Con gli occhi di Ungaretti.

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Con gli occhi di Ungaretti.
Autrici:
Ilaria Argentini (classe 5 H linguistico)
Marta Salvo (classe 5 C linguistico)
Con gli occhi di Ungaretti.
Secondo Platone la creazione di un’opera si basa su un impeto passionale incontrollabile che
si riversa sulla tela o sul foglio di carta, dando vita così all’opera. Essa mantiene l’impronta
delle passioni che brulicavano nell’animo dell’artista. Molto spesso queste sensazioni, così
forti da non poterle più contenere, sono nascoste sotto un velo di Maya ed è proprio tra le
righe che Ungaretti nasconde “quel nulla d’inesauribile segreto” 1. Dietro ogni parola. Dietro
ogni spazio bianco. Dietro il processo creativo che spinge l’autore a prendere in mano la
penna ed a disegnare sopra dei pezzetti di carta i vocaboli, minuziosamente scelti per cogliere
l’essenza delle cose attraverso la parola poetica.
Ungaretti si rende così abile giocoliere delle parole.
Essendo forse il più amato autore della produzione poetica italiana, Giuseppe Ungaretti
genera attorno a sé quell’alone di mistero che spinge il lettore a non fermarsi all’apparenza,
bensì a scavare all’interno dei numerosi significati alla ricerca di quello che più si adatta al
proprio stato d’animo.
Questa continua ricerca della perfezione concettuale è sperimentata da lui in prima persona, in
primis di fronte ai componimenti del suo amato Leopardi. La sua interpretazione innovativa di
quest’ultimo è motivata dalla comune attenzione al porre la parola giusta al posto giusto, oltre
che da uno spiccato senso artistico. Egli infatti “legge i poeti da poeta”, come riporta Leone
Piccioni nei suoi appunti, presi durante le lezioni tenute dallo stesso Ungaretti all’Università
di Roma dove insegnò per ventitré anni. Lo studente era particolarmente affascinato dal suo
professore, tanto che i suoi scritti sono stati considerati come un vero e proprio documento
che testimonia la singolare attenzione che Ungaretti rivolgeva all’insegnamento della
letteratura alla gioventù:
“...l'umanità si conosce meglio nei giovani, i giovani sono sinceri. I giovani non hanno ancora
provato, troppo, la vita e quindi vi si abbandonano e quindi si scoprono nella loro autenticità
umana...” 2
Ma cosa c’è nella testa del giovane Ungaretti mentre scrive, legge o corregge un
componimento? Quali passioni animano il suo processo creativo nelle diverse situazioni in cui
si cimenta nella scrittura di un capolavoro? Qual è “quel nulla d’inesauribile segreto” a cui
cerca di dar vita?
La biografia di Ungaretti è ricca di elementi di grande spessore politico e sociale. Soldato,
professore, traduttore ed infine scrittore “nei ritagli di tempo” 2: egli ha vissuto a 360 gradi
ogni professione, cercando di cogliere sempre la poesia ed il segreto degli ambienti che lo
hanno circondato. La sua duttilità professionale ha senza dubbio influenzato i temi e lo stile
dei suoi capolavori. Egli in ogni poesia esprimeva, giocando coi vocaboli, l’atmosfera e le
sensazioni che attraversavano la sua mente e la sua pelle. Il lettore così riesce in un certo qual
modo a rivivere le sue esperienze. E’ come se fosse lì, seduto accanto al poeta.
In lui vi era, inoltre, la sofferenza dell’essere poeta: lo vedeva sia come condanna che come
dono. Nell’undicesima lettera inviata a Gherardo Marone scrisse “vorrei non essere poeta” ed
aggiunse “vorrei essere rozzo e semplice ma sono un poeta”. Allora forse il motivo per il
quale voleva che solo i suoi amici leggessero le sue poesie, era perché solo questi potevano
ben capire cosa vi fosse nel suo animo. Solo i suoi più cari amici sapevano cosa provasse lui
in quei momenti. Era come se volesse confidarsi con loro, come se solo loro potessero
accudire quelle parole e farle rimanere dei segreti. I lettori possono trovare motivazioni,
cercare a fondo nelle parole del poeta, ma solo quest’ultimo sapeva il reale motivo dell’essere
così attaccato alla vita vedendo più e più volte la morte. Egli vi si era abituato, vedeva
continuamente i compagni morire, eppure in guerra lui scriveva di vita. Doveva pur rimanere
attaccato all’esistenza! E cosa, se non la poesia, può essere quell’ancora di salvezza alla quale
rimanere aggrappato?
Bisogna entrare nelle parole di Ungaretti per capirlo, bisogna assaggiare la sua essenza,
cogliere le sue sfaccettature. Bisogna entrare in lui ed uscire da lui. Bisogna essere lui ed
essere noi stessi. Non dobbiamo fermarci all’inchiostro su dei piccoli pezzi di carta, su delle
cartucce, dobbiamo essere la mano del poeta mentre scrive, dobbiamo essere la carta e la
cartuccia. Solo così riusciremo a sentire pienamente nostre parole a noi lontane, solo in questo
modo potremo capire cosa si celava nel suo animo mentre scriveva.
”Ho scritto il primo libro di poesie Il Porto sepolto, e poi una parte dell'Allegria, l’ho scritta
in trincea, l’ho scritta su quei pezzetti di carta che mi capitava d'avere, sull'involucro delle
pallottole di cartone, su delle cartoline, e così, nel pericolo fra un tiro e l'altro.” 3
Dobbiamo essere coraggiosi, dobbiamo amare la vita senza temere la morte, dobbiamo
accarezzare la nostra mente e quella di Ungaretti. Dobbiamo avere la consapevolezza che una
volta entrati nelle sue poesie, potrà essere faticoso uscirne. Dobbiamo prenderci per mano e
gettarci nelle parole, senza aver paura:
“L’esperienza poetica è esplorazione di un personale continente d’inferno, e l’atto poetico, nel
compiersi, provoca e libera. (...) Continente d’inferno, ho detto, a causa della singolarità del
sentimento di non essere come gli altri, ma in disparte, come dannato, e come sotto il peso di
una speciale responsabilità: quella di scoprire un segreto e rivelarlo agli altri” 4.
Dobbiamo farlo con amore, con passione, con tenacia. Dobbiamo innamorarci, dobbiamo
abbracciarci, dobbiamo essere umili. Se capiremo “quel nulla d’inesauribile segreto”, lo
sapremo solo alla fine.
Ebbene non c’è miglior modo di assaporare Ungaretti se non di entrare nella sua mente e
tentare di immaginare ciò che provava mentre scriveva, leggeva o correggeva un capolavoro,
come se fossimo seduti lì accanto a lui. Così facendo il lettore arriva a porsi delle domande
per cercare di ricostruire il “modus operandi” del poeta. Giuseppe Ungaretti è quindi tutti i
nostri sentimenti mentre leggiamo e lo è attraverso “quel nulla d’inesauribile segreto”. Il
segreto nascosto in ognuno di noi: le emozioni, i sentimenti, le lacrime, la pelle d’oca.
“Io credo che il giorno che non ci sarà più la poesia, non ci sarà nemmeno l’uomo. (…)
L’uomo non potrà vivere senza poesia, perché essa rappresenta il secreto non solo di chi
riesce, così per dono, a scriverle sulla carta, ma di tutti, perché tutti l’hanno nell’anima.” 5
Ungaretti scrive la poesia “Veglia” il 23 dicembre 1915 direttamente sul campo di battaglia,
Cima Quattro.
La notte abbracciava i resti dei suoi compagni. Quel silenzio, il “suo” intimo silenzio, faceva
di ogni pensiero un urlo straziante. Egli scriveva. Cercava di riportare sui pezzetti di carta
ogni sensazione. Come si può essere attaccati alla vita pur vedendo la morte? Quale
meccanismo entra in funzione nella mente del poeta per potere scrivere parole d’amore pur
vedendo un suo compagno deceduto vicino? È forse qualcosa che solo Ungaretti può capire e
provare? Si può allora dire che sia un segreto del quale non vuole rendere partecipi i lettori?
”Per sé il poeta tiene « quel nulla » che è riuscito a carpire di un « segreto » che per quanto ci
si sforzi di conoscere in toto, sarà sempre « inesauribile »” 6
Del resto nelle sue lettere disse più volte che non voleva pubblicare le sue poesie, che le
avrebbe distribuite solo ai suoi più cari amici. Ma la forte espressività del suo viso, avrebbe
parlato al posto suo. I suoi occhi, incorniciati da una foresta di rughe, scrutavano l’ambiente
che lo circondava. Era come se facessero una foto del compagno morto accanto a lui: si
preoccupava solo che i preziosi ricordi di quel momento non volassero via insieme all’anima
del suo fratello. Egli non voleva dimenticare. Voleva testimoniare la sofferenza della Grande
Guerra. Voleva disegnare con le parole l’odore della polvere da sparo ed il sapore delle sue
lacrime. Eppure, egli scrive parole d’amore: la morte, che, sul campo di battaglia, più che mai
faceva sentire la sua presenza all’interno della vita umana, ancora non l’aveva preso.
“Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita”
7
“Ero un uomo che non voleva altro per sé se non i rapporti con l’assoluto, l’assoluto che era
rappresentato dalla morte. Nella mia poesia non c’è traccia d’odio per il nemico, né per
nessuno; c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella
sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione.” 8
Il concetto viene sottolineato di nuovo da Ungaretti nella poesia “La notte bella”. In
quest’ultima, scritta a Devetachi il 24 agosto 1916, il poeta esprime tutto il suo amore per la
vita. Il silenzio, il suo silenzio, presente nella poesia “Veglia” viene finalmente squarciato da
un canto, che si leva nella notte: è l’eco del suo cuore. La sfumatura di tranquilla melanconia
che il primo componimento disegna sembra svanire.
“Quale festa sorgiva / di cuore a nozze”
L’abitudine alla morte che prima pervadeva l’animo di Ungaretti ha lasciato posto alle stelle.
E’ inesauribile lo sbocciare della vita in mezzo al nulla: la sua mente vola dal profondo della
trincea al cielo.
Il suo volto si rilassa. Lo “stagno di buio” che lo soffocava adesso lo abbraccia e lo nutre,
come una madre. La natura che prima era rappresentata in primis dalla morte finalmente si
risveglia.
“Ora mordo / come un bambino la mammella / lo spazio”
A suggerirci lo stato d’animo del poeta è proprio il titolo della raccolta. Ungaretti ha
finalmente ritrovato “L’allegria”.
“Ora sono ubriaco / d’universo”
Le parole d’amore che scriveva in trincea finalmente hanno preso vita nella sua mente. Egli si
è reso conto che la morte non può non essere sovrastata dal sentimento e può finalmente
sorridere.
“Esultanza che l’attimo, avvenendo, dà perché fuggitivo, attimo che soltanto amore può
strappare al tempo, l’amore più forte che non possa essere la morte. È il punto dal quale scatta
quell’esultanza d’un attimo, quell’allegria che, quale fonte, non avrà mai se non il sentimento
della presenza della morte da scongiurare” 9
Tuttavia, le stelle che colorano la “Notte bella” sembrano spegnersi nel componimento “Dannazione”
scritta nel giugno 1916:
“(Anche il cielo stellato finirà)”
La mente del poeta è dominata da sensazioni in forte antitesi: se da un lato egli dimostra di amare la
vita pur avendo guardato la morte negli occhi, dall’altro la non-percezione del “assoluto” lo distrugge.
Infatti descrive la sensazione di limitatezza, che accomuna tutti gli uomini. Si sente “chiuso” fra le
cose mortali. Egli si rende conto di bramare l’infinito, poiché realizza che anche quel cielo dove aveva
trovato l’armonia è pervaso da questo “inesprimibile nulla” 10. Il suo animo in questo momento è un
tumulto di sensazioni: l’abile giocoliere di parole, il “maestro del concetto” ora non riesce a spiegare
ed a spiegarsi cosa prova, non riesce a trovare un legame tra la vita ed il nulla.
“Perché bramo Dio?”
Si domanda, come è spontaneo e logico fare, da dove venga questo profondo desiderio di assoluto, se
tutto intorno a lui muore. Nel titolo racchiude il suo tormento ed il tormento di tutta l’umanità alla
ricerca di Senso: “Dannazione”. Infine, Ungaretti trova la spiegazione nell’inspiegabile: Dio. Forse
solo questa entità indefinita, potrà sopravvivere al “nonnulla”.
Possiamo affermare con certezza, però, che grazie alla percezione di quest’ultimo Ungaretti riesce a
prender coscienza di sé. Lo riconosce egli stesso:
“E’ nel nonnulla che sembra apparisca la prima presa di coscienza dell’essere stesso che io sono” 11
In conclusione siamo felici di aver fatto un viaggio.
Abbiamo visto posti mai visti, prestato attenzione ad ogni minimo dettaglio, abbiamo
guardato il paesaggio e siamo andate oltre di esso. Abbiamo assaggiato parole, gustato libri e
poesie. Ungaretti è stato la nostra fedele guida. Ci ha fatto vedere la morte, fatto assaporare la
vita, ci ha fatto cogliere l’essenza di ogni cosa che ci circonda. Non si è limitato ad indicarci
la via da seguire, è stato affianco a noi passo dopo passo come un fedele compagno. Ci ha
insegnato che anche quando intorno a noi vi è solo la morte, l’unica ancora di salvezza è
parlare della vita e dell’amore. Ci ha insegnato l’umiltà e la semplicità. Ci ha fatto vedere con
i suoi occhi, scrivere con le sue parole, parlare con la sua bocca, toccare con le sue mani. Ci
ha donato le cartucce dove scriveva ,ci ha donato la capacità di saper apprezzare le piccole
cose e di comprendere i limiti della mente umana.
Assieme a lui siamo passate dalle trincee all’universo, dal silenzio al canto, dalla morte alla
vita. Ci ha guidate ed è solo grazie a lui che abbiamo capito che “quel nulla d’inesauribile
segreto” si cela dentro ognuno di noi. È diverso per ogni persona, ognuno può interpretarlo in
modo diverso. Ungaretti può solo indicarci la via, aiutarci nel tragitto, ma il reale percorso lo
dobbiamo fare individualmente.
Ungaretti, se fosse seduto vicino a noi, ci inviterebbe a guardare dentro noi stessi, poiché solo
lì è celato “quel nulla d’inesauribile segreto” e solo noi possiamo scovarlo.
NOTE
1
Da “Il porto sepolto”, che dà il titolo alla raccolta omonima del 1916 e alla relativa sezione
all'interno della
raccolta “L’allegria” del 1931.
2
Intervista rilasciata da Giuseppe Ungaretti nel 1961.
3
Da “L’allegria”.
4
Da “Vita di un uomo”, nota introduttiva.
5
Riflessione sulla poesia emersa da alcuni appunti sparsi del poeta.
6
Commento di Leone Piccioni, Per conoscere Ungaretti, Oscar Mondadori, Milano 1979
7
Poesia “Veglia”, primo componimento inserito all’interno dell’opera “L’allegria”, nella
sezione “Il porto sepolto”.
8
Da “L’allegria”.
9
Da “L’allegria”, prefazione.
10
Dalla poesia “Eterno”, che apre raccolta “L’allegria”
11
Da “L’allegria”, prefazione.
INDICE:
Introduzione: pagine 1-2;
Veglia: pagina 2, paragrafo 3;
La notte bella: pagina 3, paragrafo 4 – pagina 4;
Dannazione: pagina 5, paragrafo 5;
Conclusione: pagina 6.
BIBLIOGRAFIA:
“Il porto sepolto”, 1916
“Vita di un uomo”, Tutte le poesie, Arnoldo Mondadori Editore, Segrate 1969
“Per conoscere Ungaretti”, Oscar Mondadori, 1979
“L’Allegria”, 1931