“Vado in Africa”…Il viaggio di un aspirante socio LVIA in Tanzania

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“Vado in Africa”…Il viaggio di un aspirante socio LVIA in Tanzania
“Vado in Africa”…Il viaggio di un aspirante socio LVIA in Tanzania con LVIA Palermo
…ho annunciato a tutti coloro che mi conoscono. Ho subito sentito una forte partecipazione e tanto
coinvolgimento da parte di tutti, perché andare in Africa per conoscere le attività e visitare i progetti
di una o.n.g “seria” come la LVIA, è stata subito percepita come un’esperienza speciale… e così è
stato.
Il mio nome è Lillo Falci e sono il responsabile del settore scolastico dell’Istituto Valdese d
Palermo, una struttura attenta alle questioni che attengono al rispetto e alla valorizzazione delle
differenze nonché alla riflessione generale sulle risorse non equamente distribuite sul pianeta.
L’incontro con Vito Restivo (rappresentante della LVIA a Palermo) in occasione della settimana
dell’acqua e della giornata internazionale del 2006, è stato illuminante. Da “portatore d’acqua“ mi
sono trasformato in portatore di consapevolezza e di attenzione rispetto a ciò che noi occidentali,
pur non esenti da difficoltà, possiamo attivare in direzione della formazione di mentalità aperte alle
questioni di carattere umanitario, quindi aperte alle difficoltà degli altri, per una idea di umanità non
chiusa dentro alle mura domestiche, ma partecipata e aperta al mondo… .
Si parte il 29 gennaio: il gruppo è composto da Vito Restivo (funzionario dell’assessorato
agricoltura e foreste), Sergio Gargano (medico) ed il sottoscritto.
La nostra meta è Kongwa, in Tanzania, ma decidiamo di fermarci due giorni a Nairobi, in Kenia.
Arriviamo in ritardo per partecipare al Social Forum, ma siamo comunque interessati a conoscere la
città con i suoi forti contrasti.
Il tragitto che va dall’aereoporto alla comunità dei padri Benedettini, dove saremo ospitati, è
assolutamente doloroso. Per chilometri e chilometri si vedono soltanto baracche sul ciglio della
strada, con gente occupata in mille attività che spesso ruotano intorno al riciclaggio di oggetti ed
alimenti “ricavati” dalle discariche. Frotte di persone a piedi che vanno avanti e indietro; bambini
sporchi e malvestiti che stanno ai bordi della strada vicini al canale fetido che scorre in parallelo
alla strada. Faccio fatica a descrivere quelle scene così come ho fatto fatica a fotografarle: mi
sembrava quasi di rubare loro qualcosa; e loro, ancora una volta avrebbero assistito impotenti, ho
pensato, ad un “furto” senza sapere a quale scopo e poi, mi sono detto, cosa fare di queste immagini
di uomini, donne e bambini, che vivono in un inferno reale?
L’indomani mattina decidiamo di andare a visitare il posto peggiore della regione e credo uno dei
peggiori sulla terra: la baraccopoli di Korogocho. Lo scenario va oltre ogni nostra immaginazione:
non è solo triste e desolato ma direi è sconvolgente. Si presenta come un groviglio assurdo fatto di
lamiere, fango, e di quant’altro è possibile utilizzare per provare a costruire, si fa per dire, dei ripari.
Scesi dalla macchina veniamo immediatamente investiti da un odore acre provocato da un’enorme
discarica che viene utilizzata come una sorta di supermercato che “rifornisce” quella enorme
popolazione. Il dato è sconcertante: gli abitanti di Nairobi sono circa 4 milioni, di cui circa 2,5
milioni vivono nelle baraccopoli.
Rischio di non fare le foto che avevo pensato di scattare per la stessa ragione che mi porta a
sentirmi “fuori luogo”.
Mi faccio coraggio e chiedo ad un uomo vicino alla sua baracca se è possibile scattare una
fotografia, lui mi risponde: <<si certamente, a condizione che mi dai un milione di dollari e che poi
facciamo cambio, tu prendi il mio posto ed io il tuo>>. Questa frase mi colpisce molto, saluto
l’uomo e risalgo in macchina. Credo che non dimenticherò mai i suoi occhi.
Partiamo, finalmente, per la Tanzania, dove nella cittadina di Kongwa ci aspetta il gruppo LVIA
(Simona Conti, Federico De Filippo, Elisabetta Tonin ed Elena Masi) coordinato da Riccardo
Paloscia, il rappresentante paese.
Il viaggio è duro, ma l’arrivo al compound LVIA, l’accoglienza, molto affettuosa, e… la pizza, ci
fanno dimenticare la fatica.
L’indomani facciamo la conoscenza del luogo, a partire dalle numerose attività che si svolgono
all’interno del compound (falegnameria, officina, frantoio…), fino ad includere un giro a Kongwa,
un villaggio di circa duemila abitanti. Il paesaggio si presenta lussureggiante e silenzioso, colorato
di tante sfumature di verde, a causa delle piogge abbondanti che hanno preceduto il nostro arrivo.
C’è tanta pace, fattore che ci colpisce molto dopo essere stati a Nairobi e a Dar Es Salam.
Man mano che ci allontaniamo dal compound per visitare i tanti progetti già realizzati, è sempre più
evidente che la LVIA è riuscita ad allacciare molte relazioni autentiche con la gente. E’ un continuo
salutare, molti riconoscono Riccardo e anche gli altri e si sente che si tratta di rapporti significativi,
di quelli che possono nascere soltanto se si investe nella giusta direzione e per lungo tempo.
Man mano che passano le ore emergono sempre più chiaramente le peculiarità di impostazione
metodologica, gli obiettivi e le priorità della LVIA.
Si procede sempre creando una relazione di ascolto con la comunità locale per ricavare gli elementi
relativi ai bisogni della gente; si studiano e si realizzano i progetti, che vengono curati, eseguiti e
seguiti per un certo periodo di tempo, da volontari specialisti (cioè competenti rispetto della materia
del progetto: ingegneri, agronomi…); si individuano, all’interno delle comunità, le figure che
possono essere avviate alle esperienze di formazione e che in seguito seguiranno i progetti dal
momento che la LVIA li lascerà, sotto la responsabilità dei comitati locali.
La mia formazione pedagogica mi permette di cogliere appieno l’importanza di tale “atteggiamento
umanitario” e mi riporta ad una riflessione sul ruolo del maestro / educatore.
Il maestro/educatore è colui che sa stare ai margini della scena; sa che non deve occupare molto
spazio, perché rischia di sottrarlo al bambino/discente. È colui che media, che facilita, che valorizza
e che poi lascia spazi di sperimentazione, permettendo al discente di commettere i suoi errori… ma
anche di maturare conoscenze e competenze che, a quel punto, saranno veramente sue.
Un cambio di programma improvviso, causato da un problema alla macchina, ci fa imbattere in una
scena dai toni apocalittici. Dentro al letto asciutto di un fiume, vediamo un gruppo di circa trenta
persone tra donne e bambini, in ordine sparso, impegnati a scavare delle buche profonde e strette
allo scopo di attingere dell’acqua che affiora ad una certa profondità. Recuperano l’acqua con delle
piccole ciotole, con le quali si calano in profondità con tutto il busto, appoggiandosi sulle
ginocchia.
Decidiamo di scendere dalla macchina e di documentare tutto. Ci colpiscono molto quei visi, quegli
occhi, quegli sguardi un po’ impauriti per la nostra presenza ma soprattutto rassegnati a vivere una
vita assurda, fatta di pratiche senza senso. Ci dicono che l’acqua per loro è necessaria, che sanno
che non si può bere quella che raccolgono in questo modo, che dovrebbero bollirla, ma non sempre
lo fanno. La estraggono a piccole quantità; quando si riempiono i grandi contenitori, bisogna
trasportarla fino a casa. Tutto questo richiede molto tempo, spesso occorre tutta la giornata.
Le giornate che seguono sono interamente occupate dalle visite ai villaggi (Manchali, Chalinze,
ecc.), che fruiscono di progetti già realizzati. I comitati ci accolgono con entusiasmo e con rispetto.
Si utilizza il tempo necessario alle presentazioni, molto dettagliate, con l’aggiunta di considerazioni
su quanto e come sono migliorate le condizioni di vita delle comunità e sui bisogni che ancora non
trovano soddisfazione. Le donne in molte occasioni sottolineano i vantaggi enormi derivanti dalla
realizzazione dei pozzi, che permettono loro di occuparsi della casa, dei bambini e dei campi,
piuttosto che stare in giro per tutto il giorno, con i figli a seguito, che pertanto non riescono ad
andare a scuola.
Visiteremo, diversi villaggi con i relativi progetti: pozzi, dispensari, progetti agricoli....
Riusciamo anche a visitare due scuole. La visita alla scuola di Chitego si trasforma in un’enorme
festa che vede coinvolti circa 500 bambini “condotti” da due animatori d’eccezione, cioè proprio
Vito e Sergio che, oltre ai giochi ed ai canti, hanno organizzato un urlo corale che faceva più o
meno così <<forza Palermooo>>.
In occasione della visita alla scuola primaria di Kongwa, ci siamo sentiti al centro della giornata
scolastica: il capo della scuola, Joseph Guanto, ci ha guidato (insieme ad un collaboratore LVIA)
per le classi, ci ha permesso di incontrare gli insegnanti e di sentire cosa servirebbe loro per
migliorare le condizioni generali della scuola: ci si sofferma sulla mancanza totale dell’acqua, sui
libri di testo insufficienti (1 uno ogni quattro bambini), sui banchi troppo vecchi, sulle case che
accolgono gli insegnanti insufficienti e mal messe, sull’opportunità di costituire una mensa
scolastica, visto che i bambini che vanno a casa per il pranzo spesso rientrano a scuola con la pancia
vuota.
Anche in questo caso, mi sono fatto sorprendere; avevo immaginato un incontro con gli insegnanti
orientato sulla riflessione pedagogica e metodologica, ma quando chiedo loro di focalizzare sui
bisogni e sulle difficoltà relativamente al mestiere di insegnante, le risposte sono tutte orientate sui
bisogni materiali.
Vivo gli ultimi giorni a Kongwa, insieme ai miei compagni di viaggio ed al gruppo dei volontari
LVIA, tutti splendidi, in uno stato per me difficile da definire. Si tratta di una condizione diversa da
quelle provate in precedenza: uno stare sì bene per l’esperienza in corso, per me nuova e ricca di
contenuti, ma contestualmente è uno stare dentro ad una condizione di inquietudine, una sorta di
reazione di insofferenza per tutto ciò che ritengo ingiusto e poco considerato da coloro che
dovrebbero e potrebbero intervenire.
28 febbraio 2007
Lillo Hans Falci
“aspirante socio LVIA.”