Sliding Doors

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Sliding Doors
Il Rosso e il Nero
Settimanale di strategia
SLIDING DOORS
14 giugno 2012
Se arriva (e se non arriva) l’uragano Tsipras
Il più noto extinction event è quello
che comportò l’uscita di scena dei
dinosauri alla fine del Cretaceo, 65 milioni
di anni fa. Fu però molto più grave quello
che accadde tra l’Ordoviciano e il
Siluriano, 450 milioni di anni fa. Per un
improvviso raffreddamento dei mari (o,
secondo altri, per effetto dei raggi gamma
proiettati da una supernova) l’intera vita
sul pianeta fu sul punto di cessare per
sempre.
Ci fossimo trovati in quelle situazioni,
ci saremmo forse estinti anche noi.
Impedire l’esplosione di una supernova è
al di sopra delle nostre possibilità. Con gli
asteroidi, invece, qualche speranza c’è.
Stando a Hollywood, in 2012 di Roland Sliding Doors. Film. 1998.
Emmerich i tentativi di deviare il corso
del meteorite falliscono e sono guai seri. In Armageddon, invece, grazie al
sacrificio di Bruce Willis, ce la caviamo con la sola perdita di Parigi, non così
grave per lo spettatore americano medio.
Le elezioni greche sono vissute dai mercati con lo stato d’animo di chi
aspetta un asteroide per il fine settimana ma ha al tempo stesso la speranza
che il disastro, all’ultimo momento, possa essere evitato. Siamo come la
Gwyneth Paltrow di Sliding Doors. Se perdiamo il treno, la vita andrà in un
certo modo. Se riusciamo a prenderlo, sarà completamente diversa. Tsipras o
Samaras, due universi paralleli, da una parte l’inferno, dall’altra la speranza
di sopravvivere.
I disastri, però, non sono tutti uguali. I terremoti, ad esempio, possono
essere terribili. A Huaxian, nello Shaanxi, nel 1556 ci furono 830mila morti.
Ad Haiti, due anni fa, le vittime furono 316mila. Gli uragani fanno invece, al
massimo,
poche
centinaia
di
vittime. Katrina,
nel 2006, ne fece
1833.
A parità di
energia distruttiva,
terremoti e uragani
hanno tra loro una
fondamentale
differenza.
I
terremoti non sono
prevedibili,
gli
uragani lo sono.
La Terra nell’Ordoviciano, quando la vita rischiò di estinguersi.
Lasciano sempre
qualche giorno per organizzarsi e scappare. I morti di New Orleans scelsero
consapevolmente di restare nella città deserta.
Con tutto il rispetto, l’ingegnere Alexis Tsipras non è una supernova, non
è un asteroide e non è nemmeno un terremoto. Al massimo è un uragano il
cui possibile arrivo è noto da un mese. Negli ultimi giorni, del resto,
investitori e speculatori, rialzisti e ribassisti, hanno tutti fissato le tavole di
compensato alle finestre e alle porte, hanno staccato la spina a tutti gli
elettrodomestici, fatto scorta di coperte, cibo e medicinali e si sono
incolonnati ordinatamente verso il cash, i Bund, il dollaro, l’oro, i Treasuries
e gli altri centri di accoglienza.
I libri dei trader sono oggi scarichi come se fossimo a inizio anno. Le
borse, dall’inizio di giugno, sono addirittura in rialzo nonostante i dati macro
in prevalenza deludenti. Anche i ribassisti, dopo tutto, rischiano con le
elezioni greche e preferiscono ricomprare. Il loro incubo è che Tsipras perda e
che Samaras formi un governo già martedì prossimo con il Pasok e con la
Sinistra Democratica.
A tenere in piedi i mercati sono anche i sondaggi. Sarebbero proibiti da
qualche giorno, ma la Grecia non è il paese dell’applicazione rigorosa delle
leggi. I sondaggi ci sono e circolano. Mostrano ancora un testa a testa, ma
l’elemento decisivo è che né Tsipras né Samaras sembrano poter raggiungere
la maggioranza assoluta. Ci saranno quindi governi di coalizione e Tsipras, in
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caso di vittoria, dovrà scendere a compromessi con forze contrarie a rotture
con l’Europa.
Nemmeno Tsipras, del resto, vuole rompere. Negli ultimi giorni,
cogliendo la paura che, tra gli elettori, comincia a prendere il posto della
rabbia, ha ammorbidito le sue posizioni. Alcuni osservatori, come
Themistoklis Fiotakis di Goldman o George Linatsas di Axia Group,
ritengono addirittura che Tsipras, a parte l’effetto iniziale negativo sui
mercati, possa rivelarsi nel tempo meno minaccioso come capo del governo
piuttosto che come leader dell’opposizione.
Né Tsipras vincitore né l’Europa, nelle prossime settimane,
interromperanno il dialogo. Ci sarà anzi un affannarsi continuo a riaffermare
la volontà di mantenere la Grecia nell’euro. Certo, la giornata di lunedì
potrebbe non aprirsi bene per i mercati e per gli spread, ma l’esperienza
recentissima del salvataggio spagnolo ha insegnato a tutti, rialzisti e
ribassisti,
che
le
ondate di entusiasmo
o di panico possono
sgonfiarsi in poche
ore e che è meglio
andarci piano con il
buttarsi tutti da una
parte
o
tutti
dall’altra.
Tsipras vincitore,
inoltre,
verrà
accompagnato
da
una sorta di sessione
Indicazioni per l’evacuazione a Long Island prima dell’uragano
permanente
dei del 2011.
policy maker europei
e globali fino alla fine del mese. I mercati non verranno mai lasciati soli e ci
sarà un flusso continuo di parole e, si spera, anche di azioni di sostegno. Con
l’eccezione del salvataggio delle banche spagnole, che è stato anticipato a
sabato scorso, tutte le altre misure pro crescita e pro integrazione europea
sono state tenute in serbo per il dopo elezioni.
Non è detto che ci sarà molto, ma qualcosa ci sarà senz’altro. La Fed
potrebbe annunciare già mercoledì un prolungamento dell’operazione Twist e
togliere dalla circolazione, nei prossimi mesi, altri titoli a lungo termine. La
Bce, dal canto suo, potrebbe annunciare una nuova tranche di
rifinanziamenti a lungo termine per le banche e abbassare i tassi.
C’è molto dibattito, in tutto il nord Europa, sull’opportunità di tassi
troppo bassi e di curve dei rendimenti sempre più piatte. Svezia, Danimarca,
Olanda e Finlandia si stanno accorgendo che i rendimenti eccezionalmente
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bassi stanno costringendo le assicurazioni e i fondi pensione, per i quali è
sempre più vietato avere azioni o governativi di bassa qualità, ad
arrampicarsi lungo la curva e comprare titoli sempre più lunghi per potere
garantire un minimo di rendimento alle loro gestioni. Norme introdotte per
rendere più sicuri i loro investimenti stanno avendo l’effetto perverso di
creare portafogli vulnerabili in caso di futuri rialzi dei tassi. La Germania per
il momento non si pone il problema. E’ però sempre meno comprensibile
l’atteggiamento dei tedeschi che in Bce si oppongono a un ribasso dei tassi
europei (che favorirebbero una cattiva allocazione delle risorse) mentre a casa
loro non si fanno troppi problemi sui rendimenti a zero su una porzione
sempre più lunga della curva governativa.
Dal canto suo l’Erf, il fondo di parziale mutualizzazione del debito
europeo, non è uscito di scena, anzi, ma sta scivolando su tempi più lunghi.
La Spd e i Verdi lo hanno tolto dalle condizioni per approvare al Bundestag il
fiscal compact e Schauble l’ha subordinato all’unione fiscale. La Bundesbank
si è invece occupata dell’unione bancaria, definendola prematura e
condizionandola, di nuovo, all’unione
politica e fiscale.
La dottrina tedesca sull’Europa,
a questo punto, si conferma come
rigorosa, ma è anche un capolavoro
di ambiguità. Il principio generale è
che bisogna mettere al primo posto
l’unione politica e che qualsiasi forma
di mutualizzazione deve essere
accompagnata da una cessione di
sovranità. Se volete i miei soldi, dice
la Germania, dovete permettermi di
controllare, attraverso Bruxelles,
come verranno spesi.
Ci avevano avvertito. Il poster di 2012, il
film di Roland Emmerich.
Ineccepibile. Il problema è che
però non esiste una versione ufficiale
tedesca del concetto di unione fiscale.
Quanto all’unione politica, l’idea di
eleggere il prossimo Van Rompuy con
voto popolare non sembra un
granché.
Certo, Berlino ha due problemi. Il primo è la necessità di tenere le sue
carte il più coperte possibile. Il secondo è la riluttanza della Francia nei
confronti di qualsiasi devoluzione di sovranità.
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Per il momento non c’è troppo da dubitare della buona fede tedesca
sull’unione politica. Il rischio è però che i mercati, a un certo punto, possano
vederla come un pretesto per rinviare qualsiasi forma di mutualizzazione.
Detto questo, che si fa da lunedì in avanti? Nell’immediato il meno
possibile, chiunque vinca in Grecia. Le banche centrali cercheranno di tenere
i cambi stabili, almeno nei primi giorni, per togliere spunti speculativi agli
altri asset. Se vince Tsipras si scenderà, ma gli short dovranno coprirsi prima
della riunione della Fed di mercoledì. Se vince Samaras si salirà
moderatamente fino al Fomc e forse oltre, ma le economie deboli e le grandi
incertezze sull’Europa saranno un forte freno.
In generale, come abbiamo detto, le posizioni sono molto leggere, ma il
sentiment rimane cupamente pessimista e prontissimo a riaprire gli short. Al
punto da far dire a Thomas Lee di JP Morgan che entro le prossime quattro
settimane potremmo avere un minimo solido e importante per i mercati
azionari.
Alessandro Fugnoli +39 02 777181
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