Giovani e lavoro: l`urgenza della formazione verso nuove sfide

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Giovani e lavoro: l`urgenza della formazione verso nuove sfide
Giovani e lavoro: l’urgenza della formazione verso nuove sfide
Nei giorni scorsi il Dott. Fabrizio Ungarelli, responsabile del dipartimento formazione della Cisl di
Bologna, sul mensile “Conquiste” nel Mcl di Bologna, ha riportato una indagine del Censis del
2009 in cui si evince che:
- l’88% dei giovani, in età compresa tra i 15 ed i 18 anni, almeno una volta hanno pensato che
senso abbia stare a scuola;
- il 92,6% dei giovani diplomati dalla scuola superiore ritiene che anche chi persegue un titolo
di studio con votazione alta andrà incontro ad un lavoro sotto pagato;
- il 91,6% pensa che, per trovare lavoro, sono agevolate le persone che godono di conoscenze
e raccomandazioni;
- il 63,9 degli occupati valuta le materie apprese a scuola non utili, o utili solo in parte, per lo
svolgimento del loro lavoro.
Dopo 10 anni di attività lavorativa l’85% degli impiegati e l’80% degli operai è rimasto tale: ciò
significa che il lavoro non funge più da “ascensore sociale”.
Fino a 10 – 15 anni fa il problema dei giovani era la disoccupazione mentre oggi, crisi a parte, i
tassi i disoccupazione sono diminuiti ma è aumentato, nelle varie forme, il lavoro precario che è
divenuto, nei migliore dei casi, un passaggio pressoché ineludibile d’inserimento dal mondo della
scuola al quello del lavoro. La flessibilità lavorativa richiesta dal sistema economico – produttivo si
traduce spesso in termini di precarietà perchè, ancora prima della crisi, solo un contratto su 10
veniva trasformato in tempo indeterminato entro l’anno successivo all’assunzione a tempo
determinato. La domanda di flessibilità e il rischio di impresa vengono quindi addossati sui giovani
ed in particolare sulle giovani donne.
Mentr in passato il lavoro precario era per lo più associato al lavoro nero, oggi molte forme di esso
hanno trovato una sorte di legalizzazione (co.co.co., co.co.pro, apprendistato, interinale, ecc) ma il
meccanismo di fondo è rimasto pressoché il medesimo: ti faccio lavorare e ti pago solo per quanto
produci, se e quando mi servi.
Nei giorni scorsi la stampa locale ha pubblicato i dati relativi alla disoccupazione nella nostra città,
aggiornati ai primi mesi del 2010. Nella fascia 15 – 24 anni i giovani disoccupati sono 3.261 di cui
1708 con meno di 24 anni: un dato preoccupante che non lascia tranquilli sia le giovani generazioni
che i propri familiari. Allora, a favore di essi, quali misure dobbiamo adottare? Senz’altro abbiamo
bisogno di una scuola più attenta nella sua opera di educatrice che guardi sia alla formazione che
instradi gli alunni a prepararsi per entrare formati nel mondo del lavoro. Penso ad una figura come
S. Giovanni Bosco (Don Orione) dei nostri tempi che nonostante il disagio sociale vissuto in tempi
ed in modi diversi possa essere per i giovani modello e maestro di vita, per essere la loro ancora di
salvezza.
In occasione della festa del 1° Maggio, Mons. Arrigo Miglio, Presidente della Commissione Cei per
i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace dice “E’ preoccupante il tasso di disoccupazione
giovanile del 25% su scala nazionale, nonostante sia di qualche punto inferiore ai vari paesi europei:
in questa ottica si rischia di bruciare una generazione di giovani facendo loro mancare un esperienza
che ha una dimensione essenziale nella vita di una persona ripartendo dalla “Caritas in Veritate”
con una centralità del lavoro sempre più al centro del rilancio produttivo del nostro paese”.
A questo proposito denuncia il Papa “Quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro in
conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione diviene endemica, si creano forme di
instabilità psicologica, di difficoltà a costruire percorsi coerenti nell’esistenza, compresa anche
quella verso il matrimonio. Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre
che di spreco sociale” (Caritas in veritate, 25).
Peraltro abbiamo oggi un mondo del lavoro che chiede molto coinvolgimento per offrire qualche
opportunità che incita ad una dedizione senza onori e senza remore, ma che non prende impegni di
lungo periodo.
Soprattutto dai giovani è una realtà accettata per quello che è, con disincanto, ma anche con
inquietudine e, talvolta, con risentimento, se non con rabbia: e così il lavoro non è più fatica ma
diventa fonte di stress.
In definitiva chiedere ai giovani di essere flessibili, elastici disponibili a saltare da un posto all’altro
comporta il rischio di farli sembrare dei veri e propri “grilli” inducendoli ad assumere scelte e
comportamenti senza convinzioni profonde per poter fare carriera, l’idea di un relativismo
generalizzato per ogni opzione equivale all’altra.
Come preparare quindi le nuove generazioni a far fronte a questa inedita situazione?
Si pone qui un urgente compito educativo che deve coinvolgere ed affascinare le nuove generazioni.
Occorre quindi attivarsi tutti per proporre punti di riferimento ed orizzonti di senso per la
comprensione della centralità di un insieme di valori non negoziabili per aiutare a cogliere il
legame indissolubile tra realizzazione personale ed il bene comune.