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ALGERIA
La primavera
può attendere
Il vento di protesta della Primavera araba ha solo sfiorato l’Algeria. Le riserve petrolifere e l’aumento del
prezzo dell’oro nero consentono al Paese di non avvertire la crisi economica globale. Eppure la ricchezza
resta nelle mani di pochi e, mentre i corrotti guadagnano, i poveri aumentano. Le elezioni di maggio sono
brogli, l’Fnl si è riconfermato al potere. Ora, però,
siedono molte più donne in parlamento: su di loro
si appunta la speranza di cambiamento.
di Giuliana Sgrena
l sole a picco illumina la baia di Algeri e fa risplendere la città bianca in tutta la sua bellezza. I soldi della
rendita petrolifera hanno favorito un restauro della città
che il 3 luglio celebrerà il cinquantesimo anniversario
della liberazione dal colonialismo francese.
Il lungomare ora è dotato di panchine e persino la metropolitana, dopo decenni di lavori, funziona: la stazione principale è proprio in pieno centro, nella piazza della Grande Poste, un gioiello di architettura neomoresca
(progettata da architetti francesi) che si coniuga perfettamente con gli altri edifici costruiti al tempo del colonialismo e che delimitano le vie adiacenti.
Un mix che sta a simboleggiare i tentativi dei francesi
di assimilare i territori del Nordafrica e la capacità degli
algerini di salvare dal feroce colonialismo – combattuto
con un enorme spargimento di sangue – quegli elementi
di cultura e progresso che la Francia non ha potuto portare via ritirandosi.
Innanzitutto la lingua, che permette agli algerini di essere vicini all’Europa e che i berberi hanno coltivato durante l’arabizzazione forzata imposta dopo l’indipendenza, in attesa di poter veder riconosciuto il proprio idioma
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amazigh. E poi i principi della rivoluzione francese, valori universali, difesi strenuamente negli anni in cui gli
integralisti islamici volevano imporre una teocrazia. «Se
sono valori universali debbono valere anche per noi, altrimenti non sarebbero universali», sostiene con convinzione Djedjiga Imache, femminista, impegnata nella rivendicazione dei diritti delle donne.
Salendo attraverso un reticolo di scale fino alla casbah,
dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco, si può
ammirare dall’alto la città con il suo ampio porto, dove
attraccano anche le navi provenienti dall’Europa. Fino a
qualche anno fa erano usate soprattutto dai trabendistes
– coloro che importavano merci di contrabbando – ma ora
i mercati algerini sono forniti di tutto.
In cima alla collina, a rovinare il paesaggio è l’orribile
cassone di cemento che ospita l’hotel Aurassi – in stile
sovietico, anche se ora completamente restaurato – eredità del periodo di Boumediene, fautore di un socialismo
africano e che aveva puntato sull’industrializzazione del
Paese, a scapito dell’agricoltura.
L’Aurassi è ancora proprietà dello Stato, ma tutti i nuovi alberghi di lusso sono privati. Servono soprattutto agli
uomini d’affari, perché l’Algeria non ha mai sponsorizzato il turismo, nonostante l’incantevole deserto. Gli algerini sono molto fieri della propria storia e hanno rapporti sempre un po’ conflittuali con gli stranieri, anche
quando non si tratta di francesi.
Passeggiando oggi per le vie di Algeri non si avvertono
le tensioni che fino alla fine degli anni Novanta hanno
scosso il Paese. Ormai tutta l’Algeria si è “orientalizzata”
nei costumi e gli islamisti vivono accanto ai laici senza
al Oued, già roccaforte degli islamisti – sono stati coperti dalle caricature dei leader politici. Anche le apparizioni del presidente Abdelziz Bouteflika sono state rare. Addirittura sostiene che «è ora di passare il testimone alle
nuove generazioni».
Non prima però di aver costruito una moschea da un
miliardo di dollari, che avrà il minareto più alto dell’Africa (270 metri) e, per grandezza, sarà la terza al mondo, dopo quelle della Mecca e di Medina.
robabilmente con l’“apertura” alle nuove generazioni, dopo la sospensione della legge di emergenza in
vigore dal 1992, Bouteflika cerca di evitare che l’Algeria
venga contagiata dalla rivolta araba. In realtà, la rivoluzione tunisina aveva avuto la sua eco in Algeria già nel
febbraio del 2011, quando erano state indette manifestazioni con lo slogan “Système dégage”. Agli algerini non
basta l’uscita di scena di Bouteflika: è tutto il sistema che
è corrotto, sostenevano i manifestanti. Ma l’arrivo dei mi-
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LaPresse
state per molti una farsa. Malgrado i sospetti di
sfiorarsi. Persino l’uso del velo – numerosi i negozi che
ne seguono la moda – non è più ideologizzato come negli
anni Novanta. Le giovani lo portano pieno di fronzoli,
spesso sopra jeans attillatissimi. Alcune dicono che è un
modo per trovare marito: «Il velo tranquillizza la famiglia
del pretendente.
Quel che è certo è che i giovani non si attengono alle rigide regole dell’Islam nei loro rapporti», mi conferma Feriel, una studentessa diciottenne. Nacéra, ventidue anni,
ha invece abbandonato la scuola e non esce più di casa
dopo che l’ex ragazzo l’ha violentata e messa incinta: non
accettava che lei l’avesse lasciato. Ora Nacéra spera di poter andare in Francia con il nuovo ragazzo e la sua bambina per rifarsi una vita. Ma non è facile.
La campagna elettorale per le elezioni legislative del 10
maggio non è riuscita a scuotere gli algerini dal disinteresse per la politica. Molti comizi sono stati sospesi per
mancanza di pubblico. Alcuni spazi elettorali sono rimasti vuoti, altri – soprattutto nel quartiere popolare di Bab
Elezioni in Algeria, 10 maggio 2012.
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Ap Photo / S. Djarboub
Ap Photo / P. Schemm
litanti sulla piazza del 1 maggio era stato impedito da un
accerchiamento di 40mila tra poliziotti e forze antisommossa. Il regime aveva organizzato anche contromanifestazioni. Non solo, aveva anche cercato di dividere l’opposizione usando le risorse economiche a disposizione:
le aziende pubbliche avevano l’ordine di assumere ed
erano state distribuite case popolari.
Proprio come alla vigilia delle elezioni: promesse di case e aumenti salariali per alcune categorie. «Non sono state solo queste manovre a impedire che la protesta esplodesse, ma anche la paura che si potesse ripetere quello
che era successo negli anni Novanta, con il dilagare del
terrorismo e il bagno di sangue che ne è seguito», sostiene Cherifa Kheddar, presidente di Djazairouna (la nostra
Algeria), associazione delle famiglie delle vittime del terrorismo, tra le organizzatrici delle proteste.
Algeri si sta estendendo a vista d’occhio: si vedono
quartieri interi appena costruiti, soprattutto dai cinesi.
Alcuni blocchi sono di case popolari (spesso non ancora
assegnate), altri sono di privati dai prezzi inaccessibili
per la gente comune.
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Algeri, alcuni bambini giocano sul lungomare.
In Algeria non si avverte la crisi economica che sta
sconvolgendo gran parte del mondo: l’aumento del prezzo del petrolio ha rimpinguato le casse dello Stato che, a
fine anno, secondo l’Fmi, avranno accumulato 205 miliardi di dollari di riserve in valuta, una ricchezza che fa
gola al Fondo monetario, che ora ha chiesto un prestito al
Paese che trent’anni fa aveva strozzato.
Alla fine degli anni Ottanta, in seguito alla crisi petrolifera, l’Algeria aveva un debito estero di 24 miliardi di
dollari.
L’Fmi aveva concesso un riscaglionamento, ma con piani di riaggiustamento strutturale, che avevano imposto al
governo algerino di tagliare le sovvenzioni ai beni di prima necessità e la riduzione dei dipendenti pubblici. La
crisi era esplosa nel 1988. La rivolta – detta “per il cous
cous”, anche se in realtà rivendicava giustizia e libertà –
era stata repressa nel sangue.
In qualche modo l’Algeria è stata un laboratorio: ha pre-
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ceduto di oltre vent’anni la Primavera araba. Nell’89 si
metteva fine al partito unico – il Fronte di liberazione nazionale (Fln) – e il primo nuovo partito a essere legalizzato era il Fronte di salvezza islamico (Fis), gli islamisti che
avrebbero vinto le elezioni amministrative nel ‘90 e il primo turno delle politiche nel 1991 (poi annullate dall’esercito), precedendo anche in questo quello che sta avvenendo in Egitto e in Tunisia. C’è da sperare che il decennio
nero dell’Algeria, con circa 200mila morti causati dai
Gruppi islamici armati e dall’esercito, non si ripeta.
a “riconciliazione” attuata da Bouteflika nel 1999 con
la “legge del perdono” ha soltanto cristallizzato la situazione, senza fare giustizia. Bouteflika, ministro degli
Esteri ai tempi di Boumediene, è diventato il nuovo padrone dell’Algeria, acclamato perché metteva fine allo
spargimento di sangue.
Il culto della personalità non è ostentato come in altri
Paesi arabi e Algeri non è coperta di ritratti di Bouteflika
come accadeva con Ben Ali in Tunisia o con Assad in Siria. Tuttavia, il presidente ha cambiato la Costituzione per
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Donne per le strade di Algeri tappezzate di manifesti elettorali,
prima delle elezioni del 10 maggio scorso.
potersi garantire un terzo mandato. Il suo potere è stato
quasi assoluto – naturalmente sotto la protezione dei militari – mentre l’opposizione politica è stata paralizzata.
Lo si vede in questo periodo elettorale.
Le risorse di cui gode l’Algeria sono servite a costruire
grandi opere, innanzitutto l’autostrada Est-Ovest, fiore all’occhiello del governo, anche se investita da scandali.
Ma la ricchezza resta nelle mani di pochi corrotti e aumenta il divario tra i ricchi (pochi) e i poveri (la stragrande maggioranza).
La disoccupazione è diminuita al 9,8%, anche se per i
giovani supera il 20%, mentre l’inflazione è salita al 6,4%
nel mese di aprile. A lievitare sono soprattutto i prezzi
degli alimentari. Sono in molti a lamentarsi nel mercato
che si trova adiacente alla via centrale Didouche Mourad,
soprattutto del prezzo delle patate, che alla vigilia del voto è arrivato a 140 dinari al chilo (1,4 euro, con un aumen-
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Corbis / S. Cailleux
Corbis / G. Steinmetz
to del 116% in un anno) contro uno Smig (salario minimo
garantito) di 18mila dinari (180 euro). Da qui discende il
disagio sociale, che provoca molte proteste e anche immolazioni di giovani disoccupati, che non vengono più
nemmeno registrate dalla stampa.
«A me non importa il prezzo delle patate, voglio un
progetto per il futuro, ma nessun partito ne parla. Perché
dovrei votarli?», si chiede Djamal, tassista, sposato, con
un bambino piccolo, e che vorrebbe un maggior investimento del Paese nell’innovazione, nella cultura.
Il voto? «Une mascarade», secondo il parere di un commerciante, ma è una definizione che ci hanno ripetuto
spesso. Una farsa. «Vuoi che ti anticipi i risultati?», è in-
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Giovani algerine con i jeans e il velo.
vece la battuta di Ali, un giornalista. Disincanto e scetticismo.
Il grande disinteresse per il voto non viene però confermato dai risultati ufficiali, contestati da molte parti, ma
sostanzialmente avallati dai 500 osservatori internazionali, presenti per la prima volta in Algeria. I vari seggi
elettorali praticamente vuoti la mattina, hanno visto una
maggiore affluenza il pomeriggio, prevalentemente di
persone anziane.
Tuttavia, è difficile che l’affluenza abbia potuto rag-
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giungere quel 43,14% di votanti annunciati dal ministero degli Interni.
Anche se lo spettro di un intervento esterno (della Nato, come in Libia) – paventato nella campagna elettorale
dall’Fln – e il richiamo alla guerra di liberazione in vista
del cinquantesimo anniversario possono aver avuto qualche effetto sull’elettorato con maggiore memoria storica.
Questo giustificherebbe la vittoria dell’Fln – che quella
guerra aveva guidato – con 221 seggi su 462. Ma molte sono state le denunce di brogli.
L’Alleanza verde – formata da tre partiti islamisti (Movimento sociale per la pace, En-nahda e Islah) e che sperava di ripetere il successo dei Fratelli musulmani egiziani e tunisini – ha ottenuto solo 48 seggi. Pericolo islamista scampato? «No, hanno vinto gli islamo-conservatori
dell’Fln. Non sono forse stati loro a varare nel 1984 il Codice della famiglia, che discrimina le donne?», sostiene
Cherifa Kheddar.
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La casbah di Algeri
Saranno le 145 donne elette che, con il 31,38% per cento, fanno balzare l’Algeria dal 122° al 26° posto al mondo
(e al primo nel mondo arabo) per la presenza di donne in
parlamento, a fare la differenza? Una percentuale così alta è stata possibile grazie all’introduzione della quota nella legge elettorale.
Comunque «la presenza importante di donne nell’Assemblea nazionale è un grande passo in avanti. Tocca ora
alle deputate essere all’altezza di questo progresso», sostiene Nadia Aït Zaï, fra le promotrici della proposta di
legge a favore delle donne. Per la sindacalista Nadija Zeghouda l’obiettivo delle elette è quello di trovare una soluzione affinché le algerine «possano diventare cittadine
a tutti gli effetti».
L’Algeria seguita ad essere un laboratorio.
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