facilitare l`accomodamento

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LEZIONE
“FACILITARE L’ACCOMODAMENTO”
PROF.SSA BARBARA DE CANALE
Facilitare l’accomodamento
Università Telematica Pegaso
Indice
1
Il gradiente accomodativo ......................................................................................................... 3
2
L’intervento positivo .................................................................................................................. 4
3
La continuità adattiva................................................................................................................ 6
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Il gradiente accomodativo
Nella lezione II si è fatto riferimento agli studi di J. Piaget sull’adattamento. Si è detto che
momento primo dell’adattamento è il processo di assimilazione, mediante il quale il bambino,
avvalendosi della proiezione e dell’identificazione, carica i dati di realtà di propri vissuti ed
immagini interiori e così facendo li incorpora nei propri schemi mentali, e li rende simili e familiari.
Giunge tuttavia un momento in cui gli schemi mentali del bambino, resi ormai saturi
dall’esercizio funzionale, si rivelano inadeguati ai fini dell’incorporazione e vanno perciò incontro
ad un processo di destrutturazione e di ristrutturazione; sono cioè scomposti e ricostruiti secondo
modalità tali che possano consentire l’acquisizione del nuovo dato conoscitivo. L’accomodamento,
dunque, che consiste proprio in questa destrutturazione e ristrutturazione di schemi mentali, è quel
processo che completa l’assimilazione nella prospettiva dell’adattamento, poiché dischiude al
soggetto nuove possibilità adattive.
Nel gradiente accomodativo trovano collocazione due criteri: il criterio dell’intervento
positivo e il criterio della continuità adattiva.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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2 L’intervento positivo
Il criterio dell’intervento positivo mette a tacere tutta la questione relativa alla preferibilità
del direttivismo o dello spontaneismo e si configura quale via intermedia, non tanto in termini di
equidistanza dai due estremi, quanto in termini di consapevolezza del sostegno di cui il bambino
può aver bisogno nelle differenti fasi del suo sviluppo e del suo processo di apprendimento.
In modo particolare nei momenti in cui il bambino va abbandonando i vecchi schemi
mentali non più funzionali all’assimilazione del dato di realtà e va tentando la costruzione di nuove
strutture di cui non ha ancora piena padronanza, può capitare che insorgano difficoltà, insicurezza,
indecisione, disagi. Può anche accadere che il bambino sia tentato di tornare indietro per riesplorare
le esperienze passate e rintracciarvi elementi di rassicurazione. Proprio in questi momenti è
fondamentale che l’educatore intervenga con proposte precise, anche se discrete, e chiare, pur se
aperte a possibili opzioni. L’educatore dunque rinuncia tanto a posizioni di marginalità rispetto ai
bisogni educativi del bambino, tanto ad atteggiamenti di rigidità e di normatività delle sue proposte,
in quanto le une e gli altri si rivelano entrambi disfunzionali alla promozione della crescita del
bambino. Il suo intervento “positivo”, per l’appunto:
-
assume i caratteri della pertinenza e della congruità delle scelte rispetto ai bisogni ed
alle esigenze evolutive del bambino;
-
si caratterizza per la consapevolezza della situazione e per l’efficacia delle proposte;
-
rivela padronanza cognitiva e relazionale dell’intera esperienza educativa.
Un importante accorgimento che il criterio dell’intervento positivo suggerisce all’educatore
è quello di trovare i modi e le forme attraverso i quali la proposta didattica può essere accolta e
gestita dal bambino in termini di spontaneità. Come fare concretamente?
Un primo espediente può essere il ricorso all’elaborazione simbolica di cui si è discusso
nella lezione precedente. L’educatore può, inoltre, rendere credibile e appetibile l’iniziativa,
intervenendovi egli stesso con credibilità e partecipazione, la qual cosa incoraggia e motiva il
bambino a fare altrettanto. Affinché, infine, un’attività sia desiderabile per il bambino è
indispensabile che sia modulata in risposta ai suoi effettivi bisogni di crescita. È in rapporto alla
necessità di una loro identificazione che si rende irrinunciabile un atteggiamento di osservazione
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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sistematica da parte dell’educatore. Quest’ultimo propone attività e compiti, e introduce variazioni
nei contenuti e nei giochi; ed ogni volta, presta scrupolosamente attenzione ai modi con cui il
bambino reagisce, ai suoi tempi di elaborazione, alle risposte che fornisce alle varie situazioni
didattiche, alle modalità relazionali che esibisce con sicurezza e a quelle che invece ingenerano
disagio e palesano esitazione. Una volta individuate le difficoltà e le incertezze del bambino, è in
quella direzione che l’educatore deve porsi quale guida ravvicinata che offre sostegno.
La cosa fondamentale è che l’intervento dell’educatore si configuri sempre quale proposta,
evitando sia la mortificante prescrittività, sia l’inutile lasciar fare. Nei casi in cui perciò il bambino
già manifesta buoni livelli di iniziativa ed esibisce capacità di produrre e di generare intenzioni, è
sufficiente che l’educatore intervenga per disciplinare, orientare, promuovere l’efficacia del gesto e
la produttività dell’impegno; nei casi in cui invece l’iniziativa da parte del bambino manca o è
richiesta una maggiore iniziativa da parte dell’adulto, è importante che ogni sollecitazione sia
discreta e rispettosa, e che miri ad essere attraente per il bambino e vicina ai suoi effettivi bisogni di
crescita, in maniera tale che egli possa trovare gusto, piacere ed efficacia personale nella
realizzazione del compito affidatogli. Si può in questi casi fare ricorso all’imitazione dell’adulto:
impegnarsi cioè in attività che risultino accattivanti e piacevoli agli occhi del bambino e che
sollecitino il suo desiderio di imitazione. Si può anche promuovere l’iniziativa del bambino
dimostrandogli apprezzamento per quei suoi comportamenti orientati a prendersi cura della scuola,
dell’arredo, dei materiali didattici, dei compagni, ecc. Un altro modo, infine, per attrarre e motivare
il bambino può essere quello di richiedergli prestazioni produttive, ossia impegnarlo in qualcosa
che egli compia con risultati di immediata ed evidente utilità.
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3 La continuità adattiva
Strettamente connesso al criterio dell’intervento positivo è il criterio della continuità
adattiva.
Di continuità si è ampiamente discusso negli anni Ottanta del Novecento e si è distinto tra
una continuità verticale ed una continuità orizzontale. La prima sta ad indicare la ricerca di nessi e
di collegamenti che rendano più agevole il passaggio del bambino da un grado di scuola ad un altro,
tra scuola dell’infanzia e scuola primaria ad esempio, o tra scuola primaria e scuola secondaria, e
via di seguito. La continuità orizzontale invece è riferita alla creazione di un sistema di intese, di
collaborazioni, di accordi che renda coerente ed efficace la proposta educativa messa in atto dalle
varie agenzie incaricate dell’educazione del bambino, scuola e famiglia principalmente, ma anche
associazionismo, enti locali, ecc.
In questa sede, la continuità, intesa quale criterio metodologico, è chiamata in causa in
relazione al procedere dello sviluppo del bambino ed in rapporto alle strategie didattiche più
appropriate a favorire e ad assecondare tale sviluppo.
Va detto infatti che la crescita del bambino manifesta ininterrottamente e progressivamente
una serie di novità derivanti dai mutamenti che intervengono nelle strutture del soggetto; in forza di
questi mutamenti il bambino conquista ogni giorno nuove abilità e competenze che vanno a
modificare le modalità relazionali del rapporto Io-Mondo.
Le novità che si succedono sorprendono l’adulto, ma sorprendono soprattutto il bambino che
si stupisce e qualche volta si intimorisce per le nuove possibilità che gli sono dischiuse dal suo
sviluppo. Nonostante ogni bambino manifesti desiderio di crescere e di diventare grande, va
considerato che tale desiderio è legato al principio di piacere, ossia ad un tentativo di evasione e di
disimpegno. Nel momento in cui invece subentra il confronto con il principio di realtà, emergono le
difficoltà e i costi della crescita, ed il bambino in questi casi tenta di sottrarsi agli oneri richiamando
la propria incapacità ad effettuare il compito, in ragione della sua tenera età, e richiedendo l’aiuto
dell’adulto.
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È in questi momenti che il criterio della continuità adattiva richiama l’esigenza di articolare
la proposta didattica in maniera tale da favorire il possesso delle nuove strutture da parte del
bambino e la sua percezione di permanenza dell’identità.
Alla base di questo criterio c’è dunque una duplice esigenza:
-
rinforzare gli aspetti di permanenza (e quindi di continuità),
-
esercitare e valorizzare gli aspetti di novità (e quindi di discontinuità).
Sostanzialmente vanno evitati due rischi:
1.
Il primo è quello di mantenere immutate le occasioni di rapporto del bambino con il
mondo e con le cose, sia nei contenuti che nelle modalità relazionali. In questo modo, si
mortificherebbe lo sviluppo e si impedirebbe la crescita.
2.
Il secondo è quello offrire una proposta sempre nuova, non soltanto nei contenuti, ma
anche nelle modalità procedurali che richiedono un diverso tipo di coinvolgimento da parte del
bambino. Si realizzerebbe in questo modo una cesura netta, una frattura con il passato che
richiederebbe al bambino uno sforzo di adattamento eccessivo, generando disagio e difficoltà.
Va evitata pertanto tanto la monotonia delle proposte, quanto la loro repentina e frequente
variazione.
La scelta dell’educatore deve di conseguenza ricadere su quelle modalità didattiche e
relazionali che consentano di riproporre schemi già consolidati, di riesplorare il già noto, e
contemporaneamente di esercitare gli schemi ancora incerti e proiettarsi verso ciò che va ancora
acquisito e padroneggiato.
Un modo concreto per fare questo è ad esempio quello di far lavorare un bambino più
grande assieme ad un bambino più piccolo in maniera tale che, nel mentre viene ricapitolata
l’esperienza già acquisita, essa viene contemporaneamente allargata verso l’esercizio di nuove
competenze, quali possono essere il prendersi cura dell’altro, il coordinamento delle iniziative
proprie ed altrui, ecc.
Valide opportunità per realizzare la continuità adattiva sono parimenti offerte dal gioco. Va
anzitutto qui fatta una distinzione tra le diverse modalità di gioco possibile. C’è il gioco di
esercizio, il gioco simbolico, il gioco con regole. Ciascuna di queste modalità si caratterizza per una
differente relazione che il bambino instaura con le cose, con se stesso, con gli altri.
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Nel gioco di esercizio, ad essere coinvolte sono prevalentemente le strutture della
coordinazione motoria e percettiva; successivamente può trovare posto anche l’esercizio di strutture
cognitive, sia di tipo intuitivo che logico. Il bambino trova perlopiù gusto nella ripetizione e
nell’imitazione e il suo scopo è quello di verificare la padronanza di un’abilità.
Il gioco simbolico si rende possibile nel momento in cui il bambino passa dal piano della
percezione e della rappresentazione mentale, a quello delle immagini interiori, attraverso le quali il
dato percettivo si carica di valenze simboliche connesse al vissuto personale. In questo caso si
palesa il tentativo del bambino di eludere la realtà, di mistificarla, di alterarla. Più che la dimensione
cognitiva è in questo caso coinvolta la dimensione affettiva ed emergono aspetti inespressi del
mondo interiore a scapito dell’aggancio alla realtà. Nel gioco simbolico vi è una dominanza del
significato sul dato: è così che la sedia diviene una carrozza, un aeroplano, o ancora un cavallo
alato.
Il gioco con regole, anche detto gioco sociale, assume spesso la forma del gioco di gruppo o
di squadra ed è fondamentalmente un esercizio di accordo operativo in vista del raggiungimento di
uno scopo comune che richiede condivisione dei motivi, partecipazione, appartenenza. Nel gioco
con regole convergono i due aspetti visti sopra: l’esercizio di abilità e il significato simbolico.
Mondo dato e mondo vissuto si incontrano e attraverso il rapporto con gli altri si persegue la
creazione di un equilibrio tra il farsi altri e il restare se stessi.
Tornando ora al criterio della continuità adattiva, ci si può chiedere: come le diverse
modalità ludiche possono essere impiegate ai fini dell’applicazione di questo criterio?
Si dirà qui che le diverse forme di gioco appena viste (il gioco di esercizio, il gioco
simbolico, il gioco con regole) possono essere alternate e intervallate l’un l’altra per consentire al
bambino non soltanto di acquisire flessibilità, ma anche di recuperare e rinforzare l’esperienza già
acquisita affinché possa essere di stimolo e di vantaggio per ulteriori conquiste adattive. Esercizio
di un’abilità, elaborazione simbolica, collaborazione con i pari saranno allora altrettante
competenze che il bambino potrà acquisire secondo modalità prive di fratture e di discontinuità.
Con il criterio della continuità adattiva, l’educatore si pone ancora una volta quale guida
ravvicinata che offre al bambino quell’aiuto e quel sostegno necessari alla conquista di sé ed al
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rinforzo dei propri guadagni evolutivi, perché possa crescere ed esprimersi nella pienezza della
propria autonomia e nell’originalità del proprio universo personale.
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