muoversi nell`iconosfera

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muoversi nell`iconosfera
circolazione extracorporea
MUOVERSI
NELL’ICONOSFERA
Fruizioni multiple nell’era della riproducibilità
a cura di Peppino Ortoleva
NON PIÙ “NATURAL” O “SNAPSHOT” VISION: LE
IMMAGINI SI PRESTANO NON SOLO AD UNO SGUARDO
CONTINUO, MA ANCHE ALL‘ESPLORAZIONE
OSSERVARE, AGIRE
Inquadrare il mondo,
visione parte di un processo
di scambio tra l’organismo e
l’ambiente: un’immagine di
Zidane, un portrait du
XXIe siècle
12
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
settembre 2010
In un mondo nel quale un portale nato letteralmente dal nulla arriva nell’arco di cinque anni a centinaia di milioni di utilizzatori (come è accaduto, da ultimo, a
Facebook), e nel quale la crescita della larghezza di banda è più veloce della domanda di contenuti, chi prova a enunciare ipotesi e a definire teorie rischia di trovarsi
superato dai fatti quasi nel momento stesso in cui scrive. A meno di
cambiare il punto di vista. Di vedere la rete non come un insieme di
contenuti di cui man mano gli utenti si impadroniscono, in qualità di
lettori, di spettatori, di ri-elaboratori o di co-autori; ma come un
grande ambiente nel quale tutti, darwinianamente, si muovono da
un lato cercando di adattare l’ambiente stesso alle proprie esigenze, dall’altro adattandosi a esso per trarne il massimo beneficio.
In quest’ottica, le teorie enunciate alla fine degli anni ’70 dall’americano J.J. Gibson ci possono dare degli spunti importanti. Secondo
lui, la maggioranza delle teorie della visione è inchiodata a un
modello statico della percezione: quella che lui chiama la snapshot
vision, visione fotografica, che presuppone un osservatore fermo,
con un campo visivo inquadrato da confini essi stessi stabili.
Ignorano quindi proprio le pratiche percettive più diffuse, che
esplorano l’ambiente facendo scorrere lo sguardo, o muovendo la
testa e con la testa gli occhi, o muovendosi nell’ambiente stesso
(ambulatory vision); ignorano insomma che la visione è parte di un
processo più generale di scambio tra il singolo organismo e l’ambiente, processo che include le percezioni di tutti gli altri sensi, e
anche le altre attività vitali, senza dimenticare le leggi generali della fisica. Il
Ventesimo secolo, poi, ha visto una trasformazione radicale, della quale siamo tutti figli: il precipitare, con il cinema, di quella che Gibson chiama
natural vision “dentro” la visione inquadrata propria dello snapshot. Lo schermo cinematografico,
la “cornice” per eccellenza della cultura novecentesca, ospita non un’immagine statica ma un
sistema visivo che “si guarda intorno, va verso gli
oggetti interessanti e li osserva da tutti i lati,
passa da una prospettiva all’altra” esattamente
come secondo Gibson fa il corpo impegnato nell’esplorazione dell’ambiente. Con
programmi come YouTube assistiamo a un salto ulteriore: tutte le possibili immagini, fisse e in movimento, diventano un’unica iconosfera, fatta non per uno sguardo
sequenziale (tipico delle pagine di un libro o dello spettacolo filmico) ma per un’esplorazione continua, con gli occhi e le orecchie, certo, ma anche con le mani che
animano lo schermo, lo suddividono e lo riunificano, rendendo assolutamente dinamico il punto di vista apparentemente statico di chi siede al computer. Rendendo l’azione di chi guarda e quella di chi rielabora parte di un unico continuum, di un grande gioco, dove la percezione sconfina sempre nell’azione e viceversa.
Dalle teorie di Gibson a
YouTube: la percezione
sconfina nell’azione,
e viceversa