Appunti per un`erotogenesi dello spazio

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Appunti per un`erotogenesi dello spazio
Appunti per un’erotogenesi dello spazio
INTERVENTO DI CARY HOWIE
Lungo il transito dell’apparente dualità
La pioggia di settembre risveglia i vuoti della mia stanza
1. Correggio, Kansas
Qui vorrei avvicinare Tondelli a uno scrittore americano contemporaneo, Dale Peck,
autore di tre romanzi, tra i quali almeno due, Martin e John (Martin and John, 1993) e La
legge delle solitudini (The Law of Enclosures, 1996) sono stati tradotti in italiano. 1 Sarà per
forza un avvicinamento semplice, basato soprattutto sul primo romanzo di Peck e l’ultimo di
Tondelli (Camere separate, del ’89), ma dato il finora scarso lavoro comparativo su Tondelli
spero che apra almeno la possibilità di fare simili confronti, e speriamo confronti ben più
ricchi dal punto di vista teorico, con altri scrittori, soprattutto scrittori gay, del tardo
Novecento.
Un avvicinamento, dunque, anche se una delle tematiche che Tondelli e Peck
condividono è addirittura un senso di allontanamento, spostamento, e straniamento del
protagonista gay rispetto alla casa in cui si era svolta la sua infanzia. Il motivo del ritorno del
figlio alla stanza infantile si vede sia in Martin e John, sia in Camere separate come un
incontro con oggetti che appartengono ad un’epoca ormai perduta, ma non nel senso di una
CARY STEVEN HOWIE , americano, si è laureato al Bard College (New York) con una tesi sul concetto della
violenza in Flannery O'Connor e Pier Paolo Pasolini; insegna italiano e studia a Stanford dal 1997. E’ ricercatore
presso il King’s College di Cambridge. La sua tesi di dottorato si compone di una serie di letture estetiche, in
chiave 'queer', della santità medievale e postmoderna.
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Si noterà subito la mancanza di precisazioni bibliografiche: mi trovo attualmente in uno stato molto
auerbachiano, senza i libri a cui ho fatto riferimento nel discorso su cui questo breve saggio si basa. I libri di
Peck sono comunque pubblicati in Italia da Feltrinelli; e per Tondelli v. la recente edizione in due volumi delle
Opere (Bompiani).
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Seminario tondelliano, Correggio, Palazzo dei Principi, 14 dicembre 2001.
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semplice dualità: per Tondelli sono i dischi, i libri, tra i quali ormai si trovano pure quelli
della madre (compreso quello di Iva Zanicchi), in cui l’identità frammentata ed impura del
protagonista Leo si vede rispecchiata; per Peck, invece, sono giocattoli maschili e vestiti di
una volta (da vecchi slip a una maglietta Aidswalk) che servono a mostrare quanto John sia
cambiato. Al di là di un modo diverso di concepire il ruolo della stanza stessa (che per
Tondelli è invasa da oggetti nuovi, mentre per Peck è la stanza che agisce, pur accogliendo
“mal volentieri le cose”) e la maggior enfasi sull’impegno politico/omosessuale in Peck,
rimane comunque un modo fondamentalmente spaziale di mettere in scena l’esperienza di
protagonisti gay che si potrebbe dunque definire Unheimlich, un’esperienza di fantasma che
appartiene e non appartiene, vivendo imperfettamente, eccessivamente all’interno straniato
della vita normale.
Si trova pure un’oscillazione geografica in questi episodi di ritorno: i protagonisti vivono
una spazialità divisa, tra Barcellona e Correggio, tra Kansas e New York. Leo torna a
Barcellona nei ricordi dell’amante morto; John chiama continuamente il ragazzo Martin a
Manhattan, ristabilendo il contatto con quel posto che ormai sembra di appartenergli di più.
Non che si tratti mai di una vera e propria appartenenza: quello che Tondelli e Peck ci
mostrano a proposito della vita gay contemporanea è che si tratta più che altro di un modo di
esporsi alla complessità proprio spaziale dei rapporti, alla distensione (e qui non può mancare
qualche risonanza pure agostianiana) di un’identità resa mondiale, mai collocata in un posto
solo, in quanto non viene concesso al protagonista gay di cadere nei miti totalizzanti di un
ininterrotto percorso soggettivo dall’infanzia all’età adulta. Pensando a Peck, al suo strano e
straniato rapporto con il midwest americano, non si può che pensare alla situazione di
Dorothy che nel Mago di Oz lascia il Kansas, eppure non lo lascia mai.
2. Corpo, casa
Ma in Tondelli, come in Peck, il corpo e la casa non sono sempre facili da distinguere:
dal momento in cui Thomas afferma al Leo ancora incredulo, “Voglio che tu entri nella mia
casa,” il romanzo di Tondelli stabilisce una certa metonimia tra il corpo e le strutture che lo
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circondano; sappiamo benissimo che entrare nella casa di Thomas significa anche entrare
nella sua stanza, entrare nel suo corpo. (A proposito delle contiguità tra corpi e strutture
architettoniche/geografiche, la geografa neozelandese Robyn Longhurst ha appena scritto un
libro molto interessante, intitolato Bodies: Exploring Fluid Boundaries.) I confini tra il corpo
e la casa, qui esposti attraverso l’invito ad attraversarli, si toccano, si confondono nel modo
più acuto nelle scene sadomaso che funzionano da rito purgatorial/penitenziale nei due
romanzi. Nell’episodio/racconto “Rifugio,” Peck racconta:
C’era uno strato di spazio fra noi, come una coperta... “Più forte!” urlo verso la spoglia calotta
della mia camera: verso queste pareti nude, svuotate così poco tempo fa, simili all’interno di un
cranio calvo... Poi torna di nuovo la stanza, le sue pareti spoglie, un mobile si insinua nella mia
visuale: il comò, con il suo marrone perfettamente ripulito. Sento un respiro pesante... Le cose
cominciano ad avere un senso. Il soffitto, con una lunga crepa sottile che ne percorre la
superficie, tutto a un tratto si mette a fuoco... [Si fa violentare da una pistola, e poi:] Quando la
porta d’ingresso si apre, la pressione all’interno della casa cambia, il vento entra impetuoso dalle
finestre aperte della mia camera e le tende si sollevano come fantasmi spaventati, ma quando la
porta si richiude tutto torna immobile, come se la casa fosse appena stata lasciata cadere dietro
un masso gigantesco.
A parte l’evocazione sempre più forte del Mago di Oz come narrativa di straniato ritorno,
qui vediamo pure un forte senso del corpo reso spaziale, non solo rispecchiato ma esteso in
quelle pareti nude, quel vuoto messo a fuoco; dalla metafora alla metonimia alla
concretizzazione.
In Tondelli si trova una scena analoga, che serve similmente da lutto per il compagno
morto. (Qui, però, il compagno è morto di cancro, mentre in Peck l’AIDS si colloca in primo
piano: ci sarebbe da chiedersi se Tondelli facesse, forse a suo malgrado, una specie di
allegoria dell’AIDS qui, come quello che Adam Mars-Jones costruisce in Waters of Thirst.)
Steso su un lettino di cuoio in una stanzetta sopra un bar gay a Washington DC, tra le mani di
uno spogliarellista leather, Thomas “mai come allora aveva avuto una così diretta, accecante
esperienza del sè cadavere, del sè anatomico.” Il corpo spaziale sarebbe dunque un corpo
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morto, una pura estensione materiale? O sarebbe l’avvicinamento a questa pura materialità,
con il suo vuoto interno, a ricordare i limiti del corpo, quello che si potrebbe definire la
condizione di possibilità ed impossibilità del corpo? 2 Puro corpo e puro spazio non possono
vivere; per andare oltre, per sopravvivere, ci vuole il dolore come segno di quello che
attraversa il corpo: “[è] come se finalmente tutto il dolore che da anni sta provando...si
concretasse su quel lettino, in quel corpo serrato, ai testicoli e alla gola, da un morso di
cuoio.” Sarà, sì, un momento un po’ cliché di rivelazione sessuale, ma anche la giusta misura
della consapevolezza generata dall’incontro tra corpo e corpo, tra corpo e spazio, e tra quello
che li attraversa e il limite dell’attraversamento.
3. Separatezza
La separatezza è il termine chiave per la risoluzione che Tondelli propone a
quest’incrocio di corpo e spazio, attraversamento e mancanza; la contiguità anziché
l’incorporazione. Ma il rifiuto della sessualità (a favore della scrittura) che Tondelli racconta
nelle ultime pagine di Camere separate -- pur attenuato dal canadese che appare, in un
momento epifanico, come la possibilità di sesso per Leo durante il viaggio nel Québec – serve
ad illuminare il rischio della contiguità, ovvero il suo stesso principio, il bisogno non di
possedere l’altro ma di toccarlo, di essergli vicino. Una contiguità di parole e non solo di
corpi; ma parole in quanto aspettano una loro risoluzione corporea; parole sospese, offerte ad
un contatto futuro che si renderà a sua volta parlato. Queste contiguità irrisolte vengono
messe in un quadro spaziale da Peck in un episodio del romanzo che parla di due operai gay:
A volte penso che, se avessimo avuto un’altra scelta, Martin ed io non ci saremmo mai messi
insieme. Un tempo ero certo che tutto quello che ci mancava un giorno sarebbe apparso da
qualche parte, magari sul ciglio della strada, in un campo. Forse tornando dal lavoro alzerò gli
occhi e raccoglierò qualcosa dalla luce bruno dorata dell’alba, tanto simile alla luce che
muore nel tramonto: qualunque cosa sia, mi dico, sarà lì. Fino ad allora, c’è Martin; per un
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Il concetto è fondamentalmente derrideano; ma è stato Slavoj Zizek a ricordarmelo, nel Fragile Absolute
(2000).
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po’ può andare, come io posso andare per lui, immagino. Tale è, penso, la natura aeriforme
dell’amore, che si espande a riempire qualsiasi forma lo contenga.
Spalanco le tende – cosa che non facciamo mai quando siamo in casa – e apro la finestra.
All’esterno il mondo è vasto e vuoto, silenzioso, ed è come se adesso non ci fosse più nulla da
tener fuori della stanza, e nemmeno più nulla da custodirvi dentro.
La natura aeriforme dell’amore mi ricorda la prima frase di Camere separate, in cui Leo
si vede rispecchiato nell’oblò di un aereo tra Parigi e Monaco di Baviera. Qui abbiamo una
struttura, una casa, che rispecchia e comprende e dà luogo all’amore irrisolto, un po’ come
l’aereo rispecchia e comprende e dà luogo all’irrisolutezza transitiva di Leo. Ma se Tondelli
inquadra l’esperienza della solitudine, di una solitudine che alla fine si accorge del fatto che
anche l’essere “separati” può essere un mito totalizzante, così chiuso come quello della coppia
immanente e completa, Peck spinge il discorso più in là, verso il concreto, facendo crollare (o
spalancare, come le finestre della citazione) i confini, di corpo e casa, stabiliti dalla ricerca
della presenza totale dell’amato all’amante, a favore di una ricerca provvisoria dell’amore
attraverso una contiguità compromessa ma aperta all’espansione. Dare luogo, dare luce: i
corpi del romanzo gay postmoderno sono dunque corpi in attesa, che pur essendo
compromessi, pur essendo colti nell’atto mai del tutto compiuto di prolungarsi l’uno verso
l’altro, di entrare (per tornare alle famose parole di Thomas) nella casa/corpo dell’altro,
creano spazi (anche spazi letterari) che partecipano nel gioco di costruire, e nel tempo stesso
di attraversare, qualcosa che non sarebbe in fondo altro che questo stesso attraversamento:
qualcosa che si potrebbe chiamare amore.
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