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n. 12 febbraio/maggio 2015
Paul Klee e il disegno come traccia della genesi creativa
di Luca Mansueto
Nell’ambito degli studi storiografici, l’affermazione del disegno come arte autonoma –
cronologicamente collocata tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo – ha ricevuto pochi
apporti in quanto la sua pratica è vista, quasi sempre, alla luce dei suoi significati classici,
quale progetto, quale esercizio della mano sulle forme che vivono il reale. Decifrare la
grammatica del disegno, riconoscere la materia vuol dire ripercorrere la genesi creativa
dell’artista, scoprire l’intimità e il carattere di rivelazione del disegno: la sua rapidità
esecutiva, immagine dell’impulso creativo, può svelarci il viaggio del ductus pittorico
attraverso il germe creativo del segno, la sua confessione creatrice (schöpferische
Konfession).
Emerge chiaramente il senso in cui finora si è parlato del disegno, la sua condizione essenziale: la decisa
soggettività dell’artista-disegnatore. Egli rappresenta il suo mondo e la sua visione, le sue esperienze e
l’interpretazione che dà di queste. Non è tenuto a preoccuparsi di niente se non della configurazione
artisticamente valida del vissuto. Per pittura e scultura esiste un obbligo di aderenza alla natura che non può
essere disatteso, per quanto generale e tipizzata sia ogni rappresentazione. Chi disegna non ha questo
obbligo: plasma la natura liberamente, in conformità alle sue esigenze espressive e senza patteggiare in alcun
modo.1
Il disegno è una manifestazione dell’immaginario che, operando sulla superficie di un
foglio di carta, esprime l’essenziale istaurando in essa una relazione con la necessità
dell’artista di manifestarsi attraverso il segno. Il tracciato della linea è anticipatore della
forma, ovvero preannuncia con il suo svolgimento la rappresentazione dell’immagine.
L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile. L’essenza della grafica induce spesso e giustamente
all’astrazione. Nella grafica albergano i fantasmi e le fiabe dell’immaginazione, e nello stesso tempo si
rivelano con grande precisione. Quanto più puro il lavoro grafico, vale a dire quanto maggiore l’importanza
attribuita agli elementi formali sui quali si basa la rappresentazione grafica, tanto più difettosa la
1 disposizione a rappresentare realisticamente gli oggetti visibili.2
Nella prefazione all’edizione italiana della Teoria della forma e della figurazione, Giulio
Carlo Argan nota come gli scritti di Klee abbiano la stessa importanza e significato per
l’arte contemporanea di quelli di Leonardo per l’arte del Rinascimento: l’uno e l’altro sono
coscienti che il processo dell’artista è un modo autonomo e completo di essere nella realtà
e di apprenderla in quanto «non ignorano che esistono altri modi di ricerca, sono pronti a
indagare il carattere, l’andamento proprio del mondo artistico, tenendo però sempre
presente ch’esso deve svilupparsi su tutto l’orizzonte dell’esperienza»3. La sempre più
estesa prassi grafica, a partire dal Quattrocento, porta da una parte alla proliferazione di
tecniche e mutamenti delle stesse, che rispondono alle esigenze dell’artista, e dall’altra alla
formulazione di nuove tipologie di disegno. Non esiste un modo unico di disegnare, né per
una determinata epoca né per una singola personalità artistica, ma nello studio dei disegni
moderni e contemporanei si assiste a una pluralità dei media utilizzati con variazioni
espressive. Una tecnica non si presta a un uso univoco, ma si adatta a combinazioni e
associazioni con altre tecniche e supporti. Gli strumenti per disegnare sono sempre gli
stessi, certamente più perfezionati oggi rispetto alle epoche passate. La sperimentazione
degli antichi maestri, con l’utilizzo di diverse tecniche e materie, porta gli stessi a trovare il
mezzo espressivo più congeniale, un atteggiamento che è in continuità con quanto accade
nel contemporaneo.
Un’opera d’arte possiamo definirla conclusa e compiuta solo se la tecnica utilizzata
coincide creativamente con l’idea genitrice che è nella mente dell’artista, infatti Max
Klinger afferma che il disegno ha possibilità di rappresentazione pari e più estese di quelle
afferenti la pittura e scultura in quanto:
[…] lascia all’immaginazione il compito di colorare l’immagine in bianco e nero; può indugiare nei dettagli e
lasciare così più libero corso all’esercizio dell’immaginazione; riesce a isolare l’oggetto della rappresentazione
in modo così netto che l’immaginazione stessa è indotta a ricostruirne autonomamente e per proprio conto il
contesto di esistenza; può scegliere di attenersi a questa o quella modalità di rappresentazione oppure di
unirle tutte insieme senza che quanto si è eseguito perda per questo valore.4
Un’opera può considerarsi finita solo se la tecnica utilizzata coincide perfettamente all’idea
originaria che ha in mente il disegnatore.
Noi siamo creatori di forme – nota Paul Klee – esercitiamo un’attività pratica, e quindi ci muoveremo, di
preferenza, in un ambito formale senza tuttavia dimenticare che l’inizio formale, o più semplicemente il
2 primo tratto di matita, è preceduto da tutta una preistoria che non è solo l’aspirazione, il desiderio di
esprimersi dell’uomo; non è solo la necessità esteriore di farlo, ma anche una condizione comune a tutti gli
uomini che, or qui o là, un’interiore necessità spinge a manifestarsi, secondo una direzione che vien detta
visione del mondo.5
Ripercorrendo la traccia sopracitata di Argan, si nota come gli scritti di Leonardo e la
teoria della figurazione di Klee insistano sul tentativo di fissare i momenti creativi
dell’opera d’arte in tutte le sue prassi, scritti che non possono separarsi dai disegni che li
accompagnano e che sono vive rappresentazioni visuali del testo teorico. Entrambi gli
artisti procedono nella scrittura in funzione didattica, precetti di insegnamento, l’uno per il
pittore di bottega che «debbe cercare d’essere universale»,6 l’altro per l’attività di
insegnamento al Bauhaus, che prende avvio il 29 ottobre 1920 sotto l’invito di Walter
Gropius. L’insegnamento a Weimar, poi a Dessau, porta Klee a formulare discorsi sulla
teoria dell’arte congiuntamente a disegni di pregnante ricchezza narrativa e figurativa,
elaborando una propria arte pittorica e grafica.
Il disegno inteso da Klee come schöpferische Konfession (confessione creatrice)7 ha le
radici in Leonardo e nei suoi precetti dedicati alla pittura e al disegno propriamente inteso.
Leonardo indica la via al buon pittore nel seguitare la natura, cercando:
[…] la prontitudine de’ sua atti naturali fatti dalli omini improviso e nati da pottente affezzione de’ loro effetti
[…] il pittore debbe prima suefare la mano col ritrarre disegni di mano di bon maestro, e fatta detta
suefazioni col giudizio del suo precettre, debbe poi suefarsi col ritrarre cose di rilievo bone con quelle regole
che di sotto si dirà […] Il bozare delle storie sia pronto, e ‘l membrificare non sia tropo finito; sia contenuto
solamente a’ siti d’esse membra, i quali poi a bell’agio, piacendoti, potrai finire.8
Klee afferma ugualmente che il dialogo con la natura per l’artista sia la condizione
essenziale per la formazione:
«lo studioso, mediante l’esperienza raccolta lungo le diverse vie e da lui convertita in lavoro, ha le carte in
regola per stare al di là del livello raggiunto nel suo dialogo con l’oggetto naturale. L’essersi sviluppato
nell’intuizione e osservazione della natura, lo autorizza, a mano a mano che si protende verso la visione del
mondo, alla libera figurazione di immagini astratte, le quali attingono, trascendendo il voluto e lo
schematico, un nuova naturalezza dell’opera»9.
Tuttavia, quello di Klee non è uno studio della natura inteso nel senso più stretto del
termine, cioè di osservazione e replica della stessa, bensì un dialogo che si percepisce nelle
sue immagini, la natura trova spazio nelle sue opere in tutte le forme: natura organica e
3 inorganica, uomini, piante e animai e oggetti reali. La vita di un’opera d’arte, che è
innanzitutto genesi, può essere narrata come quella di una «misteriosa scintilla, venuta da
chissà dove, la quale, rima di spegnersi, incendia lo spirito dell’uomo, muove la mano
dell’uomo e da questa viene trasmessa, come movimento, alla materia, diviene opera».10
Il suo rispetto per lo studio della natura nasce senza dubbio con l’incontro delle opere di
Cézanne nel 1909 in una mostra a Monaco, occasione che lo spinge, infatti, a scrivere nel
suo diario: «alla Secessione ho visto otto quadri di Cézanne, lui è il mio maestro per
eccellenza, molto più di Van Gogh».11 Questa predilezione la vediamo nei vari splendidi
fogli dipinti con la tecnica degli acquarelli o penna e pennello raffigurando i dintorni delle
città di Berna e Monaco, forme che appaiono affiorare sulla superficie lucida del foglio,
immagini rapide e di tono evanescente, realizzati con acquarelli applicati a pennello su
carta inumidita con acqua a spruzzo [figg. 1-2].12 La sua maturazione artistica ma
soprattutto la sua infanzia sono legate profondamente alla città di Berna, capitale che lo
accoglie durante la sua giovinezza per abbandonarla, temporaneamente, nel 1898 per
Monaco dove termina gli studi d’arte per poi tornarvi nel 1902 per ben quattro anni.
A partire dal 1908 Klee si allontana dal simbolismo e inizia a occuparsi di paesaggi e figure,
non rifiniti nei particolari minuti, ma appena abbozzati e con un grafismo tipico
dell’improvvisazione e dell’epifania della natura. Troviamo, infatti, riscontro nel suo diario:
«Rinfrancato dai miei studi sulla natura, potrò osare entrare di nuovo nella mia zona originaria
dell’improvvisazione psichica. Vincolato qui solo in modo affatto indiretto a impressioni della natura potrò
ritentare poi di dare forma a ciò che appunto grava su mio animo».13
Egli disegna paesaggi dal vero dalla finezza e armonia di tratto indiscutibile, che ricordano
le acqueforti di Corot ammirate a Ginevra. Klee non esegue le forme finali della natura, ma
quelle energie nascoste che da queste forme, da lui definite finali, scaturiscono. Le
immagini di Klee sono evidenti e semplici nella superficie piana, immagini allo stato puro,
ma complesse nella loro struttura non meno di un concetto. La sua pittura, la sua grafica
non rivela nulla di misterioso e nascosto, bensì mostra il processo del pensiero per
immagini. La tecnica di Klee non è mai un mezzo, ma un accrescimento ed emanazione
della vita immaginativa dell’artista accrescendone la vitalità dei sensi. Tutto il testo poetico
di Klee è un inno che scandisce i valori ritmici del tempo, dello spazio e della musica, Klee
legge la pittura e interpreta la natura come un musicista legge lo spartito. Klee è cosciente
dell’equivalenza tra disegno e scrittura, come afferma in una lettera al figlio Felix:
4 «Mio caro Felix, giacché si avvicina il tuo compleanno, le mie dita stimolate da questa ricorrenza riescono a
comporre righe. Io stesso sono sorpreso ed osservo il mio pennino come si immerge, anche se sembra
appartenere ad una penna e come scorre sulla “bella carta”, e con calligrafia del tutto comprensibile e non
con segni segreti abituali».14
Mentre il disegno, con la sua grammatica scritturale, è considerato unica forma di
comunicazione comprensibile, il semplice scrivere diventa un mezzo non usuale. Le linee
del disegno nascono da sole, sono autonome, riempiono la superficie del foglio come la
scrittura riempie le righe con il movimento libero della mano: «io scrivo queste righe
ormai senza controllo, semplicemente con la mano, come se fosse un disegno».15
Gli esordi di Klee si pongono sotto il segno del disegno, della grafica incisoria e
dell’illustrazione. Nei primi tracciati segnici, le acqueforti del 1903-1905 evidenziano
l’inclinazione dell’artista per il teatro, per i soggetti tratti dalla commedia e dalla satira. Le
incisioni mirano alla conoscenza storica dell’epoca, una critica burlesca della società, e tra
gli esemplari più noti possiamo certamente ricordare Zwei Männer, einander in höherer
Stellung vermutend, begegnen sich (Due uomini, l’uno credendo l’altro di rango superiore,
s’incontrano, 1903) [fig. 3].16 In questa figurazione, tra i tanti possibili prototipi di
ispirazione gotica, si possono rintracciare esili figure scheletriche aberranti provenienti
dalle rappresentazioni medievali, tipiche e ricorrenti nelle immagini della danza della
morte. Questa acquaforte, insieme alle altre appartenenti al ciclo Inventionen, va
interpretata con la lettura dei diari di Klee, per questa infatti egli scrive alla moglie Lily
Stumpf il 17 settembre 1903: «la mia acquaforte rappresenta nel modo più primitivo
l’incontro di due uomini, ognuno credendo l’altro in una posizione superiore, vale a dire,
strisciando uno davanti all’altro».17 Rileviamo come tali immagini grafiche delle
Inventionen siano una visione della realtà umana, un simbolo della tragicommedia, della
condizione esistenziale dell’artista di richiamo romantico che è al centro della sua poetica.
Queste immagini portano in sé richiami a Klinger e Kubin con il quale Klee crea una
prolungata amicizia: «dello stesso periodo è la mia amicizia con Paul Klee, col quale
scambiai spesso cartoline disegnate da noi stessi; uomo serio e silenzioso, la cui abilità mi
ispirò sin da allora il più grande rispetto».18
Tanto nelle Inventionen (elaborate tra il 1903 e il 1905), quanto nelle illustrazioni per il
Candido di Voltaire (1910-1912), Klee esplicita l’intenzione di usare il disegno come
strumento di battaglia sul piano formale, in funzione moderna, ma anche sul piano delle
idee, segnando le fasi iniziali dell’approccio all’arte fantastica. Nel 1906 Klee legge il
racconto filosofico di Voltaire, ne rimane suggestionato definendola un’opera d’arte
5 mondiale: «meraviglioso da leggere, uno spirito assolutamente superiore, splendido
linguaggio, semplice e arguto, combinazioni divertenti, massimo spirito! È un romanzo
avventuroso, satirico».19 I disegni a penna su carta, che si conservano presso la Paul Klee
Foundation di Berna, sono realizzati entro il 1912, tuttavia sono pubblicati solo nel 1920
dall’editore Kurt Wolff di Monaco.20 Proprio uno dei disegni viene comprato dallo stesso
Kubin alla fine del 1910. Egli in questi anni è interessato alle illustrazioni, ne realizza per le
opere di Pope (1909-1911), per le fiabe di Hauff (1911) e per i Frammenti notturni di Ernst
Theodor Amadeus Hoffmann (1913).21 Klee, dopo l’esperienza dell’incisione per le Inventionen, è determinato a proseguire
l’abilità di tratto nell’illustrazione del Candido: egli intuisce l’esigenza di mutare la forza
lineare che contiene adesso vibranti impressioni. Nel primo ciclo delle Inventionen la
maggior parte delle tavole sono annerite, nel Candido invece egli sperimenta il segno sul
fondo bianco tale da dar maggior rilevanza luminista all’energia grafica. Il disegno a penna
su carta Chassa Candide du château à grands coups de pied dans le derrière (Come
Candide venne educato in un meraviglioso castello per poi essere cacciato) [fig. 4] raffigura
il momento in cui Candido viene scoperto dal castellano con Conegunda dietro un
paravento e cacciato a pedate mentre la fanciulla cade a terra svenuta. Questo foglio
mostra l’evoluzione del linguaggio di Klee, combina grafismi simili a scarabocchi lineari a
contorni ben disegnati ma minimi, che definiscono le figure e le occasionali scenografie. Le
figure del Candido sono autentiche caricature dei personaggi letterari del racconto di
Voltaire, Klee alterna due tipologie di figuranti: la prima, come marionette legate ai fili,
con pose scattanti e sintetiche, la seconda, con contorni tremolanti e allungati che
conferiscono il senso del movimento elastico e dinamico.
Klee, come Kubin, in questo preciso momento rinuncia ai colori e alle sfumature, entrambi
si attengono esclusivamente al segno corrusco della penna, un medium semplice ma che
offre un’espressività epifanica. Per Klee non esiste una tecnica unica, egli adotta un
medium diverso per ogni singolo caso, egli sperimenta di volta in volta, certamente nel
disegno le varianti sono più limitate rispetto la pittura. Klee è mancino e disegna con la
mano sinistra, a volte con la destra o con entrambe: «quanto più la nostra grafia è rapida e
capace, tanto più sensibili divengono i segni», così esorta i suoi allievi all’esercizio grafico.
Se nei primi anni prevale la matita, dal 1908 in poi la penna diviene il mezzo grafico
privilegiato, incontrando soprattutto gli acquarelli e l’utilizzo del pennello. Siamo lontani
dalla tecnica prediletta del Quattrocento e Cinquecento in cui la penna è immersa
nell’inchiostro e può sviluppare diversi spessori a seconda del taglio della sua punta,
6 mutando anche ai cambiamenti di pressione. Nel 1888 appare l’invenzione della penna a
sfera, conosciuta poi come biro grazie al suo inventore László Bíró, giornalista ungherese
che nel 1938 deposita in Gran Bretagna il brevetto per poi commercializzarla a partire dagli
anni Quaranta. La duttilità della penna consente sollecitazioni espressive varie e differenti
tra loro, la cui peculiarità è l’inchiostro non acido in grado di preservare l’aggressione del
supporto cartaceo, miglioramento tecnico importante se confrontato all’uso precedente
dell’inchiostro metallo-gallico (non stabile chimicamente), di colore bruno-marrone, che,
sbiadendo col tempo per azione della luce, danneggiava chimicamente la carta fino a
sgretolarla in alcune parti.22 L’esecuzione dei disegni per il Candido è per Klee
un’occasione ideale per affinare le proprie abilità grafiche, già espresse in precedenza, oltre
che uno sfogo satirico. Scopre, pertanto, un’affinità con Voltaire e vede in lui un modello
per la satira contro l'ottimismo e la pretesa umana di raggiungere verità assolute in un
mondo dove invece tutto è relativo. L'obiettivo critico è la teoria leibniziana per cui Dio ha
scelto il migliore tra i mondi possibili e ogni male è tale solo per noi. Voltaire respinge tale
teoria positivista mostrandoci la storia di Candido il quale, durante il suo soggiorno nel
castello, il migliore dei castelli possibili, si affida fiduciosamente a tale dottrina, ma non
appena si trova a contatto con la cruda realtà, l'esperienza contraddice immediatamente
l'ottimismo del suo precettore. Anche le disgrazie del protagonista sono simboliche, sulla
sua strada incontra la guerra con tutti i massacri, la catastrofe del terremoto, la
persecuzione dell'Inquisizione, malattie, schiavitù e l'infelicità quotidiana. Klee illustra
dunque tutta una serie di immagini catastrofiche che colpiscono l’umanità e che rendono
vive al lettore del romanzo di Voltaire le vicende narrate in cui è protagonista Candido. Le
figure caricaturali di Klee sono le controparti visive di quelle narrate nel romanzo
filosofico.
Immagini:
1. Paul Klee, Case sul pendio, 1910.
2. Paul Klee, A sud di Monaco, 1912.
3. Paul Klee, Due uomini, l’uno credendo l’altro di rango superiore, s’incontrano,1903.
4. Paul Klee, Come Candide venne educato in un meraviglioso castello per poi essere
cacciato, 1911.
Max Kinger, Pittura e disegno (Malerei und Zeichnung, 1891), Nike, Segrate, 1998, p. 29. Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione (Das bildnerische Denken, 1956), Feltrinelli, Milano,
1984, p. 76.
3 Giulio Carlo Argan, Prefazione all’edizione italiana, in P. Klee, Teoria cit., p. XI.
4 Max Kinger, Pittura e disegno (Malerei und Zeichnung, 1891), Nike, Segrate, 1998, p. 26.
1
2
7 Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione (Das bildnerische Denken, 1956), Feltrinelli, Milano,
1984, pp. 99-100.
6 Paola Barocchi (a cura di), Scritti d’arte del Cinquecento, Einaudi, Torino, 1979, p. 1286.
7 Conosciuto come Schöpferische Konfession, il testo appare per la prima volta nel 1929 in un fascicolo della
rivista “Tribüne der Kunst und Zeit”, curata da Kasimir Edschmid.
8 Paola Barocchi (a cura di), Scritti d’arte del Cinquecento, Einaudi, Torino, 1979, passim.
9 Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione (Das bildnerische Denken, 1956), Feltrinelli, Milano,
1984, p. 67.
10 Ivi, p. 357
11 Felix Klee (a cura di), Pau Klee. Briefe a die Familie 1893-1940, DuMont Schauberg, Köln, p. 492.
12 «Acquarelli bagnato su bagnato su carta spruzzata con acqua. Lavoro rapido, nervoso, con un timbro
particolare, diffuso su tutto. In ugual modo disegni a penna su carta spruzzata con acqua, contorno ingenuo,
macchie tangenziali applicate col pennello, ora esterne ora interne», Wolfgang Kersten (a cura di), Paul Klee.
Tagebücher 1898-1918, Paul-Klee-Stiftung (Kunstmuseum Bern), Stuttgart, p. 881.
13 Ivi, p. 842.
14 Carmine Benincasa (a cura di), Paul Klee, Dedalo, Bari, 1979, p. 45.
15 Ibidem
16 Catalogue raisonné Paul Klee, vol. I, 1883-1912, Paul Klee Stiftung, Kunstmuseum Bern, Bern, 1998, n.
165.
17 Felix Klee (a cura di), Pau Klee. Briefe a die Familie 1893-1940, DuMont Schauberg, Köln, p. 345.
18 Alfred Kubin, Demoni e visioni notturne (Dämonen und Nachtgesichte, 1926 ), Abscondita, Milano, 2004,
pp. 37-38.
19 Felix Klee (a cura di), Pau Klee. Briefe a die Familie 1893-1940, DuMont Schauberg, Köln, p. 571.
20 Isabelle Fontaine, “Paul Klee: six études inédites pour «Candide»”, Revue de l’art, 12, 1971, pp. 86-88;
Christian Geelhaar, “Klee, illustrateur de Candide”, L’oeil, 237, aprile 1975, pp. 22-27.
21 Alfred Kubin, Demoni e visioni notturne (Dämonen und Nachtgesichte, 1926 ), Abscondita, Milano, 2004,
p. 55.
22 Ottenuto dalle noci di galla, quelle escrescenze sferiche e fibrose che si formano sulla corteccia delle querce
attorno alle uova lasciate da insetti, l’estrazione dell’acido tannico e gallico si otteneva con l’immersione delle
noci nell’acqua o vino e poi mescolato con rame o solfato di ferro (in limatura); cfr. Manuale per la
conservazione e il restauro dei disegni e stampe antichi, Olschki, Firenze, 1991, p. 59.
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