di cui è l`enigmatico custode. Protagon

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di cui è l`enigmatico custode. Protagon
Alieno. E per questo più amato da Klee. Creatura simbolo
di una dimensione «altra» di cui è l’enigmatico custode.
Protagonista della vita e dell’opera di un artista tra i
sommi della storia dell’arte, ancora per molti versi sconosciuto, lo vedremo accompagnare la sua grande avventura
esistenziale e artistica trasformandosi nel tempo da benevolo spirito della casa a maestoso dio felino fino all’Angelo Vegliante, custode e signore della Soglia oltre la quale, come
dice Klee, «batte il cuore della Creazione, il Segreto Ultimo
oltre il quale la luce dell’intelletto si spegne miseramente.»
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Capitolo Primo
NUGGI
Nuggi, 1905 (foto di Paul Klee).
È lo spirito famigliare del luogo: giudica,
presidia e ispira ogni cosa nel suo impero.
Charles Baudelaire
Amo i gatti perché amo la mia casa di cui
divengono a poco a poco l’anima visibile.
Jean Cocteau
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Grigio su grigio
«2 maggio 1902. Tornando a casa ho trovato tutto in ordine, buon letto, pasti senza mance, due gatti graziosi, Myz e
Nuggi, grigio su grigio.» Paul Klee è appena giunto da un
viaggio in Italia ricco di esperienze e conclude così la seconda parte di un diario che lo accompagnerà per più di
quindici anni e nel quale segnerà tutti gli avvenimenti più
importanti, compresi quelli che si svolgono dentro di lui.
Quel viaggio, come tutti quelli che verranno in seguito,
lo arricchirà interiormente. Ma si è anche molto divertito,
ha fatto esperienze nuove e interessanti per i suoi ventidue
anni. E ora questo ritorno a casa ha un sapore caldo e dolce che la presenza dei due nuovi gatti sancisce. Non che i
gatti siano una novità, in casa Klee. Basta vedere gli schizzi infantili di Paul, dove ce ne sono tanti, tigrati, in fila indiana, che vanno a spasso o posano con molta pazienza. Si
può dire che i gatti sono stati i suoi primi modelli e infatti se ne vedono di tutti i colori, di fronte e di profilo, neri,
rossi e bianchi.
Fin dalla prima infanzia Paul disegna ininterrottamente
e bisogna sgridarlo per farlo andare a giocare. Il padre, un
rispettabile signore con la barba, maestro di musica all’Accademia Cantonale di Berna-Hoffwill, scuote la testa. «Il
ragazzo perde troppo tempo – brontola – deve dedicarsi di
più alla musica. Lo sa che quella è la sua strada!»
La madre, la fragile Maria Ida Frick, cantante e musicista, che si dice abbia sangue arabo nelle vene, sospira:
«Tutta colpa di nonna Frick con quella bella idea di regalargli i pastelli colorati quando ha compiuto tre anni!».
Quella nonna rappresenterà la mano del destino, nella
vita di Klee. Oltre a regalargli i pastelli, gli racconta anche
tante belle fiabe e lo stimola a illustrarle. Poi ha anche tanti libri bellissimi, pieni di gatti e filastrocche, come quelli illustrati da Epinal. E, ultima cosa ma non meno importante, fa anche dei biscotti molto speciali. Quando morirà,
Paul si sentirà «non più creatore, ma orfano».
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D’altronde, c’è poco da brontolare perché quel ragazzo
è nato artista. Il suo senso estetico è precocissimo se è vero, come racconta, che a tre anni si vergognava moltissimo
di certi mutandoni orlati di rosso, tanto che quando arrivava qualcuno correva subito a nascondersi.
La famiglia si trasferisce a Berna da Münchenbuchsee
quando lui ha un anno. Così, tra i racconti della nonna e le
mille statue d’oro delle piazze di Berna, la sua infanzia si
svolgerà in un’atmosfera da fiaba, in un mondo incantato
che si sovrappone a quello reale, molto importante per la
sua poetica. Ha anche una sorella, Mathilde, di tre anni maggiore. Di lei non si sa molto. È una di quelle creature nate
per vivere all’ombra degli altri. Difatti resterà in casa ad assistere i genitori e sarà sempre devotissima al fratello. Sono
persone utilissime e, forse, felici nel loro autosacrificio.
La famiglia ha sentenziato dunque che Paul sarà musicista. Non si discute. Così, a sette anni, gli sarà messo in
mano un violino. E deve suonarlo anche se controvoglia.
Fin da allora infatti si manifesta in lui quell’aspirazione alla libertà, per la quale rinuncerà a tutto. Ama la musica, ma
non coatta. Dirà infatti: «Prima dell’ultimo biennio del liceo avrei smesso volentieri, ma la volontà dei miei genitori
non me lo permise. Lo sentivo come un martirio. Solo ciò
che era proibito mi rendeva felice. Disegnare e scrivere».
A undici anni, così, fa già parte della Società di Musica
di Berna. Ma non ha trascurato il disegno. Anzi! Appena
può si chiude nella sua cameretta e disegna tutto il giorno,
accovacciato su uno sgabello. Ma a volte quel che esce dalla matita gli fa paura e allora, per sfuggire a quei diavoletti
maligni che lo inseguono, non gli resta che correre tra le
braccia della mamma. Spesso si meraviglia che anche gli altri non li vedano. Lo zio, per esempio, «l’uomo più grasso
della Svizzera», dice che non c’è nulla sui tavoli di marmo
della sua trattoria. Possibile che non si accorga di quelle
facce che fanno orribili smorfie? Eppure è così chiaro! E
ci sono anche tanti buffi animali tra quelle venature verdi.
Gli adulti sono proprio strani.
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Paul non è certo uno scolaro modello. Piuttosto che imparare delle cose noiose è molto più bello far ritratti e caricature ai compagni. In seguito diverrà uno degli uomini
più colti del suo tempo, ma sempre grazie a studi fatti in
piena libertà. Una cosa è certa: a scuola ha disegnato molto. Infatti, alla fine degli studi potrà affiggere sul giornale
della scuola questo annuncio: «Si offre un’abbondante
quantità di Maddalene pentite, Madonne, fanciulli e briganti, tolti dai quaderni di un allievo».
Ora, finiti gli studi, Paul si pone il problema del futuro.
I genitori premono perché si impieghi in qualche orchestra.
La vita è sempre più cara, la mamma è rimasta paralizzata
e ora si deve anche comprare la casa... Possibile che quel figlio che appare così tranquillo e sicuro di sé non sappia ancora cosa fare? Paul si sfoga nel diario: «La musica è per me
come una donna stregata dall’amore. La pittura mi darà la
gloria? Potrò diventare uno scrittore, un lirico moderno?».
Non sa ancora che non sarà la musica a farlo grande ma lo
accompagnerà però sempre come un’amica, una presenza
costante nella vita. E la struttura astratta del discorso musicale sarà uno dei temi formali del suo fare pittura. Paul
Klee sarà sempre solo, perché così ha voluto. Ma la musica
sarà ammessa presso di lui, unica sua confidente.
Ora di questo non sa ancora nulla. Sa solo che ha diciannove anni e non gli è ancora chiaro chi egli sia. È il momento di scoprirlo. «Solo così – dice – riuscirò a trovare la
giusta espressione dell’arte.» Andrà a Monaco per iscriversi al corso di pittura dell’Accademia di Belle Arti. Monaco
e non Parigi, faro di tutti gli artisti. I genitori, già provati
da questa decisione, non tirerebbero fuori un marco per
farlo andare nella «moderna Babilonia». D’altronde anche
a Monaco c’è una grossa tradizione culturale, vi si fa dell’ottima musica e non c’è il problema della lingua.
Arriva il primo scacco. Secondo l’Accademia, lui non sa
disegnare. Meglio che frequenti prima il corso privato di
disegno di Heinrich Knirr e poi si ripresenti. Certo, i disegni di Klee sono già molto particolari. Non vede la realtà
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come gli studenti dell’Accademia. Nei suoi primi disegni di
alberi ad esempio, c’è già un tentativo di organizzare lo
spazio e la loro forma gli sembra quella del corpo umano.
Da quando nonna Frick ha voluto un grande albero di Natale, abeti mitici torneranno sempre nei suoi quadri.
Come sarà poi sempre, Klee rimane indifferente a questi giudizi negativi. Medita invece molto sui problemi dell’arte. Dice: «Il mio disegno non deve riprodurre le apparenze. Basta un fotografo, per questo. Voglio penetrare il modello fino in fondo al suo cuore. Ho scritto parole sulla fronte e sulle labbra. I visi che disegno sono più veri che i veri».
Al corso di Knirr gli piazzano davanti una modella, dicendogli di ritrarla in modo che il ritratto le somigli il più
possibile. Lui domanda: «Perché questo?»; risposta: «Proprio perché è difficile». E Klee: «Ma da principio non se ne
tira fuori nulla»; risposta: «Aspettate un po’ di anni e ne
caverete fuori ancor meno».
Quando il corso finisce lui viene ammesso all’Accademia di Belle Arti di Monaco, nella classe dell’esimio professor Franz von Stuck, una specie di preraffaellita. Tra i suoi
allievi ci sono Franz Marc, August Macke, Henri Matisse
e Vasilij Kandinskij. Ma Klee li incontrerà molti anni dopo perché qui all’Accademia brilla per la sua assenza. Ora
si appassiona alla musica e alla lettura, scrive racconti e
poesie, scopre la tecnica dell’incisione, sotto l’influenza di
Goya, Beardsley, Blake. Senza fretta, inizia la costruzione
di se stesso. Le rare volte che va all’Accademia si parla di
lui come di un fenomeno, perché non solo è mancino ma
scrive e disegna con ambo le mani e riesce a farlo anche simultaneamente. Probabilmente in lui il cervello destro,
preposto all’intuizione, alla creatività, ai rapporti spaziali, non è separato dal sinistro che esalta il pensiero logico,
matematico, analitico e concettuale. Infatti, come Leonardo, Klee sarà musicista, poeta, matematico, naturalista, filosofo, scrittore e pittore. E nella sua pittura l’intuizione
poetica si sposa sempre con rigorosi matematici rapporti
spaziali e formali.
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Questo periodo di Monaco lo vede anche interessarsi
alle nuove teorie di Einstein e alla teoria dei quanti di
Planck, che tanta parte avranno nella sua visione cosmologica. Non a caso il suo amico Franz Marc aveva profetizzato: «L’arte che verrà sarà frutto delle nostre conoscenze scientifiche».
A ventun anni Paul finisce l’Accademia e si prepara a
entrare nel mondo. Si è fatto un uomo molto bello, dal
portamento aggraziato, la figura esile. Ha un viso di tipo
arabo, sensuale e segreto, con occhi nerissimi dallo sguardo pensoso che sembra provenire da un paese lontano. Il
giorno del suo compleanno scrive in quel diario, che è ormai come la sua coscienza: «Ventun anni! Della mia forza
vitale non ho mai dubitato. Ma come andrà con l’arte che
ho scelto? In fondo essere poeta non dovrebbe ostacolare
l’arte figurativa. In me certamente ondeggia un mare perché sono sensibile. È una calamità esserlo perché dovunque imperversa la stessa bufera, e non c’è un Nume che domini il Caos».
Ora sente che è necessario andare in Italia, alle radici
della Civiltà. Klee è anche un erede dei grandi romantici
tedeschi come Goethe, per i quali un viaggio in Italia significava andare alla ricerca di se stessi, poiché non era solo
un luogo geografico ma anche una veduta dello spirito. Oltre a questo, tutti i viaggi che Klee farà porteranno avanti
la sua maturazione come uomo e come artista. L’Italia lo
porrà di fronte alle grandi soluzioni spaziali-strutturali della sua architettura, Parigi segnerà, con Delaunay, la scoperta della metafisica del colore, Tunisi lo confermerà pittore
e infine, con l’Egitto, comprenderà le valenze misteriose
dello Spazio-Tempo. Sarà un’assimilazione lenta che tornerà alla luce in arte anche dopo anni.
Klee si mette d’accordo dunque con lo scultore Hermann Haller, che verrà con lui in Italia e va a Berna a far le
valigie. Là lo attende una lieta sorpresa. Un suo gatto grigio,
al quale era molto affezionato e che era scomparso da sei
mesi, è tornato. «Avrà vissuto certamente di caccia», scrive
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Klee nel diario in tono asciutto. Ma per lui è una notizia
molto importante, tale da essere segnata nel diario!
Il viaggio durerà otto mesi. I due amici toccheranno Milano, Genova, Livorno, Pisa, Roma, Napoli, Firenze. Per
ogni città Klee avrà giudizi illuminanti, assoluti. Di Napoli
dirà: «Ci si esalta dalla gioia, si è librati tra sfere splendenti, divenute il centro del mondo. […] Potrei vivere a Napoli meglio che a Roma, la vita è più stimolante, afferra di
più lo spirito. Ritornare, essere per qualche tempo un napoletano! Pensiero attraente!». Genova al chiaro di luna
gli sembra un sogno che trapassa in un altro. Di Pisa si
chiede come mai quella meraviglia di Duomo sia capitato
in un buco simile. Trova che Roma «afferra più lo spirito
che i sensi». E odia il Barocco. Definisce il Bernini «corvo
di malaugurio». Gli piacciono le scimmie di Villa Borghese. A Firenze è colpito dalla gaiezza toscana. Per lui Leonardo sarà «il sommo della pittura». Davanti agli affreschi
di Pompei dirà: «Io avevo intuito questo modo di trattare
forma e colore. È per me che fu eseguito, per me è tornato alla luce! Mi sento più forte!». L’Acquario di Napoli lo
sconvolge e tornerà spesso nei suoi quadri. Quegli animali
strani, come nati da un incubo, lo incantano.
«Un’angelica bestiola gelatinosa (spirituale nella sua trasparenza) nuotava senza sosta sulla schiena, traendo con sé
una piccola banderuola. Il fantasma di una nave colata a
picco.» Da queste parole si vede che Klee artista è già nato, anche se non lo sa ancora.
Non si creda però che Paul viva solo di arte e filosofia!
Va all’Opera, si diverte, fa all’amore con donne di ogni genere, va a teatro, si entusiasma per la Duse e la Bella Otero, fa insomma un notevole bagaglio di vita. E non dimentica neppure i gatti! Nelle trattorie in cui capita, li rimpinza il più possibile e a Roma, dove rimane più a lungo e vive in una camera ammobiliata, vuole assolutamente avere
un gatto, anche se di passaggio.
C’è un rapido dialogo in un italiano stentato con l’affittacamere e un giorno finalmente il gatto arriva. La convi15
venza è idillica, malgrado un pollo rubato, e Haller che riceve un bel graffio, forse perché preferisce i cani. Ma un
brutto giorno: «2 dicembre 1901. Oggi mi hanno portato
via il gatto, ho dovuto vederlo scomparire in un sacco. Ho
capito, finalmente, quello che mi avevano detto. Me lo avevano dato per qualche tempo in prestito per cacciare i topi. Mi ci ero già affezionato» scrive nel diario un Klee desolato. Mai certamente sarà passato per la testa a quella
brava popolana romana che quello studente voleva un gatto come amico. E forse per i rapporti italo-tedeschi, è meglio. Nessuno le avrebbe impedito di esclamare: «Sti stranieri, ahò! Sò tutti matti, sò!».
Come vedremo, non sarebbe stata la prima volta che a
Klee daranno del matto. Ma in futuro sarà in un contesto
molto più sinistro e drammatico.
Nel giugno del 1902 Paul torna a Berna definitivamente. Ora, si tratta di affrontare la vita. E c’è anche una complicazione in più: l’amore.
Lily
In quel mese di giugno del 1902 ritroviamo Paul seduto al
suo scrittoio e immerso in profonde meditazioni, con accanto Nuggi che lo ha dichiarato di sua proprietà fin dal
suo arrivo.
Infatti, come per Baudelaire, anche per Klee Nuggi rappresenta la casa vista come «accoglienza» a ogni suo ritorno, fisico o mentale. Scrive nel diario: «Car deriva da Charen, lamentarsi. Quando il nostro micio, il nobile, grigio,
spiritello felino ha la sua giornata d’irrequieta loquacità allora, applicata a lui, questa parola ha il senso di sei un piagnucolone!».
Nuggi avrà un quadro tutto suo, Scena di giardino, del
1905. Atmosfera idilliaca, qualcosa di Bonnard, di Vuillard
e di Matisse, anche se Klee non li conosce. Ma il grande
Klee vedrà la luce solo dopo il 1920.
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Sarà anche molto fotografato, Nuggi, insieme agli altri
gatti di Paul e da solo, come si conviene al gatto preferito.
Paul ha la passione della fotografia e si è costruito addirittura un laboratorio dove stampa lui stesso le sue lastre. I
gatti sembra che sappiano che quello è un fotografo d’eccezione, perché stanno tutti in posa con sguardo vivace e
intelligente. E chiunque abbia provato a fotografare un gatto, capirà!
Klee sta scrivendo: «Ciò che conta non è dipingere soggetti prematuri bensì essere uomo, o almeno diventarlo.
L’arte di dominare la vita è la condizione fondamentale di
tutte le manifestazioni interiori, si tratti poi di pittura, architettura, dramma o musica». Anche se la sua pittura è ancora legata alla tradizione, sta maturando un concetto rivoluzionario: «L’oggetto in sé è certo inesistente. È la sensazione dell’oggetto che passa in prima linea». Una piccola
frase dal significato enorme, che apre la strada all’arte moderna e contemporanea. Questa «sensazione» trova conferma anche nelle scoperte della meccanica quantististica,
Paul Klee, Scena in giardino (1905).
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che ci dice che la Massa non esiste, tutto è pura energia, vibrazioni, incapsulate in forme. E sarà quello il fine della ricerca di Klee, come vedremo, rendere visibile ciò che si cela entro il visibile, scoprire il nucleo essenziale. Risolto nel
colore e nella forma.
Come abbiamo detto, ora Paul, per la prima e unica volta nella sua vita, è innamorato. Come può esserlo un tipo
come lui, che fin da ora si sta costruendo quella torre d’avorio che terrà lontani problemi e sentimenti e tutto ciò
che può interferire con la maturazione interiore. Si propone infatti di «conservare una calma assoluta, essere soprattutto me stesso, non un Io occasionale, bensì un Io integrale, puro strumento. Un Io soggetto a convulse alterazioni
pregiudica lo stile e finisce col dover uscire dal proprio ambito in ossequio al convenzionalismo della moda». Così il
suo modo di prepararsi al matrimonio è decisamente molto personale. Scrive nel diario: «Quanto ho di più intimo è
un sacrario chiuso. Non alludo soltanto all’amore [...] ma
a tutti i fronti di battaglia attorno a me, su cui gli assalti del
destino potrebbero in qualche modo aver successo». E ancora: «Ansia di purificazione e di isolare da me l’uomo virile. Nonostante la mia maturità al matrimonio contare
solo su me stesso, prepararmi alla solitudine». «Ho una
profonda avversione a procreare». Si propone quindi «una
vita di meditazione priva di stimoli del sangue bollente,
perché così vorrò» e conclude: «ottenere con il matrimonio la paralisi del desiderio».
Per fortuna la fidanzata non legge il diario, se no ci
avrebbe ripensato!, perché nell’ottobre del 1906, Klee annoterà ironicamente: «Sono un marito perché sono uscito
dalla Porta degli Sposi dell’Ufficio di Stato civile di Berna».
La sposa è Caroline Stumpf, figlia del consigliere sanitario Herr Ludovico Stumpf di Monaco. Ma per Klee sarà
sempre Lily. Ha tre anni più di Paul e si è diplomata in pianoforte. Quando l’aveva incontrata ai tempi in cui lui era
studente a Monaco, aveva compreso subito che quella era
la donna per lui, il porto nella cui sicurezza avrebbe potuto
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lavorare in pace. Difatti, appena la vede scriverà nel diario,
vicino al suo nome, la parola «attendere». E Lily seppe vivere accanto a un genio come quello, diventando la sua ombra, mantenendo la famiglia per quindici anni con le lezioni di pianoforte purché lui fosse libero da ogni costrizione,
rilassandolo alla sera, quando suonavano insieme. E, arrivato il successo, non sfoggiò mai quel protagonismo al quale
le mogli dei grandi uomini ci hanno da tempo abituato.
Ma naturalmente, tutto questo il consigliere sanitario
Stumpf non lo sa e anche se lo sapesse, non gliene importerebbe nulla. Lui vede solo che Klee è un giovane di buona famiglia, questo è vero, ma è anche un perditempo, occupato soltanto a suonare il violino, leggere, e disegnare,
senza aver la minima idea di quel che voglia dire mantenere una famiglia. Qualche volta guadagna suonando saltuariamente nell’orchestra municipale o dando sporadiche lezioni di violino. «A un tipo così, dare la mia Lily? – tuona. – Ma si metta a lavorare e poi ne riparleremo»
Klee lo giudica un perfetto esempio d’imbecillità borghese. Lui, invece, in quel periodo sta scoprendo con entusiasmo Oscar Wilde di cui continua a meditare una frase
che avrà molta importanza per la sua futura visione dell’arte: «Il disegno è un simbolo. Tutta l’arte è a un tempo superficie e simbolo». È anche tutto preso da Les fleurs du
mal di Baudelaire. Lo colpiscono particolarmente Correspondances, una poesia dove la natura è vista come un tempio i cui viventi pilastri ci parlano, se sappiamo intenderne
le parole, e le poesie sui gatti, specie quella in cui il grande
poeta vede nel felino lo spirito della casa. Frequentando tali uomini si può immaginare quanto Klee resti infastidito
dalle sparate di Stumpf. Così taglia corto e gli scrive seccamente: «Stimatissimo signor consigliere sanitario, abbiamo
pensato di renderle nota la nostra decisione perché essa è irrevocabile. Con i migliori saluti. Suo dev.mo Paul Klee».
Ora Klee e Lily devono vedersi di nascosto. Ma lui è sereno, non dubiterà mai del suo genio. Quando la rivista
«Simplizissimus» gli rifiuta i disegni, non si scompone. Con19
sidererà sempre critiche, beffe e perfino insulti come incidenti di percorso. Ora si appassiona molto all’acquaforte. I
suoi bulini e le punte hanno nomi bellissimi: Nerone, Giuda, Rigoletto, Lupus e Roberto il Diavolo. Da quei ferri nascerà uno dei suoi capolavori L’eroe con l’ala, metafora della vita umana sempre sospesa fra tragedia e ridicolo. È un
discorso che Klee riproporrà vent’anni dopo ai suoi allievi
del Bauhaus, in un ciclo di venti lezioni. L’eroe con l’ala è
l’uomo nato in contrasto con gli dei ma che tenta sempre di
superarsi. Dirà Klee: «La conseguenza di questo coesistere
d’impotenza corporea e di mobilità psichica è la dicotomia
dell’essere umano. L’uomo è per metà prigioniero, per metà
alato [...]». Ma anche il suo Wilde aveva detto: «Gli uomini
hanno i piedi nel fango, ma guardano le stelle».1 E Baudelaire ne aveva sviluppato il concetto nella poesia L’albatros.
Tra il 1902 e il 1905 Paul incide dieci acqueforti che
chiama Invenzioni, nelle quali si sente l’influenza di Goya,
di Beardsley, di Blake, di Odilon Redon e in genere di tutta l’arte simbolica e fantastica.
In questo periodo penserà seriamente a una carriera di
illustratore. Lo sarebbe stato, e grandissimo, ma per fortuna editori e riviste respinsero sempre con cieca ottusità i
suoi lavori, in qualche caso suggerendo modifiche che egli
rifiutò sdegnosamente.
Lavora spesso di notte, nella serenità e nella calma. «Privato di me stesso durante il giorno – dice – son quieto di
notte.»
Se c’è la luna «dallo splendore di perla» è una festa. La
luna sarà sempre sua amica, sempre presente nei suoi momenti importanti.
Ma ormai Klee nella casa paterna non ci si ritrova più.
Le lettere tra lui e Lily infittiscono. Perché non sposarsi subito? Andranno a vivere a Monaco, liberi infine dalla tutela dei parenti. Per ora vivranno delle lezioni di Lily. L’importante è essere liberi. E insieme.
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Da Il ventaglio di Lady Windermere.
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