Re Artù e la Bretagna azzurra
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Re Artù e la Bretagna azzurra
! ! ! Re Artù e la Bretagna Azzurra Quando parliamo di Bretagna azzurra intendiamo quella parte della Gran Bretagna che vede le gesta di re Artù e dei suoi cavalieri impegnati nella “cerca” della coppa del Santo Graal. La zona interessata è quella posta a sud dell’ Inghilterra che comprende la contea di Hampshire, del Somerset e della Cornovaglia. La letteratura che nacque intorno al Graal fu l’evocazione di una realtà storica e metastorica, svelata a chi era in grado di capirla, attraverso simboli di non sempre facile comprensione; quei testi rievocarono le gesta di una corte scomparsa da tempi immemorabili, quella di re Artù “Dux Bellorum”dei Cimri nordici, stanziati in quelle terre ed in perenne lotta contro gli Anglosassoni, fra il V ed il VI secolo dopo Cristo. La storia della “cerca” del Santo Graal è strettamente legata alla leggenda del Sacro Calice dell’Ultima Cena che Giuseppe d’Arimatea, dopo pochi anni dalla morte di Cristo, avrebbe portato e nascosto in quelle terre. Il suo arrivo a Glastonbury, nella contea del Somerset, fu alquanto misterioso: si dice che vi arrivò “per via soprannaturale” accompagnato da Niccodemo ed da altri fedeli compagni. Numerose le leggende che si sono intrecciate su questa misteriosa vicenda, si dice che dove il santo uomo appoggiò il suo bastone, miracolosamente sorse la collina di Glastombury Tor (in seguito identificata con la mitica isola di Avallon) e che Giuseppe d’Arimatea costruì la chiesa di Santa Maria (I sec. d.C) per custodire il Santo Graal. Si dice anche che il sacro vaso venisse in seguito nascosto nel Chalice Well (Pozzo del Calice) un pozzo profondo poco distante da quei luoghi, immerso nel verde, da cui scaturiscono tutt’oggi delle acque rosse (per la presenza di ossido di ferro) dai buoni effetti curativi. Glastonbury, grazie a questa leggenda, è considerato uno dei luoghi più sacri della cristianità inglese ed ancor oggi meta di molti pellegrinaggi. Quel sacro calice, usato da Gesù Cristo quando istituì l’Eucarestia, portato da Giuseppe d’Arimatea (discepolo occulto del Messia) dalla Palestina in Europa e nascosto in un luogo misterioso, assunse un particolare significato. L’occultamento di quella coppa, simbolo di beveraggio divino, equivaleva alla Saggezza perduta, a quella “Parola” che Gesù aveva dato in segreto ai suoi Apostoli. La saga di re Artù e dei suoi Cavalieri nasce proprio come ricerca di quella Sapienza perduta: la “Ricerca del Santo Graal”. Secondo la leggenda Artù nacque a Tintagel, in Cor novaglia, in un castello affacciato sull’oceano Atlantico, di cui esistono ancora le rovine. Questa regione dell’estremo sud della Gran Bretagna, è un luogo suggestivo dalle caratteristiche scogliere a picco sul mare; quando la bassa marea lo permette, ai piedi delle rovine di quell’antico castello, appare la grotta di Merlino, l’ispiratore e consigliere inseparabile di Artù. Artù nacque su quel promontorio, ma probabilmente in un precedente insediamento celtico, perché quel castello risale ad un epoca successiva alla sua nascita. Il nome di Artù può essere oggetto di varie interpretazioni; la più attendibile è quella che lo riferisce alle parole celtiche “Artos” (orso) e “Viros”(uomo). Per i Celti l’orso rappresentava la classe guerriera. Nelle lingue dei popoli del nord l’orso si chiama Bar, Ber, Bior, da cui deriva Bor (Bor-ea) e Iper-Bor-eo che assume il significato di colui “che sta oltre il Nord” e che trova relazione con la costellazione dell’Orsa che domina l’emisfero settentrionale. In ebraico-caldaico invece il termine Bar rappresenta l’inizio della Genesi: il “ B e re s ch i t h ” , i l Pr i n c i p i o. Quindi, nella figura di Artù si riassumono la forza generatrice ed il candore dell’Orso, ma anche l’idea del “principio” da cui tutto diviene. La leggenda infatti lega Artù al ricordo di un potente monarca che vive in un un luogo misterioso, segreto, in un’isola bianca, splendente di luce, circondata da acque limacciose difficili da attraversare. L’Isola, grazie alla presenza di questo Re, diventa il pernio del mondo, il polo immutabile attorno al quale tutto gira e si trasforma. Al tempo di re Artù, Glastonbury era un’enorme palude soggetta a continue inondazioni; al centro del grande stagno s’innalzava la Tor (la magica collina) che i Celti ritenevano essere la porta d’ingresso “di un altro mondo”; qualche tempo dopo quella collina fu sormontata da una torre a dedicata a San Michele arcangelo. Ancor oggi, a causa delle forti piogge, la zona si allaga e dall’alto della Tor che domina il paesaggio, è possibile avere un’idea dell’isola di un tempo, circondata dalla palude e dalle acque: la favolosa Avallon. Quest’isola diventa la dimora del Re, “l’isola dello splendore” che i Celti chiamarono Aballum, la terra degli eroi, dove si dice che coloro che raggiungono la perfetta illuminazione scompaiono misteriosamente. In Avallon fu visto il luogo dove re Artù si ritirò, ma anche dove, secondo la leggenda, continua a vivere per l’eternità e da dove un giorno si manifesterà di nuovo. Tutte le virtù di Merlino, detentore di una conoscenza soprannaturale, si ritrovano in Artù, ne rappresentano il lato più trascendente e spirituale, che gli dà il diritto alla nomina di Sacerdote del Santo Graal. Si dice che Artù dimostrò le qualità a questo titolo, superando la prova della spada, che riuscì ad estrarre da una grande pietra quadrangolare posta sull’altare del Tempio. Un altro episodio invece racconta che Artù, guidato da Merlino, s’impadronì della spada Escalibur, che s’innalzava dalle acque tenuta dal braccio misterioso di una Donna (la Donna del lago). La leggenda racconta che quell’arma proveniva da Avallon, ritenuto il “Centro supremo” di irraggiamento divino. L’idea di questo luogo misterioso, considerato “l’isola rotante” sede del Santo Graal, vero pernio del mondo e “motore immobile” attorno al quale tutto gira, trova riscontro nella “tavola rotonda” che Artù avrebbe istituito, consigliato da Merlino, per contrassegnare l’ordine cavalleresco. La Tavola rotonda diventa così l’immagine dell’universo celeste e terrestre, una sfera pulsante e rotante, “luogo di elezione della sapienza e della pace” ed i suoi 12 cavalieri seduti attorno a quella tavola sono altrettanti rappresentanti di quello stesso potere ordinatore. Il numero 12 ricorda il ciclo del numero perfetto, il numero dei segni dello Zodiaco ed il numero dei 12 Apostoli; a questi se ne aggiunge uno (il tredicesimo) chiamato il “posto pericoloso”. A Whinchester, nell’Hampshire, vi è la Great Hall (il Grande Salone), ovvero ciò che resta dell’antico castello normanno fatto costruire da Guglielmo il Conquistatore. Appesa alla parete in fondo alla stanza, appare la mitica Tavola. La famosa “Tavola Rotonda” fu costruita da Re Artù su progetto di Merlino, grande Iniziato e Mago, con l’idea di destinarla ad accogliere il Graal, allorché uno di quei valorosi cavalieri fosse riuscito, con la sua purezza ed il suo amore, a conquistarlo e ricondurlo dalla Gran Bretagna all’Armorica ( località che si estendeva dalla Loira alla Senna: l’odierna Bretagna). La Tavola ha un diametro di 6 metri circa, pesa più di una tonnellata ed è costituita da 121 pezzi di legno di quercia. Perfettamente visibile è la suddivisione in 24 sezioni più una sezione centrale che ospita Re Artù, in trono, sormontato da una stella dorata. Al centro di quella tavola una rosa rossa (simbolo dei Tudor) ed una bianca (simbolo dei Lancaster). Abbastanza leggibili i nomi di quei cavalieri, tra questi appare un Lancillotto e quasi in perfetta opposizione al Re Artù il nome di un Palamedes. Fra i luoghi menzionati Glastonbury rimane quello più misterioso. Lì vicina a quella mitica collina, sorgono le rovine dell’Abbazia innalzata su di un monastero del VII secolo d.C. Secondo la leggenda qui fu sepolto Artù e la sua regina Ginevra. Ginevra, principessa di straordinaria bellezza, era la giovane figlia del re Leodagan che accolse Artù ed i suoi valorosi cavalieri nel suo reame; l’amore tra Artù e Ginevra vide Leodagan ben felice di concedere la figlia in sposa. Si dice che Ginevra ed Artù vivessero a Camelot, mitico regno a cui tutti ambivano arrivare, altro luogo misterioso la cui collocazione tutt’oggi resta controversa. Le loro tombe furono ritrovate nel 1190 all’interno della grande abbazia normanna a circa 5 metri di profondità, sormontate da una lastra di pietra su cui era adagiata una croce che riportava la seguente scritta: “HIC IACET SEPULTUS INCLITUS REX ARTURIUS IN INSULA AVALONIA”. Nel 1278, alla presenza di Edoardo I ed un monaco, fu riaperta per la seconda volta la tomba; quel monaco afferma di aver visto due casse dipinte con “figure ed armi”: una conteneva le spoglie di un “uomo alto”, l’altra quelle di una donna ancora “meravigliosamente bella”. Dopo quel ritrovamento, Artù e Ginevra furono nuovamente sepolti di fronte all’altare maggiore; ancora oggi, tra le suggestive rovine di quell’Abbazia semi-distrutta è possibile vedere la base della grande tomba che conteneva le loro ossa. Numerosi i testi di letteratura cavalleresca che nacquero nel nord Europa. Tra i più famosi citiamo la “Conte du Graal” di Chrétien de Troyes ed il “Perceval” di Robert de Boron, che fa parte di una trilogia con il “Joseph De Arimathia” ed il “Merlin”. In questa trilogia si raccontano le imprese avventurose dei cavalieri della corte di Re Artù, dove figura un Palamedes. Ma soprattutto questa letteratura graalica restò l’evocazione di quella potenza occulta che dette un forte impulso ai cavalieri della Tavola Rotonda affinché attraverso la “cerca del Santo Graal”, passassero dalla cavalleria terrestre alla cavalleria celeste. Von Eschenbach afferma che ci si deve “aprire la via al Graal con le armi in pugno” ed indica l’ascesi per una realizzazione spirituale che deve “forzare la porta del cielo” per stabilire un contatto con quella Divina Presenza.