The Passion - IRC Venezia

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The Passion - IRC Venezia
The Passion
USA 2004
Regia: Mel Gibson
Sceneggiatura: Benedict Fitzerald, Mel Gibson
Protagonisti:James Caviezel (Jesus), Maia Morgenstern (Maria), Monica Bellucci (Maddalena),
Hristo Naumov Shopov (Pilato), Claudia Gerini (Claudia)
Durata: 127'
Genere: dramma
Censura USA: Restricted
Una meditazione sulla Via Crucis. Ma una meditazione che utilizza splendidamente tutti i mezzi
che le più alte professionalità cinematografiche di oggi possono apportare, per attingere un livello di
realismo rappresentativo e di intensità emotiva mai raggiunto prima.
Il film di Gibson non è un trattato di teologia cattolica né un’illustrazione completa del
cattolicesimo, ma –appunto- una Via Crucis cinematografica, così come annuncia il titolo stesso
dell’opera. E come suggerito dalla Chiesa per le Viae Crucis contemporanee, contiene un chiaro
annunzio della Resurrezione.
Dal punto di vista narrativo non si segue alcun canone drammaturgico standard: si inizia
direttamente in medias res, dalla preghiera nell’Orto degli Ulivi, presumendo che lo spettatore sappia di
che cosa si sta parlando, chi è Gesù, chi sono i suoi discepoli, chi è la Maddalena (viene inquadrata
spesso, ma mai nominata) e qual è la sua storia di peccato e di perdono. Questa mancanza di una
captatio narrativa spiega anche, almeno in parte, perché il film non solo piace, ma commuove
profondamente una grandissima maggioranza dei credenti, mentre può lasciare indifferenti –forse
anche infastiditi- altri spettatori, che rimangono al di fuori della Storia che viene rappresentata in questo
film. Proprio come c’è chi si commuove, ma anche chi si infastidisce a leggere alcune meditazioni di
mistici e di santi sulla Passione di Gesù, sulla sua croce e sui suoi dolori, a seconda di quali sono le sue
disposizioni.
The Passion non è però affatto un film superficiale, perché mostra in ogni suo dettaglio un
approfondimento sia narrativo sia teologico che dimostrano che si tratta di un’opera a lungo pensata e
ampiamente meditata. Si osservi per esempio nel film la gamma complessa di sfumature con cui viene
presentata la reazione di ciascuno dei personaggi agli eventi che colpiscono Gesù, come a suggerirci che
di fronte a questo Mistero rimane sempre la libertà dell’uomo, che può reagire in molti modi diversi,
che vanno dalla piena partecipazione alla fuga, dal compianto all’accanimento crudele. Non c’è solo la
forza e l’adesione della Madre, la disperazione di Giuda, il pianto della Maddalena, ma anche la
complessità delle reazioni di Pilato (Hristo Naumov Shopov) e quelle della moglie Claudia (Claudia
Gerini), l’amore confuso e ancora troppo debole di Pietro che rinnega e la perplessità di Malco a cui è
stato riattaccato un orecchio, l’incontro di Simone con la croce che gli dà coraggio e quello della
Veronica, la stoltezza ebbra di Erode e la sincerità del buon ladrone. Tanto fra i romani come fra gli
ebrei, tanto fra i sacerdoti come fra i soldati ci sono diversi gradi di crudeltà o di compassione, di
cinismo o di pietà. Ci sono sacerdoti che tentano di opporsi al processo farsa così come ci sono soldati
romani (il centurione Abenader) che assistono perplessi alle torture inflitte a Gesù e cercano almeno di
ridurle. Ci sono soldati sadici che provano gusto a reiterare le torture così come c’è l’indurimento del
cuore di alcuni sacerdoti che vogliono farla finita con quest’uomo che osa dichiararsi Figlio di Dio.
Dopo aver visto il film ogni idea che possa essere antisemita si scioglie come neve al sole. Gibson
come è noto ha anche accettato di togliere una frase che appare nel Vangelo (“Il suo sangue ricada
sopra di noi e sui nostri figli”) per evitare ogni malinteso e ogni strumentalizzazione, in omaggio alla
sensibilità degli ebrei contemporanei. Il film è antisemita tanto quanto è antiromano o antimilitarista o
antimonarchico. Dappertutto ci sono buoni e cattivi, i deboli e i cinici, coloro che non sanno opporsi al
male per non compromettere la loro carriera e coloro che non hanno paura di niente.
Dal punto di vista tecnico il lavoro è davvero eccezionale, a cominciare dalla scelta dei volti e dalle
performances di tutti gli attori. Non solo Jim Caviezel che interpreta Gesù e Maia Morgenstern (attrice
ebrea rumena, che aveva già interpretato splendidamente Edith Stein in La settima stanza), ma anche
Hristo Jivkov (il Giovanni dalle Bande Nere del Mestiere delle armi di Olmi), Claudia Gerini, il già citato
Pilato, la Maddalena di Monica Bellucci, il Giuda di Luca Lionello offrono interpretazioni pienamente
convincenti, di grandissima intensità. Così come tutti gli altri volti –uno su tutti, la scelta audace di
Rosalinda Celentano per un diavolo androgino e inquietante- sono perfettamente aderenti alle
psicologie che devono rappresentare. Il lavoro su costumi (Maurizio Millenotti), scenografie (Francesco
Frigeri) e luci (Caleb Deschanel: The Patriot) serve anch’esso perfettamente allo scopo di creare armonia
cromatica ed intensità drammatica. La musica di commento (John Debney) non è mai melensa, ma si
mantiene piuttosto su sonorità primordiali e con pochi momenti di espansione lirica.
Questo film dovrebbe essere inoltre un motivo di orgoglio particolare per il nostro Paese,
perché è stato girato tutto in Italia e a parte alcune persone del cast artistico principale, moltissimi
attori, comparse, carpentieri, sarti, arredatori, ecc. sono italiani. Il livello artistico del film probabilmente
porterà ulteriori lavori a Cinecittà e alle realizzazioni italiane.
Dal punto di vista cinematografico è comunque un capolavoro. Mel Gibson riesce a far
“parlare”, con grande eloquenza, le immagini e i volti. Le poche frasi evangeliche e le poche frasi create
da lui e dal co-sceneggiatore Benedict Fitzgerald si imprimono poi nella mente dello spettatore, come
quella che rivolge a Maria che si è inginocchiata di fronte a Lui per consolarlo: “Madre, io faccio nuove
tutte le cose”. Alcuni brevi flashback riprendono elementi essenziali della predicazione: il
comandamento nuovo dell’amore, qualche scena di vita familiare con Gesù Bambino (uno dei momenti
più celebrati del film è giustamente l’accostamento fra una caduta “attuale” di Gesù e il flashback in cui
Maria soccorre Lui bambino in una caduta analoga). Non poche volte questi flash si aprono attraverso
analogie su oggetti o movimenti: assolutamente eloquente, a chi abbia un minimo di conoscenze di
dottrina, quella fra l’innalzamento della Croce e l’elevazione del Pane nell’Ultima Cena. Molto audace e
ricco di conseguenze spirituali il rimando dal piede del flagellatore ai piedi degli apostoli che Gesù ha
voluto lavare… Sono solo pochi accenni, che però servono a esemplificare come davvero ci troviamo
davanti a un’opera che liquidare come una sorta di pulp cattolico è non solo frettoloso e ingiusto, ma
dimostra anche una notevole miopia.
Non pretendiamo con questo che il film piaccia a tutti né pensiamo che se a una persona non
piace sia un cattivo segno: è una questione di sensibilità personale. Come giustamente osservava
Barbara Palombelli su Sette, il livello di insistenza sul sangue e sulla violenza non è superiore a quello di
molti film contemporanei (perché, per fare un esempio fra mille, nessuno si lamenta delle ferite e del
sangue che si vedono –in buona misura inutilmente- in un film coccolato dagli intellettuali chic come
Non ti muovere?). Se è più che legittimo che a qualcuno –anche cattolico praticante o sacerdote- il film
non piaccia, o che si senta personalmente a disagio, dovrebbe però rispettare la libertà di sensibilità
diverse dalla propria di esprimersi in un modo che comunque rientra pienamente nei canoni di una
piena e fedele ortodossia cattolica. Sia all’inizio che durante il film che alla fine, il messaggio del
perdono, dell’amore per i propri nemici, la proposta di contemplazione della sofferenza di Gesù come
espressione del Suo amore per gli uomini, è infatti comunicato con lampante chiarezza.
Nel fiume di parole che si sono spese su questo film, uno dei commenti più centrati è apparso
su una autorevole rivista professionale di cinema, Box office, a firma del suo giovane direttore, Antonio
Autieri, che plaudeva al coraggio di Mel Gibson. Gli episodi più belli e importanti della storia del
cinema hanno come protagonisti alcuni coraggiosi “visionari”, che sono stati premiati contro ogni
aspettativa. Se qualcuno oggi magari sorride maliziosamente di fronte alla montagna di dollari che
stanno entrando nelle casse della Icon di Mel Gibson, dimentica forse che quando si sapeva che
avrebbe fatto un film girato in due lingue morte, latino e aramaico, e così lontano dai gusti superficiali
dei teen agers che dominano il marketing cinematografico americano, c’era chi gli dava del matto. Ora
probabilmente i responsabili delle grandi case di distribuzione, le famose major che hanno rifiutato di
distribuire il film, si staranno mangiando le mani, mentre gongola il patron della piccola Newmarket,
che ha deciso di portare il film nelle sale con un contratto fra l’altro molto favorevole alla Icon. Gibson
aveva speso circa 25 milioni di dollari per la produzione e circa 30 per il lancio del film e ha rischiato di
perdere tutti questi soldi di tasca sua, ma ancora di più: di vedersi ostracizzato –lui e i suoi partner
Steven McEveety e Bruce Davey- per il doppio motivo di aver fatto un film assai scomodo e di essere
un perdente. Onore al merito: ha fatto un film memorabile, e speriamo che ora ne possa fare tanti altri.