Tibullo - Prof. Luigi Saito

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Tibullo - Prof. Luigi Saito
La poesia elegiaca è molto vicina, per il contenuto, a quella lirica: si tratta infatti di poesia
soggettiva in cui il poeta analizza se stesso, descrive i suoi sentimenti (in primo luogo l'amore) e i
suoi sogni, riprendendo in definitiva i modelli già proposti da Catullo. Si differenzia dalla lirica vera
e propria sia per la lunghezza dei componimenti (che spesso superano anche i 100 versi), sia per il
metro usato che è sempre il distico elegiaco, cioè una strofe di due versi («distico») costituita da un
esametro e da un pentametro.
I Romani importarono questo genere letterario dalla Grecia, modificandone tuttavia profondamente
i contenuti, al punto da conferire all'elegia latina caratteri di grande originalità. Mentre infatti
l'elegia greca, e soprattutto quella della letteratura ellenistica, aveva in genere carattere mitologico
ed erudito, quella romana assunse, sin dall'inizio, un tono spiccatamente soggettivo, capace di
esprimere le passioni, i sentimenti, le fantasie e le confessioni del poeta.
Uno dei grandi temi dell'elegia è senza dubbio l'amore, ma non l'amore felice, fonte di gioia e di
felicità, bensì l'amore sofferenza, sentito come sentimento esclusivo e totalizzante, che lascia il
cuore continuamente senza pace, apportare di angoscia più che di serenità. Altro tema ricorrente è
quello della fuga dalla realtà, dell'evasione in un mondo di sogno, lontano dal fragore della vita
cittadina, dai problemi dell'esistenza quotidiana, immerso nel paesaggio idillico di una campagna in
cui regnano pace, serenità, gioia e naturalmente amore.
L'elegia raggiunse il suo massimo splendore nell'età augustea ad opera di tre grandi poeti: Tibullo,
Properzio e Ovidio i quali, proponendo un modello di poesia intima e soggettiva, dichiaratamente
indifferente agli sforzi di rifondazione morale e civile dello Stato e della società romana operati da
Augusto, si pongono decisamente in opposizione rispetto all'attività poetica ricca di impegno di
Virgilio e di Orazio e, in ultima analisi, alla stessa ideologia del principato augusteo.
I poeti elegiaci rappresentano dunque l'altra voce della cultura augustea, quella di chi non credeva
nelle grandi promesse di rinnovamento e preferiva quindi chiudersi nel privato e accarezzare i
propri sogni. Per questo i poeti elegiaci, ad eccezione di Properzio, non aderirono al circolo
filoimperiale di Mecenate, ma a quello di Messala, che programmaticamente si manteneva lontano
da ogni impegno politico e ideologico.
Tibullo
Sulla vita di Albio Tibullo (60/54-19/18 a.C.) si hanno scarse notizie ricavabili, oltre che da cenni
sparsi nelle sue elegie e negli scritti di altri autori, da una Vita anonima. Ignoto è il suo prenome,
incerti sono il luogo e la data di nascita. Egli è uno dei poeti più rappresentativi della letteratura
latina e di quell'elegia, intrisa nel suo caso di erotismo, destinata a diventare genere tipicamente
latino.
La vita
Tibullo nacque forse a Gabii o a Pedum, cittadine del Lazio tra Tivoli e Palestrina. La famiglia, di
ordine equestre, era di agiate condizioni economiche e possedeva proprietà nella zona, sebbene pare
che alcune terre le fossero state confiscate in favore dei veterani di guerra. A Roma entrò a far
parte del cenacolo culturale di Valerio Messalla Corvino, divenendone il più importante
esponente. Nel 30 seguì il potente amico in una spedizione militare in Aquitania per reprimere una
rivolta e nel 28 in Asia Minore, che non raggiunse perché costretto a tornare a Roma, dopo essersi
ammalato a Corfù, come egli stesso scrisse nella III elegia del I libro. Trascorse l'ultima parte
della vita nei suoi possedimenti di Pedum, dove Orazio, di cui fu amico, lo rappresenta
malinconico e isolato. Un epigramma del poeta Domizio Marso ci informa che Tibullo morì in
giovane età, poco dopo la scomparsa di Virgilio.
Il Corpus Tibullianum
Con il nome di Corpus Tibullianum è pervenuta una raccolta di elegie, ripartite in tre libri, l'ultimo
dei quali fu diviso in età umanistica in due parti. Con certezza sono di Tibullo i primi due libri. Il
primo libro, Delia, l'unico sicuramente pubblicato dall'autore nel 26 o 25 a.C., contiene 10 elegie, 5
delle quali dedicate a Delia, pseudonimo greco della donna amata dal poeta, il cui vero nome era,
secondo la testimonianza di Apuleio, un più popolano Plania. Delle 6 elegie, che costituiscono il
secondo libro, Nemesi, 3 sono composte per una donna avida, non meglio identificata, chiamata
Nemesi, nome che in greco significa "vendetta" e che allude, forse simbolicamente, a una nuova
passione del poeta, come rivalsa per l'abbandono di Delia che ha scelto un vecchio danaroso. Il
contenuto del terzo libro non è del tutto attribuibile a Tibullo.
La poetica di Tibullo
Nonostante che la finzione letteraria comporti il ricorso al repertorio canonico della poesia d'amore
(incontri, abbandoni, gelosie, tradimenti), il mondo sentimentale di Tibullo nasce da una esperienza
autenticamente vissuta, come è del resto tipico per gran parte dell'elegia latina. In contrasto con le
tonalità sensualmente appassionate di Properzio e le galanterie superficialmente brillanti di Ovidio,
la sensibilità tibulliana si esprime di preferenza in toni malinconici e sfumati. Nelle elegie di
Tibullo, dopo l'annuncio del tema che viene poi ripreso solo alla fine, caratteristica originale è quel
muoversi in un mondo quasi di sogno, in cui le immagini si succedono le une alle altre per
evocazione e per analogia, senza un filo logico. Assente il gusto per l'erudizione mitologica,
peculiare di Tibullo è lo sfondo campestre, rappresentato con vive immagini, un mondo ideale su
cui il poeta proietta il suo desiderio di pace e di vita semplice e serena. Lo stile, di apparente
semplicità nel suoi ritmi fluidi e armoniosi, con i suoi toni delicati e leggeri, è invece estremamente
raffinato e sorvegliato. Già Quintiliano ne aveva colto la purezza lessicale e insieme la disciplina,
definendo Tibullo poeta "terso ed elegante", giudizio del tutto condiviso dalla critica moderna.
Il terzo libro del Corpus Tibullianum
Il terzo libro delle elegie giunte sotto il nome di Corpus Tibullianum, raccoglie 20 componimenti,
di cui sono sicuramente suoi gli ultimi due. Nel XIX il poeta promette eterno amore a una
fanciulla della quale non dice il nome; il XX è un epigramma sulle voci che si mormorano riguardo
alla fedeltà della sua fanciulla.
Le prime sei elegie sono di un imitatore del poeta, un certo Ligdamo, che canta il suo amore per
Neèra. Questo autore, che usa uno pseudonimo di origine greca, è stato variamente identificato
dagli studiosi con Cassio Parmense o con Vario Rufo o con un figlio di Messalla o con Tibullo
stesso, cosa altamente improbabile, oppure con Ovidio giovane, ipotesi quest'ultima sostenuta dal
fatto che nel testo è citato l'anno di nascita dell'autore, il 43, che coincide con quello di Ovidio e,
per di più, è espresso con un verso che ritorna proprio nel poeta di Sulmona.
Segue il Panegirico a Messalla, un lungo componimento elogiativo in 212 esametri, di incerta
attribuzione, in cui si esaltano le sue doti oratorie e le sue campagne militari.
Cinque elegie, sugli amori di Sulpicia e Cerinto, sono ritenute da gran parte degli studiosi
autenticamente tibulliane; di mano della stessa Sulpicia, invece, si pensa che siano i rimanenti 6
brevi carmi, quasi dei "biglietti" amorosi, per complessivi 40 versi, inviati all'innamorato. Della vita
di Sulpicia non si hanno notizie precise: forse fu nipote del giurista Servio Sulpicio Rufo e figlia di
una sorella di Messalla, di cui divenne pupilla dopo la morte del padre, entrando nel circolo
letterario animato dallo stesso Messalla. Sono poesie di un amore bruciante, intenso e sincero,
interessanti anche per la storia del costume nella Roma d'Augusto. In questo caso Sulpicia sarebbe
dunque l'unica poetessa di cui si ha testimonianza nell'ambito della letteratura latina.
Indipendentemente dallo loro identità, i vari poeti del corpus sono vicini a Tibullo per stile e per
ambiente culturale, quello del circolo di Messalla.
Properzio
La vita
Nacque in Umbria e rimase da fanciullo orfano di padre. I beni della famiglia, di ordine equestre,
andarono perduti durante la guerra di Perugia (41-40) e in seguito alle confische imposte da
Ottaviano: è pertanto probabile che la famiglia avesse sostenuto Antonio. Si trasferì a Roma, dove
forse intendeva dedicarsi all'attività forense e alla vita pubblica, ma, entrato in contatto con gli
ambienti mondani della capitale, si occupò soltanto di poesia. Fece amicizia con Gallo, Pontico e
con Tullo: a quest'ultimo indirizzò la poesia di apertura del suo primo libro di elegie, nel quale la
maggior parte dei componimenti erotici è dedicata alla donna amata con lo pseudonimo di Cinzia, il
cui vero nome era Ostia, secondo la testimonianza di Apuleio. L'amore per la colta, raffinata e
spregiudicata Cinzia durò 5 anni. Pubblicato nel 28, il volume ebbe fortuna e gli valse l'attenzione
e la stima di Mecenate, del cui circolo poetico entrò a far parte. Negli anni successivi compose
altri tre libri di elegie, il primo dei quali fu dedicato a Mecenate. Conobbe e ammirò molto Virgilio,
divenne amico di Ovidio, al quale leggeva le sue poesie; meno stretti furono i suoi contatti con
Orazio, che non sembra nutrisse particolare stima per lui. Nessun altro avvenimento della sua vita è
noto. Forse si sposò ed ebbe un figlio: Plinio il Giovane, in una lettera, scrive che il poeta Paolo
Properzio era suo discendente. Gli ultimi riferimenti cronologici contenuti nelle sue opere
riguardano il 16 a.C.: probabilmente quello, o il seguente, fu l'anno della morte.