CEDU sul caso Gross nega diritto al suicidio

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CEDU sul caso Gross nega diritto al suicidio
Strasburgo sul caso Gross torna a fare buona bioetica giudiziaria
Sabato 15 novembre il Papa si è rivolto all’Associazione Medici Cattolici italiani
ricordando alcuni punti fermi della morale naturale e cristiana sulla protezione della vita umana,
specialmente nelle sue fasi di maggior fragilità. Ha anche confermato l’incoraggiamento ai
professionisti della sanità a vivere con coerenza il proprio impegno professionale, assumendosi se
del caso le responsabilità dell’obiezione di coscienza a leggi ingiuste. Per alcuni giornali, a rendere
degna d’interesse questa notizia è stato il fatto che l’attuale Pontefice a loro modo di vedere non si
occuperebbe con la frequenza abituale nei suoi predecessori delle questioni bioetiche, e ci si
sarebbe forse potuti aspettare che lo facesse ora in maniera innovativa: una notizia per delusionem,
potremmo dire. In proposito, fa riflettere che siano i media a pretendere di dettare i tempi ed i ritmi
della storia, invece che descriverli o rappresentarli, e che siano i media a prendersi la briga, quando
lo ritengono opportuno, di condonare al Papa la sua prevedibilissima, ma per loro deludente,
imprevedibilità.
In realtà, la resistenza all’alluvione libertaria sugli argini della difesa della vita, iniziale e
terminale, non è prerogativa esclusiva della Chiesa Cattolica o soltanto di agenzie eticamente o
religiosamente ispirate: una recente sentenza della Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo di Strasburgo, Gross v. Svizzera, depositata il 30 settembre 2014 e brevemente
commentata da “Avvenire” e pochi altri giornali, annullando la precedente decisione provvisoria di
una sezione della medesima Corte ha sostanzialmente negato che si possa legittimamente parlare di
un “diritto a morire dignitosamente” come contenuto del diritto alla vita privata tutelato dall’art. 8
della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, firmata a Roma nel 1950.
In modo succinto ma intelligente, la CEDU ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato
dai legali della signora Gross (deceduta nel 2011 per assunzione legale di pentobarbital in Svizzera,
secondo le modalità di un suicidio assistito dalla nota associazione necrofora “Exit”), motivando in
base all’abuso del diritto: un abuso in questo caso principalmente processuale (la signora aveva
fatto in modo di occultare la propria morte, tramite un complice mediatore con l’avvocato e la
Corte: ma trattandosi di stabilire proprio se aveva un diritto a morire, il suo suicidio riguardava il
cuore stesso del processo), che tuttavia può plausibilmente riferirsi anche alla sfera sostanziale.
Appare infatti per lo meno contraddittorio affermare nel nome della privacy che lo Stato (cioè la
dimensione pubblica per eccellenza) debba prevedere regole di assistenza al suicidio; oltre
all’evidente squilibrio di posizione giuridica (e di tutela della medesima privacy) che si
determinerebbe tra aspirante suicida e medico tenuto alla prescrizione del “rimedio” letale.
Tra usare ed abusare, in altri termini, passa tutta la differenza che c’è tra il legittimo
godimento di una situazione giuridicamente tutelata in vista di un fine socialmente apprezzabile, e
la sua distorsione verso scopi eletti in modo arbitrario da un singolo individuo. Rimproverando
l’abuso del diritto, processuale o sostanziale, la CEDU sta ribadendo un concetto essenziale ma
spesso dimenticato, e cioè che i diritti non sono vuoti contenitori nei quali ciascuno riversa tutto
quel che sente, desidera, crede soggettivamente di necessitare, e ne ottiene di conseguenza
insindacabile protezione legale, bensì strutture non manipolabili né reinventabili dai singoli, perché
sempre attengono alla coesistenza e dunque si nutrono di un resistente fondamento obiettivo.
Si avvicina ormai il momento della decisione CEDU sul caso Lambert, drammatica vicenda
francese ben conosciuta in cui moglie e genitori del paziente si stanno contendendo a colpi di
sentenze e provvedimenti amministrativi i diritti sui trattamenti vitali del malato in stato di minima
coscienza. È auspicabile che la Grande Chambre di Strasburgo, che ha annunciato che provvederà
sul caso agli inizi del prossimo mese di gennaio, confermando nel frattempo l’obbligatorietà dei
trattamenti di idratazione e nutrizione artificiale ripresi a seguito della decisione di sospendere
l’esecutività della sentenza francese che invece ne autorizzava l’interruzione, non faccia solo
riferimento, se lo desidera, alle parole di Papa Francesco, ma rifletta attentamente e schiettamente,
come ha mostrato di saper fare nel caso Gross, sul senso delle parole e dei diritti, manifestando
ancora una volta il coraggio di andare, se occorre, contro le correnti alluvionali della storia
(soprattutto quando essa non è la storia delle persone vere, bensì, più semplicemente e banalmente,
la storia di carta rappresentata talvolta sui media).
Claudio Sartea