infanzia, gradienti e criteri

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LEZIONE
“INFANZIA, GRADIENTI E CRITERI”
PROF.SSA BARBARA DE CANALE
Università Telematica Pegaso
Infanzia, gradienti e criteri
Indice
1
Direzioni di impegno per ritrovare l’infanzia ......................................................................... 3
1.1.
Dalla nostalgia all’ascolto. ................................................................................................... 3
1.2.
Dall’abbandono all’accoglienza. .......................................................................................... 3
1.3.
Dalla confusività alla distinzione. ........................................................................................ 4
1.4.
Dalla protezione al servizio.................................................................................................. 4
1.5.
Dal bambino alla persona. .................................................................................................... 4
2
Gradienti e criteri....................................................................................................................... 6
3
Gradiente assimilativo e relativi criteri ................................................................................... 7
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Direzioni di impegno per ritrovare l’infanzia
Nella lezione precedente si è fatto riferimento ad innumerevoli condizioni che violano il
benessere e la qualità della vita del bambino. Si tenterà qui di rintracciare alcune direzioni di
impegno lungo le quali provare a modificare costumi e comportamenti al fine di realizzare un
mutamento di prospettiva che giovi tanto al bambino quanto all’adulto e che consenta di ritrovare
l’infanzia.
1.1.
Dalla nostalgia all’ascolto.
L’atteggiamento che spesso caratterizza l’adulto nei confronti dell’infanzia è una sorta di
sentimentalismo nostalgico: seducono i caratteri di ludicità, di deresponsabilità, di imprevedibilità,
di onnipotenza e di autogiustificazione associati alla condizione infantile. Tali attributi paiono
offrire un antidoto all’artificialismo, all’efficientismo ed all’anomia che caratterizzano nell’epoca
attuale non soltanto il mondo della produzione, ma anche il costume sociale e il sistema delle
relazioni interpersonali.
La nostalgia porta con sé il rischio della sosta, del ripiegamento sul passato, del pensiero
magico, laddove per ritrovare l’infanzia è necessario conservarne memoria, ossia porsi nei confronti
del mondo infantile con un atteggiamento di ascolto e di ricerca, di analisi critica e di verifica di sé.
Sono le dimensioni funzionali dell’infanzia, l’ingenuità e il candore ad esempio, che
richiedono di essere recuperate e fatte proprie dall’adulto, non anche quelle strutturali, quale può
essere l’onnipotenza del bambino. Nel momento in cui ci si lascia nostalgicamente trascinare da
quegli elementi strutturali che lo sviluppo ha superato, non si assume quale interlocutore il
bambino-persona, bensì un’immagine invano desiderata.
1.2.
Dall’abbandono all’accoglienza.
Si è detto che l’infanzia appare oggi abbandonata sotto molteplici punti di vista, privata della
presenza stabile e premurosa dell’adulto, vittima di crisi familiari, non protetta dalla disponibilità
degli affetti. L’infanzia richiede oggi accoglienza su molteplici fronti.
In famiglia, dove la cura del bambino esige una preliminare cura dell’amore coniugale.
Nella città, spesso costruita e amministrata secondo forme che ignorano le esigenze
dell’infanzia, come paiono dimostrare i quartieri senza scuole, le scuole senza servizi, la violenza e
la morte per le strade, la droga, la pornografia, ecc.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Nel mondo della politica, dove l’auspicio è che la legge sia posta al servizio della persona e
del bene comune, e non dell’ideologia.
Nella scuola, dove i tempi educativi andrebbero regolati sulle esigenze evolutive del
bambino e non in funzione dei contratti di lavoro stipulati con gli insegnanti; dove la continuità
educativa va garantita dalla lealtà e dalla responsabilità degli adulti e non semplicemente dalla
legge; dove è irrinunciabile la competenza magistrale e l’autorevolezza della proposta educativa.
Nel mondo della cultura e soprattutto della scienza, la quale può concretamente incidere con
le sue scoperte sulla qualità della vita ed è chiamata ad operare con responsabilità e senso etico in
modo particolare per ciò che attiene le manipolazioni genetiche e mediche.
1.3.
Dalla confusività alla distinzione.
Il problema è qui rappresentato dagli atteggiamenti di iperprotezione talvolta assunti
dall’adulto nei confronti del bambino in violazione di quella che stata definita la giusta distanza nel
rapporto. Ridurre questa distanza significa ingenerare difficoltà e disagi, produrre una dimensione
di confusività e attardare di conseguenza la crescita del bambino e la conquista della sua autonomia
e distinzione.
1.4.
Dalla protezione al servizio.
Gli atteggiamenti e le mentalità spesso connessi alla nozione di tutela riconducono non di
rado all’idea del possesso, in famiglia, a scuola, nell’amministrazione della città, nell’erogazione
dei servizi.
Giova invece recuperare un sano atteggiamento di servizio e di cura alla persona che
consenta di rispettare e di promuovere il bambino nella sua identità, originalità, univocità.
1.5.
Dal bambino alla persona.
In ultima istanza è improrogabile un’azione di rinnovamento culturale e di mutamento delle
mentalità che consenta di liberare il linguaggio e i comportamenti da ogni forma di riduttivismo o di
confusività in relazione all’infanzia e che recuperi la considerazione del bambino quale persona
titolare di speciali prerogative, capace di intimità e di dialogo, di pensiero e di intuizione, di
sentimento e di fantasia, bisognoso di radicamento, di accoglienza, di appartenenza e di
condivisione, capace di progettualità e di perseveranza, sede di libertà e di valori.
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Soltanto questo rinnovamento potrà consentire di restituire al bambino la sua età, la sua
dignità, la specificità della sua condizione, senza espropriazioni e captazioni.
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2 Gradienti e criteri
Dopo aver discusso le direzioni di impegno lungo le quali muoversi al fine di ritrovare
l’infanzia, si tenterà ora di recuperare e di sviluppare il discorso abbozzato nella lezione precedente
relativamente al progetto di delineazione di una metodologia dell’azione educativa destinata
all’infanzia. A tal fine è necessario introdurre una nuova nozione, quella di gradiente.
Un gradiente può essere definito come il guadagno evolutivo che si registra lungo una
direzione di sviluppo; nell’economia di questo discorso, rappresenta la rete principale all’interno
della fitta trama di esperienze, di situazioni, di comportamenti, di attese, di bisogni, di compiti, di
regole dell’agire educativo, che si vogliono qui porre in ordine in un quadro unitario e coerente al
fine di disegnare la metodologia suddetta.
Si possono distinguere cinque gradienti che equivalgono dunque ad altrettante dimensioni
dello sviluppo: gradiente assimilativo, gradiente accomodativo, gradiente funzionale, gradiente
relazionale, gradiente valoriale.
All’interno di ciascuno di questi gradienti sono rintracciabili uno o più criteri. È necessario
dunque qui rispondere ad un’altra domanda: che cos’è un criterio?
Un criterio designa la ragione o le ragioni in forza delle quali è possibile effettuare una
scelta; contiene perciò un riferimento sia a ciò che è vero e ciò che è falso, sia a ciò che deve essere
fatto e ciò che non deve essere fatto. Disciplina quindi quel che giova conoscere e quel che giova
fare. Proprio per questa ragione, un criterio rappresenta un elemento ponte tra la ricerca teorica, da
cui attinge le ragioni della scelta, e l’esercizio esperienziale nell’ambito del quale si effettuano le
scelte e si traducono in comportamenti concreti.
I criteri richiamano specifici orientamenti teorici e prospettive di analisi (ossia i principi che
sono stati discussi), e si flettono poi verso il campo dell’esperienza per offrire i motivi che
consentono di effettuare delle scelte e le indicazioni concrete riguardo le procedure da attivare o
meno in funzione del raggiungimento di alcuni scopi.
Si procederà ora con l’analizzare uno per uno i gradienti sopra menzionati e i criteri che
trovano collocazione in ciascuno di essi.
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3 Gradiente assimilativo e relativi criteri
Nel trattare dei gradienti assimilativo e accomodativo si fa esplicito riferimento agli studi di
J. Piaget; questo autore ha considerato l’assimilazione l’aspetto primo dell’adattamento definendola
come quel processo o insieme di processi mediante i quali il soggetto incorpora i dati di realtà ai
propri schemi mentali e in questo modo li conosce, li manipola, li rende familiari.
L’incorporazione avviene quale risultato dell’interazione continua tra soggetto ed oggetto.
Come può essere favorita l’interazione assimilativa?
Va anzitutto detto che il bambino assimila la realtà ai propri schemi mentali mediante la sua
naturale propensione ad attribuire simboli alle cose e ad elaborare simbolicamente le proprie
iniziative ed esperienze, ed il proprio dialogo con il mondo. Attraverso i meccanismi della
proiezione e della identificazione, il bambino carica l’oggetto di un dato rappresentativo mediante il
quale lo rende simile ad un’immagine già interiorizzata e perciò assimilabile. Quella che per
l’adulto può essere una sedia diventa per il bambino un’automobile, il vagone di un treno, una
navicella spaziale; caricando di immagini e simboli le cose, il bambino modifica il rapporto che per
l’adulto esiste tra il piano della realtà, costituito dai fatti, dalle situazioni, dai dati concreti, e il piano
della irrealtà, intriso di vissuti, di emozioni, di immagini, di simboli. I confini tra questi due piani
per il bambino sono permeabili e sfuggenti ed egli effettua passaggi frequenti dall’uno all’altro
piano in una sorta di pendolarismo che contribuisce a rendere ludica ogni esperienza.
Come può dunque l’educatore profittare di questa naturale propensione del bambino al fine
di favorire gli apprendimenti?
Introduciamo qui il criterio della elaborazione simbolica, regola per la scelta di quelle
accortezze didattiche che possono consentire all’educatore di favorire ed assecondare le specifiche
modalità di costruzione e di interpretazione del mondo che il bambino possiede. Questo criterio
ricorda all’educatore di prendere in considerazione nelle sue proposte, non soltanto gli aspetti
fattuali, ma anche gli elementi simbolici che arricchiscono le esperienze del bambino. Si tratta in
qualche modo di calzare quelle lenti speciali attraverso le quali il bambino guarda il mondo.
A livello operativo, questo criterio va oltre il suggerimento di utilizzare il gioco simbolico;
sicuramente quest’ultimo rappresenta una grande risorsa in quanto, come conferma il suo stesso
nome, si caratterizza per l’impiego di elementi e processi simbolici; va però anche detto che non
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soltanto ogni gioco nell’infanzia coinvolge la dimensione simbolica, ma che addirittura ogni attività
significativa per il bambino è rivestita di caratteri e di aspetti di simbolizzazione ed è sospesa tra il
piano della realtà e il piano della irrealtà.
Il criterio della elaborazione simbolica perciò raccomanda all’educatore di completare ogni
proposta con una certa dose di elaborazione che possa favorire nel bambino l’attivazione dei
meccanismi della identificazione e della proiezione, mediante i quali assimilare adattivamente i dati
di realtà. Una conseguenza di questa scelta è l’adozione di misure di flessibilità della proposta
didattica e di spontaneità dell’iniziativa, attraverso le quali adattare ogni attività ed esperienza alla
situazione contestuale, coinvolgendo i vissuti simbolici del bambino e facilitando in tal modo la sua
partecipazione, la sua comprensione, la sua crescita.
Strettamente connesso al criterio della elaborazione simbolica, vi è il criterio del giusto
momento.
Esso ricorda anzitutto all’educatore di proporre delle attività didattiche che siano
congrue, adeguate rispetto al momento evolutivo in cui si trova il bambino, senza precocismi, né
attendismi. È sostanzialmente inutile l’anticipazione di attività e di esperienze per le quali il
bambino non è ancora pronto non essendogli state ancora dischiuse, dal suo percorso di sviluppo,
quelle capacità e quelle competenze necessarie alla loro comprensione e padronanza. Sul versante
opposto, è uno spreco di potenzialità, attendere e posticipare la proposta di contenuti ed iniziative
che il bambino è già in grado di comprendere e di padroneggiare. Per molte dimensioni dello
sviluppo esistono infatti dei periodi sensibili in cui con opportune proposte didattiche si può trarre il
massimo giovamento dai processi di apprendimento; superati tali periodi, le medesime acquisizioni
si conseguono con qualche difficoltà o con ritmi più rallentati.
In tutto ciò va tenuto conto del fatto che, pur esistendo precise tappe di sviluppo che si
succedono con la medesima concatenazione e secondo il medesimo ordine in tutti i bambini, si
registrano tuttavia ritmi differenti: ogni bambino è caratterizzato da una specifica scala temporale
che scandisce i momenti evolutivi, e che contiene individuali pause di rallentamento e fasi di forte
sollecitazione. In modo particolare nei momenti di pausa, quando cioè il bambino sta per
abbandonare i vecchi schemi, ma non ha ancora acquisito con padronanza e flessibilità quelli nuovi,
è importante che l’educatore sappia affiancarsi con discrezione, rispettando i tempi di ciascuno, e
consentendo a ogni bambino di trovare da sé le ragioni della propria sicurezza; allo stesso modo, è
fondamentale che nei momenti di difficoltà e di disagio, egli sappia porsi quale guida ravvicinata
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capace di offrire sostegno ed aiuto per sbloccare una situazione e consentire perciò al bambino di
attivare dei processi evolutivi che sono già pronti e a sua disposizione.
Il criterio del giusto momento significa dunque anzitutto risposta alle esigenze educative del
bambino.
Questioni strettamente connesse all’adozione di questo criterio sono la scelta dei contenuti e
la preparazione del progetto didattico.
Alcune domande accompagnano spesso l’educatore nella presentazione e nell’articolazione
delle sue proposte: come concatenare le diverse esperienze educative? Come scandire la
successione dei materiali didattici?
A tal proposito, varie sono le strategie spesso utilizzate nella scuola dell’infanzia, nessuna
delle quali è immune da rilievi.
Le diverse attività possono essere ed esempio collegate in ragione dei materiali utilizzati e
delle tecniche impiegate; si può anche optare per l’aggancio ad un comune obiettivo educativo; si
possono legare le proposte ai dati ambientali, quali le feste, le ricorrenze, le stagioni, ecc.; si può
scegliere l’occasionalità degli interessi e della curiosità dei bambini quale criterio guida; si può
infine costruire a tavolino un sistematico e rigoroso percorso didattico.
Tutte queste strategie hanno un difetto comune: perdono di vista la persona del bambino. Il
criterio del giusto momento allora viene in aiuto per ricordare che la scuola dell’infanzia deve porsi
quale vera scuola del bambino, capace di adottare piani personalizzati delle attività educative e di
stabilire di conseguenza la giusta distanza che esiste tra la sistemazione oggettiva della proposta
educativa e la concreta ed effettiva situazione dei bambini a scuola. Il che poi equivale a dire che
l’educatore, pur preparando in anticipo le sue iniziative, deve in ogni modo mirare a possedere
quella padronanza cognitiva dei fatti e quella sicurezza progettuale che possono consentirgli di
comprendere quando è il momento di piegare la proposta didattica rispetto alla situazione del
bambino, o, al contrario di intervenire nella situazione per orientarla e condurla secondo quanto
stabilito nel progetto.
Un’altra domanda che spesso accompagna o dovrebbe accompagnare il lavoro di un
educatore è: come concludere un’attività? Come concludere ad esempio un gioco? Come transitare
verso nuove attività? In questo caso il criterio del giusto momento ribadisce di far prevalere:
 i bisogni educativi, non gli schemi,
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 le attese del bambino, non l’improvvisazione,
 le sollecitazioni che vengono dalla persona, non l’inerzia della consuetudine.
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