Racconto di un viaggio in Asia nei luoghi di produzione del tartufo di

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Racconto di un viaggio in Asia nei luoghi di produzione del tartufo di
NOTIZIE DALL’ESTERO
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Racconto di un viaggio in Asia nei luoghi di
produzione del tartufo di Cina (Tuber indicum)
el n. 55 del secondo trimestre 2006 di “Le Trufficolteur” il Sig. Tristan Knapp,
racconta di un suo viaggio in Cina nella zona di produzione del “Tuber indicum” che riteniamo interessante per i ns. lettori.
N
Tristan Knapp si presenta dichiarando di essere assieme alla moglie un grande
estimatore del Tuber melanosporum, che serve ogni stagione nel suo ristorante,
dice di aver anche una tartufaia coltivata di 150 alberi.
La sua grande passione per il mondo del tartufo lo ha portato a compiere un
viaggio in Cina nelle zone di produzione del tartufo.
Dice che nel suo prossimo viaggio di studio si recherà anche in Australia (Tasmania) per visitare una tartufaia di 210 ettari, dove dicono di aver avuto dei risultati
su querce di soli quattro anni.
RACCONTO DEL VIAGGIO IN CINA:
Io Tristan Knapp, grande innamorato del tartufo nero Melano per l’eternità, mi voglio rendere conto e vedere se il tartufo di Cina, mette in pericolo la mia passione.
Ecco, parto, zaino in spalla, via Pechino, verso Chengdu, la capitale della provincia
di Sechuan, uno dei centri principali dove vegetano i tartufi “Tuber indicum” che
invadono l’Europa.
Io mi sono recato con la mia guida e dei “cavatori” cinesi in luoghi di raccolta
ubicati sulle pendici di montagne sperdute.
In quei luoghi l’indicum produce su monti boscosi, a una tale altitudine che le
pratiche agricole non sono possibili.
L’estrazione del tartufo avviene mediante lo scavo sistematico della tartufaia con
l’ausilio di un piccone, così come noi facciamo per la raccolta delle patate nell’orto.
Figuratevi che se ne trovano a tonnellate.
Ho visto differenti varietà di tartufi neri che io non conosco: certi neri sembrano
somiglianti al ns. caro Melano, certi con un flebile aroma che noi non conosciamo;
alcuni hanno gusto di fungo.
Ho visto coi miei occhi dentro a dei magazzini coperti con lamiere ondulate, delle
quantità enormi di questi tartufi, come fossero patate in attesa di essere impachettate per essere spedite in tutto il mondo per dieci euro al chilo.
Questo è solo il ricavato della provincia visitata, ma immaginate di fare un rapporto
con l’intera regione.
Ponte in stile tibetano
COMMENTO – VIAGGIO IN CINA
Il Sig. Tristan Knapp, ha tutta la nostra solidarietà; ha proprio ragione a preoccuparsi per il suo caro Tuber melanosporum, non è per
nulla facile identificare il Tuber indicum rimescolato fra i tartufi neri
pregiati italiani.
Vediamo se i nostri lettori (veri esperti di tartufo) sono in grado di
farlo.
Dal bellissimo libro “Truffe et Trufficulture” realizzato dai Sigg.ri Olivier, Savignac e Sourzat, noti Dirigenti della FFT, abbiamo ripreso
due fotogrammi dei tartufi suddetti; vediamo se saprete distinguere
qual è il cinese. E’ la foto n. 1 o la foto due?
Avete comunque un 50% di possibilità di azzeccare casualmente,
se avete risposto due siete stati promossi. In seguito pubblicheremo
uno studio approfondito sul tartufo cinese da parte di un valente micologo, allo scopo di riuscire a distinguerne le caratteristiche che lo
diversificano dal Tuber melanosporum.
Tutti i giorni della mia visita in Cina la mia guida mi ha portato in ristoranti che non
servono altro che funghi di tutte le forme, e colori: in insalata, fritti, lessati, grigliati, in
salsa, in umido e bagnati in una fonduta cinese e per finire anche un dessert.
A noi non è passata mai l’idea di mangiarne per la paura di avvelenamenti.
Come dire se gli altri cinesi sembravano apprezzarli, c’erano certi che li mangiava
di buon grado e altri di mal grado.
In questi ristoranti non ho mai visto servire un solo tartufo; la mia guida mi ha spiegato che gli autoctoni non li mangiano perché pare che non li trovino buoni.
A Pechino in un Hotel gestito da francesi, dopo una lunga discussione, lo chef mi ha
mostrato assai fiero dei tartufi del paese che è andato a cercare nel congelatore.
Apparentemente i tartufi per i cinesi non hanno che il valore che gli danno gli
acquirenti stranieri.
Noi ne troviamo dei campioni sui nostri mercati arditamente mescolati al ns. caro
Melanosporum. Questi ne assorbono in tal modo rapidamente l’odore.
Solamente un esame con il microscopio della forma delle spore di questi tartufi
permette di certificare se si tratta di un “Melano”o di un cinese.
Allora, si, il tartufo di Cina è un pericolo per la ristorazione, niente è più pregiudicabile al ns. commercio che una contraffazione senza alcun interesse gastronomico,
ma mette anche nello stesso paniere onesti commercianti e altri troppo avidi di
denaro facile.
Vendere il “cinese”, perché no? Ma al prezzo del “cinese” e con la sua propria
denominazione! Tutto il resto, mescolanze e altro, è uno scandalo.
In breve - 300 tonnellate: è la raccolta annuale della Cina, secondo il Baltimore
Sun del 19 febbraio 2006 dei tartufi venduti a 22 dollari la libbra agli Stati Uniti.
Il principale commerciante M. Yang, indica che la Cina intende rimpiazzare la produzione europea.