Transfer pricing - Studio Legale Ardoino Brugnolo Panin

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Transfer pricing
transfer pricing caratterizza gli ordinamenti giuridici di vari Stati, che
hanno da tempo introdotto disposizioni dirette a regolamentare la determinazione del valore da
attribuire alle transazioni che intercorrono tra soggetti residenti e soggetti esteri appartenenti al
medesimo gruppo.
Più precisamente, il fenomeno in questione si manifesta quando: a) esistono due o più
imprese residenti in Stati diversi; b) tali imprese sono soggette al medesimo potere decisionale;
c) le stesse effettuano tra di loro una transazione commerciale (cessione di beni o prestazione di
servizi); d) il corrispettivo che viene stabilito non equivale al prezzo che per tale transazione
sarebbe stato determinato in condizioni di libero mercato e il prezzo diviene così - direttamente o
indirettamente - veicolo per il trasferimento di ricchezza da un'impresa all'altra; e) l'ammontare
del reddito effettivamente prodotto da ciascuna impresa è artificiosamente alterato così che è
difficile individuare la misura del reddito prodotto da ogni soggetto in ciascuno degli Stati
interessati.
La disciplina italiana in materia è dettata dall’art. 110, comma 7, del D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917 (T.u.i.r.), il quale dispone che i componenti del reddito di impresa derivanti dalle
suddette operazioni sono valutati secondo il principio del valore normale (“at arm’s length”).
Più precisamente, ai sensi dell’art. 9, comma 3, del T.u.i.r. il prezzo pattuito nelle
operazioni commerciali intercompany deve corrispondere al prezzo che sarebbe stato convenuto
tra imprese indipendenti per transazioni identiche o analoghe sul libero mercato.
In caso di non coincidenza tra il valore normale così definito ed il valore contabilizzato, il
contribuente deve procedere alle necessarie rettifiche fiscali, a pena di responsabilità
amministrativa per dichiarazione infedele ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 471/1997.
La legge regolamenta le modalità con le quali devono essere effettuate tali rettifiche
fiscali, tanto nel caso in cui dall’applicazione del criterio del valore normale alle operazioni
intercompany derivi un aumento del reddito imponibile (variazione in aumento in sede di
dichiarazione dei redditi), quanto nel caso in cui, a seguito dell’applicazione del principio del
valore normale, si ottenga una riduzione del reddito imponibile (variazione in diminuzione).
Dall’esame della giurisprudenza di merito e di legittimità sul punto è emerso, inoltre, che
ricade in capo all’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare la sussistenza dei
presupposti della violazione della normativa in materia di transfer pricing; pertanto, il
contribuente non è tenuto a dimostrare la correttezza dei prezzi di trasferimento applicati, se non
dopo che l’Amministrazione finanziaria abbia provato il mancato rispetto del principio del
“valore normale”.
A tale riguardo, tuttavia, l’art. 26 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78 convertito, con
modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010 n. 122, prevede l’onere per il contribuente di predisporre
la documentazione tesa a supportare la politica dei prezzi di trasferimento adottata.
In sintesi, il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 29 settembre
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2010 identifica le seguenti tipologie di documentazione sul transfer pricing da predisporre:
 Masterfile, che raccoglie informazioni relative al gruppo multinazionale e alla politica di
fissazione dei prezzi di trasferimento nel suo complesso;
 Documentazione Nazionale, contenente informazioni specifiche riferite alle operazioni
infragruppo che la società intende documentare.
Il contribuente, inoltre, deve comunicare all’Amministrazione finanziaria il possesso di
tale documentazione, se riferita a periodi di imposta successivi a quelli in corso alla data del 31
maggio 2010, direttamente in sede di dichiarazione dei redditi.
Non si tratta di un vero e proprio obbligo bensì di un onere documentale, avente una
duplice finalità: a) consentire al contribuente di fruire di un regime di esonero dalle sanzioni per
la violazione amministrativa di cui all’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 471/1997; b) consentire
all’Amministrazione finanziaria di disporre, in sede di controllo, di un valido supporto
documentale al fine delle verifiche in materia di transfer pricing.
Tutto quanto sin qui esposto si riferisce esclusivamente alle transazioni commerciali
intercompany che coinvolgano società residenti rispettivamente in Italia ed all’estero.
Con riferimento alla problematica del transfer pricing nazionale o interno, si precisa
quanto segue.
Per espressa previsione normativa, nel caso di operazioni commerciali realizzate
nell’ambito di un gruppo di società fiscalmente residenti in Italia, non trova applicazione la
disciplina appena descritta. Tuttavia, il problema della deterrminazione dei prezzi delle
transazioni commerciali intercompany a livello nazionale non può essere trascurato, in quanto
l’Amministrazione finanziaria, fermo restando il limite dell’insindacabilità delle scelte
imprenditoriali, può legittimamente contestare l’inerenza di costi irragionevoli ovvero procedere
alla rideterminazione del reddito di impresa, al fine di sanzionare quelle transazioni che diano
luogo a manovre elusive.
Alla luce di quanto sopra, risulta evidente la delicatezza delle posizioni ricoperte dagli
amministratori e dai sindaci delle società interessate all’applicazione della normativa di cui
sopra, qualora non venissero adottati le misure specificate.
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