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ROMANTICISMO
Storicamente il Romanticismo si configura come un complesso movimento politico, filosofico, artistico e culturale,
diffusosi in Europa tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800.
Assume caratteristiche diverse a seconda dei contesti nazionali in cui si sviluppa, originando diversi orientamenti.
Il Romanticismo è il risultato di una società in crisi, economica e sociale, le cause: industrializzazione e
restaurazione politica.
Le decisioni prese durante il Congresso di Vienna costituirono la fine della diffusione degli ideali di universalità
propri dell’Illuminismo e del Neoclassicismo; i nuovi ideali tendevano alla rivalutazione della storia e delle origini
dei popoli. A livello letterario, emblematico fu il movimento dello Sturm und Drang (“tempesta e impeto”),
sviluppatosi in Germania tra il 1770 e il 1780, che aprì la strada all’ideologia romantica.
Il concetto di popolo, in senso romantico, equivale a quello di Nazione, caratterizzata da lingua, religione, cultura
e tradizioni. Il compito di ogni nazione è rivendicare le proprie origini storiche, così che l’individuo possa compiere
lo stesso processo rispetto alla sua persona.
Da ciò deriva una nuova attenzione verso i sentimenti, gli affetti e le passioni di ogni uomo. Il Romanticismo
predilige il singolo e i fattori ambientali e culturali che lo formano (il passato recente è parte integrante
dell’individuo).
Negli intellettuali romantici traspare l’insoddisfazione rispetto a un presente disorientante e frustrante, che
culmina nel predominio del sentimento soggettivo. Abbandonando la volontà di auto dominarsi, il Romanticismo
cerca rifugio nel proprio passato, allontanando la paura del presente.
Quindi il Romanticismo si pone come moneto di contrapposizione con tutta la cultura illuminista. Il movimento
romantico ricerca le sue radici nel vicino Medioevo con i suoi sentimenti nazionalistici. Abbandonati tutti gli ideali
precedenti, si arriva ad acquisire un profondo senso della relatività e di conoscere e studiare le proprie origini.
In letteratura, i massimi esponenti italiani Manzoni e Leopardi, si predilige il romanzo storico e la poesia dei
sentimenti soggettivi; si riprendono le favole e i componimenti dialettali. Si assiste a un risveglio del sentimento
religioso in tutte le sue componenti, quasi al limite della magia. A livello musicale, i compositori romantici, i più
celebri Beethoven, Schubert, Schumann e Chopin, si orientano verso una musica passionale, evocatrice di
sensazioni estreme, legata agli eventi della natura e venata di una malinconica tristezza. In pittura si preferiscono
rappresentazioni di immediata presa sul pubblico; i soggetti appartengono alle leggende ossianiche (Ossian,
mitico guerriero e vate irlandese di epoca altomedioevale), alle favole locali e alla rappresentazione di una natura
personifica che sa essere dolcissima o spietata madre. Le ambientazioni sono fosche, ricche di simbolismi, magici
e misteriosi. Alla pittura è legato il sentimento del sublime, misterioso e affascinate insieme di sensazioni, posto
all’estremo limite della percezione del bello (perfezione, grazia e armonia, ma anche piacere e dolore). Forte è
anche il concetto di genio che è colui, che con la sensibilità artistica e con i mezzi tecnici, ci consente di accedere
alla vertigine del sublime. Ecco che si afferma l’inutilità dell’esperienza scolastica ai fini creativi, la quale può
servire solo ad apprendere la tecnica. Il genio, caratterizzato da libertà morale ed espressiva, si sente simile a Dio
nel momento della Creazione: genio e sregolatezza. Nella scultura i sentimenti vengono espressi in modo
convulso e passionale.
Passione e turbamento per i romantici sono le principali motivazioni
artistiche.
Thédore Géricault
Géricault nacque a Rouen il 26 settembre 1791. Si trasferì a Parigi dove
studiò al Lycée Impérial, poi fu allievo di Pierre Narcisse Guérin, pittore
neoclassico. Divenuto pittore indipendente nel 1816 si presentò al
concorso del Prix de Rome, ma non ebbe successo. Dopo una serie di
viaggi, intraprese un’indagine pittorica sul mondo della follia, esente da
ogni morbosità e tesa soprattutto a rivelare la dignità di chi è
prigioniero di una malattia mentale e del dolore.
Géricault morì il 26 gennaio 1824.
“Corazziere ferito che abbandona il campo di battaglia”
Théodore Géricault
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1814. Olio su tela, 358x294 cm. Parigi, Museo del Louvre.
L’opera è estremamente realista.
Il dipinto è ispirato all’amore dell’autore per i cavalli e alla sua attenzione ai fatti contemporanei.
Esposto al Salon del 1814, l’opera è connessa alla disfatta napoleonica. La lontananza dal campo di battaglia, la
mancanza di espressione nel viso del soldato ferito e l’attenzione totalmente volta alla perfezione formale (corpo
del soldato e del cavallo), elementi appartenenti al sistema composito neoclassico. Il soggetto non è il ritratto di
un vincitore, ma di un vinto, di un uomo che cerca di salvare la propria vita. Simbolicamente rappresenta la
caduta delle certezze e delle aspirazioni napoleoniche, segnando la fine di un’epoca.
“La zattera della Medusa”
Théodore Géricault
1819. Olio su tela, 491x716 cm. Parigi, Museo del Louvre.
Il soggetto del dipinto è ispirato a un fatto di
cronaca; l’artista piega la perfezione formale
classicista alla nuova sensibilità romantica
preannunciando il Realismo.
Il dipinto mostra pochi sopravvissuti, dei 150
marinai presenti inizialmente, al naufragio della
nave francese Medusa, inabissatasi nei pressi delle
coste africane nel 1816, nel momento in cui gli
uomini avvistano la nave che poi li porterà in salvo.
L’opera vede disposti i personaggi e gli elementi compositivi in una struttura piramidale: gli uomini sono legati fra
loro attraverso le braccia che si toccano e il vertice di tale struttura piramidale è costituito da un uomo di colore
che sventola un drappo rosso e bianco.
I corpi sono modellati in maniera scultorea e sono colpiti da una luce che da loro solidità.
Però in primo piano sono presenti anche dei cadaveri, testimoni della lunga sofferenza patita, ma anche cibo per i
compagni sopravvissuti.
I corpi degli uomini, anche quelli privi di vita, sono perfetti, vigorosi, michelangioleschi e ricchi di particolari.
L’opera è carica di emozioni: un vecchio, che sorregge un cadavere, appare afflitto dalle delusioni e dalla
consapevolezza del suo destino.
Simbolicamente il quadro costituisce una denuncia verso il governo del tempo che non era riuscito a gestire un
fatto drammatico: l’autore per mettere in risalto la drammaticità, evidenziò il momento del soccorrimento.
Per la prima volta un artista usò l’arte per denunciare un fatto sociale e politico; facendo della sua opera un
simbolo della situazione socio-politica della Francia del tempo.
Eugène Delacroix
Nato a Charenton-Saint-Maurice il 25 aprile 1798, Delacroix studiò al Lycée Impérial di Parigi, poi fu allievo di
Guérin.
Ben presto l’artista si allontanò dalla poetica neoclassica divenendo il maggiore dei pittori romantici francesi.
La sua arte è romantica poiché incarna la malinconia, il desiderio di cambiamento, l’avversione per
l’accademismo, il riferimento ai fatti della storia medioevale, l’impetuosità creativa e l’esotismo. I suoi modelli
furono Michelangelo, Tiziano e Rubens.
Delacroix faceva uso di colori terrosi e di pigmenti scuri per modellare le figure, e con uno studio dei fenomeni
della luce e del colore, divenne un colorista.
Si può dire che nella pittura di Delacroix vi sono i presupposti dell’Impressionismo.
Il suo disegno è immediato, nervoso ed espressivo; il disegno è essenziale e il tratto crea effetti chiaroscurali, il
tratteggio obliquo o curvilineo stabilisce i mezzi toni.
L’artista si spense a Parigi il 13 agosto 1863.
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“La barca di Dante”
Eugène Delacroix
1822. Olio su tela, 189x246 cm. Parigi, Museo del Louvre.
L’opera costituisce il debutto di Delacroix al Salon del 1822.
Il soggetto, tragico e pieno di forza, è tratto dal canto VIII-If. Dantesco, dove si narra del passaggio dallo Stige
(palude infernale), nel cui fango sono riversi gli iracondi che si mordono a vicenda. La barca è traghettata dal
demone nocchiero. L’episodio narra che durante la traversata il poeta, Dante, incontra l’anima di Filippo Argenti
che intende rovesciare l’imbarcazione.
Delacroix ha immerso tutti i personaggi in un ambiente tenebroso, caratterizzato dal fuoco e da nuvole di fumo
dai riflessi rossastri.
Ogni corpo è modellato da bagliori di luce, i nudi vigorosi sono trattati con il chiaroscuro, ricordo di quelli
michelangioleschi.
Delacrix ha usato una nuova tecnica i colore: ha posto l’uno di fianco all’altro il rosso, il giallo, il verde e i tocchi di
bianco.
“La Libertà che guida il popolo”
Eugène Delacroix
1830. Olio su tela, 235x260 cm. Parigi, Museo del Louvre.
Accenno storico: nel 1829 il re di Francia Carlo X
insediò un governo clerical-reazionario. Tale governo,
dopo la vittoria dell’opposizione all’elezioni, sciolse il
parlamento, sospese la libertà di stampa, modificò il
sistema elettorale e indisse nuove elezioni.
Dal 27 al 29 luglio 1830 il popolo parigino insorse: le
“tre gloriose giornate”.
È il primo quadro politico della pittura moderna; la
volontà dell’artista era quella di rappresentare nella
propria pittura la storia contemporanea, senza ricorrere alle metafore del passato.
Fu esposta nel Salon l’anno seguente all’anno di realizzazione, ampiamente criticata, per ricordare ed esaltare la
lotta per la libertà del popolo parigino. L’autore fu rimproverato per l’eccessivo realismo della figura nuda, egli
descrive anche la peluria sotto l’ascella della figura principale.
Chiari sono i riferimenti formale a “La zattera della Medusa” di Géricault, in particolare nella struttura piramidale,
nella disposizione in primo piano dei due uomini riversi
e del macabro particolare realistico del calzino sfilato
dall’uomo morto a sinistra. Nell’opera di Delacroix per
si presenta una massa indistinta del popolo.
L’autore ha unito le varie classi sociali nella lotta
comune, sono presenti: il popolano, il militare e il
borghese (l’uomo con il cilindro su capo è
probabilmente un autoritratto di Delacroix).
Realistici sono gli elementi scenografici quali: il fumo
degli incendi e degli spari e la polvere sollevata dal
moto frenetico degli insorti.
L’ambientazione è evidente, si notano a destra sullo
sfondo le torri gemelle della cattedrale di Notre-Dame.
Sulle barricate spicca una donna con il berretto frigio e
a seno scoperto, la Libertà, che stringe nella mano
destra il tricolore e con la sinistra impugna un fucile
esaltando il popolo alla rivolta. Essa sembra procedere verso l’osservatore seguita dalla massa rivoltosa degli
insorti. Probabile è che Delacroix per questo personaggio si sia ispirato alla Venere di Milo. Lo scopo dell’artista è
il tentativo di proporre un nudo femminile in abiti contemporanei.
I colori scuri sono vivacizzati da quelli brillanti della bandiera francese, i quali si ripetono negli abiti della figura ai
piedi della Libertà.
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Francesco Hayez
Nato a Venezia il 10 febbraio 1791; Hayez fece i suoi primi studi nella città
natale, per poi vincere il Premio Roma, messo al bando dall’Accademia di Belle
Arti di Venezia (il concorso richiedeva capacità e preparazione culturale e
artistica di taglio neoclassico), che lo portarono a Roma dove studiò Raffaello ,
Michelangelo e Leonardo, senza però mai abbandonare gli altri artisti italiani.
Artisticamente parlando fu discepolo del neoclassico Antonio Canova.
Dal punto di vista ideologico e politico aderì alla politica di Mazzini e alle
ideologie rinascimentali (la maggior parte delle sue opere mette in luce la sua
vena politica, ma anche la crisi ideologica che in prima perso attraversò).
In seguito si trasferì definitivamente a Milano dove entrò in contatto con l’alta
borghesia liberale, con la nobiltà e con i circoli pittorici della città.
Dal 1850 fu professore di pittura presso l’Accademia di Brera.
Si spense a Milano il 21 dicembre 1882.
Francesco Hayez fu il più grande dei pittori di storia, che operò nel periodo in
cui la pittura storica divenne un mezzo di diffusione della comune coscienza di
Nazione nell’animo degli italiani, facendo leva sul glorioso passato.
Impegnatosi nella rappresentazione del vero, l’autore, fece protagonisti della sua produzione: la realtà, la società
e i sentimenti. I suoi dipinti sono caratterizzati dal bello così che mai la realtà è interpretata in maniera cruda.
L’opera è rivolta a tutto il popolo e ha una funzione educativa.
“Atleta trionfante”
Francesco Hayez
1813. Olio su tela, 225x152 cm. Roma, Accademia di San Luca.
Il dipinto realizzato nel 1813 lo portò alla vittoria del celebre Premio Roma.
L’opera è evidente frutto dell’esercizio sui modelli antiche, lo studio del nudo,
l’aderenza ai principi neoclassici , l’aspirazione a una bellezza ideale priva di
imperfezioni e il riferimento alla scultura canoviana, compiuti dall’autore.
L’elemento dell’opera è mitologico: l’atleta, tiene nella mano destra la palma
della vittoria (elemento iconografico), si trova in primo piano in un ambiente
composto da un edificio classico con colonne doriche scanalate e riempito
con un carro, quello della vittoria. Alla destra dell’atleta vi è un disco di pietra che poggia contro il muro,
simboleggiante la specialità fisica del protagonista del dipinto.
La posizione quasi frontale del soggetto pittorico mette in particolare risalto la sua perfezione anatomica e
l’eccellente conoscenza delle regole proporzionali alla base del nudo.
Efficace è il panneggio risaltante l’anatomia corporea, l’effetto chiaroscurale creato dall’illuminazione proveniente
da sinistra e dall’atteggiarsi del corpo che appare dinamico.
Un arto superiore dell’atleta è avvolto in un drappo rosso che oltre a conferire movimento al soggetto, fa da
contrasto all’incarnato chiaro.
“Il bacio”
Francesco Hayez
1859. Olio su tela, 110x88 cm. Milano, Pinacoteca di Brera.
Accenno storico: 1859 la Seconda Guerra d’indipendenza apre definitivamente le porte all’Unità d’Italia.
Il dipinto è l’opera più famosa dell’artista che godette di grande popolarità.
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L’opera è dominata dalla figura di un giovane (probabilmente un
cospiratore) che con un bacio dolce e furtivo saluta la fanciulla amata.
L’interpretazione è favorita da numerosi elementi, quali: il volto coperto
dal giovane ammantato e dal berretto piumato, il suo piede sinistro
poggia su uno scalino, quasi a indicare la fretta di fuggire via,
l’impugnatura del pugnale che preme contro un fianco della fanciulla e
l’ombra di una persona sul muro, probabilmente di qualcuno che li sta
spiando.
La fanciulla è completamente abbandonata nell’abbraccio; la sua figura è
impreziosita dai riflessi cangianti e lucenti della veste di seta che
conferisce ulteriore luminosità alla scena.
L’ambientazione è resa dagli abiti dei due giovani e dalla semplice
architettura, entrambi medioevali; ciò costituisce un preciso momento
storico, quello che coincide con l’arrivo a Milano di Vittorio Emanuele II,
futuro re di Italia, e del sovrano francese Napoleone III.
Il colore è utilizzato in maniera simbolica: l’azzurro dell’abito della
fanciulla rimanda alla Francia (influenza dei maestri del colore veneti).
Il soggetto è romantico, ma il linguaggio è ancora classicista (precisione nel disegno, plasticità delle figure).
L’attenzione ai particolari enfatizza la teatralità e la tensione della
scena rappresentata: la fuga è irrimediabile (probabile allusione
all’esilio).
“Pensiero malinconico”
Francesco Hayez
1842. Olio su tela, 135x98 cm. Milano, Pinacoteca di Brera.
L’opera è romantica a partire dal titolo.
Il dipinto rappresenta una fanciulla presa dalla malinconia.
Ella è rappresentata con grandi occhi scuri, l’aspetto discinto, dello
stato esteriore, sottolinea una caduta dell’equilibrio emotivo,
spostandosi verso la tristezza e la depressione.
Il sentimento malinconico e la scomparsa della felicità sono rafforzati
dal vaso di fiori, in parte appassiti, sulla sinistra.
Altri elementi romantici che ben mettono in evidenza il sentimento
portante dell’opera sono la spalla dell’abito che cade e l’espressione
della fanciulla.
L’obbiettivo di Hayez con la produzione di questo dipinto è quello di
tradurre il pessimismo ideologico dovuto alle delusioni politiche
dell’artista.
“Massimo d’Azeglio”
Francesco Hayez
1864. Olio su tela, 118x92 cm. Milano, Pinacoteca di Brera.
È proprio nei ritratti che Hayez riesce a mostrare tutte le sue qualità di colorista e di sottile interprete della
personalità del ritrattato.
Il protagonista del ritratto è Massimo d’Azeglio, amico dell’artista ed egli stesso pittore, uomo politico e letterato
(uno dei maggiori esponenti del Risorgimento italiano).
Il dipinto venne realizzato in base a una fotografia.
Il personaggio è contornato da colori caldi e dal fondo verde che gradualmente tende a toni più chiari sino a
giungere alla tappezzeria di damasco della poltrona su cui siede d’Azeglio.
L’opera manca di ambientazione così da collocare il protagonista del dipinto fuori dal tempo.
Il volto del nobile intellettuale traduce l’immagine di un uomo riflessivo di grande virtù e moralità, dai pensieri
profondi, affidabile e sereno.