Tondelli soundtrack

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Tondelli soundtrack
TONDELLI SOUNDTRACK
di Alberto Sebastiani
1. Musica e giovani
È inevitabile: se si pensa a Pier Vittorio Tondelli, ai suoi testi, letterari e non, viene da
pensare anche a una colonna sonora, a certe canzoni. Sono quelle che appaiono nei suoi libri,
nei suoi articoli, più o meno citate esplicitamente, con titolo e autore, o solo attraverso alcuni
versi, magari criptati nella pagina, inseriti nel ritmo della sua scrittura, in italiano o in inglese
(qualche volta anche tradotti, se si tratta di un pezzo straniero). Si pensa a una colonna sonora
anche perché Tondelli vive anni in cui la cultura musicale, in Italia come nel resto
dell’Occidente, è parte di quel mondo giovanile che appare sul finire degli anni Cinquanta,
inizia a diffondersi visibilmente negli anni Sessanta, si afferma nei Settanta ed esplode negli
Ottanta. I “giovani”, target consumistico, «frontiera del commercio»1, sono anche una nuova
frontiera culturale che si impone nella società italiana. Spensierati negli anni Sessanta,
impegnati nei Settanta, edonistici negli Ottanta. Tondelli, classe 1955, vive l’infanzia nei
primi, si forma nei secondi 2, si afferma nei terzi. Anche se il Tondelli autore è degli anni
Ottanta, e la sua narrativa segna una frattura netta con quella precedente, la sua maturazione e
le sue prime esperienze letterarie avvengono nei due decenni anteriori. Due decadi
caratterizzate da una scena musicale imponente. Caratterizzate anche dalla consapevolezza
dell’importanza della musica come cultura, come veicolo di idee e valori universalmente
condivisibili. Come espressione, anche, di emozioni e speranze collettive 3.
1
Cfr. Luca Gorgolini, Un mondo di giovani. Culture e consumi dopo il 1950, in Paolo Sorcinelli (a cura di),
Identikit del Novecento, Roma, Donzelli, 2004, pp. 277-370.
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Si ricordi, in proposito, quanto si può leggere in Quel ragazzo..., nella sezione Scuola del Weekend
postmoderno (cfr. Pier Vittorio Tondelli, Opere. Cronache, saggi, conversazioni, a cura di Fulvio Panzeri,
Milano, Bompiani, 2001, pp. 131-134).
3
Si veda, ad esempio, il romanzo Glimpses di Lewis Shiner (tradotto da Simona Fefè con il titolo Visioni rock
per Fanucci nel 1999). Uscito nel 1993 negli Stati Uniti, esso è incentrato sulla vera e propria fiducia che la
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Seminario Tondelli, quarta edizione, Correggio, Palazzo dei Principi, 18 dicembre 2004.
Intervento di Alberto Sebastiani, Tondelli soundtrack.
2. Problemi organizzativi
Cercare di organizzare una playlist di Tondelli non è facile: significa organizzare una
colonna sonora che cerchi di accompagnare la lettura dei suoi testi, che sia compatibile con i
gusti musicali dello scrittore correggese, che abbia a che fare con i suoi libri, che cerchi di
esprimere il tempo in cui questi vengono alla luce, e cioè gli anni Ottanta, ma anche le due
decadi che li hanno preceduti, in cui Tondelli è vissuto e cresciuto e che sono lo sfondo da cui
emergono, ad esempio, Altri libertini e Pao Pao, o ancora diversi interventi poi raccolti nel
Weekend postmoderno e in L’abbandono. Significa dunque organizzare scenari e generi
eterogenei. È difficile che il risultato sia effettivamente omogeneo, senza fratture, senza attriti.
Bisogna orchestrare musica italiana e straniera, impegnata e non, psicadelia e rock, punk e
pop, dark, new wave e scenari sperimentali, musica etnica e disco. Significa, in altre parole,
rassegnarsi all’inconciliabile accettato come reale e quindi conciliato: l’ormai pluricelebrato
“postmoderno”. Il Weekend postmoderno di Tondelli, questa santa trinità “venerdì-sabatodomenica”, in questo caso, sarà composta non da tre giorni, ma da tre decenni. Una sorta di
“weekend” prolungato. La decade degli anni Ottanta narrata nel volume curato da Panzeri si
prolunga a ritroso.
Cercando però di organizzare per decadi la colonna sonora di e per Tondelli, si
incontrano altri problemi. Per quanto anche allora non mancassero le “meteore”: personaggi
spesso improponibili che si affacciavano sul palco dello show business pompati da produttori
capaci di promuovere nuove proposte nella scena musicale in voga al momento 4, gli anni
Sessanta e Settanta hanno partorito artisti che tuttora proseguono la loro carriera e tuttora
offrono lavori di ottima qualità. Cantanti e complessi, quindi, che hanno attraversato, come
Tondelli, le tre decadi.
generazione cresciuta tra gli anni Sessanta e Settanta ha riposto nella musica e nella possibilità che essa potesse
cambiare il mondo.
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Si ricordino, in proposito, le esperienze nello show business dei teenagers londinesi narrate in Absolute
beginners, il celeberrimo romanzo del 1959 sul mondo giovanile di Collin MacInnes.
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Seminario Tondelli, quarta edizione, Correggio, Palazzo dei Principi, 18 dicembre 2004.
Intervento di Alberto Sebastiani, Tondelli soundtrack.
“Veterani” e “meteore” sono inevitabilmente compresenti. Anche la “meteora” è parte di
un clima culturale a cui anche Tondelli appartiene e in cui vive. Ma lo scrittore correggese
frequenta anche avanguardie, élites e movimenti artistici, ambienti teatrali e musicali anche di
nicchia. Realtà non certo velleitarie, non di massa, che hanno avuto un ruolo storico-culturale
anche notevole nel panorama italiano e a volte internazionale. Anche queste realtà hanno un
loro sound, che, di conseguenza, deve necessariamente entrare a far parte della colonna
sonora tondelliana, che acquisisce a poco a poco l’aspetto di un mostro onnivoro, che fagocita
ogni genere possibile. Non si possono ignorare le ondate di novità proposte anno dopo anno,
mese dopo mese, fino a quasi un giorno dopo giorno, dalle radio prima libere e poi
commerciali. Dalla televisione: mtv e videomusic su tutte. In tanti amici di “Vicky”
raccontano di quel televisore in casa sua, sempre acceso, col volume al minimo, sintonizzato
su videomusic, dove passavano videoclip in continuazione. Musica di ogni genere. Tutto
viene fagocitato, e di molto viene lasciata traccia nelle pagine di Tondelli, che possono certo
aiutare nella scelta, ma che forse non dovrebbero essere l’unico faro da seguire.
3. La colonna sonora
Abbiamo pensato di presentare, inizialmente, la colonna sonora in ordine alfabetico per
artista:
Band Aid
“A tour in Italy”
Barry Ryan
“Heloise”
Bronski beat
“Smalltown boy”
Carole King
“Tapestry”
CCCP – Fedeli alla linea
“Emilia Paranoica”
CCCP – Fedeli alla linea
“Live in Pankow”
Cindy Lauper
“Girls just wanna have fun”
Claudio Lolli
“Ho visto anche degli zingari felici”
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Claudio Rocchi
“Viaggio”
Cocteau Twins
“Garlands”
David Bowie
“China girl”
David Sylvian
“Forbidden colours”
Dead Can Dance
“The Serpent’s egg
Duran Duran
“New moon on monday”
Fabizio de Andrè
“Storia di un impiegato”
Francesco De Gregori
“Pablo”
Francesco Guccini
“L’avvelenata”
Frank Zappa
“Peaches in regalia”
Frank Zappa
“Will the Pimp”
Frankie goes to Hollywood
“Relax”
Gaz Nevada
“Sick Soundtrack”
Genesis
“Trespass”
Giovanotti Mondano Meccanici
“Love supreme”
Gong
“Camambert electrique”
Inti Illimani
“El pueblo unido”
Janis Joplin
“Summertime”
Jon Hassel
colonna sonora “Sulla strada” dei Magazzini
King Crimson
“I talk to the wind”
Leonard Cohen
“Avalanche”
Litfiba
“La battaglia” (“Eneide”)
Loredana Bertè
“Il mare d’inverno”
Lou Reed
“Heroin”
Lucio Battisti
“Emozioni”
Lucio Battisti
“Fiori rosa, fiori di pesco”
Luigi Tenco
“Un giorno dopo l’altro”
Magazzini Criminali
“Crollo nervoso”
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Marianne Faithfull
“Broken English”
New Trolls
“La miniera”
Nina Simone
“Another woman”
Patti Smith
“Horses”
Pet Shop Boys
“Domino dancing”
Philip Glass
“Music in twelve parts”
Pink Floyd
“If”
Psychedelic furs
“Heaven”
Sex Pistols
“God save the queen”
Skiantos
“Mono tono”
Talking Heads
“Remain in light”
Terry Riley
“A rainbow in curved air”
The Beatles
“Michelle”
The Clash
“London calling”
The Cure
“Disintegration”
The Doors
“When the music’s over”
The Rolling Stones
“It’s only rock’n’roll”
The Smiths
“The Queen is dead”
This mortal coil
“Holocaust”
Tuxedomoon
“Desire”
U2
“Sunday bloody sunday”
Ultravox
“Hiroshima mon amour”
Velvet Underground
“Sunday morning”
Violet Eves
“Galaxy bar”
Wim Mertens
“Close cover”
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Si può immediatamente notare come, accanto principalmente a singole canzoni, si è
pensato di me ttere anche qualche album, come Storia di un impiegato di Fabrizio De Andrè.
Se si dovesse iniziare una distinzione per decadi è evidente che negli anni Sessanta
andrebbero inseriti Lucio Battisti, Luigi Tenco, i Pink Floyd, i Beatles, Janis Joplin, i Doors e
i Velvet Underground. È già evidente come lo scontro sia palese. Allo stesso tavolo, ad
esempio, due dei paladini dei figli dei fiori, la Joplin e i Doors di Jim Morrison, e la band di
Cale e Reed, i più fieri antagonisti del sogno hippy. C’è però un legame profondo tra questi
nomi: tutti rappresentano una rottura netta, un cambiamento radicale rispetto a quanto esistito
precedentemente. Luigi Tenco si muove in quella Genova in cui lui, De Andrè, Lauzi e altri
stanno cercando di trasformare la musica d’autore italiana, di rinnovarla, di rompere con gli
schemi tradizionali. Non c’è poi certo bisogno di dire chi siano e cosa abbiano rappresentato
da un punto di vista culturale, sociale e musicale gli altri nomi citati. If dei Pink Floyd, è, a
dire il vero, del 1970, ma le sonorità dell’album di cui apre il secondo lato, Atom heart
mother, sono ancora ascrivibili alla produzione psicadelica degli anni Sessanta del quartetto
inglese. La canzone, oltre ad essere una delle più dolci composte da Roger Waters in quegli
anni, è citata da Tondelli come una presenza inevitabile nelle feste ai suoi «tempi delle mele»,
tra il 1968 e il 1971:
colonne sonore di quei party, inevitabilmente, gli slow che andavano da Heloise di Barry
Ryan a If dei Pink Floyd, a I talk to the wind dei King Crimson, a Michelle dei Beatles, per
altri ritenuti vecchi e decrepiti miti dei nostri fratelli maggiori. E naturalmente Lucio Battisti.
[WP, OP: 135]5
In questi anni di passaggio, rivoluzionari in molti sensi (politico, economico, culturale,
sociale, consumistico...), “Vicky” vive il suo «tempo delle mele». La colonna sonora è già
evidentemente eterogenea. È un momento di confine.
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Per semplificare, d’ora in poi ogni citazione tratta da Un weekend postmoderno verrà siglata con “WP”, cui
seguirà OP (cioè le Opere curate da Panzeri, cit.) e il numero della pagina da cui si cita.
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Stanno per nascere quelle che saranno tra le stelle del panorama musicale anni Settanta e
resistono intramontabili inni del decennio precedente (Michelle è del 1965). Della nuova
decade i nomi sono, inevitabilmente, molti di più: gli italiani De Andrè, De Gregori, Guccini,
ovvero i rappresentanti di spicco della nuova scena musicale italiana, oltre che,
(«naturalmente») Lucio Battisti e i New Trolls, questi ultimi tra gli alfieri di uno
sperimentalismo musicale nostrano rivolto al rock progressive, vera miniera italiana che seppe
proporre campioni quali gli Area e la Pfm; qualche nostalgia del passato è in Carole King
(d’altronde i momenti “intimisti” cui spesso era facile Tondelli e i suoi personaggi richiedono
anche queste note passatiste), ma immediatamente compensata da nomi di spicco che hanno
caratterizzato il decennio come i Rolling Stones e personaggi del loro entourage, come
Marianne Faithfull, fino però ad arrivare a chi ha compiuto la rottura netta, decretando la fine
dei sogni e degli ideali degli anni Sessanta e Settanta stravolgendo le sonorità che fino a quel
momento erano state veicolo di valori, sentimenti, emozioni di un’intera generazione, ovvero
Patti Smith, che nella scena nuova newyorkese porta il rock verso il punk, negli stessi anni dei
Ramones, e stravolge il modo di essere del personaggio femminile sul palco, cambia
violentemente suoni e versi rivoluzionando palesemente la scena musicale. Una
trasformazione che non percorrerà le stesse strade della scena punk europea, ma che si
contamina anche con aspetti fashion più significativi che avranno importanti evoluzioni nella
successiva storia del look e del mondo giovanile, come la celeberrima cravatta al collo della
Smith nella copertina di Horses, del 1975, che Tondelli legge come l’origine di una libertà
nell’abbigliamento, «senza senso di colpa» (WP, OP: 210).
Una rivoluzione, dunque, che sull’altra sponda dell’Oceano, nella Vecchia Europa,
prende una strada diversa, la cui origine viene solitamente individuata nell’album Never mind
the Bollocks del 1977, dei Sex Pistols, in cui è incisa l’irriverente God save the queen (the
fascist regime...), che anni dopo Vasco Rossi utilizzerà come finale in sfumato alla sua Fegato
spappolato. Senza voler entrare nel fenomeno commerciale, nel problema della moda,
bisogna comunque riconoscere la rottura che è stata questo movimento musicale (pur diverso
da quello statunitense, pur in tutto il suo anche deprecabile nichilismo).
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Se però i Sex Pistols non erano certo campioni di bravura e tecnica (come d’altronde la
“filosofia” punk voleva) i loro compatrioti The Clash lo erano, eccome. Un gruppo che ha
solo esordito, in effetti, come punk, ma che poi ha saputo sperimentare, combinare generi e
sonorità, dal reggae al rock al punk, trovando sonorità che anche altri, in quegli anni, seppero
individuare, come i Police di Sting.
Il punk è un movimento che, in realtà, è nato e morto nell’arco di un attimo, ma che poi,
in effetti, vanta ancora adepti e seguaci in tutto il mondo. Gruppi ed etichette discografiche
continuano a muoversi sulla linea ’77, puri, senza essere passati alle naturali evoluzioni di
questo genere musicale: l’hard-core o il dark, giusto per citare le più note. Tondelli spesso
commenta sorridendo chi, negli anni Ottanta, ancora si definisce punk e si veste secondo un
look sempre più manieristico, più prossimo del «postmoderno di mezzo» con i suoi
«repêchage» (WP, OP: 214) che non alla volontà rivoluzionaria del 1977.
A conclusione dissacrante non potevano ovviamente mancare gli Skiantos, che con la
loro ironia irriverente decretano senza ombra di dubbio una svolta, se non la fine, di un
decennio dal punto di vista musicale, e quindi, inevitabilmente, anche culturale. E proprio
nella Bologna di Bifo, dell’omicidio Lorusso e del marzo 1977. La Bologna anche di
Pazienza. La Bologna in cui arriva anche Tondelli studente. La Bologna capitale degli anni
Settanta, ormai decadente, che sta per cedere lo scettro a Milano e soprattutto a Firenze,
templi del mondo giovanile anni Ottanta.
Anche riguardo agli anni Settanta, la colonna sonora è dunque ancora un coacervo
musicale, esattamente come si tratta di un coacervo culturale quello in cui cresce Tondelli.
Esattamente come ormai dovrà sempre essere. La varietà e la complessità del mondo
postmoderno, del mondo giovanile che Tondelli legge da una prospettiva non giovanilistica,
del mondo culturale, del popolo vacanziero, dell’industria del divertimento e del sottobosco
alternativo che descrive, della realtà omosessuale che vive e narra è tale per cui non è
possibile individuare un unico genere per costruire questa colonna sonora.
Forse è il caso di dire che solo suoni di frattura e innovazione possono essere
ingredienti della soundtrack tondelliana.
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La voglia di nuovo, di diverso, l’odio per lo stantio, il decadente, il manieristico, la
curiosità per la sperimentazione, l’interesse per i nuovi fenomeni sociali, così evidente nel
Weekend postmoderno, non possono chiedere nulla di omogeneo, senza fratture, senza attriti.
Un coacervo musicale, appunto.
E le canzoni scelte dagli anni Ottanta, ovviamente, non possono che essere la più
evidente esplosione di questa passione tondelliana e della variegata geografia umana, sociale e
culturale di quel periodo.
Dalla new wave di David Bowie e degli Psychedelic Furs al dark dei Cure, dal nuovo
rock degli U2 ai new romantic Duran Duran, dalla 4 AD dei Dead Can Dance alla dance
commerciale dei Pet Shop Boys, al pop rock della Band Aid (vero fenomeno culturale nel
panorama musicale degli anni Ottanta, come il progetto Usa for Africa di We are the world,
manifesti della coscienza sporca dell’Occidente lussuoso e sfarzoso), ai gruppi-simbolo dei
movimenti omosessuali come gli Smiths di Morrisey, o i Bronski Beat di Jimmy
Sommerville, o i Frankie Goes to Hollywood di Holly Johnson. C’è anche spazio per altri
personaggi-simbolo degli anni Ottanta, come Cindy Lauper, che più che con il suo pop
divertente e commerciale, esprime con la propria immagine, il proprio look
colorato,
irriverente di qualsiasi modello femminile classico, la volontà dell’having fun, la sua
ideologia. C’è però posto anche per l’intimismo, come con Claudio Lolli, voce più celebrata
negli anni Settanta, ma che negli Ottanta, con Ho visto anche due zingari felici, canzone e
album dedicati alla strage di Bologna, si presenta con un disco di rara intensità; o come con
Loredana Bertè, nuova icona della trasgressione italiana al femminile, che con la canzone
Mare d’inverno di Enrico Ruggeri dà voce al versante, appunto, “intimisto”.
Si era però detto anche della nicchia, dell’élite, dell’alternativo che non sfugge a
Tondelli. Ecco quindi i reggiani CCCP, i fiorentini Magazzini Criminali e il loro teatro, e
proprio con il teatro ha a che fare anche la canzone dell’altro gruppo del capoluogo toscano, i
Litfiba degli esordi, con la colonna sonora del 1983 di Eneide di Krypton, un album
interamente strumentale (se si eccettuano i pochi versi recitati da Pelù nella canzone che apre
il secondo lato del disco, Il racconto di Enea).
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È un disco che presenta sonorità decisamente criptiche, muovendosi tra l’elettronica e la
new wave più oscura, quella dark. Accanto a Pelù e Renzulli, che diventeranno poi famosi al
grande pubblico negli anni Novanta, con la svolta più commerciale e l’apertura al grande
mercato discografico dopo Pirata, con El diablo, si legge un altro nome prestigioso, al basso:
Gianni Maroccolo, forse più noto al grande pubblico per essere stato il bassista dei Csi (per
altro ex-CCCP) di Giovanni Lindo Ferretti, ma genio indiscutibile, versatile e creativo, del
panorama musicale italiano.
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