri della Tavola
Rotonda) protagonisti di eroici episodi, descritti in modi estremamente vari e fantasiosi dai romanzieri medievali. Il suo primo cantore è stato il
canonico gallese Geoffrey di Monmouth autore della «Historia Regum Britanniae» (1138) da cui sono scaturite le successive leggende letterarie
che hanno fatto di Re Artù la personificazione del Buon Governo. E nella mostra viene presentato un documento rarissimo: un frammento mai
pubblicato della «Historia Regum Britanniae» risalente al XII secolo.
I cavalieri di Re Artù (che porta la corona) intorno alla celebre tavola rotonda sono stati affrescati nella prima metà del XIV secolo da un pittore
che si è ispirato al romanzo «Garello di Vallefiorita» di uno scrittore denominato «il Pleier» (1230/40) ed è l’unico ciclo dipinto esistente su
questo tema: Garello, cavaliere senza macchia e senza paura, affronta e sconfigge il re Ekunaver, che aveva rapito la regina Ginevra moglie
di Artù (la quale aveva potato in dote la tavola rotonda) e media la riconciliazione tra i due sovrani. In questa stanza si trova un camino
realizzato intorno al 1390 con al centro lo stemma, apposto successivamente, dell’imperatore Massimiliano I.
La mostra si snoda attraverso le miniature dell’«Histoire de Merlin», romanzo dell’inizio del XIII secolo copiato a Saint Omer verso il 1280:
infatti Merlino è il mago che ha avuto una notevole importanza nella vita di Artù, come suo consigliere.
Figlio di un demone che si è unito con una vergine, trama a favore del re Uther facendogli assumere le sembianze del duca di Cornovaglia
Gorlois per giacere con la di lui moglie e generare Artù. Dopo la morte di Uther si poneva il problema della successione: sarebbe diventato re –
secondo Merlino – soltanto chi fosse stato in grado di estrarre una spada conficcata nella roccia: la magica Excalibur.
Artù, inginocchiatosi di fronte alla roccia, riuscì nell’impresa e portò la spada nella cattedrale, deponendola sull’altare. Era lui il nuovo re. E qui
vengono presentate varie spade tra cui una in bronzo risalente all’età del bronzo e una lamina d’oro a sbalzo di epoca longobarda.
La testa del re con la corona sul capo, scolpita nel 1370 in pietra arenaria, ci presenta un sovrano dal volto scarno con barba e corti baffi, con lo
sguardo pensoso di chi ha gravi responsabilità. Nel corso del lungo racconto miniato la storia di Artù si intreccia con quella del Sacro
Graal con alcuni cavalieri della Tavola Rotonda che partono alla ricerca della sacra, preziosa, magica coppa. Storie che mutano nel tempo
secondo libere e fantasiose interpretazioni dei romanzieri.
Tra i fogli esposti troviamo un manoscritto, proveniente dall’abbazia di Stams, del romanzo «Garelvombluhenden Tal», un altro del «Wigalois»
di Wirnt von Grafenberg e uno del «Tristano e Isotta» di Gottfried von Strassburg. Infine non si possono dimenticare le piccole frammentate
testine ricche di espressiva incisività provenienti dal castello di Lichtenberg da cui giunge pure la deliziosa «Raccolta delle rose» effettuata da
un distinto cavaliere e a due aggraziate nobili dame.
da «Gazzetta di
Parma»