Non è necessario credere in una fonte sovran

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Non è necessario credere in una fonte sovran
INTRODUZIONE
“Non è necessario credere in una fonte sovrannaturale del male: gli uomini da soli sono perfettamente capaci di qualsiasi malvagità”. Con questo
aforisma, lo scrittore Joseph Conrad (che, con la
sua opera – vedi Cuore di Tenebra – ha scandagliato
le oscure profondità dell’animo umano) fotografa alla perfezione la realtà descritta in questo libro
e, più in generale, fornisce una sintetica risposta a
quanti (studiosi, antropologi e semplici “curiosi”)
si sono sempre interrogati sull’origine e sul significato della “malvagità”. Esiste una predisposizione
genetica alla cattiveria? Oppure, come sostiene una
nutrita corrente di pensiero, tale caratteristica è legata a doppio filo con l’ambiente socio-culturale
in cui si viene cresciuti e formati? L’autrice tedesca
Hanna Arendt, nel suo famoso saggio La banalità
del male, asserisce che i folli crimini che portarono
all’Olocausto nazista non furono generati da una
precisa volontà di “fare del male” ma, bensì, da una
sorta di esaltazione collettiva e dalla totale incon7
sapevolezza sul significato delle proprie azioni. Altri studiosi (antropologi, scienziati e medici), dopo
aver esaminato a fondo feroci criminali ed assassini seriali, sono giunti ad una doppia conclusione:
in alcuni casi è risultato lampante come il tipo di
educazione, l’ambiente sociale e i traumi subiti nel
corso dell’infanzia siano stati fattori essenziali nel
condizionamento verso “il male”; in altri casi, invece, non è emerso nessun fattore esterno (sia sociale
che patologico) che potesse giustificare determinate azioni. In realtà, per tornare a Conrad, l’animo
umano nasconde sempre, in modo intrinseco ed
imperscrutabile, un “lato oscuro”: chiunque ed in
qualunque momento può diventare malvagio. E
non importa quanto la fantasia di scrittori, registi,
commediografi o sceneggiatori possa “volare alta”
in quanto a cattiveria ed atrocità: la realtà rimarrà
sempre imbattibile. E per dimostrare al meglio questo teorema abbiamo tentato di selezionare il “meglio” della cattiveria umana (anche se servirebbero i
volumi di una enciclopedia per “dare a Cesare quel
che è di Cesare”) nei suoi primi 2000 anni di storia
al femminile. Leggendo le imprese di queste “simpatiche fanciulle” anche i più ferventi sostenitori del
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“gli uomini sono più cattivi delle donne” dovranno
arrendersi alla realtà dei fatti. Nonostante, infatti,
la storia abbia quasi sempre relegato le donne fuori
dalle “stanze del potere” (impedendo, quindi, che
fossero parole femminili ad ordinare massacri e genocidi) esistono esempi nei quali il sesso debole si
è fatto valere in quanto a crudeltà, sadismo e pura
malvagità. Dopo aver letto le storie di Ilse Koch e
Irma Grese (le belve delle SS), Beverly Allitt (l’infermiera assassina di bambini), Belle Gunness (raro
esempio di Uomo Nero al femminile), Enriqueta
Martì (la strega di Barcellona), Delphine Lalaurie
(la dama nera di New Orleans), Maria I d’Inghilterra, Valeria Messalina e Ranavalona I (crudeli condottiere), Elizabeth Bathory (la Contessa Dracula),
Leonarda Cianciulli (la famosa Saponificatrice di
Correggio), Mary Ann Cotton (la peggior madre
del mondo), Myra Hindley (serial killer), Mary Bell
(la bambina demoniaca), Dorothea Puente (Nonna
Morte), Lucrezia Borgia (l’avvelenatrice) e Chante
Jawan Mallard (la cattiva dei “giorni nostri”), il termine “gentil sesso” acquisterà, per sempre, un significato del tutto nuovo
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ILSE KOCH E IRMA GRESE:
LE BELVE DELLE SS
Nell’aprile del 1945 le truppe alleate entrarono
a Buchenwald. Nonostante sia inglesi che americani (soprattutto gli ufficiali) fossero a conoscenza
delle atrocità che i nazisti perpetravano nei campi di concentramento, lo spettacolo terrificante al
quale dovettero assistere superando quel pesante
cancello in ferro, avrebbe tolto il sonno, per molti anni, a più di un soldato. Mentre i pochi prigionieri rimasti in vita si aggiravano disorientati e
allo stremo delle forze, in ogni caseggiato, stanza o
porzione di cortile i soldati alleati si imbattevano
in orribili indizi (quelli che il fuoco nazista non
era riuscito a cancellare) di sadismo, perversione e
violenze sovrumane. Scappando, soldati e ufficiali
nazisti avevano distrutto quasi tutti i registri e la
documentazione riguardante l’attività del campo;
per cui, per cercare di risalire ai “capi”, ovvero ai
più alti responsabili di quella “succursale dell’inferno” (come un soldato inglese descrisse quel la11
ger), gli alleati interrogarono i superstiti. Uno dei
nomi più gettonati fu quello di Ilse Koch, moglie
di Karl Otto Koch, comandante del campo di
concentramento di Buchenwald dal 1937 al 1941
e di quello di Majdanek dal 1941 al 1943. Soprannominata dai prigionieri come “La strega di
Buchenwald” (ma il nomignolo poteva variare in
“cagna” o “troia”), Ilse Koch è l’incarnazione femminile della follia nazista e, conseguentemente,
considerata una delle donne più cattive nella storia della Germania. Nata nel 1906 in una famiglia
di umili contadini, Ilse era una donna sveglia ed
ambiziosa e, quando il Partito Nazista prese il potere la donna fece di tutto per “farsi notare” collezionando amanti nella SA (le prime formazioni
militari naziste) prima e nelle SS poi. Queste sue
frequentazioni la portarono a diventare una delle
poche donne sorveglianti nel campo di concentramento di Sachenhausen, comandato da un certo
Karl Otto Koch che aveva la fama di essere un
pericoloso psicopatico. Tra i due nasce l’amore, si
sposano e nel 1937 si trasferiscono a Buchenwald.
Con il loro arrivo, le condizioni di vita dei prigionieri, già inimmaginabili, peggiorano ulterior12
mente. Ilse Koch dimostrando un sadismo e una
deviazione mentale peggiore del marito, diventa il
suo braccio destro, una terribile kapò che, secondo
le testimonianze dei sopravvissuti, si diverte a torturare, uccidere, umiliare e violentare i prigionieri
di entrambi i sessi. Si racconta, infatti, di incredibili orge in cui Ilse si lasciava andare ad ogni forma
di perversione per poi concludere con l’omicidio
(spesso in condizioni atroci) di tutti i partecipanti.
Tra i pochi reperti ritrovati a Buchenwald dagli alleati, figurano diversi paralumi realizzati con pelle
umana; ma pare che Ilse andasse anche oltre, collezionando i tatuaggi dei prigionieri che venivano
strappati dalle loro carni quando essi erano ancora
in vita. Proprio come nel film horror Non aprite
quella porta, la casa dei Koch era, infatti, arredata con decine di questi macabri trofei di cui Ilse
(che possedeva persino una borsetta fatta con pelle
umana) andava particolarmente fiera. Ma, ad onor
del vero, la pratica di adornare il proprio salotto
con “materiale umano” era incredibilmente diffusa
in tutto il corpo delle SS; è stato appurato, infatti,
che furono moltissimi gli ufficiali di Hitler che fecero di questi “regali” alle loro famiglie. Ilse Koch,
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però, aveva fatto delle violenza e del sadismo efferato le principali regole della sua vita; c’è chi giura
che “la strega di Buchenwald” usasse imbandire il
tavolo del pranzo e della cena con teschi e porzioni
di teste sezionate. Una follia, quella della donna,
talmente esasperata che persino il Reich si sentì in
dovere di indagare tanto che nel 1943 l’avvocato
Georg Konrad Morgen, dopo aver ispezionato il
campo, denunciò la Koch e suo marito allo Stato
Maggiore. Himmler, così, ordinò che Karl Otto
Koch fosse giustiziato. Era l’aprile del 1945 e, dopo
la fine della guerra, Ilse Koch riuscì a dileguarsi
tornando a casa con la famiglia. Ma erano troppe le testimonianze che la inchiodavano: la polizia
militare non ci mise molto a scovarla e a processarla per i suoi orrendi crimini. Ciononostante, per
mancanza di prove concrete, venne condannata
all’ergastolo per poi essere liberata, tra lo sdegno
collettivo, solo 4 anni più tardi. Le proteste, però,
furono così esasperate (in tutto il mondo) che Ilse
venne di nuovo arrestata nel 1949. La leggenda
vuole che, in prigione, la donna venisse costantemente umiliata e picchiata dalle detenute con le
quali veniva a contatto e che la sua salute mentale
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cedette del tutto una mattina d’inverno del 1967,
quando una guardia la trovò impiccata alle sbarre
della sua cella. Ma la “cagna di Buchenwald” rimarrà scolpita nella coscienza e nell’immaginario
collettivo tanto che uno dei film più famosi (per
non dire tutti i personaggi femminili!) del breve
filone nazi-erotico, è ispirata alla sua figura: Ilsa
la belva delle SS (1975). Ma, nello stesso periodo, un’altra terribile “belva” ha agito indisturbata
nei ranghi del Reich: si tratta di Irma Grese, una
ragazza bionda di 23 anni che si contraddistinta
per sadismo ed inaudita ferocia. Dopo aver lasciato la scuola all’età di 15 anni (1938) per entrare
con sospetto fervore nella League of German Girls
(organizzazione nazista dedicata alle ragazze giovani), Ilse tentò, senza fortuna, di lavorare come
infermiera. Dopo aver completato il suo addestramento, nel marzo del 1943 venne mandata ad Auschwitz per lavorare come guardia femminile; la
ragazza dimostrò così tanta dedizione che, in pochi mesi, venne promossa Supervisiore capo (per
una donna, la seconda carica in ordine di importanza all’interno di un campo di concentramento) e vennero affidate al suo controllo diretto non
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meno di 30.000 prigioniere ebree. Nel gennaio del
1945, Irma venne trasferita al tristemente famoso
campo di Bergen-Belsen, visto che il numero di
prigionieri da “smaltire” era aumentato notevolmente. Durante la sua “carriera” militare, Irma,
nonostante la sua giovane età, dette prova di grandissima crudeltà sia fisica che psicologica. Molte
testimonianze hanno ricordato come la donna
usasse indossare pesanti stivali di pelle nera e che
costringesse le prigioniere a pulirli dal fango usando solo la lingua. Nel mentre, la donna frustava le
sventurate con un lungo frustino dal quale, pare,
non si separasse mai. Molte, inoltre, le prigionieri alle quali, senza un’apparente ragione, Irma, a
sangue freddo, sparò in testa. Ma il suo “divertimento” maggiore, secondo quanto riportato dai
testimoni (sia ad Auschwitz che a Bergen-Belsen)
era quello di denudare le prigioniere, frustarle a
sangue e poi darle in pasto ai suoi tre cani affamati. Dotata di un appetito sessuale tanto depravato
quanto insaziabile, Irma usava ingannare le prigioniere che le piacevano di più con false speranze di
salvezza ma, una volta costrette a partecipare alle
sue orge, le mandava immediatamente alla camera
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a gas. Quando le truppe britanniche entrarono a
Bergen-Belsen (17 aprile 1945), Irma era una delle poche ufficiali a non essere fuggita. Catturata e
processata, venne impiccata il 13 dicembre dello
stesso anno.
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