Re Artù, discendente degli uomini delle steppe?

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Re Artù, discendente degli uomini delle steppe?
Re Artù, discendente degli uomini delle steppe?
di Roberto D’Amico
Nell’Inghilterra del mito nessun personaggio riesce ad eguagliare la fama del leggendario Re Artù.
Possessore della magica spada Excalibur, contornato dal fido e saggio Mago Merlino e dai suoi
indomiti Cavalieri della Tavola Rotonda, sposo della bellissima ed amata Regina Ginevra, signore
del castello di Camelot, la sua presenza è estremamente e sentitamente viva nella tradizione, nel
folclore e nella cultura locali.
La figura di Re Artù aleggia a mezz'aria tra leggenda e realtà.
È probabile che egli non fosse altro che l’immaginaria trasposizione popolare di un’epopea di re
guerrieri effettivamente esistiti intorno al VI secolo d.C. durante quella che è conosciuta come la
"Dark Age" della storia britannica.
Non esistono prove di sorta che ne consentano una benché minima identificazione o che ne
comprovino la reale esistenza.
Le sue gesta sono, tuttavia, ancora oggi raccontate con orgoglio e portate come esempio di un
sistema di vita non contaminato da influenze esterne.
Molti vi vedono le radici del vero Britanno, purificate da tutte le successive sovrapposizioni dovute
alle invasioni straniere degli Anglo-Sassoni, dei Danesi e dei Normanni, che tanto hanno segnato
la storia dell'isola.
Artù è, insomma, la rappresentazione simbolica della resistenza all'invasore e, in senso
talvolta negativo, emblema delle correnti nazionalistiche estreme.
Egli è ricordato come il sovrano che condusse alla vittoria i Britanni contro gli odiati invasori AngloSassoni durante gli anni bui che seguirono il ritiro delle legioni romane. In realtà, le sue presunte e
indimostrabili grandi vittorie non riuscirono comunque ad impedire la progressiva conquista
anglosassone dell'Inghilterra.
Ad Artù viene in ogni caso accreditato il fatto di essere riuscito a bloccarne l'avanzata nel Galles.
Ed è proprio lì, nell'ultimo rifugio delle sconfitte popolazioni autoctone, che verso l'anno mille,
inizialmente forse per motivi esclusivamente di propaganda politica, che nacquero i primi racconti
orali che lo riguardano in "kymraeg", l'antica lingua gallo/celtica, contenenti reminescenze della
antica mitologia e del misticismo druidico.
Solamente nel corso dei secoli successivi essi si diffusero in lingua inglese nel resto del West
England mischiandosi progressivamente con altri elementi completamente estranei, quali gli eventi
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legati alla cristianizzazione dell'Isola e le leggende provenzali sulla Cerca del Santo Graal,
formando così il fitto ed intricato tessuto di cui è rivestito l'attuale mito.
La più' antica menzione del "vittorioso Artù" si trova nella "History of Britons", che si dice scritta da
Nennius nell'VIII secolo e che contribuì, insieme agli "Annali del Galles", un insieme di scritti dei
quali non rimane oggi nulla, a farne un eroe gallese.
Il nome di Artù è anche citato nelle cosiddette "Triadi Gallesi", un esercizio mnemonico che serviva
ai Bardi per ricordarsi i titoli delle storie che raccontavano.
Le gesta del mitico re furono raccolte in forma scritta in quella che è nota come "Anglo-Saxon
Chronicle", la cui versione più' antica venne redatta dai monaci Benedettini di Oldminster, l’odierna
Winchester, ma è, tuttavia, solamente a partire dal XII secolo che il personaggio inizia ad
assumere una dimensione superiore.
Nel 1135 circa il gallese Geoffrey di Monmouth (vero nome Grufydd ab Arthur) nella sua "Historia
Regum Britanniae" per la prima volta ne parla estensivamente.
Egli afferma che Artù era figlio di Uther Pendragon, in gallese Wthyr Bendragon, Uthr Bendragon o
Uthyr Pendraeg, e fratello di Aurelio Ambrosius, Re dei Britanni, trionfatore sui Sassoni e artefice
del trasferimento di Stonhenge dal suo originale sito in Irlanda al Wiltshire dietro suggerimento del
mago-veggente Merlino.
Secondo Geoffrey, oltre ai Sassoni, Artù avrebbe vinto anche grandi battaglie contro Scozzesi ed
Islandesi e avrebbe conquistato gran parte della Scandinavia e della Gallia. Egli sarebbe
addirittura stato in procinto di incominciare una marcia su Roma, ma lo scoppio della guerra civile
in Britannia lo costrinse a ritornare in patria
Gravemente ferito in battaglia, venne trasportato all'Isola di Avalon e poi non se ne seppe più
nulla.
La sua storia venne raccontata per la prima volta tra il 1175 ed il 1205 in lingua inglese dallo
storico Layamon.
Sono stati molti i tentativi effettuati nel corso degli anni per identificare il personaggio leggendario
con una figura storica realmente esistita, ma ovviamente ognuno di questi rimane un’ipotesi
indimostrabile.
Pochi sanno, tuttavia, che una delle ipotesi riguardanti l’origine del mito di Artù lo collegherebbe
direttamente ai popoli delle steppe…
Negli ultimi quarant’anni, alcuni ricercatori, tra i quali Joel Grisward e Kemp Malone, Scott Littleton
e Ann Thomas, hanno, infatti, teorizzato una possibile connessione tra Artù e i Sarmati.
Tutto verrebbe fatto risalire al 175 d. C., anno in cui l'imperatore romano Marco Aurelio decise di
arruolare nell'esercito romano 8.000 Sarmati, che in quel tempo erano noti per essere i migliori
cavalieri da guerra del mondo. 5.500 di questi furono inviati lungo il confine settentrionale della
Britannia dove vennero insediati in una colonia militare nell'odierno Lancashire, dove la presenza
di loro discendenti è storicamente accertata ancora nel 428.
I Sarmati erano una popolazione nomade delle steppe stanziata in una vastissima regione situata
a nord del Mar Nero e del Mar Caspio che oggi è compresa tra Ucraina, Russia e Kazakistan
Occidentale ed è riconosciuta come una delle circa cento etnie antenate dell'odierno popolo
kazako.
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Descritti, come alti, biondi e di carnagione scura, i cavalieri Sarmati indossavano armature a
scaglie ed elmi conici e avevano come armi una spada lunga, lancia, arco e scudo.
Secondo questa recente ipotesi, la cultura dei Sarmati sarebbe sopravvissuta in Inghilterra
attraverso i loro discendenti, e avrebbe costituito la base per la nascita delle saghe arturiane.
Ad esempio, oltre ad essere cavalieri-guerrieri, come i Cavalieri della Tavola Rotonda, essi
avevano una devozione quasi religiosa per la spada ed il loro culto tribale si rivolgeva ad una
spada piantata nel terreno, che non può non riportare alla memoria la leggendaria Excalibur
conficcata nella roccia.
Inoltre, i Sarmati avevano vessilli a forma di drago, lo stesso simbolo che il padre di Artù aveva sul
suo stendardo.
Il nome Uther Pendragon significava letteralmente "testa di drago". Nei racconti più antichi si dice
che Uther assunse tale nome dopo aver visto una cometa a forma di drago, mentre secondo
un'altra tradizione per aver decapitato un drago di cui pose poi la sua testa sullo scudo.
Il drago divenne in seguito anche emblema dello stesso Artù.
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Merlino e i suoi riti magici ricorderebbero, invece, i poteri di un forte sciamano.
I sostenitori di questa teoria portano come prova a sostegno della loro ipotesi le leggende che
ancora oggi i discendenti dei Sarmati, gli Osseti, un popolo che vive tra l'Ossezia e la Georgia, si
tramandano e che sembrano contenere molti interessanti parallelismi con le leggende arturiane.
Queste storie sono raccolte in quelle che sono note come “Le saghe dei Nart (cavalieri)”, e
celebrano le imprese di un'antica tribù di eroi.
In esse, il capo guerriero Nart Batraz, come Re Artù, è indissolubilmente legato alla sua
spada, che alla sua morte deve essere rigettata in mare.
Quando, gravemente ferito, chiede al suo ultimo compagno superstite di eseguire questo
compito per lui, quello, prima di farlo, tenta per due volte di ingannarlo, esattamente come
quando Artù, ferito mortalmente dopo la battaglia di Camlann, ordina al suo unico
cavaliere superstite, Bedivere, di riportare Excalibur alla Dama del Lago, e anch’egli esita
ad eseguire l'ordine e per due volte mente al suo Re prima di fare ciò che gli aveva
ordinato.
Come non bastasse, i Nart Soslan e Sosryko raccolgono le barbe dei nemici sconfitti per
decorare i loro mantelli, proprio come fa Rience, nemico di Artù, e come a Rience, anche a
Soslan manca una barba per completare il mantello.
Altre similitudini con le storie arturiane sono la “Nartyamonga”, la “Coppa dei Nart”, che
per magia compariva nei giorni di festa portando a ciascuno la cosa che più desiderava e
la maga vestita di bianco, come la Dama del Lago associata all'acqua, che aiuta l'eroe a
conquistare la sua spada.
Alcuni studiosi, pur non negando una possibile derivazione sarmata dei dettagli delle
leggende inglesi, hanno suggerito che essi avrebbero potuto essere stati aggiunti in epoca
più tarda a seguito dell'influsso culturale degli Alani, una delle tribù sarmate arrivate in
Europa nel V secolo, trasferitisi poi nei romanzi cavallereschi francesi medioevali.
Atri ritengono che elementi sarmatici, identificabili anche in altri racconti gallesi potrebbero
appartenere a un comune substrato culturale indoeuropeo.
In conclusione, possiamo certamente affermare che è indubbio che vi sono innegabili
similitudini tra le leggende arturiane e i racconti provenienti dalle steppe euroasiatiche e,
che, qualunque sia stata la via d’infiltrazione, la cultura inglese ne sia rimasta
profondamente contagiata.
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