La creazione e l`opera: Il caos strutturato di Paul Klee
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La creazione e l`opera: Il caos strutturato di Paul Klee
La creazione e l’opera: Il caos strutturato di Paul Klee Artista che espresse la sua inquietudine esistenziale e creativa attraverso la musica, le parole e soprattutto la pittura, già nelle sue prime poesie, scritte alla fine dell’Ottocento, appena ventenne, Paul Klee parlava con dura malinconia e risoluto ardimento del dolore intrinseco e necessario al processo immaginativo che avrebbe dovuto portarlo a ricercare le forme della sua genesi personale. “Io somiglio al dirupo/ dove la resina cuoce nel sole,/ dove i fiori bruciano”, o ancora “La mia testa brucia da scoppiare.// Uno dei mondi/ che nasconde/ deve nascere.// Ma prima di creare/ devo soffrire”: sono, questi, versi che articolano l’idea fondante del percorso di Klee, marcato dal tormento dell’artista da intendersi, forse, e almeno all’inizio, in senso romantico, plasmatore del suo propio mondo che si mantiene in disparte dalla comunità degli uomini, immerso ineluttabilmente in ciò che a volte gli risulta essere l’inarrivabile abisso creativo, come lui stesso dichiara, ancora nel 1920, nella prima strofa di una sua lirica: “Nell’aldiqua sono inafferrabile./ Abito bene con i morti/ come con i non nati. Sono/ più vicino al cuore della creazione./ Eppure non abbastanza”. Incessante, in Paul Klee, fu il suo indagare del cosmo e il vagare dell’occhio nella percezione delle sue forme e dei suo spazi, parallelamente al suo riconoscimento della vanità dei desideri dell’uomo e di una salvezza vista talvolta come “una grande corda/ o una grande bottiglia di veleno”; irrinunciabili le sue innovative modalità di rappresentazione, non comprese per molti anni – situazione in cui spesso incorrono i geni che mirano oltre il loro tempo – da editori di riviste che rimandavano al mittente i suoi disegni e acqueforti, e da senati accademici, come quello delle Belle Arti di Stoccarda, che senza esitazione alcuna rifiutavano la candidatura alla docenza dell’artista, già quarantenne, in quanto ravvisavano nella sua opera “un carattere giocoso” e la mancanza di un “robusto impegno strutturale, di composizione figurativa”. Klee fu un artista estremamente prolifico, nonostante tutto, nell’elaborazione delle sue pitture a olio, dei suoi disegni e dei suoi studi a matita, nonostante gli intralci della storia, materializzati negli anni Trenta negli organi del regime nazista che nemmeno dopo la sua consacrazione in Europa e oltreoceano lo risparmiarono dalla sua destituzione dall’incarico accademico a Düsseldorf, dal sequestro dei suoi quadri e dalla loro classificazione come “arte degenerata”; e nonostante l’ostruzione del corpo, sopraggiunta con i primi sintomi di sclerodermia nel 1935, che sebbene limitò progressivamente e drammaticamente le sue possibilità fisiche, non piegò la sua volontà né spense la sua ispirazione, che confluì, anzi, nella realizzazione dei capolavori degli ultimi cinque anni che gli restarono da vivere, mosso fino all’ultimo in maniera vitale dalla sua fede nell’arte e dall’idea del valore e della funzione dell’artista quale creatore e veggente, secondo quanto aveva manifestato lo stesso Klee ricorrendo di nuovo al linguaggio poetico: “La creazione vive/ come genesi/ sotto la superficie visibile/ dell’opera.// A ritroso la vedono/ tutti gli intellettuali,// avanti – nel futuro – / solamente gli artisti”. Le riflessioni sulla vita e sul suo lavoro d’artista, che nel corso di oltre quarant’anni Klee elaborò in un corpus teorico di quasi quattromila pagine manoscritte, che con la cospicua raccolta di disegni, schemi, diagrammi, tavole e scale di colore formano la sua “eredità pedagogica”, sono state tra i contenuti principali della mostra “Paul Klee: Maestro de la Bauhaus”, allestita dalla Fundación Juan March di Madrid dal 22 marzo al 30 giugno. Insieme a documenti, studi e fotografie, incentrati negli anni in cui Klee insegnò a Weimar e a Dessau, la nota e attivissima Fondazione madrilena, in collaborazione con il Zentrum Paul Klee di Berna, collezionisti e altre istituzioni pubbliche e private, ha riunito circa centoquaranta opere, tra pitture a olio, acquerelli e disegni, che sono state esposte tematicamente e suddivise in cinque parti: natura, ritmo, colore, movimento e costruzione. L’impostazione della visita scelta dai curatori ha evidenziato con rigore e chiarezza il cammino artistico di Klee, improntato saldamente sui concetti di processo e divenire, tratti da quella natura che contemplava e tentava di comprendere, e ai cui elementi cercava di rifarsi per arrivare alla sua cifra pittorica: “La luce e le forme razionali/ sono in lotta, la luce/ le mette in movimento, piega/ angoli retti,/ curva parallele,/ costringe i cerchi dentro gli intervalli,/ rende l’intervallo attivo.// Da tutto questo l’inesauribile/ diversità”. Questi versi, del 1908, possono essere interpretati come sintesi e anticipazione plastica del vasto spiegamento di opere dei tre decenni a venire, distinte l’una dall’altra, ognuna creazione perfetta nella sua combinazione, singolare, di tonalità e geometrie, pervasa ognuna dalla sottile, impercettibile musicalità che a Paul Klee veniva dal ritmo del movimento degli alberi o dalla sua anima di violinista, e che inevitabilmente trasferiva sulla carta o sulla tela, in modo più o meno manifesto, come per esempio in “Halme”, dove la proliferazione dei segni che fanno riferimento alla crescita delle piante ricordano il linguaggio musicale, già che i fili d’erba, o le spighe, non possono che far pensare alle note sospese in quello spazio che si sottrae all’ordine del pentagramma. “Halme” (“Fili d’erba”), 1938 In altre opere che hanno per soggetto la natura, la leggerezza dei tratti fini e appena accennati degli studi preparatori fluiscono verso piccoli microcosmi domestici in mezzo ai grandi fiori di “Kleine Gartenstadt-Häuser”; le pennellate diluite estendono le dimensioni, fin quasi alla loro esplosione, di fiori tropicali in “Tropische Blüte”, tipo di rappresentazione che si sviluppa parallelamente a quella di una vegetazione geometrizzata che prende corpo nell’olio spesso e uniforme dei colori in “Pflanzen Wachstum”, e dei fiori più stilizzati e improbabili che, nell’acquerello di “Die Stelle der Zwillinge”, contengono al loro interno i feti di due gemelli. La natura, dunque, come modello costante di osservazione, luogo di infinite, sorprendenti possibilità di crescita e trasfigurazione che vanno perfino al di là di quelle immaginifiche dell’artista, e luogo sterminato che si contrappone ai confini dell’inquieto vagare umano, ritratto da Klee nei molteplici segni lineari e circolari di “Grenze einer Wanderung”. Tra la spontaneità biologica della natura e l’impulso creatore sta “l’animale uomo,/ un orologio che pulsa col sangue”, un mediatore che riconosce le due sfere e fa convergere i due spazi, con i loro elementi e costrutti, e che Paul Klee rileva quale imprescindibile compenetrazione, ininterrotta e compiuta, designata da una continua fusione di linguaggio visivo e poetico: “La luna nella stazione:/ una delle molte lampade/ nel bosco: una goccia nella chioma/ del monte: che non cada!”. “Mit der Sinkenden Sonne” (“Con il sole che tramonta”), 1919 E così, sulla carta o sulla tela, al vento, al calare del sole al centro di un paesaggio di case, campi e strade, o ai corsi d’acqua già suggeriti dalle pennellate sinuose, come in “Rosenwind”, “Mit der Sinkenden Sonne” e “Stromfahrt”, Klee sovrappone frecce, segni del movimento che si fanno indice di metamorfosi – un principio ripreso da Goethe e dai Romantici – e della trasposizione grafica dello sguardo fatti visibili e inequivocabili dall’artista, in un flusso permanente tra fuori e dentro raffigurato in maniera efficace in “FeldRhythmen” e in “Werdende Landschaft”, in cui la realtà esterna contiene il moto della percezione dell’artista mai fissata e in divenire costante, e in “Durch ein Fenster”, dove il mondo di fuori ispessito dalla garza giunge all’occhio interiore quale sintesi di forme geometriche e punti reticolati dal telaio della finestra. “Durch ein Fenster (“Da una finestra”), 1932 Paul Klee traccia e riempie volumi geometrici nel tentativo, forse, di dare ordine a un cosmo sfuggente ed enigmatico, pur non ignorando le frammentazioni e interruzioni, sempre in agguato, della geometria, come emerge nella disposizione dei mattoni degli edifici di “Städtebau mit Grünem Kirchturm” che, poggiati sull’aria, sembrano indicare il caos articolato della musica, effetto amplificato in “Schichtungs-Einbruch”, un acquerello in cui la rottura della stratificazione regolare irrompe con inclinazioni oblique nella sicurezza prevedibile della materia strutturata. Ed è proprio l’alterazione dell’assetto geometrico ciò che infonde ai paesaggi di Klee quel ritmo cromatico e compositivo unico, che si fa anche cromatismo sonoro, nell’esecuzione di innumerevoli variazioni architettoniche che si stendono su quelle musicali, come denota l’inchiostro su carta “Architektur aus Variationen”, alla ricerca di un’armonia da conseguire con la gradazione tonale del colore sfumata nella divisione geometrica, quale si evince dai delicati acquerelli “Schwungkräfte” e “Berg und Luft Synthetisch”, e attraverso l’accordo dei colori, densi e luminosi specialmente dopo il soggiorno dell’artista in Tunisia nel 1914, che si costruiscono in una geometria, essenziale, che va da quella del paesaggio della città rappresentato in “Ort in Rot und Blau”, caratterizzato dal dinamismo dei fini tratti rapidi che definiscono le forme tridimensionali delle case, a quella più statica e quasi astratta di “Kirchen”, i cui spessi contorni neri frazionano il piano in blocchi monocolore che si costituiscono in spazio urbano. Nell’opera di Paul Klee, la geometria si fa sintesi primaria e somma Weltanschauung visiva, sia essa quella compatta e compressa della bidimensionalità, a momenti antropomorfa, delle case sovrastate dalla vividezza del cielo blu mediterraneo nello splendido “Marjamshausen”, che quella pura dei piani in movimento delineati con inchiostro e matita negli studi su carta; sia essa quella delle smilze perpendicolari che paiono figure smarrite nella distanza, che vagano nello spazio desolato di “Lote” e richiamano il vuoto esistenziale di certe poesie dell’artista, che quella che dà forma a personaggi considerevolmente stilizzati, quali la donna nei toni del rosso e del marrone di “Goldfisch-Weib” e la figura assemblata in rettangoli e triangoli di “Der Schritt”, e “Gift” (“Veleno”), 1932 quella, infine, che in “Gift” affiora con sembianze senz’altro umane, seppure parzialmente decostruite, dalla scomposizione di quel veleno che talora ricorre nelle sue liriche, in ordinate macchie di bianco, grigio e nero che si compenetrano: attestazioni ulteriori, queste, del tentativo di Paul Klee di ricondurre alla compostezza armonica e al nitore della geometria anche l’uomo, con il suo “fondo del cuore/ segreto” e la sua anima irrequieta e oppressa che a volte invoca l’oblio. Tutti i versi di Paul Klee citati nel testo sono tratti dal libro Poesie (Milano: Abscondita, 2000), a cura di Giorgio Manacorda, traduzione di Ursula Bavaj e Giorgio Manacorda.