La battaglia di Hacksaw Ridge
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La battaglia di Hacksaw Ridge
'La battaglia di Hacksaw Ridge', Gibson alla guerra in nome del pacifismo Pubblicato il 02 febbraio 2017 L'atteggiamento di Mel Gibson nei confronti della violenza non è facile da definire. Accusato di truculenza per certe scene della Passione di Cristo e di Apocalypto,eccolo tornare alla regia dopo dieci anni d’intervallo con un film di guerra che contiene sequenze non meno impressionanti: però lo fa in nome della non-violenza. La storia, vera, è quella di Desmond Doss, soldato americano che partecipò come volontario alla guerra nel Pacifico, ma rifiutandosi risolutamente di imbracciare un fucile. Deciso a osservare il giuramento di non violenza, il giovane avventista del Settimo Giorno fu tacciato di viltà, malmenato dai commilitoni, perseguitato dalle gerarchie militari senza mai cedere. Alla fine partecipò alla battaglia di Okinawa come ausiliario nella sanità, armato solo della propria fede e riuscendo, da solo, a salvare dozzine di feriti durante la presa della scogliera di Maeda. Impresa per cui l'eroico obiettore di coscienza fu decorato con la Medaglia d'onore. La battaglia di Hacksaw Ridge è la storia di un miracolo; e Gibson la racconta investendo senza timore il protagonista di tratti cristologici. Diviso in due parti uguali – la preparazione e il battesimo del fuoco – come il più classico "war movie", nella prima (l'infanzia di Desmond, l’incontro con la donna della sua vita, l'addestramento in stileFull Metal Jacket) ti fa credere di assistere a un prodotto abbastanza convenzionale. Nella seconda, però, ti scaraventa all'inferno; in un combattimento di radicale brutalità con corpi che esplodono, carni perforate, membra straziate: la guerra, insomma. La direzione di Gibson (candidata all'Oscar, come il regista, il montaggio visivo e quello sonoro) è ammirevole per come sa immergerti in inquadrature e pianisequenza mozzafiato; roba da far seria concorrenza allo Steven Spielberg di Salvate il soldato Ryan. Film al quale il suo fa pensare molto più di quanto somigli a Lettere da Iwo Jimadi Clint Eastwood, capolavoro del cinema di guerra umanista che mostrava il nemico in spirito di par condicio con gli americani. Qui, al contrario, i jap sono zombi assassini (il Demonio, li definisce il capitano), privi di ogni umanità e votati al suicidio. E tuttavia sarebbe sbrigativo accusare il film di razzismo, quando l'intenzione è di raccontare una lotta contro le forze del male combattuta in nome del pacifismo e dell'orrore per le guerre, che spogliano dell'umanità i combattenti trasformandoli in belve. Varrà la pena di evocare un classico del genere, Il sergente York di Howard Hawks, dove Gary Cooper era un pacifista che, alla fine, si convinceva a prendere il fucile per contribuire ad abbreviare la guerra. Grande film, ma i tempi erano quelli che erano (il 1941, con Hitler alle porte) e la propaganda ci poteva stare. Tutt'altro discorso qui, dove Gibson ha il coraggio di affrontare contraddizioni irresolubili: la necessità di contrastare la barbarie e il rifiuto di uccidere, la difesa dei compagni e la fede religiosa, e così via. Alle prese con un personaggio "più grande della vita", Andrew Garfield non solo si aggiudica una candidatura all’Oscar, ma si candida anche (e lo sa bene chi ha già visto Silence di Scorsese) ad attore più stoico della sua generazione. LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE Regia di Mel Gibson Con Andrew Garfield, Sam Worthington, Teresa Palmer OOOOO