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Commentary, 17 aprile 2014
ALGERIA 2014:
SE GAS E PETROLIO NON BASTANO PIÙ
MARTA MONTANINI
I
ntervistato a due giorni dalle elezioni, Amara Benyounès, portavoce del presidente uscente Bouteflika, ha dichiarato che il prossimo mandato presidenziale si giocherà soprattutto sui temi dell’economia.
Benyounès parlava probabilmente a quel 30% di giovani
con meno di trentacinque anni ad oggi disoccupato, ma
sicuramente anche alla metà della popolazione algerina,
composta da giovani con meno di vent’anni, e ai tanti che
continuano a lasciare il paese, e che, nonostante siano
ormai contabilizzati nei costi sociali ordinari, costituiscono una migrazione sempre più istruita e meno disposta a rientrare: negli ultimi dieci anni il numero delle
donne che lasciano l’Algeria è notevolmente aumentato,
segno che i migranti fanno sempre maggiore ricorso ai
ricongiungimenti familiari, nell’ottica di una permanenza
di lungo termine in un altro paese.
©ISPI2014 Uno dei grandi temi della campagna è stato la diversificazione dell’economia, o, per dirla nel linguaggio utilizzato dai candidati: «il passaggio da una economia
dell’amministrazione a una economia diversificata e di
mercato». L’economia algerina dipende per il 98% dagli
idrocarburi e un progressivo e preoccupante calo sia della
produzione petrolifera sia della vendita del gas ha reso
quanto mai evidente la necessità di una seria politica di
rendustrializzazione. Nel 2013 la scoperta di trentadue
nuovi giacimenti petroliferi non ha rilanciato l’economia
algerina, e negli ultimi cinque anni le assegnazioni di un
cospicuo numero di nuovi blocchi sono rimaste senza
acquirenti.
Gli investitori internazionali continuano a temere
l’Algeria, nonostante i suoi orizzonti promettenti anche
per quello che riguarda lo shale gas. Da una parte il paese
moltiplica gli investimenti nel campo delle infrastrutture
energetiche e delle energie rinnovabili (anche con ambiziosi piani quinquennali), rafforzando la capacità di continuare a garantire forniture costanti di gas e petrolio anche qualora dovesse potenziarsi la domanda interna di
energia; dall’altra corruzione dilagante e terrorismo appena sopito scoraggiano le compagnie internazionali, e a
maggior ragione le piccole e medie imprese, che non si
possono permettere rischi troppo elevati. L’esempio
lampante di un'élite politica incapace di intercettare le
attese degli investitori si è avuto proprio durante la campagna elettorale: le società algerine hanno lamentato lo
spostamento di numerosi eventi fieristici che avrebbero
potuto attrarre investitori ed espositori a livello internazionale e che sono invece slittati a data da definirsi, ri-
Marta Montanini, ISPI Research Assistant.
1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. commentary
crescita economica algerina sia estremamente contenuta
(2,7%) in rapporto a una crescita demografica invece
consistente (2,1%). Poiché l’inflazione rimane considerevole, a pagarne le conseguenze è prima di tutto la qualità della vita della popolazione. Se attrarre investitori nel
paese sarà forzatamente un processo di lungo periodo, la
cura immediata non potrà che essere quella di limitare il
consumo interno di gas e petrolio, alzando il prezzo dei
servizi erogati. Il governo ha però dichiarato di non voler
intraprendere questa strada, per lo meno nel medio periodo, aspettando, forse, di assicurare prima un nuovo
mandato a Bouteflika.
proponendo l’immagine di un paese un tempo promettente, ma oggi poco affidabile.
L’episodio non vale nulla se rapportato all’affaire Sonatrach, uno scandalo di corruzione, appropriazione indebita e sottrazione di fondi pubblici (con tanto di mandato
internazionale di arresto per Chakib Khelil, ex ministro
dell’energia, e altri otto illustri indagati) da cui la società
nazionale degli idrocarburi algerina deve ancora riprendersi completamente e che è costato non poco anche
all’immagine di alcuni partner internazionali. Sonatrach,
del resto, continua a essere il simbolo della torbida gestione delle ricchezze nazionali, poiché insieme al prestigio sta progressivamente perdendo la sua capacità di
investimento anche al di fuori dello spazio nazionale. La
riforma della legge sugli idrocarburi, nel 2012-2013, ha
lasciato intatta la quota del 51% che Sonatrach deve detenere per legge su ogni progetto che riguardi gli idrocarburi in ambito nazionale, ma ha per lo meno introdotto
incentivi fiscali per le compagnie straniere pronte a investire offshore o nelle energie non convenzionali.
Una migliore e più oculata gestione delle ricchezze del
paese, ma anche politiche di redistribuzione e riforme
sociali radicali sono le istanze alla base delle rivendicazioni dei diversi movimenti di opposizione che, lontani
sul piano politico, si ricongiungono però quanto alle richieste di forte rinnovamento della politica economica.
Da questo punto di vista, la posizione di Bouteflika secondo la quale il suo probabile quarto mandato porterebbe alla stabilizzazione e alla concretizzazione delle
riforme risulta davvero poco credibile. Non a caso Ali
Benflis, lo sfidante “transfugo” dall’entourage del presidente, accosta alla ripresa economica del paese politiche
in favore dello “sviluppo umano” e di una migliore formazione professionale e specializzazione, secondo il paradigma tanto ampiamente accettato, quanto infondato,
che l’enorme tasso di disoccupazione si debba in ultima
istanza alla scarsa preparazione dei giovani alle esigenze
del mercato del lavoro.
©ISPI2014 L’Algeria può contare su un fondo di stabilizzazione,
istituito nel 2000 per isolare l’economia nazionale dagli
shock derivati dal prezzo del petrolio. Negli ultimi anni il
fondo è diminuito in modo inversamente proporzionale
all’aumento delle manifestazioni di dissenso verso la politica del presidente. Bouteflika ha più riprese utilizzato il
fondo come una sorta di calmiere sociale, a cui attingere
come ultima risorsa. Il ricorso a politiche simboliche di
spesa pubblica finanziate attraverso questo strumento ha
scomodato anche il Fondo monetario internazionale, che
ha espresso le sue preoccupazioni sull’eventualità che il
fondo non riesca più a proteggere il paese qualora si verifichi un’importante diminuzione dei prezzi del petrolio.
Sebbene ancora saldamente ancorato ai proventi del gas e
del petrolio, il gigante algerino vacilla mostrando a tutti la
sua façade, una parola con cui nei paesi del Nord Africa
si indentifica un insieme inscindibile e inaffrontabile di
corruzione e rapporti clientelari mascherati e nutriti da
una sovrabbondante burocrazia. La scusa dell’interesse
nazionale e della sicurezza del paese con la quale le élite
algerine hanno cristallizzato e accentrato l’economia non
potrà tenere ancora a lungo.
Nel 2010 il governo ha varato un piano quinquennale da
quasi trecento miliardi di dollari per ammodernare le infrastrutture, avviare politiche abitative in favore
dell’edilizia popolare, e migliorare i servizi pubblici. Il
piano però si è tradotto in azioni tiepide e circostanziate,
che fino ad ora hanno portato a scarsi risultati. Lo scorso
anno, inoltre, il Fmi ha chiaramente evidenziato come la
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