La Libia e noi

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La Libia e noi
La Libia e noi
Martedì 10 Maggio 2011 23:00
di Roberto Giardina BERLINO. A Tripoli stanno bombardando la casa dove nacque mia madre. A Bengasi, stanno
bombardando la casa dove abitò, e il Teatro Comunale dove da ragazzina andava al cinema
con i fratelli. Le “pizze” arrivavano ogni settimana con il postale da Palermo. I profughi sbarcano
a Lampedusa, dove andavo in vacanza da ragazzo quando in Italia neanche sapevano che
esistesse. Il mio bisnonno fu il primo maestro elementare dell´isola. Vinse il concorso a 17 anni,
e lo mandarono nel luogo più disagiato della nazione unificata da poco.
Pensava di restarci una sola stagione, vi rimase tutta la vita perché scoprì che era uno dei re
dell'isola, insieme con il prete, il maresciallo e il dottore. Ma che destino attende il figlio del
maestro elementare di un posto dimenticato? Così suo figlio, mio nonno, finì in Libia, e lì
nacquero i suoi figli. E´ una cronaca familiare, ma comune a migliaia di famiglie,soprattutto
meridionali. E, a suo modo, una cronaca che fa parte della storia d´Italia, che dovremmo
ricordare, mentre siamo tornati a bombardare la nostra ex colonia.
Le storie di Tripoli e di Bengasi, della vita quotidiana degli italiani su quella che era definita la
quarta sponda, e la guerriglia con i ribelli libici, me le raccontava mia madre (che oggi ha 93
anni) quando ero bambino. Lei e i fratelli stavano dalla parte dei ribelli, il che potrebbe sembrare
strano. Forse perché mio nonno che era siciliano, anzi lampedusano, era un tipo particolare.
Divenne il capo delle dogane della Cirenaica e pretendeva di far pagare le tasse ai gerarchi
fascisti, anche al governatore Graziani. Così, per toglierselo dai piedi, lo promossero e lo
mandarono a Venezia. Lui, offeso, preferì tornare nella sua isola.
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Mia madre mi raccontava di Omar el Muktar, il capo della guerriglia, che impiccammo dopo un
processo farsa, e di altre cose ancora. Di Graziani che, quando tornava a casa dal palazzo del
governo, si lasciava precedere da quattro zaptiè a cavallo, i nostri soldati di colore, che a colpi
di staffile cacciavano tutti dalla strada. Il governatore non doveva essere infastidito dalla vista di
coloro che lui governava. E di come lei, al ritorno da scuola, continuava a camminare sul
marciapiede nonostante sentisse la macchina scoperta di Graziani avvicinarsi lentamente. Per
una bambina, una grande sfida.
Tutti gli orrori del XX secolo li abbiamo compiuti noi per primi in Libia. Sia pure a livello - come
dire? - amatoriale. Il primo aereo, un Blériot, usato in guerra, lo abbiamo fatto volare noi sulle
oasi. Il pilota gettava le bombe incendiare con la mano, sporgendosi dalla carlinga. Poi verrà il
napalm in Vietnam. Per anni si discusse se prenderci la Libia occupata dai Turchi. Quando
infine fu deciso lo sbarco, l´esercito era ancora a Napoli, disorganizzato. Conquistammo Tripoli
bel suol d´amore, come inneggia la canzone, che non è male. Ma poi continua “sarai italiana al
rombo del cannone”. Si canta uno stupro.
Tutti conoscono Adua, chi ha sentito parlare di Sciara Sciat? Dopo lo sbarco, una sottile linea di
nostri militari protegge Tripoli su un arco di quattro km. All'estremità orientale, sul mare, l'oasi di
Siara Sciat è presidiata da 400 uomini dell´81simo bersaglieri. Il 23 ottobre, i cavalieri turchi
fingono un attacco frontale, e si ritirano. Improvvisamente, alle spalle insorgono gli abitanti
dell'oasi. I 400 bersaglieri vengono massacrati, senza che il nostro comando osi intervenire. La
rappresaglia è feroce: nei giorni seguenti uccidiamo quattromila libici, anche donne e anziani.
Basta avere il burnus macchiato di sangue, o un fucile in casa (ma tutti sono cacciatori), per
venire fucilati o impiccati. Secondo noi gli arabi erano dei traditori. Non eravamo venuti a
liberarli dai turchi? Non troverete nulla sui nostri giornali dell´epoca. Ne riferisce solo l'inviato
dell'Avanti, che viene malmenato dai colleghi e espulso insieme con gli inviati stranieri.
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