educazione e integralità dello sviluppo

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LEZIONE
“EDUCAZIONE E INTEGRALITÀ DELLO SVILUPPO”
PROF.SSA BARBARA DE CANALE
Università Telematica Pegaso
Educazione e integralità dello sviluppo
Indice
1
Inefficacia degli approcci programmati ................................................................................... 3
2
Per uno sviluppo integrale ......................................................................................................... 6
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Educazione e integralità dello sviluppo
1 Inefficacia degli approcci programmati
Coloro che sono investiti del compito di pianificare gli interventi educativi rivolti
all’infanzia nei Paesi in via di sviluppo sono oggi combattuti tra l’opportunità di scegliere un
approccio olistico allo sviluppo del bambino e la presunta necessità 1 di rimediare a situazioni di
svantaggio, impiegando un approccio programmato.
I sostenitori di un approccio che si concentri sugli obiettivi di preparazione scolastica
relegando in una posizione secondaria gli altri obiettivi educativi2, portano, a sostegno della loro
tesi, una serie di affermazioni tutte ugualmente discutibili:
1. Prestando attenzione ad uno sviluppo integrale del bambino non si tiene in
considerazione il suo futuro:
“La minaccia del fallimento scolastico che incombe sugli svantaggiati è tanto grave che qualora non la
si affronti, qualsiasi altra cosa che una scuola materna possa compiere rischia di essere spazzata via, compreso il
benessere emotivo, l’adattamento sociale, gli interessi e l’atteggiamento positivo nei confronti della scuola ”
3
.
Si può controbattere rovesciando le stesse argomentazioni degli autori: anche una scuola
dell’infanzia che non presti attenzione al benessere emotivo, all’adattamento sociale, agli interessi e
all’atteggiamento positivo nei confronti della scuola, “addestra” degli allievi su cui inevitabilmente
incombe la minaccia del fallimento scolastico.
Il problema risiede, forse, nel non aver adeguatamente colto le cause del fallimento
scolastico: per gli autori, tali cause risiedono unicamente nella mancanza di nozioni e di conoscenze
specifiche? O non sono piuttosto l’atteggiamento che il bambino manifesta nei confronti della
scuola, la motivazione che lo spinge a frequentarla, il grado di significatività di ciò che apprende, il
livello di benessere esperito nel contesto scolastico, a decidere del suo futuro in classe?
2. Le esperienze importanti per uno sviluppo integrale del bambino possono essere vissute
al di fuori del contesto scolastico:
1
Qui si adopera intenzionalmente l’espressione “presunta necessità” in quanto, come si cercherà di dimostrare nei
paragrafi 4 e 5, il problema avvertito dai pianificatori, è semplicemente mal posto. Per i bambini dei Paesi in via di
sviluppo non si può propriamente parlare di una situazione di svantaggio o di deprivazione culturale: essi non mancano
di una cultura, hanno semplicemente una cultura differente. È proprio tale cultura a non essere spesso riconosciuta e
valorizzata dai pianificatori ed in tale “cecità” risiede la causa del fallimento di molti degli interventi proposti il cui
risultato è sovente uno sradicamento del bambino dal suo contesto di vita.
2
Cfr.: C. BEREITER, S. ENGELMANN, Scuola per l’infanzia e svantaggio culturale: una proposta didattica per
l’educazione preelementare, tr. It. Franco Angeli, Milano 1973.
3
Ibidem, p. 25.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Educazione e integralità dello sviluppo
“I bambini hanno bisogno di esercizio fisico, di interazione sociale con i coetanei, e di opportunità per il
libero gioco. Ma se i bambini trovano abbondanza di tutto ciò fuori dalla scuola, è possibile che il programma
educativo che contribuisca di più alla completezza dello sviluppo del bambino, sia proprio quello che non
comprende nessuno di questi aspetti”4.
È in tal modo dichiarata una separazione tra la scuola e la vita. È, inoltre, misconosciuta la
specificità della scuola dell’infanzia che non può ridursi ad una scolarizzazione precoce. È
implicitamente banalizzata la valenza educativa del gioco, dell’esercizio fisico, della relazione tra
pari, tutte attività tutt’altro che banali, a maggior ragione in età prescolare.
3. Tutto dipende dalla capacità dell’insegnante e non dalle attività svolte:
“Nelle mani di un insegnante capace, si possono promuovere gli atteggiamenti positivi e l’adattamento
emotivo altrettanto prontamente mediante attività che siano rivolte a precisi fini di apprendimento che mediante
attività che altrimenti sono solo divertimenti”5.
È qui nuovamente negata la valenza educativa delle attività spontanee del bambino definite
quali “solo divertimenti”. Si continua tra l’altro a non riconoscere la specificità dell’educazione
prescolare.
4. La scuola fornisce al bambino le tecniche perché egli possa completare il suo sviluppo:
“Il ruolo dell’educatore non è di rendere completo il bambino distribuendo le sue esperienze su vasto
raggio, bensì di insegnare al bambino quelle specifiche tecniche che gli permetteranno di completarsi in modo
armonico”
6
.
In questo caso l’espressione “tecniche” è particolarmente infelice: fa pensare ad una
travisamento dell’educazione dell’infanzia intesa quale forma di addestramento.
5. Tutto ciò che è al di fuori dell’apprendimento inteso in senso rigorosamente scolastico,
esula dai compiti dell’insegnante:
“L’insegnante che cerca di rispondere a tutte le esigenze del bambino finirà inevitabilmente al di là del
campo della sua esperienza, nei campi della sociologia, della psicoterapia e addirittura della medicina”7.
È forse vero che talvolta ci si aspetta troppo dall’insegnante e dalla scuola dell’infanzia,
ciononostante uno dei principi alla base della pedagogia dell’infanzia è proprio il principio della
integralità che richiama sia la compresenza di tutto il bambino nel processo educativo (con tutto ciò
4
Ibidem, p. 25.
Ibidem, p. 25.
6
Ibidem, pp. 25-26.
7
Ibidem, p. 26.
5
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che porta con sé in termini di conoscenza, di volontà, di moralità, ecc.), sia il compito di riferirsi a
tutte le manifestazioni del suo potenziale8.
8
Cfr.: N. PAPARELLA, Pedagogia dell’infanzia, Armando, Roma 2005.
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2 Per uno sviluppo integrale
Dall’argomentazione condotta, si può comprendere come ogni tentativo di pianificazione
dell’educazione dell’infanzia, per avere efficacia, debba proporsi di promuovere uno sviluppo
olistico del bambino.
I programmi educativi che cercano di intervenire su cause isolate sembrano destinati
all’insuccesso in quanto ignorano le interconnessioni e le influenze reciproche esistenti tra i bisogni
manifestati dal bambino.
Va ribadito, inoltre, che sono il percorso ed il processo di apprendimento a stimolare la
volontà di apprendere, non la semplice ingestione di nozioni. L’apprendimento attraverso l’azione e
la curiosità sembrano essere i principali motori che stimolano i bambini. Apprendimenti nozionistici
sono pregiudizievoli allo sviluppo del bambino ed alla sua capacità di trarre insegnamenti
dall’esperienza quotidiana.
Numerosi studi comparativi hanno dimostrato la superiorità, in termini di efficacia sul lungo
periodo, di approcci (aperti o centrati sul bambino) che favoriscano l’iniziativa dei piccoli allievi e
che tengano conto delle interconnessioni esistenti tra le molteplici dimensioni dello sviluppo
infantile.
Relativamente alle performances scolastiche, coloro che hanno ricevuto un insegnamento
prescolare programmato, registrano nell’immediato e sul breve periodo un miglioramento delle loro
prestazioni ed un apparente innalzamento del QI; tali effetti, tuttavia, spariscono con il passare degli
anni. In tale gruppo si riscontra un tasso di dispersione scolastica più elevato e un più debole tasso
di ottenimento del diploma rispetto ai bambini che hanno ricevuto un insegnamento prescolare
secondo un approccio aperto o centrato sul bambino.
Per quanto concerne la situazione familiare, i bambini che hanno seguito approcci
programmati vivono ancora nella famiglia di origine all’età di ventitre anni in numero maggiore
rispetto ai loro coetanei degli altri due gruppi.
Considerato, infine, l’inserimento sociale, nel gruppo proveniente da modelli di istruzione
programmata, si registrano almeno il doppio di casi di arresto nel corso della vita ed un maggior
numero di sospensioni dal contesto professionale9.
9
Cfr.: L. J. SCHWEINHART, D. P. WEIKART, Lasting differences: the High/Scope Pre-school Curriculum Comparison
study through age 23, Monographies de la High/Scope Educational Research Foundation, 12, High/Scope Press,
Ypsilanti (MI) 1997; D. P. WEIKART, L’education de la petite enfance: l’offre et la demande, UNESCO, Parigi 2000.
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Da tali studi, dunque, emerge come approcci aperti o centrati sul bambino impieghino
metodi educativi più propizi allo sviluppo delle capacità decisionali e della socializzazione dei
bambini, qualità indispensabili per condurre una vita adulta responsabile.
Perché un apprendimento possa essere significativo e durevole, il contesto di educazione del
bambino deve essere concepito in maniera tale da assicurare l’interazione tra il dominio cognitivo e
i domini relazionale ed emotivo; l’apprendimento del bambino, in altri termini, ha un radicamento
sociale ed affettivo.
Da ciò consegue l’esigenza di un’apertura della scuola dell’infanzia al contesto di vita del
bambino alla ricerca di una collaborazione con le famiglie e con la comunità, e di una continuità tra
apprendimenti formali ed apprendimenti informali.
Victor Garcia Hoz ha messo in evidenza come la società esplichi un’azione educatrice:
-
condizionando lo sviluppo psicologico e sociale del bambino;
-
fornendo obiettivi educativi che la scuola deve tenere in considerazione;
-
offrendo strumenti, spazi e risorse umane che possono essere di ausilio per le attività
scolastiche.
La scuola, a sua volta, influenza la società sia attraverso l’azione diretta esercitata sui suoi
allievi, sia attraverso la “propagazione” dei suoi saperi, che, per il tramite dei suoi allievi,
raggiungono dapprincipio la famiglia e poi i membri di una comunità10.
Le argomentazioni condotte danno rilievo al fatto che l’educazione prescolare può
rappresentare una grande opportunità per tutti i bambini a patto che si riconosca la necessità di
prendere in considerazione e di valorizzare la cultura di cui il bambino è portatore e l’esigenza di
assicurare una continuità tra l’educazione formale che il bambino riceve a scuola e l’educazione
informale che riceve nei suoi contesti di vita.
I sistemi di credenze, variabili a seconda del contesto culturale di appartenenza, portano a
concettualizzare l’idea di bambino in modo differente, come inducono parallelamente i genitori ad
adottare determinati comportamenti nei confronti dei loro figli, in relazione al significato culturale
attribuito alle loro caratteristiche di personalità e in vista del perseguimento degli obiettivi evolutivi
ritenuti auspicabili.
10
Cfr.: V. GARCIA HOZ, Educazione personalizzata, tr. It. Le Monnier, Firenze 1981.
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Il bambino giunge a scuola con caratteristiche e livelli di sviluppo che rappresentano già il
prodotto di tutto questo retroterra culturale e che richiedono orientamenti e pratiche in continuità ed
in armonia con esso.
La scuola dell’infanzia, infatti, non dovrebbe rappresentare per il bambino un viaggio
interplanetario, ma dovrebbe permettergli di restare ancorato al suo sfondo culturale, al suo contesto
sociale di riferimento, dovrebbe gettare le basi per la formazione di un uomo armoniosamente
integrato con il suo ambiente e parimenti proteso al confronto con l’altro e con la diversità.
Il processo di universalizzazione11 è complementare rispetto al processo primario di
identificazione. Il radicamento del bambino nella sua comunità dovrebbe svolgere un ruolo di
mediazione in ordine alla collocazione nell’universale.
La continuità tra educazione formale ed educazione informale è, a maggior ragione,
rilevante nella scuola dell’infanzia, in quanto in essa, a differenza degli altri livelli di istruzione,
l’attività didattica accorda grande importanza alle routines della vita quotidiana, alla dimensione
relazionale, all’integrazione in una società data, alla padronanza di una lingua parlata specifica, tutti
aspetti profondamente legati al contesto di appartenenza12.
Nelle lezioni che seguiranno, verranno passati in rassegna tutti quegli orientamenti teorici
che hanno messo in evidenza la natura culturale dello sviluppo umano, sottolineando lo stretto ed
inscindibile legame tra il bambino ed il suo contesto di vita e l’azione esercitata dalla cultura nel
modellare le caratteristiche psicologiche e comportamentali del bambino.
Ci si avvarrà anche dei risultati degli studi di psicologia culturale e transculturale per
evidenziare come lo sviluppo del bambino abbia differenti esiti in relazione alla diversità delle
culture e come tale diversità agisca soprattutto per il tramite delle pratiche di allevamento e di cura
messe in atto dai genitori sulla base delle credenze, culturalmente veicolate, relative alla nascita,
allo sviluppo, all’educazione del bambino.
11
La scuola, considerata come “sistema formativo formale” istituzionalmente connesso con la comunità di appartenenza
o di riferimento, è chiamata ad assolvere a due funzioni fondamentali […] Essa deve assicurare progettualmente e
operativamente la realizzazione massimale della persona, in collaborazione con altre istituzioni educative, tramite la
funzione di identificazione (di promozione dell’identità etnica, linguistica, culturale e religiosa della persona e della
comunità) e la funzione di universalizzazione (di espansione della persona sull’asse “comunità- società”). Cfr. G. DALLE
FRATTE, Studio per una teoria pedagogica della comunità, Armando, Roma 1991, p. 69.
12
Cfr. G. BROUGERE, S. RAYNA, Culture et innovation dans l’éducation préscolaire, in G. BROUGERE, S. RAYNA, (a
cura di), Culture, enfance et éducation préscolaire, UNESCO, Parigi 1999.
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